Mia madre sulla
terrazza - In lontananza lo scoglio |
<<< Dall'ingresso
condominiale della nostra palazzina partiva una rampa di scale, costruita con marmo bianco venato di
grigio, che arrivava fino in cima al pianerottolo dove
c'era una porta di legno da cui si entrava per andare in terrazza.
Questa porta non era
tanto grande come il portone di giù, ma aveva una serratura antica che per aprirla occorreva una
chiave di grosse dimensioni, scura e pesante. Mia madre la
chiamava "la chiave di san Pietro". La terrazza copriva tutta
la palazzina ed era protetta da un muretto alto
circa un metro e venti e spesso venticinque centimetri, che correva lungo tutto il suo perimetro esterno.
Nel mezzo c'era un muretto interno, più sottile rispetto a quello
esterno, che la divideva in due parti uguali. Noi
dividevamo la superficie della nostra terrazza con la
famiglia Costa, una coppia sposata senza figli , che abitava al primo
piano sopra di noi. Metà dell'altra terrazza apparteneva alla famiglia
D’Amico, composta da Pippo, il capofamiglia, la moglie Mariuccia Guarrasi, sorella del bravo
nuotatore e pescatore subacqueo tripolino Pino Guarrasi, ed i figli Cettina, Ninni
(Antonino) e
Roberto, che abitavano nell'appartamento al piano
terreno, proprio di fronte al nostro. L'altro quarto della
terrazza apparteneva alla famiglia che occupava l'altro appartamento
del primo piano. In questo appartamento si erano susseguiti,
con periodi più o meno lunghi, diverse famiglie, diversamente dagli
altri tre che erano stati abitati per tanti anni dalle stesse
famiglie. Per quello che io ricordo ci avevano abitato i Nuzzo,
che noi chiamavamo "gli sposini", evidentemente perchè erano venuti
ad abitare in quell'appartamento dopo essersi appena sposati. Erano
giovani, sempre gentili e sorridenti, ma anche molto riservati e non
davano molta confidenza. Dopo alcuni anni di permanenza in
quell'appartamento i Nuzzo erano venuti a salutarci per dirci che
emigravano in Australia. Dopo di loro era venuti i Ciciliano.
Lui, diventato vedovo, aveva sposato A., da cui aveva avuto
una figlia, Maria Rosa. All'inizio, appena erano venuti ad abitare
in questo apparta,mento erano in tre, lui, A. e la piccola Maria
Rosa, poi a loro
si erano uniti anche, Pino e Riccardo, che erano figli della prima
moglie. Con loro avevamo un buon rapporto di amicizia. Ci invitavano
spesso, la sera dopo cena, a guardare la televisione, specialmente
quando c'era Mike Buongiorno con "Lascia o raddoppia". Dopo i Ciciliano i coniugi
Sandra Turtulici e Franco Marra. Sandra
Turtulici era la figlia del sarto
tripolino Turtulici di Sciara Mizran, abbastanza conosciuto come il
sarto della famiglia reale
e di alcuni dei più importanti notabili libici. Sandra era anche
nipote di quel Casella, famoso per essere stato pilota in gare
automobilistiche e per essere stato proprietario delle Acque Minerali
tripoline "Ben Gashir". La nostra terrazza, tetto della palazzina, era ricoperta da un
pavimento che era stato isolato da uno strato di catrame e
rivestito di piastrelle rosse. Complessivamente c’erano quattro
lavanderie, uno per appartamento, che venivano utilizzate anche come ripostiglio. All’interno di ogni lavanderia c’era un lavatoio
grigio fatto di granito, formato da un catino, fissato ad un piano
leggermente inclinato ed ondulato, per poterci lavare e strofinare i
panni. Mio padre, da esperto fabbro, aveva costruito degli scaffali in
ferro, fissandoli ad una delle pareti, che erano molto utili per
riporci cianfrusaglie. Mia madre stendeva i panni ad asciugare
all'esterno, appendendoli
con le mollette a dei fili di uno speciale ferro antiruggine, che mio padre aveva fissati
e messi in tensione. Li aveva collegati a dei ganci, avvitati
alla parete della nostra lavanderia e dall’altra a dei
paletti di ferro imbullonati al muretto della terrazza.
Da
questa terrazza si godeva una bella vista. Negli anni cinquanta
a Tripoli non erano state costruite palazzine che andavano il quarto
piano, più o meno l'altezza di palma di datteri nel suo maggior
sviluppo. Nella zona del Lido il secondo piano erà gia considerato
un piano alto e al Lido non esistevano costruzioni più alte. Da
lassù si poteva godere di una bella vista. Ad Ovest c'era il mare,
la spiaggia del Lido Vecchio e quello famoso scoglio, che non
ha mai avuto un nome e che si poteva vedere anche dalla spiaggia dei
Sulfurei. A Nord-Est si vedeva il vecchio campo di calcio del
Maccabi, la fabbrica di olio di ricino e più in là lo Stadio
Centrale ed una parte del recinto della Fiera Internazionale.
