La
morte di Lucio Magri
di
Tonino Virone
Ho seguito con rispetto e
commozione tutto quanto si è fin qui scritto sul suicidio assistito di
Lucio Magri , soprattutto su la Repubblica . E’
una grave perdita la scomparsa di Magri. Culturale e umana . E penso
una grave sconfitta per tutti noi. Culturale e umana. E mi è arrivato
infine su Stamp Toscana il bell’articolo dell’amico Severino Saccardi
sull’argomento. Questo mi ha stimolato a dire ancora qualcosa anch’io.
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Lucio Magri |
Mi trovo d’accordo con i pezzi di
Vito Mancuso, Adriano
Sofri e
Severino Saccardi che aprono ciascuno da un particolare
angolo prospettico alcune
crepe, interrogativi, dubbi sul pensiero
dominante e
politically
correct che
alla fine, dopo varie considerazioni di pietas e sul percorso di dolore
e di delusione dell’autore de Il
sarto di Ulm, conclude inevitabilmente all’incirca così : “comunque è stata una sua
libera scelta, e non
ci si può fare niente, è andata così e va rispettata” . Anche se spunta
qua e là un “ogni tanto glielo dicevamo dai, reagisci …” e ancora viene
fuori anche in coda , piccolo piccolo, qualche “quello che non mi
perdono è di non avere fatto abbastanza per fermarlo , ma pazienza, è
andata così…E d’altronde era anche narcisista, algido, ostinato ”.
Mi trovo d’accordo con tutte le
crepe aperte dai suddetti articoli. su
questa autodefinentesi accettazione laica e stoica . E allora, mi si
può chiedere, perché intervieni anche tu?
Perché c’è qualcosa di residuale
che a distanza di cinque giorni da questa notizia
continua a disturbarmi , a turbarmi, un
serie di immagini , nella narrazione di
questa particolarissima “cronaca di una morte annunciata” (
ben diversa da quella di
Garcia Marquez); immagini che non se ne vanno, che spingono a forza nel chiedere vari perché, a
tirare per la giacca la coscienza e la scienza.
Rileggiamo
bene dalla bella penna di
Simonetta Fiori su la Repubblica nell’articolo-annuncio di
mercoledì 29 novembre: “ A casa di Lucio Magri , in attesa della
telefonata decisiva. E’ tutto in ordine in Piazza del Grillo …niente
sembra fuori posto…In cucina Lalla, la cameriera sudamericana, prepara
il Martini con cura, il bicchiere giusto, quello a cono, con la scorza
di limone. Cosa stiamo aspettando? Che qualcuno telefoni, e ci dica che
Lucio non c’è più” “…Da quella casa Magri s’ è mosso venerdì sera
diretto in Svizzera” . Prima : “…Il lunedì mattina appare sereno ,
lucido, determinato. Ha scelto, e dunque il più è fatto”…( “ha scelto, dunque il più è fatto… “
Aspettando l’ultima telefonata, a casa Magri. Lalla, la cameriera , va
a fare la spesa per il pranzo, vi fermate vero a colazione ?
E’ affettuosa , Lalla,
ha ricevuto tutte le ultime disposizioni dal padrone di casa. No, non
ha bisogno di soldi, ci sono quelli che lui le ha lasciato”…. “Poi la telefonata… Ora è davvero finita”.
Rileggo : “ Lunedì ha scelto e dunque il più
è fatto”. “Da quella casa Magri
s’è mosso venerdì sera” Quattro
giorni … Qualcuno è corso da lui, in questi quattro giorni, che è
successo, è questo un crinale dove si infrange la cultura del grande solidarismo della
sinistra storica, del mutuo soccorso ? E
gli amici ? E la
figlia ?
Eppoi
rileggo della casa dove “tutto è in ordine…Lalla prepara con cura i
Martini…Vi fermate vero per colazione?” . In attesa della partita.
Non lo so, ma mi vengono in mente
le immagini di ”Lettera aperta a un giornale della sera”, quegli
intellettuali di sinistra descritti dal grande Citto
Maselli, oltre quarant’anni fa. , in un’impasse un po’ onanistica, un po’
impotente. 
Francesco (Citto) Maselli
Eppoi
mi viene in mente l’immagine di
Vincenzo Muccioli, controverso personaggio, per alcuni
sulfureo, ma che quando uno dei suoi ospiti a San Patrignano aveva
voglia di farla finita, in preda alla scimmia autodistruttiva della
tossicomania, comunque se lo prendeva tra le braccia e stava così con
lui tutta la notte , lottando con tutti i suoi sconquassi, facendosi
sconquassare, un contatto feroce, fisico. Fisico..”. Qualcuno ha
toccato Magri ? C’è chi
l’ha preso forte tra le braccia? Che ha lottato visceralmente col corpo
e con l’anima con i suoi sconquassi? Le parole non contano niente,
conta il contatto, l’empatia, il soffrire con, il rischiare di morire
con , ma per tentare( almeno tentare) , di riemergere dal gorgo assieme
, fino in fondo. Fino a fondo , se è il caso.… 
Vincenzo Muccioli
Sono il giorno dopo , mercoledì
sera, a casa del
mio amico Paolo Vannini , filosofo, animatore e critico letterario,un
laico totale , tradizionale sodale e lettore costante del Manifesto, sempre molto misurato nel
pensiero e nel linguaggio ; e mi sorprende Paolo, non
l’avevo sentito mai così accalorato, nell’esternazione impetuosa ,
accorata con cui
commenta la morte di Magri : “ io sbaglierò, forse non sarei corretto,
ma , se fosse stato un mio amico, se avessi avuto la possibilità di
quattro giorni, lo avrei fermato, anche a costo di legarlo con solide
funi”.
