Conversazione
con Luciano Frugoni |
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Luciano ed io
mentre conversiamo |
Nel marzo del 2006, insieme a mia moglie Joanne, sono partito dalla
mia casa di
Punta
Ala (vicino a Grosseto) col nostro camper, un vecchio ma
solido Rimor
Superbrig, trainato da uno scoppiettante motore Ford, per
visitare la Sicilia.
Volevo inoltre rivedere, dopo tanti anni, alcuni miei ex compagni di
scuola
, dell'Istituto dei Fratelli di Tripoli:
Piero Provenzano, Roberto Cusimano,
Gennaro Giglio,
Armando Curcurù
oltre a Luciano
Frugoni e a sua moglie Carol, cara amica di mia moglie Joanne. Mi
ero ripromesso anche di visitare
Favignana,
l'isola dove è nato mio padre
e
Marsala,
la città di nascita di mia madre.
Quando sono in viaggio, ho l'abitudine di appuntare su una specie di
diario di bordo le mie impressioni, cosa che ho imparato a fare
governando
una barca a vela.
Ricordandomi di avere riposto questo diario in un vano del mio
camper
sono andato a riprenderlo e mi sono messo a rileggerlo.
In data venerdì 10 marzo del 2006, avevo scritto:
"... Tutti e quattro (Luciano, Carol, Joanne ed io partiamo in
macchi-
na di buon mattino per Pozzallo, con la speranza di trovare un
vecchio
nostro amico tripolino Gennaro Giglio, eccezionale nel ruolo
di portiere nelle partite di calcio giocate tra di noi nel 'mitico'
cortile
delle Scuole dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Giunti a Pozzallo
prenoto
i miei biglietti di ritorno col traghetto da Palermo a Civitavecchia
presso un'agenzia marittima, poi telefono a Gennaro.
Mi aspetto di sentire la sua voce roboante e baritonale invece mi risponde
la voce rammaricata di sua figlia. Mi dice che suo padre è dovuto
partire proprio quella mattina per Messina.Alquanto
dispiaciuti per il contrattempo non ci resta che ritornare a casa
e condividere un delizioso pranzetto a base di tenerissimi filetti
di
braciole impanate e fritte, condite con delle patatine croccanti e
servi-
te con un sanguigno ed amabile vino locale. Luciano ed io ci sediamo
comodi sul sofà a sorbirci un amaro. Mi piace ascoltare Luciano.
Sono divertito dalla sua pregevole mimica facciale.
Cliccare sulle foto per
ingrandirle |
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Da sx Armando Curcurù, Piero Provenzano,
Roberto Cusimano, io e Luciano |
Luciano, Carol, mia moglie Joanne
e Gipsy |
La mimica di Luciano |
Ha una buona proprietà di linguaggio, che intercala con spassose
imitazioni dialettali. Sa parodiare bene il dialetto toscano, quello
napoletano
e quello romano. Se vuole riesce a parlare anche in siciliano
strittu
come dice lui.
Con me conversa in un italiano puro, l'italiano che si parlava tra
di noi
a Tripoli, che è privo di accento. È buffo quando bonariamente rifà
il
verso a sua moglie Carol, che quando parla l'italiano, strascica un
po'
le parole con quel suo tipico accento inglese. È spassoso quando, affettuosamente,
imita la parlata e mima le movenze di alcuni nostri comuni
amici tripolini, come Gianni De Nardo,
Pippo Fichera
,
Angelo Furgeri e Pino Scuola,
che fra l'altro
è stato mio compagno di classe, in quinta elementare, con Fratel Amedeo
insegnante...".
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Gianni De Nardo |
Pippo Fichera |
Luciano Furgeri |
Pino Scuola |
Gennaro Giglio |
Luciano è sposato da circa quarant'anni con
Carol Yates, una bionda infermiera inglese, incontrata a Tripoli
nel 1969, qualche mese
prima che avvenisse il colpo di stato.Hanno
tre bellissimi figli, Julian, Alessandra,
Adriano.
Dal 1970 vive in Sicilia dove il padre, con
l'aiuto dello zio Giuseppe
Cartia
che
già abitava in Sicilia, aveva acquistato un
vasto appartamento a Donnalucata, un paesi-
no del comune di Scicli.
Lì, dopo l'espulsione da Tripoli, si erano trasferiti
tutti insieme, nonni, figli, nuore e nipoti. Ora Luciano abita
nella Contrada Trippatore,
in una graziosa casetta circondata da un
bel giardino, a pochi passi dal mare, una
splendida zona scelta dalla RAI per ambientare
alcuni sceneggiati della serie televisiva
del
Commissario Montalbano,
tratti dai romanzi di
Andrea Camilleri.
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Da sx: Luciano
col nipotino Manuel, Alessandra e Julian . In alto
Mamma Carol e Adriano |
*************
Di recente, in occasione della nascita della sua sesta nipote,
ho chiamato Luciano per congratularmi con lui per
il lieto evento. Durante la telefonata, dopo essermi assi-
curato della salute della neonata e della mamma, la sua
secondogenita Alessandra, gli ho chiesto se avesse già ricevuto
l'ultimo numero del notiziario l'OASI
-
Certamente! - mi ha risposto entusiasta.
- Fratel Giuseppe è un grande. Ha scritto un articolo su
mio nonno Oreste, che ha dell'incredibile. Non so come
abbia fatto a scovare tutte quelle notizie sulla sua vita
professionale. Domenico, ti confesso che alcuni dettagli
che ho trovato scritti nell'articolo non li conoscevo neppure
io. Tra l'altro ho letto una cosa che mi ha fatto riflettere.
