PRIMI RIENTRI E NUOVE EMIGRAZIONI
Capitolo
7° |
(sottofondo
musicale :
Santa Lucia luntana
cantata da Andrea Boccelli - autore A.E. Mario) |
Famiglie di
emigranti italiani in viaggio per nuovi lidi |
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Negli anni '50 e '60 il modello tradizionale delle nostre
famiglie tripoline si basava sul criterio che il capofamiglia doveva
procurarsi un lavoro per il benessere economico generale
mentre la moglie doveva starsene a casa ed occuparsi delle pulizie,
della cucina e di allevare la propria prole. Fino alla metà degli anni ’50, prima che
iniziasse la frenetica corsa allo sfruttamento del petrolio
libico, l’economia tripolina ristagnava. A Tripoli ed in tutta la
Libia, alla fine della seconda guerra mondiale con la sconfitta e la perdita della
Libia molte cose
cambiaro: la lingua ufficiale non era più l'italiano e l'arabo, ma l'arabo e
l'inglese. Tutti i nuovi documenti erano scritti in arabo, i
cartelli e la segnaletica nelle strade erano scritte in arabo, le
targhe
delle macchine portavano anche i numeri arabi. Alcune delle famiglie italiane,
rimaste ancora in Libia, forse anche infastidite da questi nuovi
cambiamenti, avevano deciso che era
davvero venuto il momento di tornarsene in Patria (un forte
sentimento patrio era assai diffuso tra gli italiani di Libia),
convinti del fatto che il lavoro continuava a
scarseggiare e che le condizioni finanziarie diventavano sempre più
precarie. Tra stare male in Libia e stare male in Italia preferivano
vivere tra gente le cui origini erano più simili alle loro piuttosto
che con altri che avevano tradizioni, religione, lingua etc.,
completamente diverse.
In quel periodo
viaggiare in aereo costava ancora troppo e inoltre fra la gente
comune era ancora diffusa la
paura di volare. Inoltre volare era caro, ed era un opzione per soli
ricchi. L'alternativa per andare in Italia restava il viaggio in
nave, che sembrava più sicuro e permetteva di trasportare
grossi bauli e tanto bagaglio a minor prezzo. Queste
famiglie, partendo dal molo del porto di Tripoli, si imbarcavano
sulla nave Argentina.
Questa era una delle
tante navi
della flotta della società napoletana Tirrenia, che, dopo uno scalo
tecnico a Malta, raggiungeva il porto di Siracusa e terminava il suo
viaggio di andata a Napoli. In quel periodo la compagnia marittima Tirrenia aveva una flotta di navi che primeggiavano in Europa per
loro stazza, velocità e capacità di passeggeri. Inoltre aveva
introdotto una moderna gamma di nuove sistemazioni: dalle cabine
delle due classi, alle comode poltrone reclinabili, che all’epoca
erano considerate una novità assoluta.
Ma a solcare le onde c’erano
soprattutto volti e vite di chi partiva controvoglia e piangeva.
C'erano
ragazze o ragazzi ancora giovani, che obbligati a
seguire i propri genitori, lasciavano sconsolati fidanzati/e e amici. Dalla nave e dal molo i pianti e gli addii si sprecavano.
Giunti a
Siracusa o a Napoli la maggior parte di queste famiglie
venivano dapprima nei campi profughi, sparsi in diverse
regioni italiane, dove sostavano per alcune settimane o per alcuni
mesi, in attesa di trovare un lavoro ed una casa. Molti di loro pensavano che
risiedere in un campo profughi fosse una cosa indegna o indecorosa,
così, dopo qualche giorno, se ne andavano direttamente nelle case dei
loro paesi d’origine,
dove speravano di ritrovare, anche se per poco, un po'
d'aiuto e ed un po'di simpatia da parte dei parenti
rimasti in Italia. Altri ancora, come era già accaduto anni prima ai
loro genitori, avevano optato di emigrare nuovamente in terre
lontane, come l'Australia, gli Stati Uniti D’America, il Canadà,
paesi dove l'offerta di lavoro ed il tenore di vita erano migliori
dell'Italia e
di quelli dei paesi europei. Infine c'erano anche quelli, che
avevano le idee chiare e che avevano
deciso di trasferirsi immediatamente in alcune regioni dell’Italia
settentrionale. La zona padana era proprio agli albori di quello che
successivamente fu
definito il miracolo economico italiano degli anni '60. Così
anche i nostri profughi tripolini, in quel loro viaggio che andava dal Sud al Nord dell'Italia,
si erano trovati a sedere gomito a gomito sugli stessi treni
affollati che
trasportavano altri italiani del nostro meridione, che cercavano
ardentemente di trovare un buon lavoro. Era gente tenace, e
volenterosa di migliorare il proprio tenore di vita, che, con
vestiti sdruciti, scarpe dalle suole sciupate, valigie di cartone legate con lo spago
e un po' di pane e cacio per sfamarsi, andavano alla ricerca di migliore fortuna,
per sè e per la propria famiglia. Questo lungo viaggio in
treno, che per alcuni cominciava da Capo Passero, la punta più
meridionale dell'Italia, terminava soprattutto
nell’area torinese, legata alla Fiat ed al suo
indotto, oppure nel comprensorio milanese. Proprio quest'ultima zona
principiava già a gremirsi di giovani fabbriche, nate nel dopoguerra,
grazie all’iniziativa e all’ingegno di alcuni giovani imprenditori
italiani . La Lombardia era la regione che, più d'ogni altra,
cominciava ad offrire un lavoro stabile e dignitoso e a
garantire un benessere economico a chi non l'aveva
mai avuto.
