Entrando in Giaddat Omar El Muktar da
Maidan Asciu-hadà (la ex Piazza Italia)
e proseguendo sul lato destro, si
incontra ad un semaforo, Sciara Errascid,
con il ben fornito Mercato Rionale,
conosciuto come “Suk El-Hut” (Mercato
del pesce).
All’angolo sinistro, per chi accede alla
citata Sciara Errascid da Giaddat Omar
El Muktar, c’era (e forse c’è) un bel
palazzo noto, ai più, come “il
Colosseo”.
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Il Colosseo -
angolo
Giaddat Omar El
Muktar con Sciara
Errascid |
Non so come si fosse meritato tale
appellativo perché non aveva alcuna
peculiarità che ricordasse il
celebre anfiteatro di Vespasiano e
Tito. Possedeva, però, una
caratteristica: invece di formare un
angolo acuto, aveva una struttura
circolare tanto bella, da essere
grati all’architetto che lo aveva
progettato. Sotto, al livello della
strada, proprio nella parte
circolare, c’era un Caffè Arabo:
narghilè, caffè alla turca, bevande
rigorosamente non alcoliche e tè
verde o rosso con o senza menta.
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Caffè arabo -
fumatori di narghilè |
Per i pochi che non lo sapessero, il
tè verde si ottiene essiccando al
sole le preziose foglioline, quello
rosso, tostandole, come si fa con il
caffè. Nel “Caffè Arabo” del
Colosseo facevano un eccellente
tè, in particolare quello
bin-nanà (alla menta)
Ma il tè servito al bar, pur essendo
buono, non ha nulla a che vedere con il
tè “all’araba” né, soprattutto, con
quello preparato “alla libica”.
Proseguendo su Giaddat Omar El Muktar,
in direzione della Fiera, dopo il caffè,
c’erano i negozi dei fratelli Miscerghi
ben forniti di elettrodomestici di
marche prestigiose e, subito dopo, i
negozi dei Darrat. In quest’ultimi si
vendevano gli stessi articoli trattati
dai Miscerghi. Il tutto contro ogni
logica di mercato, essendo i citati
Miscerghi molto conosciuti nonché
affermati da almeno un decennio. Ma i
Darrat si basavano su due loro principi:
uno, che “al mattino il sole sorge
per tutti”, l’altro, che
erano Misuratini: commercianti nati,
commercianti per antonomasia.
I negozi Darrat erano formati da un
reparto vendite con grande bancone e
scaffalatura e, di lato, a formare una
elle, una zona destinata
all’amministrazione e, per mia sfortuna,
anche al “salotto” per ricevere amici e
clienti. In tale zona, ho lavorato come
secondo lavoro serale, dal gennaio del
1960 al gennaio del 1962 e, a tempo
pieno, nei due anni successivi,
validamente coadiuvato da un fezzanese
di nome Mohammed che aveva la mia stessa
età. Ragioniere anche lui, curava la
contabilità in arabo.
Una sera del primo periodo, il
salotto-ufficio si riempì di Ukala-a
(rappresentanti) e di conoscenti dei
Darrat.
Purtroppo, tutti rifiutarono i buoni
servigi del Caffè accanto. Qualcuno
suggerì, subito accontentato, di fare il
tè sul posto: il tè “alla libica” (tre
giri: il primo forte, il secondo medio
ed il terzo leggero, dolce e con
caccawia rigorosamente abbrustolita e
non infornata). E purtroppo i Darrat
disponevano di tutto l’occorrente anche
se, per mia grande fortuna, tale evento
si verificò una o due volte soltanto. Il
perché dei numerosi “purtroppo” è presto
detto: ogni sera trovavo una bella
“pila” di documenti da esaminare e, se
non potevo contabilizzarli, me li sarei
ritrovati il giorno dopo, sormontati da
altra “pila”. Alcuni documenti, poi,
dovevano essere registrati
tassativamente la sera stessa perché
necessari la mattina successiva. Durante
la “cerimonia” del tè, si usa conversare
e si viene coinvolti. Se io mi fossi
estraniato, se non avessi partecipato
alla discussione, se avessi ignorato
tutti, continuando a lavorare, sarebbe
stato aeb, cioè scorretto,
sconveniente.