Ti ricordi quando cinque anni fa sei venuto a trovarmi
col camper a casa mia e ti parlai delle famose 'frugonate',
raccontandoti alcuni episodi di vita della famiglia Frugoni?
- Certo che me lo ricordo.
- Bene. C'è come un filo conduttore
che ci accomuna. Anche lui, come
me e mio padre ha commesso delle
'frugonate', e per 'frugonate' intendo
errori commessi per la nostra
comune indole ribelle e sanguigna. Nell'articolo c'è scritto
che mio Nonno Oreste ha
abbandonato gli studi
mentre frequentava le secondarie, ma secondo me è
più facile che sia stato espulso. Mio padre, quando frequentava la
sesta dai Fratelli di Sciara Espagnol a Tripoli, ha abbandonato la
scuola. Io ho fatto di peggio di
lui, in seconda Media
venni espulso dalla Scuola dei
Fratelli in Sciara Afgani.
Tre generazioni, stesso carattere. In questo caso, la mas-
sima popolare latina
talis pater, talis filius, calza proprio
a pennello.
Abbiamo un'altra cosa in comune, tutti e tre: prima di sposarci e di
accasarci, abbiamo sempre avuto una, diciamo
così, eccessiva inclinazione ad ammirare il gentil
sesso! E, dulcis in fundo, anch'io, come secondo nome, mi chiamo
Oreste, come mio padre e come mio nonno.
Fratel Giuseppe mi aveva proposto tempo addietro di proporre
sulL'OASI un articolo sui "Frugoni", un cognome ricorrente
nei registri delle Scuole dei Fratelli di Tripoli, un
clan di ex alunni, molti miei amici carissimi, dei quali
purtroppo non conosceva quasi nulla.
Poi, ricordandosi che il Frugoni capo-dinastia, era stato il
progettista dell'Istituto Umberto di Savoia, contattato
Luciano e assunta qualche altra informazione, si era lanciato
nella ricerca, pubblicando l'articolo Oreste Frugoni:
architetto - ex allievo.
(L'OASI, n. 106, pag. 18-27).
A me aveva lasciato l'incarico: "Dato che sul Frugoni
architetto io posso scrivere qualcosa, ma non sui discendenti
tuoi compagni e amici ... vedi tu di fare il seguito.
Intervistali, fai come sai fare, per l'oasi".
Così tra ricordi, telefonate, appunti con molto piacere ho messo
insieme questa conversazione-intervista. Ringrazio innanzi tutto
Luciano che, con le informazioni che mi ha dato sulla dinastia
Frugoni, mi ha permesso di
scrivere questo articolo. Ringrazio Massimiliano Di Fede,
uno dei suoi nipoti e figlio di sua sorella Chiara, per
avermi precisato alcuni dettagli e fornito alcune foto. Ed
infine ringrazio Vanessa Punton, moglie di Sergio Frugoni,
fratello maggiore di Luciano, per avermi procurato
molte delle foto pubblicate in questo articolo.
INTERVISTA
Luciano, ricostruiscimi un po' la storia della tua famiglia.
Come mai eravate in Libia?
La storia dei Frugoni in Libia
- mi dice
Luciano facendosi serio - è
cominciata nel
1912 con mio nonno paterno
Oreste,
l'architetto,
che è rimasto nella
storia degli archivi dei Fratelli
delle Scuole Cristiane
di Tripoli per aver progettato
nel 1929 l'Istituto Umberto
di Savoia di Via Mazzini (poi Sciara Afgani).
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Nonno Oreste |
Questa nostra storia è stata
costellata da alcuni episodi
che hanno inciso in maniera
notevole il corso della nostra
vita. Sono episodi così
simili tra di loro da sembrare
quasi copie di uno stesso originale, qualcosa di iscritto
nel nostro DNA: tutti e tre abbiamo trascorso una buo-
na parte del nostro tempo a contrastarci puntigliosamente
l'un con l'altro, io con mio padre e lui con mio nonno.
Tra di noi è sempre esistito un drammatico conflitto generazionale,
anche se in fondo ci siamo voluti bene.
Mio nonno Oreste
è
nato in Toscana, a Massa nel 1864, una terra di anarchici e
rivoluzionari, come si legge
nell'articolo pubblicato su
l'oasi ed aveva frequenta-
to le scuole elementari dai Fratelli presso l'Istituto San Filippo
Neri. Suo padre, Giovan Battista, ebbe un bel da
fare nel cercare di domare un ragazzo sveglio ma ribelle,
tanto che alle secondarie venne espulso dalla scuola.
Il giovane Oreste non si perse d'animo e per mantenersi
cominciò ad esercitare il mestiere di muratore. Con gli
anni, tra lavoro e studio, riuscì a conseguire addirittura
una laurea in Architettura.
Diventato architetto, forse spinto da necessità economi- che, ma
anche per motivi politici, visto che era un acca-
nito socialista, decise di trovare lavoro all'estero.
Ebbe la fortuna di essere ingaggiato dal Governo Francese,
che lo mandò dapprima in Egitto a
Suez,
successivamente
a svolgere la sua professione di architetto in
Turchia. Ha lavorato per qualche tempo nello Stretto del
Bosforo.
