ANNI
ZERO:
LA
LIBIA
PRIMA
DELL'OCCUPAZIONE
ITALIANA
CAPITOLO I - Paragrafo 2
Commerci
-
Comunicazioni
-
Il
centro
della
città
-
Vita
culturale
- L
'«Eco
di
Tripoli»
-
La
prima
scuola
italiana
-
I
divertimenti.
Una
piccola
città
addormentata.
Poche
migliaia
di
abitanti,
per
lo
più
arabi,
ma
con
una
comunità
ebraica
assai
numerosa
e
piccoli
nuclei
europei:
7
o
800
ita liani
e
qualche
centinaio
di
greci
e
maltesi.
La
città
era
tutta
racchiusa
nel
breve
cerchio
delle
mura
spagnole
che
la
circondavano
non
solo
dalla
parte
di
terra,
ma
anche
su
due
lati
verso
il
mare.
Al
di
fuori
delle
mura
una
piazza
sabbiosa
ed
alcune
piste
con
qualche
fabbricato
sparso
per
abitazioni:
l'ardire
era
stato
grande
di
andare
a
costruire
cosi
fuori
città,
e
fu
proprio
in
una
di
queste
case
(dove
tanti
anni
dopo
doveva
installarsi
il
Ristorante
Piemontese,
con
i
tavoli
apparecchiati
sulla
lunga
terrazza
al
primo
piano)
in
cui
vide
la
luce
il
redattore
di
queste
brevi
note.
Tripoli
non
aveva
porto
nè
banchine,
ad
eccezione
di
qualche
pontile
in
legno.
I
rari
piroscafi
che
si
fermavano
erano
appena
protetti
contro
i
marosi
dalle
scogliere
ad
ovest
della
città,
sulle
quali
erano
state
costruite
dai
turchi
due
piccole
murate,
appena
sufficienti
ad
accogliere
piccoli
bastimenti
e
qualche
barca
da
pesca.
Il
paese
viveva
dei
prodotti
(carne,
latte,
frutta
e
verdura)
delle
campagne
sparse
nelle
vicine
oasi,
di
qualche
commercio,
e
dell'esportazione
dello
sparto,
una
graminacea
molto
richiesta
in
Europa
per
la
fabbricazione
della
carta.
Il
commercio
principale
era
costituito
dallo
scambio
di
prodotti
con
la
Nigeria.
Si
importavano
a
Tripoli
penne
di
struzzo,
zanne
di
elefante
e
pellami
vari.
Questi
venivano
trasportati
a
mezzo
di
grandi
carovane
di
cammelli
che
pare
impiegassero
sei
mesi
per
percorrere
la
distanza
da
Kano
a
Tripoli,
ed
altri
sei
mesi
per
tornare
a
Kano,
carichi
di
stoffe
di
cotone
(il
«mahmudi»),
di
perline
colorate,
e
di
piccole
conchiglie
che
venivano
utilizzate
dalle
popolazioni
del
centro
Africa
come
moneta
l'avorio
e
le
penne
di
struzzo
venivano
a
Tripoli
selezionati,
imballati
e
spediti
principalmente
sul
mercato
di
Londra,
da
dove
venivano
poi
in
parte
istradati
verso
Parigi,
New
York,
ecc.
Le
comunicazioni
terrestri
anche
con
la
Tunisia
e
con
i
pic
coli
centri
della
Tripolitania,
avvenivano
pure
per
carovana.
Quelle
marittime
erano
irregolari,
con
qualche
piccolo
piroscafo
italiano
o
francese,
che
trasportava
merci
e
passeggeri
per
Malta,
Siracusa,
Tunisi
e Marsiglia.
Il
servizio
postale,
di
conse
guenza
era
del
tutto
saltuario;
presso
i
Consolati
Italiano
e
Francese
erano
state
installate
delle
cassette
nelle
quali
venivano
inserite
le
lettere
in
arrivo
per
le
principali
ditte
commerciali
del
paese.
Il
centro
di
Tripoli
era
costituito
dalla
piazzetta
del
Banco
di
Roma
(già
presente
da
qualche
decennio)
piazzetta
intorno
alla
quale
era
raccolto
il
nucleo
com
merciale
e
sociale
della
città:
u, n
paio
di
banche
(il
Banco
di
Roma,
appunto,
e
la
Banca
Ottomana)
quattro
o
cinque
consolati,
uffici
e
bazars.
Intorno
alla
piazza
c'erano
anche
la
bella
chiesa
di
S.
Maria
degli
Angeli,
costruita
nel
1870,
il
tozzo
fabbricato
delle
prigioni,
ed
il
grande
«Caffè
Centrale»,
che
era
effettivamente
il centro
della
vita
cittadina.