I presenti iniziarono a parlare
spaziando dai commenti agli eventi
sportivi all’andamento del mercato,
dalla pioggia che mancava da diverso
tempo a notizie su amici comuni. Ed
intanto il tempo passava …
Mentre stavamo gustando il terzo
bicchierino con schiuma e caccawia,
entrò un giovane che, dopo aver dato la
mano a tutti secondo l’usanza, in modo
molto concitato raccontò che suo cugino
aveva appena subito un incidente: con la
bicicletta era finito sotto un
camioncino riportando, per fortuna, solo
la frattura del braccio. Ma il fatto
strano, precisava, era che suo cugino,
in quel momento, non si sarebbe dovuto
trovare in quella via, ma addirittura a
Londra se non avesse perso l’aereo per
un banale inconveniente. Non solo, ma
non doveva neanche essere in bicicletta,
lui che era un patito dell’auto e la
bici non l’usava mai. Inoltre il
camioncino non avrebbe dovuto trovarsi
lì in quella direzione essendo la strada
a senso unico.
Fu a quel punto che un vecchio, seduto
in un angolo della stanza e che fino a
quel momento non aveva detto una parola,
impegnato com’era a sgranare la sua
“seb-ha” (coroncina religiosa), disse:
Maktub!
Mi sembrò di essere in un’aula di
Tribunale, dove, sentite le ragioni
dell’accusa e della difesa, lui, da
giudice, avesse emesso la sentenza:
Maktub. E ciò senza fare riferimento
a considerazioni o ad articoli del
codice.
Maktub e basta.
In arabo “destino” si dice qadar,
nasib, ma Maktub è
qualcosa di più forte: sta per “scritto”
e “scripta manent”. Praticamente sarebbe
come il diario dell’indomani, scritto il
giorno prima.
Ovvio che ci fu un coro di approvazione.
Finito di bere il tè, tutti, compresi i
Darrat, si alzarono e decisero di andare
a trovare l’infortunato. Anche il
vecchio sembrava se ne volesse andare.
Ma Mohammed, il mio collega, disse: “Sar
maktub, ja ammi el haj?” (E allora
era scritto, zio haj?)
Non era affatto suo zio, ma in Libya, in
segno di rispetto, senza ricorrere ad
appellativi tipo seyed,
siattek o hadratek si usa
ammi cioè “zio mio”. Lo fulminai con
uno sguardo feroce. Se tutti se ne
fossero andati, sarei potuto tornare
alle mie scartoffie.
“Maktub, ja weldi, maktub” (Era
“scritto”, figlio mio, era “scritto”)
rispose il vecchio ed intanto aveva
avvicinato la sedia fino al bordo della
mia scrivania. Poteva avere una
settantina d’anni, un jerd (barracano)
bianchissimo, due baffi ben curati, una
bella figura. Era cioè una sciaksìa
(personalità).
Si sistemò bene sulla sedia ed iniziò a
raccontare una storiella per avvalorare
la sua “sentenza” e spiegare a me, non
arabo, il significato di quel “Maktub”
cioè di quel destino a cui nessuno si
può opporre.
Kan zaman (C’era una volta)
un facoltoso commerciante di Damasco.
Nell’imminenza di un’importante
festività, decise di andare a rifornirsi
di mercanzia ad Aleppo e partì col suo
dromedario portandosene, al seguito, un
altro. Conclusi gli affari avrebbe
caricato quest’ultimo con i pezzi più
preziosi mentre il grosso dei suoi
acquisti lo avrebbe affidato alla prima
“qafila” (carovana) disponibile.
Era in viaggio da diverse ore, quando,
quella figura che in lontananza aveva
preso per un miraggio, si era
materializzata: era una donna che doveva
essere piuttosto vecchia anche se
procedeva di buona lena appoggiandosi ad
un grosso bastone che la superava di due
spanne.
Quando le fu quasi a lato le chiese: “Ma
dove stai andando?”. “Ad Aleppo, ad
Aleppo” rispose la vecchia.
Il commerciante non poté trattenere le
risa, diede un colpo di frustino al suo
dromedario e proseguì continuando a
ridere. Aveva appena fatto un centinaio
di metri che si fermò. Non riusciva a
togliersi di mente quella vecchia! Ne
era attratto. Una forza misteriosa gli
impediva di proseguire tanto che fece
accovacciare il dromedario, ne discese,
e le andò incontro. Quando le fu vicino,
la vecchia alzò la testa facendo cadere
la "farrashìa"
(fazzoletto che avvolge il capo).
Adesso poteva vederla bene. Aveva un’età
indecifrabile ed era di una magrezza
impressionante. Praticamente quel povero
scheletro era ricoperto di sola pelle.
Non era affatto bella, forse non lo era
mai stata. A prima vista incuteva quasi
paura e dava una certa sensazione di
dolore, poi, improvvisamente tutto
passava. Perché il suo viso ispirava
serenità, dolcezza e, soprattutto,
quiete. Sì proprio quiete, pace, requie.
“Scusami per prima” balbettò ma ... a
piedi! ... Senza otre d’acqua! Senza
provviste! Non potrai mai arrivare ad
Aleppo!”.
