Articolo apparso sul quotidiano
romano Rinascita del 25 marzo scorso
Cenni di analisi della crisi attuale
(secondo la biologia del sociale)
di
Carmelo R.Viola
Premesse
1 -
Il sistema capitalistico ripete in
veste antropico-surrettizia la
pulsione predatoria della foresta e
pertanto è normale che ci siano
vincitori e vinti.
2 -
L’impresa capitalistica è costituita
da uno o più uomini di affari che
cercano di depredare altre imprese:
ciò avviene producendo e facendo
acquistare non importa quale
prodotto. Per fare ciò l’impresa è
costretta a servirsi del lavoro di
qualcuno, ovvero di acquistare
lavoro: è questo improprio “dare
lavoro” l’effetto secondario
dell’impresa che le conferisce un
merito del tutto gratuito ed
ipocrita.
3 -
L’impresa sta tra l’investire (usare
un certo capitale-forza) e il
competere (usare ogni mezzo a
propria disposizione: pubblicità ed
altro, per superare altre imprese o
riuscire a stabilire un equilibrio).
In ogni caso essa si appropria di
una parte della ricchezza prodotta
dai fornitori di lavoro e da questo
deriva l’accumulo di ricchezza
parassitaria: la prospettiva unica e
inconfessabile di ogni uomo di
affari che si rispetti.
4 -
Si dice che un Paese goda di buona
salute quando il grosso delle sue
imprese gode di buona salute
indipendentemente dal processo di
fagocitazione delle piccole
imprese da parte delle grandi (vedi
esercizi tradizionali da parte dei
supermercati e simili) e
dall’esistenza della disoccupazione,
dei poveri fino all’indigenza, dei
maloccupati, delle differenze
abissali senza meriti né colpe sin
dalla nascita e della criminalità,
comune e mafiosa, che costituisce il
corollario di attributi di ogni
Paese capitalista.
5 -
L’impresa è assistita dal credito
della “piovra bancario-usuraia”,
che esercita la sovranità monetaria,
sottratta allo Stato, cioè la
facoltà di coniare moneta vera,
assieme alla facoltà di metterne in
circolazione (anche senza misura) di
altra detta simbolica. Quando si
dice fare moneta dal nulla!
6 -
La crisi consiste non nella comparsa
degli attributi sopra elencati ma
solo nella perdita della stabilità
del grosso delle imprese, perdita
che si traduce in aumento degli
attributi stessi.
7 -
La crisi può essere fisiologica ed
eterògena, nazionale ed
internazionale. La crisi è
essenziale quando dipende dalla
saturazione consumistica della merce
venduta. E’ il caso della Fiat, che
è praticamente un’impresa esaurita
come una cartuccia sparata. La
politica d’incentivazione da parte
dello Stato corrisponde ad un
accanimento terapeutico per fare
vivere un uomo morto! E’ fisiologica
quando dipende dalla concorrenza,
nella quale entra anche il “gioco
del credito”.
8 -
Il liberismo globale significa tutta
la produzione e tutti i servizi in
mano al privato e imprese senza
frontiere nazionali.
9 -
Il privato, il bancario e il globale
messi insieme sono tre fattori
interattivi che possono produrre
crolli nazionali e crisi
internazionali di notevole entità
specie per effetto del “gioco del
credito”, che ha facoltà
impensabili.
10 -
La crisi è sempre una crisi di
imprese – e non di imprenditori - e
questo è la prova del nove che le
stesse non esistono per servire il
popolo ma si servono del popolo: il
bene e il male che ne deriva sono
riflessi della loro attività.
Fatto
E’
in atto una crisi internazionale.
Agli attributi (quantitativamente
variabili ma essenzialmente
costanti) si sono aggiunti: a) un
aumento degli stessi; b) un rialzo
dei prezzi; c) un conseguente
ribasso del potere di acquisto; d)
un disastro del credito. Il
tutto è ovvio: l’impresa vende meno,
produce meno, riduce il personale.
