A – Premessa storica sulla
colonizzazione agraria della Libia
fino al 1938
All’inizio del XX secolo le
condizioni dell’agricoltura nelle
regioni dell’Africa Settentrionale
che oggi costituiscono la Libia, ma
che allora facevano ancora parte
dell’Impero Ottomano, e cioè le
regioni del Barqa (Cirenaica) e
della Tripolitania (vilayet di
Tripoli), erano, a detta di tutti i
viaggiatori che le percorsero, in un
generale stato di abbandono e di
desolazione e certamente peggiore di
come dovevano essere nell’antichità
classica, come attestano le
testimonianze storiche e le vestigia
greche e romane tuttora visibili
lungo la fascia costiera
mediterranea di tali regioni.
La colonizzazione italiana di quei
territori ha inizio, sia pure in
forma molto modesta, ancor prima
della nostra conquista militare e
precisamente tra il 1907 ed il 1911,
per opera del Banco di Roma,
che in quegli anni vi opera la
cosiddetta “penetrazione pacifica”.
La politica agraria italiana in
Libia può, invece, iniziare soltanto
a partire dal 1914 con il primo D.R.,
n. 726 e con l’apertura dell’Ufficio
Agrario di Sidi Mesri (Tripoli) ed
il conseguente primo indemaniamento
di terreni, la loro lottizzazione e
concessione ad agricoltori italiani.
Bisogna però aspettare fino al 1922
per la costituzione di un vero e
proprio Ufficio di colonizzazione
agricola in Tripolitania. Fino a
quell’anno le vicende militari e
politiche nelle due colonie,
connesse alla resistenza libica alla
occupazione italiana, ne avevano
ritardato l’apertura.
Un notevole impulso alla
colonizzazione agricola lo diede il
governatore della Tripolitania,
Giuseppe Volpi, con il D.G.
dell’8/7/1922, che disponeva
l’accertamento e la delimitazione
delle terre demaniali della Gefarah.
Quella valorizzazione dei terreni
agricoli era basata sul concetto
della colonizzazione privata, con
capitale italiano e manodopera
locale.
Emilio De Bono, succeduto a
Volpi nella carica di governatore
della Tripolitania, intensificò la
politica di colonizzazione favorendo
il trasferimento di un ragguardevole
numero di agricoltori italiani dalla
Tunisia.
La cosiddetta colonizzazione
demografica fu avviata a cominciare
dal 1928 con la legge n.1695 del
7/6/1928. Con essa lo Stato si
assumeva l’onere della costruzione
delle opere pubbliche necessarie
alla colonizzazione. In quell’anno
il governo della Tripolitania fu
assunto da Pietro Badoglio,
sotto il quale l’anno successivo fu
operata l’unificazione
amministrativa della Tripolitania e
della Cirenaica.
Un ulteriore impulso alla
colonizzazione agraria si ebbe a
partire dal 1932, quando, con il
R.D.L. 11/6/1932, venne creato l’E.C.C.,
il cui scopo era l’avvaloramento dei
terreni agricoli mediante la
creazione di poderi in cui immettere
famiglie coloniche italiane e
costituire piccole proprietà
coltivatrici. In Tripolitania fu
avviato, negli anni Trenta, anche un
interessante esperimento con la
costituzione dell’A.T.I. per
la coltivazione del tabacco nel
Garian, a sud di Tripoli, affidata a
500 famiglie coloniche italiane.
Il 1° gennaio del 1934 il
Maresciallo dell’Aria Italo Balbo
sostituisce Badoglio come
Governatore delle due colonie
libiche, che alla fine di quello
stesso anno vengono completamente
unificate nella colonia Libia. E da
quel momento la colonizzazione
subisce un’ulteriore accelerazione.
