LA STANZA DI ROBERTO NUNES VAIS

Roberto Nunes Vais

reminescenze tripoline
di
roberto Nunes Vais

ANNI ZERO:

LA LIBIA PRIMA DELL'OCCUPAZIONE ITALIANA

 

CAPITOLO II - Paragrafo 5

Un ricordo patriottico  -  La città vecchia – I forni   arabi -   La Hara -  I mercati: Suk ed-Dlam,  Suk es-Siaga, Suk  el Museir,  Suk en-Naggiara -  Cortei nuziali nella notte.

Nella precedente  puntata  parlavo  del mio «posto  di osservazione»  sul balcone di casa mia: ad esso è legato un ricordo  caro ed importante.   Era il 1918 ed avevo allora 7 anni. Mentre ero affacciato  come al solito per vedere il via vai, vedo venire di corsa  mio fratello  Aldo  (19 anni),  sventolando  il giornale  locale - credo  si chiamasse «La Nuova  Italia»  -  e gridando  a squarciagola:  «Abbiamo  occupato  Trento e Trieste!!! ». Era  la Vittoria ...

Abbiamo  perso un po'  di vista la «cit vecchia». Vi erano rimasti alcuni buoni negozi all' Arba  Arsat  ed in Suk el Turk:  quello dei Fratelli  Miceli, ad esempio,  dei fratelli  Barki, degli Alazraki,  dei Guetta,  un paio di ben forniti bazars indiani,  con i ricchi kimono  appesi all'ingresso,  ed il forte odore di profumi  esotici. E non si può non  ricordare  il vecchio  Giordanella,   con  la sua botteguccia  di pasticcere:  faceva delle «Bocca di Dama»  (paste quadrate  di pura mandorla,  ricoperta  di uno strato  di zucchero glassato) e dei gelati di crema che di così buoni  non ne ho più mangiati  in vita mia ...

Le banche (Italia,  Roma,  Sicilia e Napoli) erano pure rimaste nel vecchio quartiere,  come pure  gli uffici  commerciali  p importanti.   In Suk el Turk  era sorto  il delizioso Teatro  Politeama,  che in seguito dovrà ospitare stagioni indimenticabili  di varieté e di operette!  E giacchè siamo in tema di città vecchia è d'obbligo  far menzione di alcune sue caratteristiche.  Sciara el Quash,  con i suoi veramente tipici forni arabi, come si fa a dimenticarla? Ricordate  com'erano  fatti quei forni? Un portoncino di circa due metri per due, oltre il quale è una buca:  dentro  di essa il fornaio  si vede solo dalla cintola  in su; la buca  è lunga  quanto  il portoncino   e larga   circa mezzo metro  e subito  al di , al livello stradale,  è la fornace  alimentata a legna. Moltitudini  di donne e bimbi portano  in continu  tavolette di legno con alimenti da cuocere:  pani,  ciambelle,  sefre (tortini  di semola con mandorle e miele) e tanti  altri dolci locali, pietanze,  ecc.

Il fornaio, con  molta  flemma  tiene a bada la folla e a turno  ogni cosa viene messa a cottura  a mezzo di una pala di legno, per essere restituita dopo un'ora  o due ai clienti, dietro  pagamento  di pochi soldi.

Vicino a Sciara el Quash  è la Hara;  mentre  la prima  è abitata  da arabi, greci, maltesi  ed ebrei,  la seconda  è il quartiere  esclusivamente  ebraico. Affollatissimo, chiassosissimo,  coloratissimo  per le facciate  delle sue case, e per le camicette  ed i barracani   delle sue donne  le quali,  a quei tempi, indossavano  un costume  molto ricco, che includeva anche fazzoletti colorati per racchiudere  le lunghe capigliature.

I quartieri  arabi invece erano  molto meno vivaci: negozi p radi, meno donne in giro,  un mondo  diverso,  un modo  diverso di concepire  la vita ...

C'erano  nella città vecchia vari mercati: abbiamo  g visto Suk el Turk e torne remo in seguito a parlarne. C'era  il mercato  dei tessitori con i grandi  telai a mano che riempivano  tutta  la bottega,  e le trame  dei barracani  in seta o in cotone  ai quali lavoravano   uomini e ragazzi; c'era  Suk el Dlam  (traduzione   letterale  il mercato del... buio) completamente coperto,  con un susseguirsi di negozietti di tappeti,  barracani  e coperte, proprietari  e clienti seduti per terra  su tappeti  e cuscini per le in• terminabili  trattative.

C'era  Suk es-Siaga,  il mercato  degli argentieri, completamente  ebraico: vari vicoletti,  alcuni dei quali coperti,  con centinaia  di artigiani  al lavoro: un ticchettìo continuo ed assordante  di centinaia  di ceselli percossi da martelli per modellare ed incidere collane,  pesanti orecchini, spilloni, cinture, larghi bracciali in argento, talvolta anche in oro: perchè bisogna spiegare che gli arabi non avevano ancora  dimestichezza con le banche,  e quando  i raccolti  o  i commerci erano buoni,  investivano i loro risparmi  in monili per le loro donne,  per rivenderli poi sullo stesso mercato  negli anni di scarsità: li vendevano per mezzo di banditori  che tenevano gli oggetti bene in vista e percorrevano  il mercato  in su ed in giù, scandendo  ad alta voce il miglior prezzo fino allora  ottenuto:  un mercato  molto  allegro ed interessante. C'erano ancora Suk el Muscir e Suk en-Naggiara:  il primo poteva vantare la bella costruzione della Moschea dei Caramanli  col suo bianco portichetto, all'ombra del quale sostavano  tanti  accattoni ma anche venditori di rossi fez e bianche  taghie  (il piccolo tondo  copricapo  che gli arabi portavano  invece o sotto il fez), e venditori ambulanti di collanine  di fiori d'arancio: che grazia e che profumo ...

Il Suk era diviso fra arabi ed ebrei, e costituiva il mercato principale  per generi di abbigliamento,  chincaglieria,  articoli in pelle, sandali e zoccoli per le popolazioni locali: essendo collegato con Piazza del Pane, punto  di arrivo e di partenza  per tutti gli  abitanti  dell'interno,  questo  suk era  sempre stracarico  di merci,  tutte  esposte all'aperto,   e pieno di movimento  e di folklore. Suk en-Naggiara  invece aveva tutto  un altro tono. Prendeva  le mosse da Piazza dell'Orologio, con la  sua caratteristica  torre  quadrata,  e raggiungeva  quelli  che erano  chiamati «i bastioni», e cioè la stretta passeggiata  sul mare  dal castello  al porto.  Naggiara vuol dire falegname, ed infatti vi erano decine di artigiani del legno, tutti intenti a fabbricare mobiletti e cassoni, che a quei tempi servivano agli abitanti libici invece di armadi.  Alcuni  cassoni venivano  tinteggiati  e ricoperti  di borchie  e disegni di fiori e di pesci, ritagliati su fogli di rame, fino a farne dei capi pregiati, che serviranno  come cassapanche  nelle case agiate, o per racchiudere  i corredi da sposa. A proposito  di spose: ricordate  i lunghi cortei notturni  di carrozzelle,  bardate  a festa,  stracolme  di gente,  cortei nuziali  percossi  da canti  e tamburi:  tàm,  tàm-tàm, tàm,  tàm-tàm,  am; si sentivano  arrivare  da lontano,  e poi perdersi lontano  nella notte: spesso ci svegliavano all'improvviso  e ci voleva un bel po' prima che si potesse riprender  sonno!  Allora  magari  ci si impazientiva,  ma ora il ricordo  è dolce e gradevole ...

 


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