Cari
amici tripolini, come qualcuno avrà notato, spesso nei miei brevi
commenti su
Facebook, concludo
sempre così: tripolino e sempre profugo.
Qualcuno mi chiedeva chattando, se usavo questa
frase come se avesse un non so che di status symbol.
Il termine profugo per me ha qualcosa di
unico, viscerale, un legame astratto che ti accompagna per tutta la
vita, nel tuo mondo emotivo. Intendo come legame, più che fisicamente,
ciò che ti unisce emotivamente per sempre, al luogo dove nasci.
L'amico Guido Di Gloria, mi raccontò
che un profugo tripolino, Aldo Maria Calandra, scrisse un bellissimo
articolo sul sito http://www.exlalialcollelasalle.it/
sulla nostra vita a Tripoli, dove riportava una frase, che aveva ed ha
un significato unico, infinito, che spiega tutto:
IL LUOGO DOVE SI NASCE E SACRO
(clicca e leggi l'articolo) ed
io sono pienamente d'accordo con lui.
Una
madre ti gestisce per nove mesi nel suo ventre, ti partorisce, ti
nutre, cerca di farti crescere nel migliore dei modi. Dopo intervengono
una serie di balie astratte, che collaborano a questa crescita fisica,
emotiva, non sono solo persone fisiche, interviene un mondo emotivo di
esperienze e situazioni, che ha un ruolo importantissimo.
Il
clima innanzi tutto dove si cresce, i primi anni di vita, la scuola,
gli affetti, l'adolescenza, le amicizie, i primi amori, gli sport, per
giungere alla vita adulta.
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Dicembre 1961, Scuole
Fratelli Cristiani: gli anni della scuola e le mie premiazioni |
Circolo Italia di Tripoli:
io, a sinistra, con i miei amici Franco Catallo e Carmine Romeo |
...Il clima innanzi
tutto dove si cresce, i primi anni di vita, la scuola, gli affetti,
l'adolescenza, le amicizie, i primi amori, gli sport, per giungere alla
vita adulta..... |
In
questo luogo di nascita e crescita, si genera una radice da cui cresce
una pianta di edera, che si attacca emotivamente e materialmente, a
tutto ciò che ti circonda e che fa parte di tutta la tua vita. Vivendo
felicemente in questi luoghi per diversi anni, si incidono nell'anima,
nella memoria, ricordi incancellabili e indimenticabili. Poi
improvvisamente, o per cause naturali tipo le calamità, o di natura
umana in senso negativo, questa pianta di edera, forte, unica, viene
strappata da quei luoghi meravigliosi, a cui si era attaccata per anni
e viene spedita via, cacciata, con tutta la cattiveria di cui è capace
l'uomo. Arriverà nei luoghi a lei completamente sconosciuti, dove
cercherà ancora di attaccarsi a diversi ambienti, situazioni
circostanze, mentalità, emozioni, ma non sarà mai più la stessa edera,
diventerà e sarà sempre la vita del profugo. Non sarai più la stessa
persona, conoscerai altre persone, ma ti accompagnerà sempre un senso
di smarrimento, malinconia, estraneità, a tutto ciò che per quanto
bello ti circonda. Ti pervade una grandissima nostalgia del luogo dove
sei nato, i luoghi e i giorni meravigliosi che hai vissuto,
frequentato. Avrai sempre davanti agli occhi quel mare azzurro, con le
sue albe e tramonti, che hai conosciuto e ti bagnava, il deserto con il
suo fascino mistico, spirituale, divino.
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...Avrai
sempre davanti agli occhi quel mare azzurro.... |
... il
deserto con il suo fascino mistico, spirituale, divino.. |
Gli
odori di quella natura incontaminata, le passeggiate al lungomare e al
corso, di tutte le cose piccole e grandi con cui riempivamo la nostra
vita in Libia. Il profugo resta sempre su un bilico, tra una vita
passata, e un'altra nuova ma del tutto sconosciuta. Sebbene riuscirà a
realizzarsi nel nuovo paese, ha la percezione di non sentirsi mai tale,
sembra che l'obiettivo unico sia la realizzazione materiale, economica,
l'apparire, in parole semplici: l'arrivato. Perdonatemi ma io mi
accontento di contemplare una luna piena che mi ricordi il cielo
stellato di Tripoli, piuttosto che l'affanno giornaliero, lo sbuffare
continuamente, le continue tensioni, sguardi tristi, freddi, privi di
sorriso, senza mai riuscire a colmare quel vuoto interiore, nonostante
si abbia tutto o quasi.