Con il R.D. n. 896 del 3/4/1937
viene definita la legislazione
organica per i Musulmani della
Libia, che, fra l’altro, disciplina
l’assegnazione delle concessioni
agricole ai cittadini libici sia
Italiani che Musulmani. E,
finalmente, il R.D. n. 701 del
17/5/1938 dà la formulazione
giuridica alla “colonizzazione
demografica intensiva”, con cui lo
Stato si accolla tutti gli oneri
della bonifica e della
colonizzazione, nonché la esecuzione
di tutte le infrastrutture
necessarie come strade, acquedotti,
edifici, scuole, chiese, servizi
pubblici. E per far ciò si avvale di
due enti: l’E.C.L. (già
E.C.C.) e l’I.N.F.P.S. Il
risultato di questa nuova politica
fu che, ai 4 villaggi agricoli
esistenti alla fine del 1934, se ne
aggiunsero, tra il 1935 ed il 1939,
altri 23. (vedi il quadro completo
dei villaggi italiani e la carta de
“La quarta sponda”)
Da notare che il R.D. n. 896, sopra
citato, riconosceva ai cittadini
italiani musulmani la facoltà di
chiedere in concessine lotti di
terreni indemaniati fruendo dei
contributi dello Stato per il loro
avvaloramento agrario ed il
successivo trasferimento in loro
proprietà. Successivamente Balbo
estese ai Musulmani gli stessi
principi della colonizzazione
demografica intensiva adottata per i
metropolitani; di creare cioè anche
per i Musulmani dei villaggi
agricoli e, in attuazione di tali
principi, l’E.C.L. nel 1939 aveva
avviato due villaggi agricoli in
Tripolitania: Nahamura (fiorente) a
Zavia (Tripoli)
Naìma
(deliziosa) a Misurata
E sei in Cirenaica: Zahra
(fiorita) a Derna
Al Fàger (alba) a Derna
Giadìda (nuova) a barce (Bengasi)
Nàhida (risorta) a Barce (Bengasi)
Mansura (vittoriosa) ad Apollonia
(Derna)
Chadra (verde) a Beda Littoria
(Derna)
B – I Ventimila
Come abbiamo visto, la
colonizzazione agricola italiana
della libia ebbe un crescendo di
intensità a partire pressappoco
dalla metà degli anni Venti, quando
si cominciò a parlare di
colonizzazione demografica, ma essa
subì un vero e proprio balzo con la
famosa migrazione dei “ventimila”
di Balbo. Claudio G. Segré
così la descrive nel suo libro
L’Italia in Libia, dall’età
giolittiana a Gheddafi
<<I ventimila furono uno dei momenti
spettacolari del fascismo,
importanti sia dal punto di vista
propagandistico sia da quello
pratico. Infatti l’emigrazione di
massa rappresentò qualcosa di più di
una dimostrazione bene organizzata
ma isolata. I ventimila furono il
primo passo del vasto programma di
Balbo per trasformare la Libia
politicamente, legalmente, ed
etnicamente, in una quarta sponda>>.
(vedi a pag. 23 del Diario di Cason)
Il programma prevedeva, nella sua
fase iniziale, l’immissione sul
territorio libico di 100.000 coloni
italiani nell’arco di 5 anni, a
partire dal 1938. L’obiettivo finale
di Balbo era portare a mezzo milione
l’insediamento di cittadini
metropolitani in Libia. Lo scopo era
di bilanciare il forte squilibrio
esistente con la popolazione libica
e di raggiungere entro il 1950 l’autosufficenza
alimentare mediante lo sviluppo di
un’agricoltura intensiva.
Questo ambizioso progetto, iniziato
il 28/10/1938 con il trasporto
dall’Italia sulla Quarta sponda di
ventimila coloni, proseguì l’anno
successivo con l’arrivo di altri
11.000 coloni, ma oramai stava per
scoppiare la 2^ G.M. , per cui
dovette essere completamente
abbandonato con l’entrata in guerra
dell’Italia il 10/6/1940 e la quasi
immediata fine di Balbo, vittima del
“fuoco amico” sul cielo di Tobruk.
I lavori per la realizzazione delle
infrastrutture necessarie a ricevere
i ventimila impiegarono circa 10.000
operai italiani ed oltre 20.000
lavoratori libici. E, mentre in
Libia si lavorava alacremente a ciò,
in Italia veniva costituito un
comitato col compito di reclutare i
coloni, posto sotto la supervisione
personale di Balbo. I coloni
dovevano portare con sé solamente
gli abiti, la biancheria per il
letto e per la tavola e gli utensili
di cucina. Tutto il resto lo
avrebbero trovato nelle fattorie che
li avrebbero ospitati in Libia.