Qualche anno dopo, sempre per conto del Governo
Francese, fu mandato nello Stretto dei Dardanelli.
Si sposò. La moglie disgraziatamente morì. Si risposò ma
anche la seconda moglie morì prematuramente. Dalla prima ebbe una
figlia di nome Giorgia; dalla seconda
due figli Giorgio ed Andreina.
Alla morte della seconda moglie Oreste tornò in Italia
nella sua città d'origine, Massa. Decise di sposarsi per
la terza volta. Forse
consigliato da alcuni suoi amici
massesi, mise su famiglia con
Maria Chiara Filippini, una donna forte di carattere e robusta di
costituzione,
proveniente da Castelnuovo
Garfagnana
nella Lucchesia.
Dalla loro unione nacquero cinque figli, tre femmine e due maschi:
Fulvia, Battista, Oreste (il padre di Sergio,
Luciano, Chiara e Maurizio),
Giuseppina e Nunziatina.
Nel 1912 nonno Oreste, tentato
dalle buone prospettive economiche e di lavoro che si presentavano
nella Libia conquistata
dall'Italia sottraendola ai Turchi, decise di lasciare nuovamente
l'Italia e di stabilirsi a Tripoli con
la sua numerosa famiglia.
Grazie alla sua pluriennale
esperienza lavorativa, maturata
in precedenza all'estero,
riuscì a farsi valere per la
sua professionalità e competenza
nel settore delle costruzioni.
Aprì uno studio in fondo a Corso Vittorio, accanto al famoso Caffè
Parlato. Qui Oreste, affascinatore di femmine,
dal baffo accattivante, era uso sedersi per ammirare il passeggio
femminile. Il figlio maggiore, Battista, provetto
disegnatore, si unì a lui nello studio.
La fama di mio nonno crebbe tanto che venne nominato
Perito Giurato del Tribunale di Tripoli per le controversie
edilizie. Ormai era diventato uno dei più autorevoli
notabili locali.
Nel 1927, invitato ad
un ricevimento organizzato dal
Quadrumviro Emilio De Bono, Governatore della Tripolitania,
si presentò con al petto il nastrino della
Croce di
Cavaliere Ufficiale dell'Accademia Francese,
onorificenza rilasciatagli
dal Governo francese per le sue progettazioni
nello Stretto dei Dardanelli. Emilio De Bono,
futuro Ministro delle Colonie, notò il
nastrino e gli chiese curiosamente come fosse riuscito ad
ottenere quella prestigiosa onorificenza. Lui, da "male-
detto toscano" senza peli sulla lingua, rispose: "nemo propheta in
patria", (nessuno è apprezzato nel proprio
Paese), informandolo poi di tutto quello che aveva crea-
to e progettato all'estero.
Immediatamente De Bono ordinò al suo attendente di avviare la
pratica per il conferimento della
Croce di Cavaliere della Corona d’Italia.
- Caspita! Immagino che avere avuto un nonno che ha
ottenuto tali onorificenze ti renderà orgoglioso.
Certo, ne sono veramente fiero. Ma tra i Frugoni non c'è
stato soltanto nonno Oreste ad ottenere questo tipo di onoreficienzec'è
anche l'illustre medico chirurgo,Cesare Frugoni,,
suo primo cugino, che nel 1952 fu nominato
Cavaliere di Gran Croce Ordiro
Togliane
al Merito della Repubblica
Italiana, e fu medico di capi di Stato, di artisti famosi,
di uomini politici celebri, fra cui
Palmiro
Togliatti,
re
Fuad d'Egitto,
Arturo
Toscanini,
Benito
Mussolini e medico
personale del
papa Pio XII. Si è
sposato a 84 anni con il celebre mezzosoprano
Giulietta
Simionato ed è morto all'età di 96 anni.
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Cesare Frugoni |
Grande! Torniamo
a tuo nonno Oreste.
Perché proprio a lui l'incarico
di progettare a Tripoli
l'Istituto dei Fratelli delle Scuole
Cristiane?
Il motivo lo spiega Fr. Giuseppe
nell'articolo.
Perché era un ex allievo, un architetto famoso, legato da
amicizia e riconoscenza ai suoi Maestri e al Direttore
Fr. Edoardo.Io
credevo che mio nonno a
Tripoli avesse fatto
conoscenza con Fr. Edoardo al Caffé Parlato
¼
che so, o
mentre passava in carrozzella per recarsi alla Cattedrale. Ma Fr.
Giuseppe documenta che mio nonno a Tripoli
aveva ritrovato i suoi Maestri, i Fratelli, ben prima che fosse
costruita la Cattedrale, oltre al fatto che i Fratelli
non andavano in carrozzella ma sempre a piedi, a due a
due, e che a Sciara Espagnol, dove gestivano la scuola
del Vicariato, molto in auge in quegli anni, mio nonno
aveva iscritto in 6a e
in 5a i
figli Battista e Oreste, nel
1920 e 1921, dopo anni di scuola statale.
Nel 1921 mio nonno era all'apice della fama avendo pro-
gettato il Real
Teatro Miramare
considerato
il più bel
teatro di tutta la costa africana e Fr. Edoardo Milanese
quell'anno era il Maestro dei suoi figli. Tra i due ci fu
sempre un rapporto di stima
e simpatia. Qualche anno dopo Fr. Edoardo, divenuto
Direttore, gli propose
di progettare il nuovo Istituto-Collegio.
Nonno Oreste
non ci pensò due volte e
volle assumersi la responsabilità
sia del progetto che
della direzione dei lavori.
