Mio nonno, un eroe tra due
guerre ed un terremoto
Capitolo 12°
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<<< Giuseppe Garibaldi è stato definito dai libri di
storia l'Eroe dei due mondi, per il suo valore dimostrato in Sudamerica e per aver ottenuto con i suoi
mille l'impresa
storica di aver apposto una solida base all'unità di Italia. Non voglio
fare un raffronto con Giuseppe Garibaldi, ma
personalmente definisco mio nonno materno, Giuseppe, un
Eroe fra due guerre ed un terremoto e
più sotto ve ne spiegherò la ragione.
Mio
nonno Giuseppe Salmeri nacque nel 1889 nell'isola
di Favignana, la più grande delle isole Egadi, in provincia di
Trapani. Una volta sposato aveva portato la sua famiglia a vivere in
Tunisia, a Sfax, facendo commercio di vino che trasportava, insieme al
fratello minore Vincenzo, col bastimento I due fratelli. Cominciata la crisi economica del 1929 cambiarono attività e si diedero alla pesca delle spugne. Scoprirono presto che le coste adiacenti libiche erano più pescose di quelle tunisine, così, subito dopo, si trasferirono con le loro famiglie in Libia, prima a
Zuara e poi a Tripoli. Quando
da piccolo mi ammalavo mio nonno veniva spesso a casa mia
a farmi visita. Io, che lo ammiravo per la sua innata
predisposizione a saper raccontare le cose, gli chiedevo di
raccontarmi le sue storie della sua vita trascorsa per la maggior parte
in mare. Sapeva già che mi piaceva ascoltare in particolar
modo gli episodi del suo viaggio intorno al mondo,
intrapreso quando lui aveva appena diciotto anni. Io, spinto dalla
mia infantile curiosità, lo interrompevo spesso per
fargli alcune domande sui tanti Paesi stranieri che lui
aveva visitato da giovane. Senza mai perdere il filo della storia,
rispondeva con calma alle mie improvvise interruzioni. Quando
raccontava queste storie aveva l'abitudine di stare seduto in un
modo particolare, che a me piaceva molto. Per mettersi comodo e
raccontarmi le sue storie si avvicinava con una sedia vicino alla
sponda del mio letto, poi si sedeva con la spalliera della sedia
rivolta in avanti anzichè dietro, appoggiandovi sopra prima i gomiti e
qualche volta anche la testa. Seduto così, con quella sua voce
resa roca dalle tante sigarette fumate in
passato, cominciava a raccontarmi le sue storie,
che ogni tanto arricchiva con nuovi particolari. La storia che mi ricordo con più
chiarezza, anche perchè mi aveva sempre affascinato per il rischio
ed i pericoli corsi, era quella del Terremoto di Messina. Nel
Dicembre del 1908 , all'età di diciassette anni, si era imbarcato,
in qualità di Gabbiere scelto, sulla Regia nave Calabria.
Questa nave era destinata ad iniziare un triennale giro di circumnavigazione
intorno al mondo, sotto il comando del Primo Capitano di Fregata
Mario Casanova e del Comandante in Seconda, Capitano di Corvetta,
Giovanni Giovannini. La nave ospitava un equipaggio di 360 persone,
tutti scelti e robusti marinai. La selezione era stata fatta per
avere un equipaggio preparato affrontare
qualunque tipo di clima e a resistere a tutte le intemperie che la lunga
campagna di 36 mesi attorno al mondo comportava. Tutto l’equipaggio
della "Calabria" si trovava il giorno di Santo Stefano, il
26 Dicembre del 1908, nell’Arsenale Navale di Venezia per completare
l’armamento e dare gli ultimi ritocchi alla preparazione della nave
stessa. Finalmente era arrivato il tanto atteso e desiderato
ordine dal Ministero della Marina Militare di mettersi in
rotta verso la Sicilia per poi salpare e fare la circumnavigazione attorno al mondo. Dopo due giorni di viaggio, il 28 Dicembre, la
nave Calabria arrivò nel
porto di Palermo. All’improvviso fu ricevuto col telegrafo
un urgente dispaccio proveniente dal Ministero della