E penso anche a quell’altro mio
amico , Nino: di
fronte a un collega , il quale - prima tradito dalla moglie, poi
messo fuori di casa per separazione
imposta, perso l’affidamento congiunto dei figli, con tutti i suoi beni
aggrediti ,compresa l'auto- voleva uccidersi in ogni modo. Nino non lo lasciava un
istante , lo portava sempre con sé, anche in famiglia, a pranzo, a
cena, con quello dapprima catatonico, poi un po’ più attivo, e così per
un anno intero, finché non uscì fuori dal tunnel.
Rileggo la cronaca di questa
“cerimonia degli addii”. Rivedo i passaggi, tutto ordinato, tutto
perfetto, tutto corretto, ragionevole, civile, tutto sinceramente
agghiacciante. Ma dove siamo arrivati? Come ci siamo arrivati? Cosa ci
sta succedendo ? Si parla di atteggiamento stoico, di rito nobile … Ma
anche qui se penso allo stoicismo, penso al Sisifo di Camus, che
continua a portare coraggiosamente, caparbiamente il suo masso in cima
alla montagna ,ben consapevole che esso rotolerà inevitabilmente giù. O
forse si vuole alludere allo stoicismo di
Petronio Arbitro o di
Seneca nel darsi una morte consapevole? 
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| Petronio Arbitro | Seneca |
Ma
lì c’era l’opposizione antagonista al tiranno Nerone, lì c’era la
presenza del dipartente , c’era , almeno in Petronio, un lungo, dolce
addio nel calore della propria casa, della propria calda vasca , dei
proprio cari… Ma i riti , le cerimonie hanno senso e significato
all’interno delle culture di cui sono elementi di un insieme
strutturato e coerente, e
in mezzo ci sono stati due millenni di cristianesimo, le sue idee di
libertà, fraternità ed eguaglianza hanno acceso le grandi rivoluzioni e
i grandi movimenti dell’Ottocento e Novecento del genere umano, hanno
alimentato la marcia dei diritti umani , hanno sviluppato la pietas,la
caritas, la responsabilità perenne verso l’altro, il mutuo soccorso, la
solidarietà, lo I care.. E questo
fa la differenza con chi fa paragoni e identificazioni con una cultura
e un’antropologia classiche completamente altre, una storia altra, che,
o si vive nella sua tragedia d’allora, o si entra nella
farsa dell’ oggi. Lo stesso con il Harakiri ,
Samurai e Mishima ,
altra cultura, altra storia..
Il
punto non è certo Lucio Magri, la sua fondata disperazione, i suoi
lutti continui , ideologici ed esistenziali, la sua ricerca di un
commiato dignitoso. Come sentii
anche da
Ernesto Balducci, di fronte al suicidio non possiamo che fare
rispettoso silenzio, di fronte a un mistero insondabile, e non
moralmente giudicabile. 
Ernesto Balducci
Il punto sta che tale suicidio
era annunciato da tempo, l’ultima volta da giorni,
il punto sta negli “altri”, tutti, tutti
noi,nella nostra accettazione , politically correct, in nome dell’autodeterminazione
astratta , accompagnata da una sorta di fatalismo, e nel tirarsi
comunque fuori alla fine. E
si citano a sproposito i casi di Eluana
Englaro, di
Piergiorgio Welby, di Luca
Coscioni.
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Eluana Englaro |
Piergiorgio Welby |
Luca Coscioni |
Ma che c’azzeccano, per dirla con
Di Pietro , con il caso di Magri? Nel caso di Englaro, la povera
ragazza era ormai un vegetale da quasi vent’anni, nel
caso di Welby e Concioni, due
poveri corpi martoriati, paralizzati completamente, che imploravano ( e
per cui si implorava) una requie dignitosa. Chi ci dice che quelle telefonate agli
amici, quegli avvisi ripetuti, lungo quattro-cinque giorni, anzi più -
oltre ad assolvere da parte di Magri una nobile affettuosa attenzione
per le loro preoccupazioni - non recassero anche una tacita, disperata
inconscia richiesta di essere abbracciato, amato , curato col corpo e
con l’anima ? A molti tocca, il decidere
se vivere o morire , ogni giorno. Ma se questo è un mistero, non è
detto che esso non possa essere sondato, che ci si possa almeno provare
ad entrare nel bosco nero e angosciante. E non siamo, si badi bene, nel
territorio del fondamentalismo del Movimento per la vita, e nemmeno ai
“valori non negoziabili” di questo papato.