Nel giro di cinque mesi
l'intero edificio, intitolato
al Principe Umberto di Savoia,
venne portato a compimento:
impensabile oggi.
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Fratel Edoardo |
Sai, Luciano, Fr. Giuseppe mi ha raccontato un fatto
a proposito del "carattere" di tuo nonno Oreste.
Il 7 Agosto 1929, a lavori inoltrati, il Direttore Fratel
Edoardo
(Foto 14)
era stato chiamato in Italia dai Superio-
ri per concordare varie questioni sulla nuova costruzione:
inaugurazione, personale insegnante, prestito ... e aveva
lasciato l'incarico a Fr. Arnoldo.
Non si sa per quale
motivo tuo nonno Oreste entrò in
contrasto con l'ing. Picardi della Ditta costruttrice, un
contrasto così violento che
furono interrotti i lavori.
Il 31 Agosto (è scritto nella Cronaca dell'Istituto) Fr.
Edoardo rientrò a Tripoli e rimase assolutamente interdetto
"per gli incidenti a causa dei forti malintesi
tra l'ing. Picardi
della Ditta costruttrice ed il direttore
dei lavori Arch. Frugoni. In pochi giorni il
Fratello Direttore mette gli
animi in pace".
Ci volle tutto il suo carisma per riconciliare le parti e far
riprendere i lavori a velocità raddoppiata!
Dobbiamo a loro l'ampio spazio riservato al mitico cortile,
dove tutti noi exlali tripolini da ragazzi abbiamo trascorso
le ricreazioni e disputato partite di calcio, pallacanestro, gare di
atletica.
Tuo nonno sta sulle pagine dei giornali tripolini dell'e-
poca per una gesto raro, lo sai?
Mio nonno, giunto alla celebrità e godendo di benessere,
fece un gesto di liberalità, come sanno fare i grandi mecenati, un
gesto di esplicita riconoscenza in ricordo dei suoi Maestri, e forse
tacitamente, anche a titolo di scusa,
per far dimenticare l'insulto del figlio verso il Maestro,
il lancio del calamaio, te lo racconto dopo: e non
volle essere pagato né per il progetto né per il lavoro. Fr.
Edoardo rimase commosso per tanta generosità. Anch'io
sono fiero di aver avuto un nonno così generoso.
Come mai tuo padre non ha seguito le orme del nonno?
Mio nonno sarebbe stato contentissimo di avere mio padre nel suo
studio. Purtroppo tra mio nonno e mio padre
si era instaurato un rapporto conflittuale. Come ti ho detto
poco fa il motivo era che si somigliavano moltissimo,
non per l'aspetto fisico ma per il loro carattere ostinato
e ribelle. Questo loro conflitto è iniziato proprio in seguito
ad un episodio increscioso avvenuto nel 1922,
quando mio padre, che allora
aveva circa 11 anni e frequentava
la quinta presso la Scuola maschile del Vicariato
gestita dai Fratelli, ebbe l'ardire, in un momento
d'ira, di scagliare un calamaio pieno d'inchiostro contro
il suo insegnante, che era per l'appunto Fr. Edoardo Mi-
lanese. Mio padre si è sempre giustificato dicendo che
era stato punito ingiustamente per una colpa non sua. Il
lancio di quel maledetto calamaio però segnò una svolta
nella sua vita. Mio nonno, giustamente, solidarizzò con il
Maestro, sgridando, come immagino nella sua irruenza,
severamente il figlio e fu il finimondo considerando che a quei
tempi un simile gesto, in una piccola città, diventava
di dominio pubblico e coinvolgeva la reputazione
della famiglia. Sì, una macchia indelebile. Da quel momento
tra padre e figlio avvenne una vera e propria rot-
tura che nonostante gli anni non venne mai ricucita completamente.
Il giovane Oreste, mio padre, decise ostinatamente
di abbandonare gli studi e di dedicarsi a fare piccoli mestieri
manuali, ma, per puntiglio preso, mai
quello di muratore o di disegnatore
E dopo aver lasciato gli studi?
Aveva molta manualità ed era fortissimamente attratto
dalla meccanica. Figurati che aveva la capacità di montare e
smontare il motore di una macchina qualsiasi, come
se fosse un gioco. Aggiungi che aveva un bell'aspetto ed uno sguardo
ammaliatore,
alla Rodolfo Valentino, ed un seguito di belle ragazze che lo
corteggiavano. Lui, estroverso, non si tirava
certo indietro. Anzi
¼
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Elena ed Oreste Frugoni fidanzati |
Elena ed Oreste Frugoni quarantanni
dopo |
Quando incontrò mia madre mise fine alla sua vita spensierata e
gaudente. Lei fu la prima donna che ebbe la capacità di domarlo. Mia
madre, Elena Pavone,
era
un'attraente giovane siciliana di Catania.
Innamoratissimo, mio padre le giurò amore eterno.
Sicuramente il matrimonio gli giovò perché, finalmente
ammogliato ed accasato, si dedicò completamente alla
famiglia. Dopo il matrimonio mia madre mise al mondo
quattro figli
:
Sergio, me,
Chiara e Maurizio.
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Sergio, Mamma Elena, Chiara,
Maurizio e Luciano |
Quindi, famiglia e lavoro.
Mio padre era diventato un esperto
meccanico e, senza ipocrisia, ti posso
assicurare che forse era il migliore
sulla piazza tripolina. Come ti ho
detto prima, aveva molta manualità
ma sopratutto aveva un buon cervello.