Tra queste famiglie partite
negli anni '50, contemporaneamente alla scoperta del petrolio
libico, ricordo quella di mia zia Orsolina Ferrante, che abitava a
Tripoli, in Sciara Tiziano una traversa di Sciara Bramante e
Sciara Puccini, vicino alla Fiera, ai Cinema Rivoli e Astra e alle Case Operaie.
Mia zia Orsolina, la secondogenita della famiglia
Ernandes, aveva circa
dieci anni più di mio padre. Appena sposata, all'età di vent'anni,
aveva adottato ed ospitato a casa sua a Tripoli mio padre, che era
rimasto orfano di suo padre alla tenera età di sette anni. Orsolina
era
allora felicemente sposata con un vedovo Gabriele Ferrante,
che era un bravo e valente
pescatore, proprietario di una piccola flotta di
"lampare". Come si usava spesso a quei tempi questo era stato un
"matrimonio combinato". Gabriele, che viveva a Tripoli, era
rimasto da poco vedovo, con un figlioletto a carico di nome Michele.
A Favignana, una zia di Gabriele aveva proposto ad Orsolina di
sposarsi con questo suo giovane nipote, rimasto tristemente da poco vedovo . In un
primo momento Orsolina aveva rifiutato l'offerta, poi però,
dopo aver visto la foto di Gabriele, un bel giovane dagli occhi
azzurri, alto ed aitante, ci aveva ripensato ed aveva
deciso di sposarlo. L'aveva raggiunto a Tripoli, si erano sposati ed
insieme avevano messo al mondo quattro figli, nell'ordine
Mimma,
Rita,
Domenico e
Franca. Diventati adulti, Mimma
si era sposata con Gaetano Onorio, da cui erano nati Antonio
(Ninni), Gabriele (Lillo) ed Angela. Rita aveva sposato
Mario Peritore ed aveva avuto una figlia di nome Maria,
per gli amici Cicci. Domenico, unico
figlio maschio, si era sposato con
Luciana Cannavò, da cui
unione erano
nati Gabriele e Carlo. Infine Franca, la più piccola, aveva sposato
un dentista
italo-americano, Johnny Mercurio, un cugino da parte di madre, dal cui matrimonio erano nati Peter
e Vivian. Johnny Mercurio, un italo-americano, emigrato dalla
Sicilia in America dalla Sicilia insieme alla sua famiglia,
diventato ormai cittadino americano, li
aveva convinti a lasciare la Libia e ad emigrare in America, a
Gloucester nel Massachussets, un ridente paese
di mare vicino ala città di Boston, dove già vivevano i
suoi genitori e tanti altri italo-americani. Per facilitare
questo loro rimpatrio in terra americana Johnny aveva richiamato un pò alla volta tutto il gruppo
familiare dei Ferrante. .
Gasparino Onorio,
era il fratello maggiore di Gaetano, marito di mia cugina Mimma ed
era anche un amico di mio padre. Gasparino aveva deciso di
lasciarela Libia insieme alla sua famiglia, ma, al contrario di suo
fratello Gaetano che se ne era andato in America, preferiva
l'Italia. Fu proprio in base a questa sua decisione ed ad un
episodio capitatogli di conseguenza, che avrebbe inciso sul corso
del mia vita futura.
Maktub, dicono gli arabi, era scritto. Prima di ammalarsi
gravemente, mio padre mi
aveva parlato di questo particolare episodio, a cui io all'inizio
non avevo dato molta importanza. Un paio di mesi prima della data
del loro rimpatrio definitivo in Italia, Gasparino ed i suoi
cognati
Agatino Maniscalco e Nino
Di Maggio, avevano deciso che i tempi erano mai maturi per lasciare
la Libia e di ritornarsene con le loro famiglie in Italia.