Marina che ordinava di
partire immediatamente e dirigersi urgentemente verso
Messina. Si sparse subito la notizia
che quella città era stata colpita
contemporaneamente da un catastrofico e devastante
terremoto-maremoto. Dopo
circa un giorno di viaggio, sbarcati a Messina e divisi in due
squadre sotto il comando di due ufficiali di grado
superiore, si avventurarono in quell’ammasso di macerie di
palazzi crollati e di detriti che il mare aveva portato.Portarono in
superficie cadaveri ancora caldi di uomini e
donne, resi deformi dal peso degli edifici crollati o
annegati nell'acqua. Dopo oltre dieci ore di massacrante opera di
soccorso la tromba della loro nave suonò la ritirata, richiamando
a bordo entrambe le squadre. Una volta adunati, il Comandante in
seconda informò l'intero equipaggio che anche la vicina città
di Reggio Calabria era stata maledettamente colpita da quel
terribile terremoto. Quindi divise l’equipaggio in due
squadre, stabilendo che una squadra si recasse immediatamente a
portare la sua opera di soccorso nella vicina Reggio
Calabria mentre l'altra restava a Messina. Mio nonno fu tra quelli che
dovettero andare a Reggio Calabria. Ricordo ancora con chiarezza che
quando egli arrivava a quel punto del racconto si
interrompeva. Per qualche secondo il suo sguardo diventava
triste e si perdeva in un remoto angolo del suo passato. Penso che,
malgrado fossero passati svariati anni da quell’immane tragedia,
il ricordo delle voci imploranti ed i lamenti dei feriti e dei
sotterrati vivi sotto il cemento degli edifici, quelli strazianti
di uomini e donne che invocavano i loro cari scomparsi sotto
l’ammasso delle macerie, lo ossessionava ancora terribilmente. Dopo
svariate ore di duro lavoro la sua squadra era
diventata ormai stanca ed affamata. Il suo caposquadra
aveva deciso che
era il momento che tutti dovevano fare una
pausa e pensare a rifocillarsi. Vicino a loro, in quella
parte della città colpita dal terremoto ancora piu' duramente di
altre, c'era un convento semidistrutto, dove alcune
operose suore vestite tutte di bianco, scampate
miracolosamente al crollo dell'edificio, servivano generosamente e
con un sorriso chiunque chiedesse un piatto di minestra calda. Credo
che mio nonno non fosse un credente, però ogni volta mi
parlava di questo episodio con commozione nel ricordare quel gruppo
di suore vestite con una tonaca bianca. Mi diceva che
attorno a loro c'era tanta polvere causata dai
calcinacci e sangue
della gente colpita dal crollo degli edifici sparso per terra. Eppure
le tonacche di queste monache erano rimaste stranamente bianche ed
immacolate. Nella mia innocenza infantile pensavo che quelle
suore vestite di bianco non fossero altro angeli mandati dal
cielo. L'opera
di soccorso a Reggio Calabria durò circa una settimana, al termine
della quale tutto l'equipaggio ebbe l'ordine di
imbarcarsi immediatamente per Venezia per effettuare
una operazione di carico di materiale di soccorso
per terremotati. Giunti a Venezia dopo due giorni e mezzo di
viaggio e fatto rapidamente un carico di ingenti quantità di
indumenti e cibo per i terremotati, si misero
nuovamente in rotta per Reggio Calabria, per consegnare
prima possibile il prezioso carico ai sopravvissuti al
terremoto. Purtroppo
le condizioni meteo erano peggiorate. Con un mare in tempesta, forza
sette, furono costretti a sbarcare tutta la merce di soccorso che
avevano a bordo nel porto di Gioia Tauro anzichè a Reggio
Calabria. Alcuni di loro furono incaricati di sbarcare e di
seguire il carico, che doveva essere stivato su un treno merci, e poi
assicurarsi che il tutto arrivasse a destinazione. Altri invece, tra
cui anche mio nonno, ebbero l'ordine di restare a bordo e di