Con i soldi risparmiati, grazie a
mia madre a cui piaceva economizzare,
acquistò un camion con rimorchio
per trasportare merce da Tripoli
verso alcune zone desertiche interne
libiche.
Nel 1956, in uno di questi viaggi, gli
capitò di trasportare macchinari per le riprese di un film, in cui
era protagonista
John Wayne..
Il film era intitolato
Legend of the Lost,,
portato poi sugli schermi italiani col titolo
Timbuctu.
Oltre a John Wayne nel cast
c'erano
Sofia Loren
e
Rossano Brazzi.
Le scene del film si svolgevano a
Gadames,
definita l'oasi più
bella dell'Africa. Una sera, in un momento di pausa della
lavorazione del film, John Wayne aveva voglia di giocare
a scacchi ma non trovava nessuno del suo gruppo
che sapesse giocare. Papà Oreste, non lontano dal set,
era tutto indaffarato nella messa a punto del suo camion.
Un organizzatore della troupe cinematografica gli si era
avvicinato e gli aveva chiesto se conoscesse il gioco de-
gli scacchi. Alla sua risposta affermativa venne subito
presentato a John Wayne. L'attore americano gli strinse
con calore la mano. Poi, vedendolo un po' impacciato, gli diede una
amichevole pacca sulle spalle, invitandolo
a sedersi al suo tavolo per giocare a scacchi e bere insieme
un bicchiere di whiskey. Così anche papà Oreste,
senza volerlo, ha
avuto il suo momento di gloria, per aver bevuto, fumato e giocato a
scacchi con il mitico John
Wayne. Nel nostro album fotografico dovrei ancora
avere una cartolina con un
autografo di John Wayne, che
testimonia questo episodio.
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Cartellone pubblicitario del film |
L'autografo di John Wayne |
Nel frattempo la sua genialità meccanica lo aveva portato
a brevettare uno speciale raccordo, che, unendo l'avantreno
al rimorchio, serviva a rendere più agevole la manovra. La voce di
questa innovazione si era nel frattempo
diffusa in ambito locale, tanto che questa sua geniale
idea venne subito adottata da molte ditte tripoline
che lavoravano nel settore dei trasporti. Offrendo la sua
preziosa consulenza aveva incominciato ad incrementare
i suoi guadagni. Gli affari andavano così a gonfie vele
che aveva potuto ingrandire la sua ditta di trasporti, aveva
acquistato altri camion ed era arrivato ad avere alle sue dipendenze
oltre una decina di operai, per lo più libici. A differenza di molti
italiani, vissuti per anni in Libia
senza aver mai imparato una parola d'arabo, lui al
contrario lo parlava e lo capiva bene. Tutto ciò lo aiutò
molto nel modo di rapportarsi con la maggioranza dei
suoi dipendenti. Possedeva il carisma di un capo ed era benvoluto da
tutti i suoi dipendenti. Quando tutto ormai
sembrava procedere per il giusto verso purtroppo avvenne
un episodio increscioso, un malaugurato incidente,
tanto grave che ha segnato per sempre la sua vita.
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Oreste Frugoni col suo camion nel
deserto |
Cosa è successo?
Domenico, ti giuro, che solo a pensarci mi tremano le
mani. Era un tiepido pomeriggio di marzo. Quel giorno
mi trovavo anch'io nel cantiere, dove venivano parcheggiati
i camion della ditta. Lui se ne stava accosciato accanto ad una
delle gomme anteriori di un camion intento
a collaudare un nuovo compressore e a controllarne la
pressione. Improvvisamente ho sentito alle mie spalle un
terribile boato. L'enorme pneumatico del camion era
scoppiato con tutta la sua bestiale e micidiale potenza. Io
mi trovavo in quel momento poco lontano da lui, con le
spalle voltate. Mi girai di scatto e vidi con raccapriccio
mio padre tutto coperto di sangue. Una parte della sua
mascella, con attaccati alcuni denti, ciondolava quasi
staccata dal viso. Pensavo che fosse ormai morto, così
come credo lo stavano pensando tutti gli altri. Giuma, un nostro
operaio libico, che mi voleva bene come un fratello,
mi si avvicinò amorosamente per nascondermi quella
brutta visione. Pensavo che fosse soltanto un brutto in-
cubo e che presto mi sarei risvegliato. In quel momento
mi resi conto di quanto volessi bene a mio padre.
- Papà, ti prego, non morire - mi ripetevo - papà non morire-, come
un mantra. Quasi al rallentatore vedevo gente
muoversi, sentivo giungermi delle voci ovattate, qualcuno
diceva che mio padre era ancora vivo. Non sembrava
possibile perché, non solo il suo viso ma, mi ero
accorto, anche le sue gambe avevano subito gravissimi
danni. Il caso era davvero disperato. Sentii il suono di
una ambulanza che qualcuno aveva già chiamato. La vidi
subito sfrecciare all'uscita. Seppi che l'avevano trasportato
in un ospedale cittadino, quello che stava nei
pressi di via Ippolito Nievo. Lì ebbe la fortuna di trovare
un'esperta equipe di chirurghi serbi che urgentemente
l'operarono e lo ricucirono con maestria.
Grazie alla sua forte fibra e al suo indomabile carattere,
riuscì miracolosamente a sopravvivere, ma solo dopo va-
ri anni fu in grado di recuperare quasi tutte le sue funzioni
corporali. Il Signore ci aveva aiutato.