Nella loro appartamento al secondo piano di Sciara Tiziano, che fa
angolo con Sciara Bramante, si
erano seduti a tavolino e con una carta geografica dell'Italia si
erano messi a cercare quale tra tutte le città italiane
potesse essere quella più adatta alle loro aspettative ed ai loro
desideri. Sembrava quasi un gioco, ma quella doveva essere una
scelta seria e ponderata. Ai voti era stata scelta la città di Bologna, che
sin da allora era
considerata una città ricca e florida. Tutti insieme era
giunti alla decisione che prima
del rimpatrio definitivo sarebbe stato meglio andare a visitare
questa città e prendere informazioni su come iniziare a svolgere
un'attività. Col gruzzolo che avevano messo da parte dopo
tanti anni di sacrificio e di lavoro in Libia, speravano di gestire un ristorante o
meglio ancora un bar tabaccheria. Specie quest'ultima era
considerata, da un punta di vista economico e dell'impegno, molto
più conveniente rispetto ad altre attività commerciali. Dovevano
anche trovare tre dimore confortevole (le famiglie erano tre,
Onorio, Maniscalco e Di Maggio) dove, una volta giunti sul posto,
far alloggiare le loro famiglie. Verso i primi giorni di
Dicembre 1962 erano partiti tutti e tre da Tripoli in aereo alla volta di Roma
Fiumicino. Giunti con l'autobus alla stazione Termini avevano preso un treno
per Bologna. prima
di arrivare a Bologna il treno si era fermato alla
Stazione di Firenze Santa Maria Novella.
Questo treno che, tra l'altro aveva l'impianto di
riscaldamento rotto, era rimasto fermo per due ore, a causa
della neve che aveva bloccato tutto il passo appenninico. La
stagione invernale del 1962 era iniziata con una freddo eccezionale. La morsa di gelo e la neve, caduta abbondantemente,
avevano attanagliato in particolar modo tutte le regioni
italiane appenniniche. Abituati al mite inverno del nord
Africa, Gasparino, Agatino e Nino, visto il tempo inclemente,
concordarono di scendere subito dal
treno con tutti i loro bagagli. trovarono alloggio in uno dei
tanti alberghi ubicati vicino alla stazione, si scaldarono con
una doccia calda, poi fecero
un giro a piedi nel Centro Storico di Firenze, che
ancora non conoscevano. Si fermarono in una trattoria vicino alla Chiesa di Santa Maria Novella, per cenare
con carne alla griglia a base di "bistecche alla fiorentina",
e vino del
Chianti. Firenze fece colpo su di
loro. La mattina seguente continuarono a visitare la città, e
al termine della giornata decisero
che sarebbe stato meglio restare a Firenze anzichè continuare il viaggio per Bologna,
che si trovava ancora più a nord di Firenze e che probabilmente
doveva avere un clima più rigido. Malgrado fosse un periodo turistico
di bassa stagione si stupirono di vedere per le strade del centro
tanti turisti
americani, che ammiravano stupiti i capolavori medioevali che offriva la città.
Anche questo li convinse a restare a Firenze anzicchè proseguire per
Bologna.
Tutti e tre Gasparino, Agatino e Nino,
girarono la città
in lungo ed in largo, consultarono varie
agenzie immobiliari e agenzie venditrici di attività lavorative.
Finalmente il terzo giorno firmarono
un contratto compromissorio, dando una caparra in contanti, per l'acquisto di una gestione di un bar,
ubicato in
Piazza San Giovanni,
proprio di fronte al Duomo. In seguito avrebbero completato
l'acquisto pagandolo con cambiali (o pagherò) con i soldi ricavati dalla
gestione stessa.
Nel frattempo
avevano anche preso in affitto un alloggio temporaneo
per tutte tre le famiglie in Via dei Servi. Soddisfatti per il
lavoro svolto se ne erano tornati a Tripoli, pronti a ripartire
definitivamente con tutte le loro famiglie per l'Italia, dopo aver
sbrigato tutte le pratiche burocratiche relative al
rimpatrio. Il gruppo intero era formato
Gasparino con la moglie
Marietta ed i figli Ninni, Angela e Carmela.
Vittoria, sorella di Gasparino, sposata con Nino Di Maggio.
L'altra sorella, Maria,
era
sposata con Agatino Maniscalco. Con loro c'era anche il fratello scapolo
Pino e la
loro mamma, la
signora
Angela.
Dopo pochi anni vendettero con profitto il
Bar e ne acquistarono un secondo, il
Bar
dell'Orologio, ubicato anch'esso in pieno centro storico, in Via Por
Santa Maria a due passi dal Ponte Vecchio.
Via Por Santa Maria è una via di grande passaggio per il turismo fiorentino.
