ANNI
ZERO:
LA
LIBIA
PRIMA
DELL'OCCUPAZIONE
ITALIANA
CAPITOLO II - Paragrafo 4
Collegamenti
con
l'Italia
-
Accertamenti
sanitari
-
La
vita
nella
cittadina
-
Alcuni
negozi
e
ritrovi
pubblici
-
La
libera
uscita
dei
militari
-
Piccoli
traffici
in
Sciara
Azizia.
Abbiamo
visto
nella
puntata
precedente
come
Tripoli
era
venuta
estendendosi
fisicamente
negli
anni
dal
1911
al
1920.
La
città
era
ormai
collegata
con
l'Italia
per
mezzo
di
un
servizio
marittimo
regolare
Tripoli-Malta-Siracusa.
Ricordo
ancora
i
vecchi
piroscafi
gemelli
che
facevano
la
spola,
il
«Melfi»
ed
il
«Tebe»,
portando
in
Libia
vettovaglie,
merci
e
macchinari:
ma
il
carico
più
importante
era
costituito
da
tanti
italiani
pieni
di
entusiasmo,
fra
i
quali
quanti
di
voi
che
mi
leggete,
o
dei
vostri
genitori,
tutti
in
cerca
di
un
po'
di
spazio
e
di
un
po'
di
avvenire.
In
quei
tempi
il
piroscafo
era
chiamato
«il
Postale»
e
giungeva
puntualmente
una
volta
alla
settimana,
verso
le
dieci
di
mattina;
era
un
avvenimento
per
la
città:
nell'istante
in
cui
la
nave
entrava
in
porto,
da
terra
veniva
sparato
un
colpo
di
can
none:
e
fu
così
per
anni.
..
Il
piroscafo
si
fermava
in
rada,
issando
sull'albero
di
prora
la
bandierina
triangolare
bianco
rosso
e
verde,
con
una
"P"
al
centro
(segnale
distintivo
appunto
del
"Postale"),
e la
bandiera
gialla
della
"quarantena"
in
attesa
che,
dalla
sua
scialuppa,
salisse
sulla
nave
l'ufficiale
medico,
per
accertarsi
che
non
ci
fossero
a
bordo
infermi
di
malattie
infettive.
Solo
dopo
questo
necessario
accertamento
sanitario
la
gialla
bandiera
veniva
ammainata,
la
nave
accostava
ed
i
passeggeri
potevano
scen
dere
a
terra.
Talvolta
essendo
le
banchine
occupate
da
altri
piroscafi,
il
postale
si
fermava
in
rada
e
si
scendeva
a
terra
per
mezzo
di
grossi
motoscafi.
Come
si
viveva
a
Tripoli
in
quel
periodo?
La
prima
guerra
mondiale
aveva
la
sciato
poco
tempo
e
poche
forze
per
altri
progetti;
ciò
nonostante
la
vita
aveva
preso
a
pulsare
in
modo
diverso,
e
la
linfa
vitale
dei
nuovi
immigrati
a
trasfondersi
in
tutti
i
campi.
Negozi
di
una
certa
importanza
avevano
incominciato
ad
apparire
in
Sciara
Azizia,
alcune
industrie
erano
sorte
dal
nulla,
parecchi
ritrovi
pubblici
avevano
aperto
i
battenti.
Ricordo
che
i
miei
genitori
andavano
spesso
a
fare
acquisti
di
stoffe
e
biancheria
ai
«Grandi
Negozi
Mele»,
di
fronte
al
vecchio
Municipio.
Vicino
al
Mele
c'era
una
botteguccia
dominata
da
un
omaccione
che
sembrava
uscito
dal
libro
di
Pinocchio:
barba
ispida,
capelli
sempre
arruffati,
una
voce
bassa
e
roca,
perpetuamente
scamiciato.
Avete
indovinato?
Cesare
Filacchioni,
con
la
sua
«agenzia
giornalistica»
come
pomposamente
amava
chiamarla,
giornali
e
riviste
esposti
su
un
grande
tavolaccio:
altro
che
brigante,
era
una
pasta
d'uomo,
affabile
e
simpatico,
una
delle
istituzioni
della
vecchia
Tripoli!
All'angolo
dello
stesso
isolato
c'era
il
vecchio
Caffé
Commercio,
col
fronte
assai
arretrato
sulla
strada
e,
nel
terrapieno
antistante,
tanti
tavolini
e
sedie
in
ferro,
sempre
affollati
di
commercianti,
di
sensali,
di
operai,
di
imbianchini
pronti
con
i
loro
attrezzi
del
mestiere.
All'angolo
opposto
invece
troneggiava
dall'alto
di
alcuni
scalini
il
Caffé
Copelli,
che
per
molti
anni
doveva
rimanere
il
ritrovo
elegante
della
città
nuova.
Chi
non
ricorda
Giacomino,
quel
simpatico
cameriere
paffutello,
svelto
di
gambe
e
di
braccia,
sempre
sorridente
e
con
la
battuta
sempre
pronta?
Lo
chiamavano
«Se
la
va,
la
va»
perchè,
alla
richiesta
del
conto
sballava
una
cifra
spropositata
-
salvo
ridimensionarla,
se
il
cliente
protestava,
mormorando
«Non
l'è
andà»
...
Sullo
stesso
marciapiedi
del
Copelli,
proprio
di
lato
al
Castello,
era
sorto
un
grande
locale
per
trattenimenti,
il
Suvini
e
Zerboni:
una
grande
struttura
in
ferro
e
vetro,
preconizzante
lo
stile
«Liberty».