Nel 1938 i coloni del Nord Italia
furono imbarcati a Genova su 9 navi,
quelli del Mezzogiorno a Napoli su 6
navi. A Tripoli arrivarono il 2
novembre e, dopo una sosta in quella
città per cerimonie e
festeggiamenti, il 4 novembre furono
diretti verso le loro nuove
residenze. I coloni destinati in
Cirenaica partirono su autocarri per
Bengasi, da dove il giorno dopo
furono distribuiti nelle loro
fattorie sul Gebel Akhdar.
Nel 1939 i coloni diretti in
Cirenaica furono trasportati
direttamente a Bengasi con le navi.
Uno dei principali problemi che i
coloni dovevano risolvere era
l’irrigazione dei terreni da
coltivare e, poiché le piogge in
Tripolitania sono scarse, essi
dovettero ricorrere alle acque
sotterranee mediante la perforazione
di pozzi fino alle falde freatiche e
persino a quelle artesiane, profonde
alcune centinaia di metri. Il
sistema di irrigazione dei 470
poderi irrigui della Tripolitania
era costituito da 700 chilometri di
canali e tubature. Ma vi erano anche
826 aziende semi-irrigue e 478
poderi a coltivazione cosiddetta
“seccagna”.
In Cirenaica la situazione idraulica
era meno grave, ma fu tuttavia
necessario progettare la costruzione
di un acquedotto di 190 chilometri
per trasportare l’acqua da una
sorgente nelle vicinanze di Derna
fino ai vari villaggi sparsi lungo
il Gebel. Allo scoppio della guerra
ne erano già stati costruiti circa
40 chilometri.
L’abitazione tipo dei coloni era
composta da 3 camere, una cucina, un
cortile intermedio e da un secondo
fabbricato comprendente: una stalla,
un magazzino, una tettoia per i
foraggi e gli attrezzi, un forno, il
gabinetto, il pollaio e il porcile.
I coloni dovevano sottoscrivere un
contratto o con l’I.N.F.P.S. o con
l’E.C.L.. Inizialmente i contratti
erano diversi da villaggio a
villaggio, poi, dall’inizio del
1940, tutti vennero unificati nel
contratto dell’E.C.L. Vedi al
riguardo il volume I contratti
agrari degli enti di colonizzazione
in Libia, di G.
Palloni, Sansoni, Firenze, 1945,
pp. 114 e seguenti.
Detto contratto stabiliva, oltre
alle condizioni per la consegna del
podere, gli obblighi del colono,
l’importo degli assegni mensili per
il fabbisogno della famiglia, ecc.,
rispettivamente nelle tre fasi:
iniziale, fase mezzadrile, fase di
riscatto (vedi pag. 279 del suddetto
volume). Il titolo definitivo di
proprietà era previsto che sarebbe
stato ricevuto dal colono a partire
dal 18° anno dall’inizio della
trasformazione fondiario-agraria del
podere. Il debito residuo verso
l’Ente doveva essere estinto
mediante un mutuo… (vedi pag. 280,
ibidem).
Le famiglie coloniche trapiantate in
Libia nel biennio 1938-1939 << erano
state selezionate in base a norme
precise, dettagliate e rigorose>>,
che riguardavano << oltre che il
numero dei componenti di ciascuna
famiglia… anche e soprattutto le
condizioni sanitarie di ogni
componente il nucleo familiare,
nonché la moralità e i suoi
precedenti militari, civili e
politici>> (vedi pag. 20 del volume
Bimbi libici).
Inoltre << Ogni centro avrà una
percentuale di contadini provenienti
dalle varie zone di reclutamento e
ciò per evitare gli agglomerati
regionali e favorire invece il
radicarsi dello spirito nazionale
tra italiani di qualsiasi
provenienza>>.
Il Notiziario Demografico
dell’ISTAT del 1940 ci dice che
nel 1938 le famiglie immigrate in
Libia furono 1775 con 14.633
componenti; nel 1939 le famiglie
furono 1453 con 10.802 componenti.
La dimensione media delle famiglie
era molto alta: 8,2 componenti nel
’38 e 7,4 nel ’39.