La vecchia accennò un sorriso e rispose:
“Io arrivo sempre al momento stabilito e
dovunque! Prima o poi arrivo; perché
vedi, io sono la Morte e questa mattina
l’Altissimo, Colui che tutto può, sia
gloria a Lui, mi ha consegnato una lista
con duecento nomi di persone e mi ha
ordinato di andare ad Aleppo, dove è
scoppiata la peste, a recidere le loro
vite”.
Il commerciante trasalì. Ad Aleppo c’era
la peste? Non lo sapeva! Quindi
timidamente implorò:
“Guarda se ci sono anch’io nella lista,
il mio nome è Mohammed Alì Mabruk”.
La Morte
si fece seria, ma sempre con dolcezza
rispose: “Lo sai che non è dato di
sapere il luogo e la data di morte!
Perché mi fai questa domanda? Non sei un
buon musulmano!”.
“Sì, sì, hai ragione ... ma ... il mio
nome ... Mohammed Alì Mabruk non ti
ricorda nulla?”.
La vecchia lo ignorò e stava per
riprendere il cammino, contrariata da
quell’insistenza, quando il commerciante
le disse: “Scusami, scusami, sai sono un
po’ confuso ma ... ormai è quasi buio,
perché non ci fermiamo per la notte?
Domani mattina potrai utilizzare il mio
secondo dromedario, recupererai il tempo
perduto e faremo la strada insieme”.
“D’accordo”, disse la Morte. Depose il
bastone e si accoccolò. Il commerciante
fece altrettanto ad una distanza di una
ventina di metri, dopo aver legato i
dromedari. Il buon Mohammed Alì Mabruk,
però, non riusciva a prendere sonno:
continuava a girarsi e rigirarsi.
Pensava che se avesse avuto la lista,
avrebbe preceduto la Morte ad Aleppo ed
avrebbe avvisato tutti: li avrebbe fatti
pentire dei loro peccati. Il Signore
sarebbe stato, così, più clemente.
E i bambini? Certamente c’erano anche
dei bambini! Li avrebbe fatti giocare,
avrebbe comprato loro dei dolci,
confortato i loro genitori! E lui? Se
c’era anche lui nella famosa lista? Il
solo pensiero gli faceva venire i
brividi. Improvvisamente la sua vita
iniziò a scorrergli davanti agli occhi.
Si rivedeva piccolo ed abbastanza
discolo, ma chi non lo era stato, in
tenera età? Ricordava sua madre che,
amorevolmente, nascondeva le sue
marachelle al padre, ritenuto troppo
severo, allora, ma poi ampiamente
giustificato. Ricordava, inoltre, quando
andava ad aiutare suo padre in bottega,
poi la scuola, gli amici ed il
matrimonio: che bella festa era stata!
La sua sposa era bellissima, ed i
bambini! Il più piccolo aveva appena un
anno! Quando era partito dormiva, non
aveva potuto salutarlo. Era un buon
credente e gli dispiaceva non aver fatto
il Pellegrinaggio, ma aveva solo 35
anni! Ma no, lui non poteva morire:
aveva ancora tanti progetti, tante cose
da fare! No, lui non poteva morire. Del
resto la Morte era diretta ad Aleppo, ad
Aleppo c’era la peste. Perché doveva
andare ad Aleppo proprio quel giorno?
Poteva aspettare che l’epidemia finisse.
Certo, avrebbe perso le vendite
dell’ormai prossimo “Aid El Kebir”, ma
la vita, la vita, ovviamente, è più
importante di tutto. La decisione di
ritornare a Damasco, di fuggire dalla
peste, gli aveva dato un po’ di
serenità. Nel frattempo iniziava ad
albeggiare. Sistemò il “musallaia”
(tappetino di preghiera) ma era tanto
confuso che sbagliò direzione e dovette
rettificarla con la bussola. Fece
“al-u-du-a” (abluzione) e si
preparò al “Salà elfijr” (la
preghiera dell’alba). Quando finì,
notò che la vecchia dormiva ancora ed
allora slegò un dromedario, salì in
tutta fretta e si diresse verso Damasco
pensando che quella fosse la decisione
più saggia.
Poco dopo, la Morte si svegliò. Si
accorse d’esser sola. Alzando lo sguardo
vide che il commerciante era già
lontano, ma era evidente che stava
tornando a Damasco.
“Ha avuto paura” pensò ma ...”Come ha
detto che si chiamava? Ah, sì ...