Era
il
salone
delle
feste
e
degli
avvenimenti
importanti
della
città.
Di
fronte
a
questo
salone,
altri
due
notevoli
richiami:
lo
studio
fotografico
dei
Fratelli
La
Barbera,
che
esponeva
sempre
le
fotografie
degli
ultimi
avvenimenti
cittadini,
e
l'emporio
De
Poli
con
le
sue
grandi
vetrine,
in
una
delle
quali
per
anni
fece
bella
mostra
di
sé
un
poderoso
cavallo
perfettamente
imbalsato,
ferrato
e
sellato
di
tutto
punto.
Dal
Caffé
Copelli
e
Commercio,
fino
al
quella
che
sarà
poi
Piazza
Cattedrale,
c'erano
sui
due
lati
della
strada
due
basse
e
discontinue
file
di
archi,
con
negozi
etti
di
tutti
i
generi.
Ricordo
ancora,
sotto
i
portici
del
vecchio
Municipio
il
rinomato
salone
da
barbiere
di
Carcillo
e
proprio
vicino
la
cappelleria
dei
Fratelli
Angelotti,
orgogliosi
e
gelosi
dei
loro
«Borsalino»:
dovevano
loro
stessi
metterli
in
testa
al
cliente,
aggiustarli
a
modo
loro,
toglierli:
guai
a
chi
li
toccava!.
..
Più
in
giù
la
ben
fornita
cartoleria
dei
Fratelli
Brangi,
il
ricco
negozio
di
«coloniali»
di
Fantocci
e
Beretta,
ai
quali
poi
subentrerà
quel
gran
lavoratore
di
Paolino
Viganò,
brillantemente
coadiuvato
dalla
efficientissima
sorella
Pierina.
Sempre
sullo
stesso
marciapiedi
l'elegante
bazar
di
profumi
ed
articoli
orientali
del
buon
Haggea,
punto
di
riferimento
di
tutte
le
signore
eleganti,
o
«bene»,
come
si
direbbe
oggi
Di
fronte,
verso
la
fine
degli
almi
dieci,
spunterà
un
altro
famoso
caffé
della
vecchia
Tripoli:
il
Sordi!
Anche
questo
allineava,
sotto
i
piccoli
archi,
due
file
di
tavoli
e
comode
poltroncine
di
vimini,
ed
un'altra
fila
sui
marciapiedi,
sempre
pieni
di
gente.Tl
Sordi
era
famoso
per
i
suoi
dolci,
ma
ancora
lo
batteva
in
questo
campo
la
pasticceria
del
«Genovese»:
un
bel
pezzo
d'uomo
grosso
e
severo,
dallo
spiccato
accento
«zeneze»,
che
però
non
ce
là
poteva
con
quei
furfanti
dei
miei
fratelli
e
compagni
di
scorribande,
che
inghiottivano
sei
o
otto
paste
per
uno,
ed
avevano
la
faccia
tosta
di
pagarne
meno
della
metà
...
Proprio
all'angolo
cori
Sciara
Hassuna
Pascià
c'era
un
locale
tipico,
il
"Cantinone":
piuttosto
buio,
un
lungo
bancone
per
la
mescita
di
vino,
dietro
ad
esso
delle
enormi
botti
coline
del
dolcenettare:
fiaschi
e
bottiglie
sparsi
dappertutto.
Al
banco
il
piccolo
e
cordiale
proprietario,
quasi
una
botticella
anche
lui,
ed
alla
cassa
la
moglie:
una
bella
signora,
florida
come
una
campagnola
e
sempre
sorridente.
Vicino
alla
piazza
delle
Poste
c'erano
due
negozietti
di
articoli
musicali,
una
dei
Bonaccorso
(il
padre
di
Ignazio)
e
l'altro
dei
Fratelli
Tiné:
spartiti
musicali,
chitarre,
mandolini,
qualche
«grammofono»
a
manovella,
organetti:
gli
strumenti
alla
buona
di
quei
tempi.
Dal
mio
ottimo
posto
di
osservazione,
sul
lungo
balcone
al
primo
piano
di
Sciara
Azizia,
assistevo
nelle
ore
del
giorno
al
traffico
di
persone
e
di
cose:
carri,
biciclette,qualche
carovana,
asinelli,
carrozze.
Verso
il
tramonto
si
riversavano
per
il
Corso
migliaia
dì
soldati
in
libera
uscita,
casco
in
testa
e
fucile
a
tracolla:
andavano
sempre
armati
di
tutto
punto
per
il
pericolo
di
improvvisi
allarmi
o
colpi
di
mari
o
dei
ribelli.
Venivano
intercettati
da
decine
di
venditori
ambulanti
arabi
ed
ebrei,
con-le
loro
bancarelle
mobili
ai
lati
della
strada,
colme
di
cianfrusaglie:
pettini,
bottoni,
specchietti
fazzoletti,
ecc.
ecc.,
ed
era
un
mercanteggiamento
continuo
ed
accanito.
I
soldati
avevano
però
capito
il
sistema:
dopo
un
po'
offrivano
il
loro
prezzo,
face•
vano
finta
di
andarsene,
ma
venivano
immediatamente
richiamati
dal
padrone
della
bancarella:
"Bini,
bini,
amicu,
fai
comi
voi
lei"
....
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