I
miei
nonni,
mio
padre
ed
i
miei
fratelli
maggiori
andavano
a
farvi
la
partitina
a
carte,
o
al
biliardo,
ad
incontrare
gli
amici
o
a
godersi
il
passeggio;
nel
pomeriggio
il
caffè
era
anche
frequentato
dalle
signore
con
i
loro
ingombranti
abiti,
ed
i
loro
bei
cappelli
a
larghe
falde,
guarniti
di
frutta
o
di
piume
di
uccelli
rari,
e
muniti
della
immancabile
veletta
che
tanta
grazia
e
mistero
forniva
ai
bei
volti
femminili.
La
vita
culturale
era
molto imitata,
tutta
concentrata
in
un
teatrino
di
forse
dieci
metri
per
venti, che
ospitava
niente
di
meno
che
delle
brevi
stagioni
liriche:
una
moderna
orchestra
occuperebbe
forse
oggi
tutto
lo
spazio
riservato
al
pubblico,
ma
i
nostri
avi
si
accontentavano
di
pochi
strumentì...
Gli
attori
provenivano
da
Malta - dove le cose
le
facevano
sul
serio,
essendovi
alla
Valletta
un
magnifico
teatro con
una
grande
tradizione
musicale
- per
cui
si
racconta
che
come
cantanti
non
ci
fosse
nulla
da
ridire.
Ogni
tanto
faceva
capolino
anche
qualche
compagnia
di
prosa
italiana,
ma
erano
avvenimenti
straordinari
di
cui
poi
si
parlava
per
anni
...
Usciva
quotidianamente,
già
in
quell'epoca,
un
simpatico
giornaletto
a
quattro
pagine,
in
lingua
italiana:
«L'Eco
di
Tripoli».
Ne
era
«Direttore-Proprietario» un
certo
Gustavo
Arbib,
ed
aveva
la
propria
redazione
ed
amministrazione,
in
piena
regola,
in
via
Giama
Mahmud. Portava
grandi
avvisi
pubblicitari
del
Banco
di
Roma,
del
Fernet
Branca,
del
Sapone
Banfi
e
di
altri
prodotti
italiani
di
allora
....
e
di
oggi!
Come
studi
la
città
offriva
ben
poco:
alcune
scuole
coraniche
per
i
mussulmani;
una
scuola
dell'
Alliance
Israelite
per
bambini
ebrei;
i
bambini
italiani
dovettero
at
tendere
l'arrivo
di
un
maestrino
di
Pitigliano
(Orvieto),
quel
Giannetto
Paggi
che
negli
Anni
80
fondò
la
prima
scuola
elementare
italiana
a
Tripoli,
«precorritore
della
fede
d'Italia
nella
Libica
Terra»,
come
poi
attestò
la
lapide
posta
dalle
nostre
autorità
sulla
Scuola
Roma
dopo
la
sua
morte,
avvenuta
nel
1916.
Giannetto
Paggi,
un
nome
venerato
da
più
generazioni
di
tripolini,
che
in
lui
trovarono
un
sicuro
maestro
ed
un
padre
severo
ma
affettuoso.




Alle
vestigia
romane
i
tripolini
davano
poca
importanza:
l'Arco
di
Marco
Aurelio
era
seminterrato
e
nel
suo
vasto
interno
si
era
installato
un
droghiere,
certo
Ghennisc,
che
faceva
ottimi
affari
con
le
comunità
greca
e
malte
se
che
abitavano
in
quei
paraggi.
E
come
si
divertivano
i
nostri
avi?
Qualche
festa
in
famiglia
per
fidanzamenti,
matrimoni,
nascite
o comunioni;
qualche
scampagnata
nell'oasi,
i
giovani
a
dorso
di
asinello
e
le
signore
su
eleganti
calessini,
con
immancabili
foto
di
gruppo
prima
di
rientrare
a casa.
I
bagni
di
mare
venivano
organizzati
separatamente:
le
donne
la
mattina
fino
alle
dieci,
gli
uomini
per
il
resto
della
giornata,
comodoni
e
prepotenti
...
Qualche
balletto
al
circolo
maltese,
dove
ogni
tanto
suonava
un'or
chestrina
improvvisata,
qualche
veglione
straordinario
nel
succitato
teatrino.
Niente
sport:
ma
del
resto
in
quell'epoca
anche
in
Europa
di
sport
se
ne
faceva
pochino.
Come
ultima
dimora
i
Cattolici
venivano
posti
a
riposare
sulla
collinetta
di
fronte
al
mare,
dove
poi
sorgerà
il
Monumento
ai
nostri
Caduti.
Ecco,
questa
era
la
Tripoli
«ante
litteram», una cittadina provinciale
con
appena
qualche
tocco
di
mondanità,
un
piccolo
mondo
chiuso
in
se
stesso,
un
modo
di
vivere
senza
slanci
e
senza
fantasie.
La
vita
vi
scorreva
comunque
serena
e
tranquilla,
ben
lontana
dall'immaginare
i
futuri
sviluppi
ed
i
fasti
cui
l'avrebbero
condotta
in
pochi
anni
la
nostra
capacità
organizzativa,
la
nostra
volontà
e
- soprattutto
-
il
nostro
amore.

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