scandagliare le acque dello Stretto in cerca di cadaveri. Dopo una
settimana di faticoso recupero di cadaveri il suo gruppo
ritornò esausto nel porto di Palermo. Da lì, finalmente il 10 di
Gennaio del 1909, partirono per iniziare quel lungo viaggio, che
doveva durare trentasei mesi, di circumnavigazione attorno al
mondo, sospeso precipitosamente in occasione di quell'immane
disastro. Nel 1910, a bordo della nave Calabria, a testimonianza del
suo coraggio gli venne assegnata una medaglia al valore civile e un
diploma su cui era scritto :" Il Re concede a Salmeri Giuseppe la
Medaglia Commemorativa per aver prestato opera soccorritrice nei
luoghi devastati dal terremoto di Messina e Reggio del 1908". Nel
1915, all'inizio della Grande Guerra, fu richiamato in marina con il
grado di Nocchiere. Riuscì a sopravvivere malgrado quella guerra
avesse causato la morte ed il ferimento a tantissimi soldati e
distrutto numerose famiglie. Nel 1940 all'età di cinquantuno anni
partecipò anche alla seconda guerra mondiale come Comandante di
dragamine. Svolse una decisiva opera nell'affondamento di una nave
nemica. Durante questa azione , malgrado il mare fosse in tempesta
e abbondantemente cosparso di mine, con sprezzo del pericolo, salvò
la vita ad una ventina di marinai dell'unità nemica (ingleese)
affondata, rimasti in balia delle onde senza scialuppe di
salvataggio. Per questa coraggiosa azione gli fu assegnata una
medaglia bronzo al valor militare e fu congedato con il grado di Maresciallo Capo.
Fu
proprio questa medaglia che mi regalò il 26 agosto del 1953, in
occasione del mio quinto compleanno e prima che lasciasse la Libia per
tornare in Italia. Mi ricordo che la ripose, legata con cura
ad un nastrino rosso scarlatto, dentro un piccolo barattolo
di vetro trasparente, insieme ad alcune monete di metallo,
di varie forme e colori, che aveva raccolto nel suo viaggio
attorno al mondo. Io mi sentii molto onorato di ricevere da
lui un dono così simbolicamente prezioso, conoscendo bene lo
sforzo che aveva dovuto compiere per meritarsela. Quella medaglia e
quelle strane monete le conservai gelosamente in quel barattolo di
vetro per tanti anni, come se fosse stata una preziosa
reliquia. Poi,
quando arrivò il momento, nel 1970, che noi italiani fummo
costretti da Gheddafi a lasciare la Libia per tornare precipitosamente Italia,
mia madre fu fermata alla dogana dell'aeroporto di Tripoli per essere
ispezionata (io fortunatamente avevo già lasciato Tripoli nel novembre
del 1969). Vide quell'innocuo barattolo di vetro girare per varie
mani che, poi, all'improvviso scomparve. Ad una sua rimostranza le
fu detto di non preoccuparsi e di aspettare perchè, dopo un
minuzioso controllo, tutto le sarebbe stato restituito. Attese
invano. Purtroppo si dovette imbarcare senza il mio barattolo di
vetro. Penso ancora con nostalgia a quel piccolo barattolo
di vetro, prezioso solamente per il suo valore affettivo ,
che racchiudeva dentro di se così tanti bei ricordi della mia infanzia.
Purtroppo non ho mai conosciuto la mia vera nonna materna, Ninetta,
perchè morì nel 1945, qualche anno prima che io nascessi.
Morì improvvisamente a Marsala per un attacco di appendicite
sfociato in peritonite. Tutti avevano accusato il colpo di una cosi
prematura e grave perdita. Mio nonno, per un pò di tempo era vissuto insieme ai propri figli, mia madre Franca, la sorella
maggiore Maria, quella più piccola Grazzina, il fratello Mario e
l'ultimo nato, Giovanni. Ognuno di loro si era costituito una
famiglia ed aveva un proprio casa.
Dopo
circa cinque anni di vedovanza aveva deciso di sposare una
signora calabrese, di nome Nunziata, che io per rispetto
verso mio nonno chiamavo
Nonna
Nunziata.