Sul
lato Est c'erano i binari della vecchia Ferrovia e a Sud-Ovest la strada che
portava ai Sulfurei, a Giorginpopoli, fino a Gargaresh. Noi,
Ernandes,
utilizzavamo questa terrazza in diverse occasioni. Specialmente dopo cena, nelle
limpide e calde sere d’estate, quando venivano a farci visita alcuni
vicini di casa. Salivamo su in terrazza ed aprivamo le sedie a sdraio
in legno, con una tela a strisce bianche e blù. per chiacchierare ed
ammirare il cielo notturno illuminato da tante stelle. Nelle notti
terse di agosto ci stendevamo, mio padre diceva "sdraiati come foche", su alcune coperte distese sul
pavimento, e stavamo lì, a volte fino ad oltre a mezzanotte, in attesa di
vedere passare qualche stella cadente e fare a gara a chi ne vedeva
di più. Mio padre si intendeva un pò di astronomia e mi
insegnava a conoscere alcuni nomi di stelle e ad indicarmi la forma
di qualche costellazione. Naturalmente la prima cosa che mi
aveva insegnato era che la stella Polare indicava, grosso modo, dove
era il Nord. Mi aveva anche insegnato il metodo per trovarla perchè
la Stella Polare non è sempre ben visibile. Per
individuarla si ricorre allora alla costellazione del Grande Carro,
o Orsa Maggiore, che ha una forma simile a quella del Piccolo Carro
ma è più grande, luminosa e risulta quindi maggiormente visibile. Il
Grande Carro è costituito da quattro stelle che formano il carro e
da tre che formano il timone. Se si riporta sul prolungamento delle
due stelle alla base del carro un segmento pari a cinque volte la
loro distanza, si trova la Stella Polare. Questa nozione l'ho
imparata quando avevo circa sei anni e da allora non l'ho più
scordata.
La nostra terrazza era comoda ed utile
per ogni evenienza. Ci faceva comodo usarla per il suo spazio quando veniva il
periodo di distendere ed allargare la lana dei materassi, quando
si doveva
preparare la conserva di pommarola, quando volevo asciugare al sole
i francobolli della mia collezione. C'erano anche le occasioni
speciali come le feste di compleanno,
di Battesimo, della Cresima. C’era anche chi, come la vecchia
signora Casadio, che abitava nella palazzina accanto alla nostra, utilizzava la
sua terrazza per allevare piccioni.
Ricordo che nell'aprile del
1954, quando ci fù una indimenticabile grandinata che colpì
furiosamente Tripoli e forse tutta la costa libica, mi trovavo con
mia madre sulla mia terrazza, fortunatamente all'interno della nostra lavanderia, mentre
mia madre lavava i panni. Il cielo era scuro e preannunciava
pioggia. Ambedue, mia madre ed io, sentimmo ad un tratto dei colpi
ripetuti, come il suono di una mitraglia,
abbattersi sul tetto della lavanderia. In un primo momento eravamo
rimasti disorientati, non capivamo da dove venisse quello strano
rumore, poi, guardando fuori, avevamo notato che il pavimento
si stava ricoprendo di chicchi bianchi, che sembravano palline di
naftalina. Non so mia madre ma io, fino ad allora, non avevo
mai visto la grandine di persona,quindi per me una nuova esperienza.
In pochi momenti il pavimento della terrazza si andava riempiendo di chicchi
di grandine. Noi due, che eravamo sempre riparati dentro la lavanderia, stavamo assistendo
ad un evento naturale straordinario e di grande interesse, assai raro,
specialmente in una zona come quella. Alcuni chicchi di grandine
caduti dal cielo erano così grossi che qualcuno, forse
esagerando, diceva che avevano addirittura la dimensione di
un'arancia. Non so quanti danni questa grandine abbia
procurato alle coltivazioni o se avesse ferito delle persone , ma
ricordo i grossi buchi lasciati sui muri della nostra terrazza
e sulle pareti esterne delle abitazioni vicine, come se avessimo
subito un bombardamento militare.
L'anno dopo, nel 1955, in quello
stesso posto ero stato testimone di un altro evento
straordinario: l'invasione delle cavallette. Rammento che
qualcuno dei nostri vicini ci aveva chiamato e ci aveva urlato, con
una certa eccitazione, di correre su in terrazza perchè
c'erano l'invasione delle cavallette. Io ero
salito di corsa con mia madre sulla terrazza incuriosito da tutta
questa eccitazione. Il
cielo era coperto da milioni di cavallette, ed erano così fitte
quasi da oscurare il sole. La terrazza era completamente coperta da
cavallette, alcune era vive, perchè si muovevano , altre invece
sembrava che stessero per morire, perchè si muovevano male e con
lentezza. Mia madre aveva trovato due vecchie coperte dentro la
lavanderia. Con una si era coperta lei e mi porgendomi l'altra mi
faceva cenno di fare lo stesso. Guardando giù dalla terrazza
vedevo che alcuni ragazzi arabi, che correvano lungo la strada,
erano indaffarati a
raccogliere le cavallette morte e le mettevano dentro alcuni
secchi. Altri invece erano tutti presi ad acchiappare le cavallette vive, che
saltellavano qua e là, e poi le infilavano dentro dei sacchi di juta. Per
vari anni a seguire si continuava a parlare di questi due episodi,
quello della grandine e quello delle cavallette, come di due eventi
così straordinari che quando si voleva ricordare qualche avvenimento
accaduto nel 1953 o nel 1954 in quell'anno si diceva : "Ti
ricordi l'anno della grandine? (1953)", oppure"Ti ricordi l'anno
delle cavallette (1954)?>>>
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