Hai avuto modo di ripensare ai tuoi conflitti.
Domenico ti giuro che, quando penso a mio padre, ho ancora un grande
rammarico dentro di me. So di averlo fat-
to soffrire molto per colpa di quella mia indole ribelle. Il
motivo, te lo ripeto, era che ambedue avevamo lo stesso
carattere, io sono stato ancora più testardo di quanto lui lo fosse
stato con suo padre. Ero sfrontato e ribelle.
Nelle mie pagelle di scuola non credo di aver mai supe-
rato l'otto in condotta.
Insubordinato, refrattario alla disciplina, quindi.
Ne ho commesse tante di stramberie o di 'frugonate', al-
cune non me le ricordo più, altre invece non me le posso
proprio dimenticare. Forse per
psicanalizzarmi ci dovrei scrivere
un libro sopra. Sai che ho
frequentato l'Istituto dei Fratelli
delle Scuole Cristiane dal-
la prima Elementare fino alla
seconda Media.
Ti racconto un episodio avvenuto
nel 1955, quando avevo 10 anni
ed ero in V elementare,
con Fratel Amedeo. Avevo uno zio materno, Turi
Pavone
detto u' sciancato (lo zoppo), per una
leggera deformazione alla gamba destra. Lo zio Turi che
amava parlare in dialetto siciliano, mi aveva insegnato
una poesia:
"U zo Monaco e a za Monaca
se ne ghiero a cuogghiere i patacche
nello filu ra a mezzanotti.
Ci sparao u trikke e trakke.
A za Monaca intruppacchiò
e ù zu Monaco
¼"
il tutto seguito da un doppio fischio e da un gesto con la
mano a stantuffo.
(Traduzione: "La zia Monaca e lo zio
Monaco se ne andavano
a raccogliere le patate verso
mezzanotte. Ci furono giochi d'artificio. La zia Monaca inciampò e
lo zio Monaco
¼").
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Zio Turi Pavone |
Un giorno Fratel Amedeo ci chiese di recitare una poesia
a piacere. Io da bravo birbante, senza pensarci due
volte, scattai in piedi e con la mano alzata chiesi insistentemente
di poter recitare una poesia. Cosa pensi che
volessi recitare?
Naturalmente proprio quella che mi
aveva insegnato mio zio. Era
corta, facile da ricordare e
poi a me piaceva perché mi
sembrava molto spiritosa.
Fratel Amedeo
(Foto 22)
, piemontese doc, stette ad ascoltarmi
dapprima perplesso. All'inizio sembrò capire poco
quelle parole che per
lui avevano solo uno strano suono, ma dopo il doppio fischio ed il
gesto a stantuffo della mano, seguito
dai sollazzi e dalle risa della
scolaresca, si rese conto
che stava perdendo il controllo
della classe, e intervenne
con irruenza per bloccare
lo schiamazzo. Come un Giove tuonante,
venne di corsa verso il mio
banco e, prendendomi per
l'orecchio, mi trascinò in
Direzione.
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Fratel Amedeo |
Anch'io ho avuto Fratel Amedeo in quinta elementare.
Allora ti ricorderai come faceva quando andava in collera.
Cominciava ad agitare su e giù nervosamente la gamba destra, poi
scandendo le parole sibilava a labbra strette,
"disgraziatissimo individuo", ed infine ti faceva sentireun
verme, fulminandoti con quei suoi pungenti occhi
d'aquila. Francamente mi facevano meno male gli scappellotti
di Fratel Arnaldo.
In seguito a quell'episodio mio
padre venne convocato d'urgenza
dalla Direzione. Alla presenza
dell'allora Direttore Fr. Avventore, di Fr. Amedeo e
di mio padre, ricevetti da tutti
e tre ulteriori rimbrotti, ma
mostrandomi pentito per quel-
lo che avevo commesso
venni perdonato. Questo episodio è
solo una delle tante 'frugonate'
che ho combinato.
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Fratel Arnaldo |
E nella Media?
Continuai a commetterne di tutti i colori.
Avevamo preso di mira il nostro professore di lingua araba,
Padre Gerardo Dall'Arche, francescano che, come tutti i francescani
indossava un saio, con un cappuccio ed un cordone
intorno alla vita. In classe avevo l'abitudine di stare
seduto negli ultimi banchi perché questo mi dava la
possibilità di nascondermi e chiacchierare, senza essere
visto dagli insegnanti. Padre Dall'Arche, che mi conosceva
bene, ogni volta che entrava in classe mi ordinava
di andare a sedermi nei primi banchi, per tenermi sotto controllo.
Naturalmente la cosa mi dava molto fastidio,
così mi inventavo qualcosa per prendermi gioco di lui.
Una volta gli riempii il cappuccio di gessetti e non se accorse
se non quando qualcuno glielo fece notare fuori
dalla classe. Un'altra volta gli tagliai il cordone con una
lametta, ma questa volta mi andò male perché se ne accorse
e fui punito.
Molti episodi ormai li ho dimenticati. Ne ricordo uno.