Durante il 1951, sei anni dopo la morte di mia Nonna Ninetta, mio
nonno aveva alloggiato per un certo numero di mesi a casa dei miei
genitori, in Sciara Camperio. Facendo la spesa nel negozio di
generi alimentari in Corso Sicilia, all'incrocio con Sciara
Camperio, aveva avuto modo di conoscere la signorina Nunziata, una
donna calabrese, che gestiva quel negozio e che aveva qualche anno
meno di lui. Avevano fatto amicizia con lei ed insieme avevano deciso di sposarsi,
malgrado il parere contrario dei figli che reputavano che cinque
anni di vedovanza del loro padre non fosse un tempo sufficiente per
risposarsi. Mio nonno, con il suo particolare carattere, non aveva
dato retta alle loro rimostranze, risposandosi con
Nunziata. Questa, nel 1953, due anni dopo il matrimonio, l'aveva
convinto a lasciare la Tripoli ed andare a vivere insieme in un paesino
di mille abitanti, dell'Aspromonte, Natile Nuovo, a ottocento metri sul livello del
mare, dove lei era nata. Sbrigate le pratiche burocratiche di
rimpatrio, era giunti a Natile Nuovo, accolti calorosamente
dalla banda locale e dal
sindaco del paese, che era uno dei numerosi nipoti di Nunziata. La banda
locale aveva suonato una marcia trionfale in loro onore. I motivi di
questo benvenuto così caloroso erano vari e più che fondati.
Il sindaco, un nipote di Nunziata, era convinto che sua zia aveva
fatto fortuna andando all'estero ed era considerata come una "Zia
d'America". Inoltre la fama delle gesta avventurose di mio nonno era arrivata fin a quel
piccolo paesino. Ricordo che davanti alla loro casa a volte
c'era una piccola fila formata da abitanti di Natile, che erano
in attesa di essere ricevuti da mio nonno per un colloquio. Pare che
mio nonno, fose anche per il suo aspetto austero, fosse considerato da questi abitanti un uomo con molta
esperienza di vita, capace di dare buoni e saggi consigli a tutti. A
miei occhi sembrava quasi che interpretasse la figura di un
Vecchio Saggio. Nel
1958, per commemorare il cinquantenario del terremoto di Messina e
Reggio Calabria, il sindaco di Reggio Calabria allora in carica, dopo
aver consultato alcuni vecchi documenti relativi a quel
terremoto, aveva scoperto che il nome di mio nonno, Giuseppe Salmeri,
era spesso menzionato per i suoi atti di coraggio. Si era informato
dove vivesse ed avendo saputo che viveva in Calabria, gli aveva scritto
una lettera dove gli comunicava di aver deciso di dedicargli una targa
commemorativa e assegnare il suo nome ad una nuova strada di
periferia di Reggio Calabria. Comunque sia, la cosa non era
andata in porto perchè prima che la decisione fosse ratificata
dalla giunta municipale, quel sindaco si era dimesso per motivi che non
conosco. Dopo la fine
della seconda guerra mondiale, mio nonno si era ritirato in pensione dalla
Marina col grado di Maresciallo Capo
ed aveva cominciato a percepire dal Ninistero della Marina stessa una
mmodesta pensione. Per incrementare i suoi introiti
aveva accettato di buon grado l'incarico di fare il custode
della scuola elementare di Natile Nuovo, offertogli proprio dal sindaco
del paese. Tale incarico gli garantiva, se non altro, un
altro modesto introito, che sommato al primo gli permetteva di condurre
una vita confortevole, anche se non agiata. Inoltre non pagava
l'affitto della pigione nè la bolletta elettrica perchè gli era stato
garantito dal Comune di Natile Nuovo il privilegio di avere
un alloggio gratuito all'interno della scuola stessa. Annesso
all'alloggio c'era un giardino a cui lui si dedicava con
amore. Coltivava un pò di ortaggi e allevava polli, conigli e
porcellini d'india. Durante le vacanze estive, da piccolo, andavo a
trovarlo. Ricordo che era piacevole sentire al mattino presto il canto
del gallo ed odorare il dolce aroma dell'erba della campagna di Natile
Nuovo. Nella tarda mattinata andavo con lui nel pollaio a
raccogliere le uova delle galline. Dopo pranzo andavo on lui a
raccattare nei campi limitrofi al suo orto un pò di erba medica per i
conigli e per i porcellini d'india. Una pomeriggio, mentre eravamo seduti all'ombra di un albero per