Semplicemente non pensiamo che si
debba arrivare ad un altro fondamentalismo pesudolaicista,
paragarantista, anzi soprattutto cerchiamo di utilizzare l’esercizio
della ragione e del diritto, e le armi della psicologia , della
psicoanalisi.
Ragione e diritto , e valutazione
della psiche, che , malgrado tutto, ispirano anche l’istituzione
svizzera predisposta alla dolce morte . E c’è ancora un aspetto
inquietante e inspiegabile, una enorme contraddizione in questa
vicenda, e mi sembra assai strano che nessuno l’abbia notata. E questa
contraddizione era lì , in quello stesso giornale, il giorno dopo
l’annuncio.
Infatti sempre su
la Repubblica , Cinzia
Sasso, parla mercoledì 30 novembre, a pag.22 , proprio della
Casa Blu, Pfafficon, Zurigo, dove
è andato a finirla Magri , e si vede fin dall’inizio la differenza tra
la sua situazione e quella prevista e consentita , in questo luogo
gestito dall’associazione Dignitas : “..Chi arriva qui è davvero già
vicino alla fine. Distrutto nel corpo,
ma lucido nella mente… Non sono accettati
casi di depressione , perché la Corte
federale ha chiesto che sia una perizia psichiatrica a dimostrare la
gravità della malattia e nessuno psichiatra
può spingersi a tanto”. E’ proprio il caso di Magri , secondo
la legislazione svizzera, non poteva nemmeno colà essere “aiutato”,
come è potuto avvenire ? E perché nessuno in questi giorni ha sollevato
la questione ? No, nemmeno in Svizzera a Magri era consentito, nelle
sua depressione, di farsi assistere nel togliersi la vita. Sia ben
chiaro, la depressione grave è davvero una malattia, logorante,
insidiosa, invalidante, ma non è possibile definire per essa
scientificamente una fase terminale come per un cancro o una sla : il male psichico ,con la sua
sofferenza, è per
sua natura interminabile , come lo può essere la cura : non si guarisce
mai del tutto dalle proprie angosce, ma si può imparare a conviverci,
in certi momenti meglio, altri peggio. Ma nessuno psichiatra, anche
della scuola positivista-farmacologica
più spinta, può arrivare a definire uno stadio terminale per una
depressione, soprattutto non costitutiva, non endogena, ma esogena ,
reattiva come quella di Magri che “reagiva” così a tanti lutti. Infine
si cerca quasi una giustificazione fatalistica e deterministica
aleggiando qua e là alcuni tratti della personalità di Magri : era
algido, era narcisista, era ostinato. Ma, aggiungiamo noi, non era
anche intelligente, appassionato, generoso?
Perché non far leva su questi altri
elementi ? Eppoi il momento della verità non si presenta , quando meno
te l’aspetti, con chi meno te l’aspetti, proprio con “altri”
difficili,ostinati, narcisisti? Altrimenti sarebbe troppo facile… 
Cinzia Sasso
Mentre sto rivedendo questo
pezzo, ho l’occasione di leggere lo splendido doppio paginone sul Foglio
di ieri, sabato 3 dicembre, di Stefano Di Michele. 
Stefano Di Michele A
titolo Apparecchiare la morte , che sul filo
rosso del suicidio di Magri, che percorre il pezzo, parla dei vari modi
e cerimonie degli addii, come la fuga di Tolstoj,
la terra nuda di Paolo VI,
il suicidio di
Monicelli, quello di Langer
. E per Magri parla di “scelta alta,tragica e raggelante”. E poi questo
avvincente, excursus pieno di pathos e di intelligenza, e di pietas, si
conclude con le
parole che Cervantes fa pronunciare a Sancho Panza di fronte al voler
morire di Don Chisciotte : “ Non muoia la Signoria
vostra, senta il consiglio mio: la pazzia più grande che può fare un
uomo è quella di lasciarsi morire, senza che nessuno lo ammazzi”.
Parole vane evidentemente per Don
Chisciotte, e forse per Magri, ma quello che potrebbe interrogarci
tutti noi è , al di là delle parole, il calore,il fervore, il tono,
l’urlo e il furore con cui il fedele scudiero Sancho cerca di fermare
il lasciarsi morire”per nessuna mano , se non quella della malinconia”.
Siamo sempre sicuri di avere , quando si presenta il caso, lo stesso
fervore e passione, lo stesso urlo e furore? Di avere fatto tutto
quanto fosse possibile e opportuno per fermare un simile esito , quando
ci troviamo ad un simile appuntamento, quando suona la campana, e non
sappiamo che suona anche per noi , anzi a volte
non ce ne accorgiamo nemmeno?
Tonino
Virone
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