Mohammed Ali Mabruk”. Mentre pensava, le
venne in mente un particolare. Quando
l’Altissimo le aveva consegnato la lista
e lei stava per andarsene, Egli l’aveva
richiamata a Sé, si era fatto ridare la
lista, aveva fatto delle annotazioni e
gliela aveva restituita. Era curiosa di
sapere se il nome del commerciante fosse
compreso nell’elenco. Quindi lo aveva
preso e lo stava consultando. “Ah, ecco
Mohammed Alì Mabruk. In effetti era
presente nella lista di Aleppo, ma era
stato cancellato! Vicino però, c’era
un’annotazione.
“Dopo aver messo fine alle succitate 199
vite ad Aleppo, ti recherai a Damasco e
reciderai la vita di Mohammed Alì Mabruk”.
La Morte
restò un momento pensosa, alzò lo
sguardo ma il commerciante, ormai, non
si vedeva più. Tentennò la testa e disse
tra sé:
“Era simpatico, era un brav’uomo”.
Quindi slegò l’altro dromedario, prese
il suo bastone e si incamminò verso
Aleppo. Non si era accorta che, forse
inconsciamente, di Mohammed Alì Mabruk
aveva già parlato al passato.
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Il vecchio aveva terminato il suo
racconto ed era compiaciuto. Pur non
essendo ragazzini, avevamo seguito la
storia con interesse ed apprensione.
Sapeva di aver destato interesse e ne
era orgoglioso. In effetti il vecchio
non aveva raccontato, ma recitato la
storia.
Aveva modulato la voce secondo le
circostanze, aveva fatto pause anche di
qualche minuto ed aveva cambiato voce a
seconda dei personaggi. Si era alzato e
stava avviandosi all’uscita. Era molto
tardi.
“Khallini inwuasslek, ja ammi el haj,
saiarti ghiddam eddukkan gaada”
(Permettimi di accompagnarti, zio, ho la
macchina qui davanti al negozio). “Là
shukran, nemshi a-la-rij-len kher”
(No grazie, preferisco andare a piedi).
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Il rumore delle serrande ed il saluto
del collega Mohammed: Nsciufek
yom essebet, insha-Allah (ci vediamo
sabato a Dio piacendo), mi fece venire
in mente che l’indomani era venerdì e
che venerdì! Da una decina di giorni
avevo promesso al parentado di
partecipare ad un’intera giornata al
mare e con questa promessa mi ero fatto
perdonare piccole magagne. Pur non
essendo, in senso assoluto, evento
eccezionale, da giorni, non si parlava
d’altro. La pasta al forno alla
siciliana, l’immancabile anguria e le
costolette di agnello da arrostire sul
carbone, erano già pronte dal primo
pomeriggio. Il desiderio che io
partecipassi ad ogni costo non era certo
dovuto alla mia “importanza” ma al fatto
che ero l’unico che aveva la patente.
I miei orari di lavoro erano diversi da
quelli di alcuni amici e del parentado:
io facevo “festa” il venerdì mentre la
domenica lavoravo mezza giornata. Gli
altri l’esatto contrario: festa la
domenica e mezza il venerdì. I miei
parenti, amanti del mare, qualche volta
si erano detti pronti a rendersi liberi
la mattinata di qualche venerdì ma io,
molto impegnato in diverse aziende, ero
sempre riuscito a glissare. Esaurite
tutte le scuse, avevo dovuto promettere
che quel venerdì a qualunque costo
mi sarei reso disponibile. Una bella
giornata di mare tutta per noi.
Purtroppo a causa di quelle inaspettate
visite in negozio, storiella della Morte
inclusa, non mi sarebbe stato possibile
mantenere la promessa. E non era la
prima volta: stava diventando una
barzelletta! Quel giovedì sera non ero
riuscito a combinare niente. Ottimo il
tè, piacevole la conversazione,
avvincente la storiella ma niente
registrazioni. Avrei potuto recuperare
la sera del sabato. Ma dalla famosa
“pila” Darrat-Capo mi aveva sfilato una
ventina di “ordini eseguiti” per i quali
bisognava emettere le fatture. Queste
dovevano essere consegnate
tassativamente il sabato mattina per non
perdere l’ultimo giorno utile per il
pagamento entro la fine del mese. Quel
famoso venerdì, a serrande abbassate,
avrei dovuto provvedere e ci voleva
tutta la mezza giornata. Niente giornata
al mare.
Durante il tragitto per raggiungere casa
mi stavo scervellando per trovare una
buona scusa: Poi all’improvviso …
Ma certo! Come non averci pensato prima!
“Che cosa ci volete fare!”, avrei detto,
“Non dipende da me, evidentemente … era
... Maktub!”
Roberto Longo
(Pubblicato su rivista “l’Oasi” n°
3/2001 Settembre - Dicembre 2001)
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