All’inizio del 1940 la forza
numerica della popolazione agricola
italiana residente in Libia
ammontava a 38.933 individui,
appartenenti a 6166 famiglie, con
una media, quindi, di 6,33
componenti per nucleo familiare. Da
ciò si desume che nel 1940 vi erano
in Libia circa 25.000 figli di
coloni e che la popolazione agricola
italiana rappresentava circa il 30%
dell’intera popolazione italiana
residente in Libia, la quale,
all’inizio del 1940, ammontava ad
oltre 110.000 individui, che alla
fine di quello stesso anno
oltrepassavano i 120.000.
Riguardo ai costi di tale
operazione, dal già citato volume di
C. G. Segré si apprende che (vedi a
pag. 27 e 28 di Cason): Soltanto
per i 1800 poderi dei ventimila, il
costo, comprendente le opere
infrastrutturali, fu valutato
complessivamente in 20 milioni di
dollari americani anteguerra. Gli
esperti stimarono il costo medio di
sviluppo delle aziende in Cirenaica
in circa 10.000 lire l’ettaro e
valutarono che ogni podere sarebbe
costato almeno 190.000 lire.
L’importo totale degli investimenti
fatti dall’Italia in Libia per lo
sviluppo delle infrastrutture
ammontava a 1,8 miliardi di lire
dell’epoca, i 2/3 dei quali furono
assorbiti dai progetti legati
all’agricoltura. Gli investimenti
totali fatti dall’Italia ( il 75%
dallo Stato e il 25% dai privati)
nell’agricoltura libica nei circa 30
anni di colonizzazione italiana si
aggirano su 1,3 miliardi di lire
anteguerra.
C – Guerra e dopoguerra
(1940-1970)
La guerra impedì di verificare le
previsioni italiane e la bontà o
meno dei programmi di colonizzazione
agraria. Essa infatti pose fine,
bruscamente, allo sviluppo della
Quarta sponda. In Cirenaica le opere
di colonizzazione andarono in buona
parte distrutte e i coloni furono
costretti ad abbandonare i poderi
che stavano valorizzando. In
Tripolitania, invece, la
colonizzazione sopravvisse in buona
parte all’urto della guerra.
Nel 1946 la popolazione italiana in
Tripolitania assommava ancora a poco
meno di 50.000 persone, e quella
dedita all’agricoltura a circa
16.000 persone, le quali mandavano
avanti circa l’80% delle fattorie in
funzione nel 1939. E, nonostante i
danni diretti e soprattutto
indiretti causati dagli eventi
bellici all’agricoltura, la
colonizzazione agricola ebbe un
ulteriore sviluppo, in particolare
in alcuni villaggi come Garibaldi
e Oliveti, che nel corso
degli anni Quaranta raddoppiarono la
produzione (vedi Segré, pag. 199 e
il Diario di Cason).
Tra il 1943 ed il 1947 rientrarono
in Libia 17.000 Italiani. Ma, a
partire dal 1949, quando l’Assemblea
dell’ONU votò a favore
dell’indipendenza della Libia, e,
soprattutto, dopo il 24/12/1951,
quando l’indipendenza del Regno
di Libia sotto il Re Idris
fu proclamata, la situazione degli
italiani si era fatta sempre più
difficile ed incerta.
I programmi degli enti di
colonizzazione prevedevano che gli
stessi si concludessero entro il
febbraio 1960, ma questo termine fu
anticipato di un anno (l’anno in cui
Cason lascia la Libia e, come lui,
numerosi altri coloni ne
approfittarono). All’inizio degli
anni Sessanta i restanti coloni
italiani furono posti di fronte alla
drammatica alternativa: o diventare
cittadini libici o vendere i loro
poderi prima del 1962. Ciò,
nonostante che la firma
dell’accordo bilaterale del
1956 tra Italia e Libia
prevedesse il riconoscimento da
parte libica dei diritti di tutte le
proprietà fondiarie degli Italiani
acquisite legalmente, in cambio del
versamento alla Libia di una somma,
a titolo di risarcimento, dei danni
di guerra e della cessione di tutti
i nostri beni demaniali.
La conseguenza di questo stato di
cose fu che, verso la fine del 1961,
il 70% circa dei poderi italiani
furono venduti ai libici e che nel
1964 restavano ancora in Libia
soltanto 120 famiglie coloniche
italiane.