La riduzione del personale induce la
gente ad accorgersi anche della
preesistente disoccupazione. Chi
vende meno non può rifarsi vendendo
sotto costo, piuttosto preferisce
eliminare i prodotti, ma, se può
vende più caro ed ottiene l’effetto
contrario. C’è una serie di circoli
viziosi. Che i prodotti cinesi, con
o senza i tributi al fisco italiano,
siano spesso più appetibili dei
nostri, e magari altrettanto buoni –
se non migliori - è naturale. Ho
fatto l’esperienza personale. E’
strano che ci si preoccupi e si
cerchi una motivazione
nell’illecito: se la concorrenza è
globale, è naturale che un’impresa
nostra venga “depredata” anche da
un’impresa straniera e che uno Stato
superi un altro. E’ stato ridicolo
cercare di salvare l’italianità di
un’Alitalia in un contesto globale!
E’ ben evidente il “riassetto
fagocitario” delle banche
italiane, le poche e maggiori delle
quali hanno assorbito tutte le
altre.
Nella crisi internazionale attuale
predomina lo strapotere della
“piovra bancario-usuraia”. In altre
parole, alcune banche, specie
americane, hanno strafatto, abusando
dei propri poteri, ritrovandosi
senza sufficiente danaro contante
(liquidità) per far fronte alle
richieste di varie imprese che sono
state costrette a ridurre la propria
produzione. In una (sedicente)
economia globale, basata
sull’elemento non economico della
concorrenza predatoria, l’unico
fatto funzionante è appunto
l’interattività: il ripercuotersi
dell’instabilità da una banda
all’altra di un mondo legato da
costanti scambi di prodotti.
Quale soluzione
Il
liberismo globale non è solo
l’estremizzazione selvaggia del
capitalismo: con la sua
globalizzazione è anche il limite
della paranoia. Lo Stato, non solo
diventa una creatura della piovra
bancario-usuraia ma è chiamato a
rispondere delle follie di questa,
come sta avvenendo negli Usa dove
danaro del popolo va a salvare
aziende bancarie, i cui titolari
dovrebbero semplicemente essere
tradotti in un carcere o quanto meno
in un istituto di rieducazione
sociale. A dispetto del
comprensibile ottimismo di chi
possiede mezzo mondo, come il padron
Berlusconi, che ha la bontà di
sorridere a gente che, in cuor suo
considera ancora dei cafoni per
destino divino (sic), la situazione
peggiorerà per chi vive di solo
lavoro o ne è privo. Davanti a
cotanto sfacelo, un Tremonti,
servitore del sistema, ha avuto il
coraggio di pensare ad una
nazionalizzazione della Banca
d’Italia. Secondo la biologia del
sociale l’idea è ottima ma potrebbe
essere solo il primo atto di una
“rivoluzione incruenta”, capace
di salvare la civiltà prima che la
stessa “imploda” per saturazione di
caos e di conflittualità.
Nazionalizzare Bankitalia dovrebbe
significare anzitutto riprendere la
“sovranità monetaria”, quindi
eliminare il debito pubblico e
ridurre il fisco a interventi
simbolici come i cinque copeki che i
sovietici pagavano per avere tutti i
servizi, acqua calda compresa. Che
la zecca “pubblica aumenti la massa
monetaria in circolazione è vero
esattamente come quella “privata”.
Gli effetti che seguono alla
cancellazione della inutile rete
bancaria e alla fondazione di un
Ministero della Moneta, capace di
avocare a sé ogni problema
finanziario, sono la possibilità di
cancellare la ridicola motivazione
della “mancanza di fondi”, la
possibilità di non abbandonare
nessun cittadino a sé stesso, la
possibilità di rientrare
progressivamente nel circuito
produzione-vendita (di beni e di
servizi) per riprendere parte della
liquidità e gestire i prezzi secondo
una scaletta scientifico-statistica
di valenze di costume e di salute.
Ma anche al meglio non c’è fine.
Naturalmente, questa ripresa
presuppone anche una rivalutazione
del locale e del nazionale, come
punto di partenza. Fino a che punto
pensa di potere arrivare Tremonti?
Carmelo R.Viola
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Quotidiano Rinascita |
(Cenni di analisi della crisi
attuale – 20.03.09 – 2535) |