goderci un pò di frescura, gli avevo chiesto come mai un marinaio come lui, che a diciassette anni
aveva circumnavigato il mondo, che era stato comandante di
bastimenti a vela, che aveva sempre servito la Marina, alla fine
avesse scelto
di
andare a vivere in un posto così lontano dal mare. " E' una bella domanda" , mi aveva risposto, " e la
risposta non è semplice." Non mi aveva risposto subito ma
si era lisciato i capelli e strofinato il mento come se stesse
ponderando quale tipo di risposta dare, specialmente a uno come me
che era ancora un bambino. Poi aveva proseguito: " Da quando tredici anni fa è morta
mia moglie, ovvero tua nonna Ninetta, per me il mondo è
cambiato da così a così" ed aveva girato la mano destra per
mostrarmi entrambi i palmi. "Da
allora mi sono reso conto che la mia vita sarebbe comunque
cambiata. Non potevo continuare a vivere stando a casa dei
miei figli a Tripoli. Ognuno di loro ha ormai la propria
famiglia ed io da uomo solo e per lo più vedovo sarei diventato solo
d'impaccio. So bene che tutti i miei figli non hanno mai
condiviso la mia scelta di sposarmi di nuovo. Ma, come sempre, nella
mia vita ho fatto quello che ho voluto e non mi sono fatto influenzare
dagli altri. Insomma ho seguito il mio istinto. Per sentirmi vivo
dentro ho preferito cominciare una vita nuova e risposarmi con una
brava donna, con cui condividere gli ultimi anni della mia vita. Niente
e nessuna potrà cancellare il ricordo del tempo trascorso con tua
nonna Ninetta e non potrò mai amare nessuna altra donna come ho
amato lei. Dopo che lei se ne andata via per sempre ho preferito
cambiare pagina, dovevo cominciare rifarmi una nuova vita,
altrimenti sarei morto subito anch'io di depressione. Anche se ho
ormai settanta anni, sono ancora spinto dalla continua ricerca del
nuovo e dal mio innato spirito di avventura. Forse per questo ho deciso
di prendere questa decisone. Ho seguito Nunziata e ho rispettato il suo
desiderio di ritornare a vivere per sempre nel suo paese natale, in
cima a queste belle montagne dell'Aspromonte e vicino ai suoi parenti,
non perchè me la avesse mai imposto ma solo per mio desiderio di
conoscere posti nuovi. Questi ultimi anni che mi resteranno da vivere li voglio
trascorrere in un modo completamente diverso da quello vissuto
quando ero più giovane. Voglio vivere in un posto tranquillo, dove
c'è tanto silenzio, come questo che c'è attorno a noi. Certo mi manca tanto l'odore
del mare, la vista del mare, il rumore del mare, ma ogni quindici
giorni prendo l'autobus che va giù a Bovalino Marina, e lì ci rimango
tutto il giorno. Vado in giro per il porto ad annusare l'odore
delle reti dei pescatori e a respirare la brezza marina. Ogni tanto
mi fermo a parlare con i pescatori dei pescherecci locali. Con
qualcuno di loro ho fatto già amicizia ed ogni tanto, tra una
chiacchiera e l'altra, mi fermo ad aiutarli a rammendare le loro
reti. Ho accumulato un pò di soldi nel mio libretto postale, altri
mi vengono dalla pensione della Marina. Con Nunziata incassiamo un
piccolo stipendio per la custodia della scuola. Anche se la casa
dove abitiamo non è di nostra proprietà, ma appartiene al Comune,
ho un contratto firmato dol sindaco locale che ci garantisce
alloggio gratis vita natural durante. Ho il mio orto da coltivare, gli
animali da accudire, i miei cinque figli che, malgrado qualche
incomprensione, mi vogliono ancora bene e mi vengano a trovare insieme a
voi, i nipotini, tutti gli anni. Io mi sento soddisfatto di quello
che sono e di quello che sono stato, anche se
ora morirò, non m'importa niente, perchè so di morire sereno". Ero rimasto ad ascoltare queste toccanti parole di mio nonno, che mi
aveva sempre affascinato per la sua saggezza di uomo vissuto. Mio
nonno aveva affrontato la sua vita, superando problemi, senza mai
arrendersi. Era stato lui che una volta, parlando di frasi celebri,
mi aveva riferito di un motto, che aveva appreso da altri quando era
in Marina: "Le persone ordinarie vedono
i problemi, le persone intelligenti le soluzioni, quelle speciali le
opportunità.