Un pomeriggio, finito il doposcuola, dovevamo andare al
Teatrino per assistere alla proiezione di un film. Io e un
mio compagno, arrivammo in ritardo. Il fratello di guardia
all'ingresso ci bloccò e ci disse che ormai era troppo
tardi per entrare. Indispettiti, ci mettemmo a gironzolare
con le nostre biciclette all'esterno dell'Istituto. In una
viuzza sterrata raccogliemmo alcune pietre e le mettemmo nel cesto
della mia bicicletta. Poi ci avvicinammo all'ingresso
principale dell'Istituto in Sciara Afgani e cominciammo
a scagliarle contro le finestre. Non so se ci
hanno beccati. Non credo, visto che non me lo ricordo.
Poi sei stato espulso dalla scuola.
Nell'anno scolastico 1957-1958, quando frequentavo la
seconda Media. Quella volta l'ho fatta davvero grossa.
Eravamo quasi alla fine dell'anno scolastico e sono stato
espulso dalla classe perché disattento. Eravamo a
metà Giugno e cominciava a fare
tanto caldo, così nel locale
dei bagni con un compagno ci mettiamo a giocare
con l'acqua, spruzzandoci a vicenda. Nel mezzo del pavimento
c'era il pozzetto di scarico dell'acqua: tappiamo
la griglia. In poco meno di un quarto d'ora tutto è allagato.
L'acqua va nel corridoio, giunge alle scale, poi lentamente
comincia a scendere giù a pian terreno.
Quella volta non fui perdonato, ci fu il cartellino rosso, venni
espulso e poi bocciato per cattiva condotta.
Con quali conseguenze?
Mio padre ne fu molto addolorato, si rendeva conto che in quella
maniera stavo rovinando la mia vita e che sta-
vo ripetendo i suoi stessi errori.
Pensò di porre rimedio a quella incresciosa situazione
mandando me e mio fratello maggiore, Sergio, in Italia,
in Istituto-Collegio Filippin di Paderno del Grappa,
(sempre dai Fratelli!) rinomato per la bravura dei suoi
insegnanti e per la ferrea disciplina. Io dovevo innanzi
tutto migliorare la mia condotta, mentre Sergio doveva
ottimizzare i suoi voti. A Paderno mi trovai subito a mio
agio, perché oltre a studiare con profitto ed ottenere buoni
voti, mi era consentito esercitare diverse attività sportive.
Avevo finalmente trovato la mia scuola ideale:
mens sana in corpore sano!
Mio fratello Sergio, che è sempre stato più riservato di
me, non riuscì ad ambientarsi. Così cominciarono anche
i miei guai. Per aiutare Sergio mio padre decise di mandarlo
a
Modica.,
dove viveva nostro zio, Giuseppe Cartia.
Io invece non ne volevo proprio sapere di andare a Mo-
dica, stavo bene al Filippin. Grande fu il mio disappunto
quando fui costretto da mio padre a lasciare Paderno.
Purtroppo anche in quella occasione combinai un'altra
delle mie 'frugonate'. Non ricordo perché, ma mi trovai
con un mio amico libico Yassin Mabruk, un Exlali, in un
Collegio di Palermo, di cui non ricordo neppure il nome.
Ero così indispettito con mio padre per questo forzato
cambiamento che per ripicca mi misi a marinare la scuola
e a bighellonare per la città. In un trimestre avrò frequentato
le lezioni un paio di settimane.
Alla fine del trimestre mio padre fu informato delle mie
assenze. Gli dissi chiaro e tondo che quella scuola non
mi piaceva affatto e che non avevo nessuna voglia di frequentarla.
Così mi fece ritornare a Tripoli.
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Zio Giuseppe Cartia |
E Sergio?
Sergio riuscì a conseguire il diploma di geometra a Mo-
dica. Io e lui siamo nati con due caratteri diversi. Tranquillo
e introverso lui, irrequieto ed estroverso io. La sua
indole è simile a quella bonaria ed indulgente di nostro
zio paterno Battista, quello che ha lavorato nello Studio
di nonno Oreste come disegnatore. Invece io ho ereditato
il carattere aggressivo e sanguigno di mio padre e di mio nonno.
L'unica cosa che accomuna me e Sergio è
che anche lui ha sposato una ragazza inglese, Vanessa
Punton, dalla quale ha avuto tre bellissimi figli, Marco,
Luca e Kim.
Mio fratello entrò subito a lavorare nel Comune di Mo-
dica, dapprima come semplice geometra dell'Ufficio Urbanistico,
poi diventò responsabile, fino a raggiungere il
grado di funzionario. Sergio si è distinto nel suo lavoro
per essere stato autore di vari progetti edilizi in questa
zona. A Marina di Modica ha creato il progetto di un va-
sto piazzale con un bel lungomare, che mi fa ricordare
quello della nostra
Tripoli. Poi ha portato a termine
l'ampliamento della strada
panoramica di Modica, quel-
la che sovrasta il paese e da
cui si può ammirare una vi-
sta mozzafiato. Grazie alle
ampie piazzole di sosta, che lui ha fatto costruire, ora è
possibile parcheggiare la
macchina e fermarsi a fare un picnic o a scattare foto
della magnifica vista sul mare.
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Vanessa e Sergio Frugoni |
Kim, Marco e Luca Frugoni |
E tu come te la sei cavata?
Io, come già sai, sono stato assunto dalle Poste Italiane.
Mentre lavoravo mi sono rimesso a studiare ed alla fine sono
riuscito a conseguire un diploma di geometra, con
un bel 54/60. Ora sono anch'io in pensione.
Non mi lamento, sono abbastanza impegnato. Coltivo un piccolo
terreno, nella proprietà di Sergio.