Per quelle famiglie e per tutti i
circa 14.000 Italiani ancora
residenti in Libia, il colpo di
grazia fu dato dal colpo di Stato
dell’1/9/1969, che portò al
potere il Colonnello e alla loro
espulsione entro il mese di luglio
del 1970.
D – I bimbi libici
Nell’Appendice n. 3 del diario di
Cason (a pag. 98) sono elencati i
luoghi e le date dei trasferimenti
nelle colonie della GIL in Italia
delle sue figlie Giustina, Annamaria
e Agnese. Esse rimasero separate
dalla famiglia per lunghissimi
sette anni (dal 2/6/1940 al
20/6/1947). Soltanto Corona, la più
giovane, rimase in Libia con i
genitori.
La storia di questo drammatico
episodio della 2^ G.M. inizia tra il
3 el’11 giugno del 1940, quando
salpano dai porti della Libia le
navi Augustus, Neptunia, Saturnia,
Duilio, Virgilio, Giulio Cesare,
Marco Polo, Italia, le stesse navi
che avevano portato in Libia i
Ventimila. Esse trasportavano in
Italia oltre 12.000 bambini e
bambine, di età compresa tra i 3 e i
15 anni, appartenenti a famiglie
italiane residenti in Libia, scelti
soprattutto tra quelle dei coloni.
La loro storia, ricavata soprattutto
dall’insieme delle storie di molti
di quei giovanetti, che oggi sono
indicati come “I ragazzi della
Quarta sponda” è riportata nel
volume I bimbi libici, Ed. La
vita Felice, Milano, 2007
Elenco delle diapositive
1 – Balbo consegna diplomi
della speciale cittadinanza italiana
agli Arabi a Tripoli e a Bengasi
2 – Elenco dei villaggi agricoli
italiani
3 – Balbo consegna le chiavi delle
case ai coloni Arabi
4 – Progetto vill. OBERDAN (Bengasi)
con la chiesa di S. Giuseppe
5 – Progetto di OLIVETI (Tripoli)
con la chiesa di S. G. Battista
6 – Progetto di D’ANNUNZIO (Bengasi)
con la chiesa di S. Francesco
D’Assisi
7 – Rilievi topografici nel vill.
D’ANNUNZIO
8 – Lo sbarco a Tripoli dei coloni
nel 1938
9 – Balbo saluta i coloni in
partenza per CRISPI (Misurata)
9bis- Coloni in partenza per
Garabulli (Misurata)
10- Coloni in partenza per SAURO (Bengasi)
11- Lo sbarco a Bengasi dei coloni
nel 1939
12- Idem
13- Vasca di raccolta dell’acqua di
pozzo artesiano a GIODA (Misurata)
14- Vasca di raccolta dell’acqua di
pozzo artesiano a CRISPI (Misurata)
15- Disboscamento con ruspa in un
villaggio della Cirenaica
16- Costruzione della strada che
conduce a OBERDAN (Bengasi)
17- Aratro per dissodare il terreno
in un villaggio dell’ECL in
Cirenaica
18- Villaggio BIANCHI (Tripoli)
19- Case coloniche a MADDALENA (Bengasi)
20- Vista del terreno su cui sta
sorgendo OLIVETI, con alcune case
coloniche
21- Villaggio BREVIGLIERI (Tripoli)
22- La chiesa del S. Cuore di Gesù a
MADDALENA (Bengasi)
23- La chiesa della Madonna del
Carmine a BIANCHI (Tripoli)
24- Monumento nel villaggio
BREVIGLIERI (Tripoli)
25- La chiesa di S. Antonio di
Padova a BATTISTI (Derna)
26- Lavoro nei campi di contadini
libici
27- Podere di BREVIGLIERI (Tripoli)
28- “Sagra dell’uva” a GIORDANI
(Tripoli) nel 1949
29- Mietitura del grano a GIORDANI
30- “Festa del grano” nella piazza
di GIORDANI
31- Raccolta delle arachidi a
GIORDANI
32- Arachidi stese al sole ad
asciugare
33- Rappresentazione dell’operetta
“Addio giovinezza” a SABRATHA nel
1949
34- Piazza del mercato di BIANCHI
nel 1953
35- Gazzetta Ufficiale della
Repubblica Italiana (vedi)
36- Il giornale di Tripoli che
comunica la confisca dei beni
immobiliari degli Italiani in Libia