Mio padre era stato da molto
tempo amico di Gasparino e
lo considerava una persona degna di fiducia. Pertanto aveva deciso
di affidargli tutti i suoi risparmi che teneva in una banca di Firenze, l'Agenzia A
della Banca D'America
e d'Italia in Via Por Santa Maria, a pochi passi dal loro bar.
Onorio aveva invitato i miei genitori ad andarlo a trovare. Una
volta giunti a Firenze, mia madre, specie dopo essere
salita al
Piazzale Michelangelo,
da dove si vedeva una veduta di Firenze mozzafiato,
e ed il Parco delle
Cascine, con tutto il suo verde, era rimasta anche lei incantata dalla città. Mio padre
invece era rimasto un
pò titubante. Lui avrebbe preferito una città con meno monumenti ma
che fosse sul sul mare. Alla fine, come sempre succede
generalmente tra una coppia è la donna quellea che riesce ad avere
la meglio. Non so con quali argomenti mia madre aveva convinto mio
padre e così avevano deciso di investire tutti i loro risparmi acquistando degli
immobili proprio a Firenze. Mio madre, che aveva molta fantasia, cominciava già a
sognare e a fare progetti. Per cominciare
le piaceva la zona di Viale Europa, dove si erano trasferiti gli
Onorio. Così si era messa a cercare un appartamento nella zona di Viale Europa,
vicino alla loro casa. Secondo mia madre, mio padre avrebbe
dovuto aprire una piccola officina di fabbro, specializzata
nel produrre oggetti in ferro battuto. Lei stessa avrebbe avrebbe pensato
alla vendita, aprendo un negozietto accanto all'officina.
Io potevo continuare i miei studi e laurearmi in Ingegneria all'Università di
Firenze.
Le cose putroppo non sono andate così.
Nel Marzo del 1966 mio padre si ammalò gravemente di
un tumore, Tutti progetti ed i sogni di mia madre andavano riveduti e
corretti. Mio padre morì il 22 Dicembre del 1967, fu sepolto
nel cimitero di Ponte ad Ema (una piccola frazione di Firenze),
nella Cappella di Sant'Ambrogio (anche mia madre ora riposa accanto
lui nella stessa Cappella). Una sola cosa non cambiò, nel 1970, dopo il nostro rimpatrio definitivo dalla Libia, andaammo
comunque a vivere Firenze e ad abitare accanto alla famiglia
Onorio, in Viale Europa e non lontano dal cimitero dove era stato
sepolto mio padre.
Oltre agli Onorio, ricordo anche la famiglia Avola,
una famiglia italiana che abitava proprio in Sciara Camperio e che,
a differenza degli Onorio,
era rimpatriata definitivamente in Italia negli anni
cinquanta. Giovanni Avola e la moglie Nina ,
insieme ai figli Giovannino, Tina ed Emilio
lasciarono definitivamente
la Libia nel 1953. A distanza di svariati anni, dopo averlo
incontrato in Italia, Giovannino Avola mi aveva raccontato il vero
motivo del loro definitivo rimpatrio in Italia. Il padre
Giovanni aveva fatto l'autista a Tripoli di grossi camion
articolati ed aveva percorso lunghi tragitti, facendo la spola tra la
Tripoli ed il deserto. A bordo del camion con lui viaggiava un
libico, di nome Alì, con cui divideva l'onere del viaggio e che era
sempre stato un suo
amico o almeno credeva che lo fosse fino ad allora. Un giorno, per pura
casualità, durante una
discussione di politica, Alì gli si era rivoltato
contro in maniera veemente e per lui inaspettata, -- Ya rumi, tu
breso nostra terra, vai via tuo baese - , assumendo un
atteggiamento,
improvvisamente ostile, nei suoi confronti. Questo atteggiamento cominciava già a
manifestarsi in alcuni giovani libici, filo nasseriani, che avevano
iniziato a dimostrare nelle piazze e nelle strade di Tripoli con
cortei e slogan anti occidentali.
Dopo questo episodio Giovanni, spaventato da questo inaspettato voltafaccia da
parte di una persona, con cui avevo diviso, per lavoro, tanti anni
della sua vita, aveva cominciaò a maturare l'idea di lasciare
la Libia,insieme alla sua famiglia.
Parlando con sua moglie aveva c un Paese
che non sentiva più essere suo. Nell'arco di poche settimane, dopo
aver preso contattati con una sua sorella residente a Roma,
drasticamente decise di lasciare definitivamente la Libia con
tutta la sua famiglia e stabilirsi in Italia. Fatti tutti i
preparativi per il rimpatrio era giunto a Roma in nave e poi in
treno nell'arco di pochissimo tempo. Giovanni era stato fortunato a
trovare subito un lavoro, come autista, presso un autolinea privata
e successivamente si era sistemato entrando in Ferrovia.
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