Io l'ho prima dissodato a regola d'arte e poi ci ho ricavato
un piccolo orto, dove passo il tempo a coltivare pomodori,
fagiolini, carote, finocchi, bietola ed anche cocomeri.
Cocomeri strepitosi, dolci come il miele. Ho an-
che alberi di limoni di un tipo speciale con cui preparo
uno squisito limoncello.
E poi ho i miei cani, Gipsy e Gemma
(Foto 28).
Li adoro
come se fossero figli miei. Li ho tirati fuori da un canile
qui vicino prima di essere soppressi. Mi tengono compa-
gnia, gioco con loro, sono un vero spasso. Li porto due
volte al giorno sulla spiaggia per la passeggiata, che fa
bene anche a me. Gemma mi fa proprio impazzire, per-
ché dal canile si è portata dietro l'abitudine di mangiare la merda.
Mi tocca spesso sgridarla: "Gemma vieni qui!
Non mangiare merda!", ma è più forte di lei. Poveretta! Chissà come
è stata trattata quando stava al canile, così
di tanto in tanto mi tocca tenerla
al guinzaglio ...
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Gli alberi di limone |
Gemma e Gipsy |
La barca |
E poi ho la barca: con il
mare a cento metri! La uso
per pescare. Se vedo che il
meteo prevede bonaccia, la
sera prima preparo le lenze.
Mi alzo appena comincia ad
albeggiare e con il carrello
spingo la barca in mare.
Generalmente faccio traina,
ma anche bolentino. Certo in questo
mare non c'è l'abbondanza
di pesce come a Tripoli
Eh Domenico, te lo
ricordi che mare? Certe cernie di
scoglio che prendevamo con
Angelino Furgeri, al settimo
chilometro. Comunque non mi
lamento, anche qui riesco
lo stesso a tirare su occhiate,
aguglie, saraghi.
Finisce qui la mia conversazione con Luciano
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Marco Frugoni |
Nella ricerca iconografica mi è stato di aiuto Massimiliano,
pronipote dell'Architetto Oreste, al quale mi aveva
indirizzato Luciano. Dialogando con lui ho fatto una scoperta
degna di Mendel: esiste Marco Frugoni.Figlio
di Sergio e di Vanessa, porta un nome moderno:
"Marco", uno di quelli alla moda, sempre di un gran San-
to, ma sottratto alla antica tradizione che consegnava ai
discendenti un carico di memoria nello stile della continuità
della stirpe attraverso nome e cognome.
La quale 'tradizione', tradita ma non spezzata, si riautentica
attraverso il DNA, perché
Marco sembra la reincarnazione
del bisnonno: sorprendenti
capacità e carattere ribelle, ha abbando-
nato gli studi nel penultimo
anno dell'Istituto
Tecnico per Geometri di Modica.
Volontario nella Marina
Militare, grazie alle sue capacità
manuali gli è stata affidata la
mansione di motorista.
Lasciata la Marina se ne
è andato in Inghilterra
per approfondire la sua conoscenza
della lingua inglese. Per sbarcare il lunario si è
messo anche a vendere tappeti
persiani. Fortuitamente
(un po' come è successo al bisnonno architetto, ingaggiato dal
Governo Francese) è entrato a lavorare presso
uno Studio londinese di
progettazione edile, dove
ha imparato a costruire plastici archi-
tettonici per la presentazione
di opere edili- zie, progetti urbanistici privati e pubblici.
È ritornato in Italia ed ha cominciato a la-
vorare nello studio romano del famoso Architetto
Massimiliano Fuksas,
con cui ha partecipato ad un
concorso del Palazzo dei Congressi dell'EUR a Roma, aggiudicandosi
il 1° premio per la realizzazione di un
progetto con tecnologie
d'avanguardia de-
nominato "la Nuvola", infatti la struttura verrà realizzata
in materiale traslucido, ac-
ciaio e teflon
(Foto 30).
Tornato in Inghilterra
ha collaborato con il
designer
Ron Arad,,
presso la Millennium Models e sotto la guida dell'arch. Richard Rogers
ha realizzato
i plastici per il progetto "The Millennium
Dome"
di Londra
(Foto 31).
più severa competizione mondiale,
e Parigi, Firenze, Venezia ... Complimenti e auguri a Marco.
Il bisnonno Oreste
sorride sotto i grandi baffi.
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La Nuvola all'EUR - Roma |
The Millenium Dome a Londra |
Una delle sue vetrine |
La stirpe Frugoni promette altri sviluppi perché, come
appare dalla foto sottostante, è un vivaio incontenibile di
vita, di giovani rampolli, nel contesto di una invecchiata
società italiana egoista.
solcata da profonde rughe. È un uomo appagato, in una famiglia
esuberante d’infanzia, come ogni italiano stravede per i nipoti, li
adora ed è riamato. La concordia circola in tutta la famiglia.
Ripensa: "... è triste la guerra tra padre e figlio".
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Il gruppo familiare Frugoni al
gran completo. Da sx in alto:
Maria (moglie di Maurizio) con la piccola
Valentina, Maurizio, Luca, Luciano, Marco, Chiara,
Vanessa, Massimiliano (figlio di Chiara).
Da sx in basso: Adriano, Nonna Elena, Kim, Nonno
Oreste, Alessandra, Sergio e Samanta (figlia di
Chiara). Julian (figlio di Luciano) è assente
perchè scattava la foto. |
Julian Frugoni |
...e la saga dei Frugoni continua…..