" E' un motto fantastico, che ho cercato di ricordare sempre, facile da
capire ma difficile da eseguire. Il fatto di voler restare
indipendente, senza contare sull'aiuto dei figli, era la conferma della
sua vita di combattente. A Natile Nuovo, in questo angolo sperduto nel
mondo, aveva trovato una sua nuova dimensione. Non più le gesta eroiche
della suo passato giovanile, non più la vita frenetica del
commerciante di vino e di spugne, qui, finalmente, aveva trovato
quella pace e quella tranquillità che forse non era mai riuscito
a raggiungere nella sua vita trascorsa in mare.
Aveva un piccolo orto dove coltivava pomodori, fagiolini, piselli,
carote, due o tre galline, un gallo ed alcuni porcellini d'india, che
si moltiplicavano da soli. Quando zappettava il suo orticello aveva
l'abitudine di legarsi un fazzoletto bianco al collo, che usava
per detergersi il sufore dalla fronte. Ricordo che mi coinvolgeva nel
canticchiare alcuni motivi motivi musicale in voga negli anni '50.
Ricordo le parole di questi motivi "
Solo me ne vo per la città/ passo tra la folla che
non sa/ che non vede il mio dolore/ cercando te, sognando te, che
più non ho..." oppure "Grazie dei fior, fra tutti gli
altri li ho riconosciuti,/ mi han fatto male, eppure gli ho
graditi.../ Son rose rosse e parlano d'amor..".
Ora appariva sereno e sembrava accontentarsi di una vita, forse monotona,
molto diversa da quella precedente, che era stata tanto più
avventurosa.
Mio nonno Giuseppe, aveva sempre avuto con suoi i figli aveva un
carattere autoritario, tanto che quando si rivolgevano a lui
dovevano dargli del "Vossia" ( il Voi siciliano). Con me invece, che ero il suo primo nipote
maschio, aveva un rapporto diverso. Solo io e tutti gli altri nipotini potevano dargli del "tu".
Ricordo che da piccolo, all'età di dieci, confessavo che da grande
mi sarebbe piaciuto fare il barbiere. Per assecondarmi mia nonno si sedeva davanti ad uno
specchio, si metteva una asciugamano attorno al collo e buono,
buono si faceva tagliare i suoi capelli da me. Naturalmente mentre usavo le forbici, lui mi controllava con lo
specchio e mi dava i suoi consigli. Mia madre qualche
volta si fermava
accanto a noi con lo sguardo preoccupato. "Lassalu fari
a tu figghiu, chissu
nu bravu varveri veni" , e mi sorrideva strizzandomi l'occhio
e facendomi capire di non preoccuparmi perchè lui era un mio
complice. Quando era ancora in Libia ed era vedovo, mio nonno
aveva trascorso un certo periodo di tempo nella nostra casa al
Lido. Una volta che avevo circa sei anni ed eravamo rimasti soli,
dopo che ero stato sculacciato da mia madre, ero caduto in un
profondo sconforto perchè pensavo che mia madre era troppo severa
nei miei riguardi. Mi ero fissato di non essere il vero figlio di mia
madre, ma un bambino adottato, mi ero armato di coraggio e gli
avevo chiesto. "Nonno, è vero che tu c'eri quando io sono nato?"
- Lui mi avevo risposto, "Certo che c'ero e mi ricordo
che avevi tanti capelli neri, tanto che mi parevi Dante
Alighieri". Io, non soddisfatto della risposta, continuavo: "Nonno, ma chi è
questo Dante Alighieri, non è mica mio padre?". "Ma no, Dante
Alighieri era un grande poeta italiano, vissuto centinaia di anni
fa, ma che aveva una lunga chioma di capelli neri proprio come
l'avevi te quando sei nato", mi rassicurava accarezzandomi i
capelli. Ero così certo che mio nonno mi avesse detto la verità che
mi rasserenavo subito. Per mia fortuna crescendo questo dubbio
infantile mi è passato.
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