Ho
ripreso da qualche anno, a frequentare i nostri raduni di Paderno,
credetemi, ogni stretta di mano, una pacca sulla spalla, l'abbraccio a
un altro tripolino, è qualcosa di straordinario, di empatia, sentimenti
sinceri spontanei, di pura amicizia.
E'
una situazione emotiva che si percepisce a pelle tra noi profughi,
ricreiamo quel clima tripolino a noi familiare, sincero, simpatico di
ricordi, tra persone che sono state strappate in maniera drammatica
dalla loro vita. Hanno abbandonato tutto, affetti amici, il lavoro le
case, i loro defunti, la loro vita e sbattuti in un altro paese, che
nonostante patria, ancora adesso non la sentiamo tale. Questo è il
profugo, perchè nonostante arrivato nella sua vera patria, non sono
mancate le umiliazioni, i campi profughi, le lacrime e sofferenze,
tutti con la tremenda sensazione di smarrimento quando si scendeva
dalle navi al porto di Napoli.
La
parola profugo ti porta alla mente la Libia e tutto il tuo vissuto, una
bellissima e onorata etnia di lavoratori. Spesso mi trovo in qualche
festa di paese, dove non manca mai lo stand gastronomico, mi accomodo
con degli amici, attorno ho decine di persone, che aspettano per
mangiare. Chi ride chi urla chiamando un amico, chi chiama il resto di
compagnia al tavolo, credetemi emotivamente è come se fossi solo in
tutti i sensi, mi mancano i miei tripolini, il raduno di Paderno. Il
profugo tripolino che a Paderno fa parte di tutta una famiglia, anche
se con qualcuno non ci si conosce o non ci si ricorda, ma è come se ci
conoscessimo tutti, per un motivo o per altro.
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Paderno del Grappa, sett.
2011: Io a sinistra evidenziato dalla freccia, con la mia numerosa
famiglia di profughi Tripolini |
...mi mancano i
miei tripolini, il raduno di Paderno. Il profugo tripolino che a
Paderno fa parte di tutta una famiglia,.. |
C'è
quel non so che di calore fraterno, le esperienze della cacciata dalla
Libia che ci legano gli animi, una semplicità unica, come il sabato
sera a Villa Fietta, dove grazie alla tromba dell'insuperabile Sergio Disco e alla
pianola di Franco Martellozzo,
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Sergio
Disco |
Franco
Martellozzo |
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riviviamo
brevi e meravigliosi momenti delle nostre feste al Circolo Italia di
Tripoli, o quando organizzavamo presso le nostre abitazioni, le famose
feste private. Resteremo sempre i profughi della Libia, un qualcosa che
solo tra noi si sente emotivamente, nel profondo del cuore e la
speranza che resti la memoria, o di riuscire a trasmetterla ai figli o
alla società per quanto indifferente alla nostra esperienza di Libia.
Certamente qualcuno in Italia ha rimosso i ricordi della Libia, spero
siano mosche bianche, succede, ma penso sia solo qualche foglia, che si
è staccata dall'edera, di cui scrivevo all'inizio dell'articolo.
Talvolta per motivi burocratici, quando mi serve un documento, qualche
impiegato tenderebbe a non aggiungere la parola Libia accanto a quella
di Tripoli, io cortesemente lo chiedo e allora mi domandano: per caso è
uno dei profughi cacciati da Gheddafi e
rientrati dalla Libia nel 1970? Con dignità e per tutti gli italiani di
Tripoli rispondo: si' sono uno di quelli, sono un profugo.
Antonio
Stefanile
cell
339-3671980
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