Caro vecchio Uadi Megenin |
Il ricordo del fenomeno naturale, che era l’ Uadi Megenin,
torna prepotente alla mia memoria. Spesso asciutto per mesi,
era un torrente dal letto assai largo e dagli argini molto
alti. Talvolta però si svegliava, nel periodo autunnale
delle piogge. Nella zona desertica del
Gebel-Akdar
(Montagne Verdi) si raccoglieva una quantità enorme di acqua
che incanalandosi nel suo letto,
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Nella zona desertica del Gebel-Akdar (Montagne Verdi) si
raccoglieva una quantità enorme di acqua... |
veniva giù in maniera impetuosa e violenta, trasportando tutto a
valle. A Collina Verde lambiva i confini delle aziende italiane
dei Ferullo, dei Finocchiaro, dei Contarino , dei Cilea, dei
Merenda, ed anche la nostra, quella dei Stefanile, ( scusate se
qualcuna la dimentico ) per poi scaricarsi in mare nella zona di
Gargaresh. Per diversi giorni la spiaggia restava piena di
detriti e purtroppo le conseguenze erano talvolta disastrose
specie per alcune cabine estive,
nella zona dei Bagni Sulfurei.
In quel periodo l’ acqua del mare assumeva per giorni un colore
melmoso.
L’ Uadi Megenin era parte naturale della vita di Collina
Verde; tutto ciò che si costruiva era in funzione di
quest’ultimo, per evitare che con le sue saltuarie inondazioni,
provocasse dei danni alla popolazione. Nell’azienda dei Campione,
dove noi vivevamo, attorno all’ abitazione vi erano dei
terrapieni per fermare l’acqua. La bambina nella foto con la
bambola in mano, è mia sorella davanti casa, che posa proprio
vicino su uno di quei terrapieni che accennavo prima.
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La bambina nella foto con la
bambola in mano, è mia sorella davanti casa... |
Quando non
straripava, noi ragazzi, assieme ai genitori, andavamo a vederlo,
ma, per maggior sicurezza, stavamo ad una certa distanza
dall’argine. Ricordo che il punto migliore di osservazione, era
situato dopo una curva dell’uadi, ad una distanza di un
centinaio di metri. Credetemi faceva paura, impressionava,
terrorizzava: l’acqua sbatteva sulle pareti dell’argine con una
violenza inaudita. Tornando a casa, avevamo ancora impresso
nelle nostre orecchie il tremendo frastuono delle acque. Nel
caso di un possibile straripamento, venivamo sempre allertati
dalle autorità competenti, in modo da prendere le dovute
precauzioni e per fare inoltre rifornimento dei generi di prima
necessità. Spesso però nutrivamo il sospetto, che le autorità
libiche lo facessero straripare appositamente, in modo che
quell’ enorme quantità di acqua fertilizzasse le campagne di
Collina Verde. Ricordo che con i miei cugini, quando venivamo
avvisati dello straripamento dell’uadi, la primissima cosa che
facevamo era di andare a prendere i cani, messi a guardia degli
aranceti, perché non annegassero. Purtroppo una volta ne
dimenticammo uno, dopo due giorni, passata l’alluvione, lo
trovammo, ancora vivo, appollaiato sul tronco, dov’era riuscito
ad arrampicarsi per evitare di essere travolto. Ci furono dei
casi, quando l’inondazione fu davvero grossa, che nei punti
nevralgici di Collina Verde, arrivavano le autoblindo militari o
qualche mezzo anfibio, a portare pane e latte alle famiglie
isolate. Noi, quando succedeva di notte, attendavamo, con
emozione mista a paura, l’ avanzare di quella enorme onda
d’acqua, che si alzava lentamente. Mio papà assieme ai suoi
operai libici, avvolti nei loro barracani, nell’attesa
predisponevano un fuoco e preparavano lo shehi ( thè arabo ), di
un profumo intenso, che aldilà del ristoro, aveva un significato,
di unione e amicizia, di fronte a un possibile pericolo.
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...nell’attesa
predisponevano un fuoco preparavano lo shehi ( thè arabo )
con le noccioline, di
un profumo intenso... |
Ricordo
che gli operai rivolgendosi a papà in quei momenti, lo
chiamavano in segno di rispetto “ arfi “. Dopo qualche giorno,
quando il livello dell’ acqua si abbassava del tutto, sui
tronchi degli alberi e sui muri, restava ben visibile, il segno
dell’altezza raggiunta dall’ inondazione. Qualcuno la
confrontava con le precedenti, per verificare quale fosse stata
la più alta. Noi ragazzi, dopo aver calzato gli stivali di gomma,
ci avventuravamo alla ricerca di qualsiasi oggetto, anche banale,
che l’ alluvione avesse trasportato. L’ unica cosa che trovavamo
in gran numero erano quei piccoli meloni selvatici di una pianta
chiamata coloquintide, che nasceva spontanea nel letto degli
uadi, nella zona desertica, i cui semi contengono un potente
alcaloide, di cui ne erano ghiotte le gazzelle.
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...erano quei piccoli meloni selvatici di una pianta
chiamata coloquintide... |
La popolazione
spalava il fango dalle case e le ruspe ripulivano. Quando il
fango iniziava ad asciugarsi, staccandosi dal terreno, si
spezzava in forme geometriche, formando una specie di mosaico.
In mancanza di piogge abbondanti, il Megenin era quasi un
ruscello. Ricordo che con la mia famiglia quando andavamo alla
chiesa di S. Giuseppe a Collina Verde, si attraversava con la
macchina il letto del torrente perché non era ancora stato
costruito il ponte. Se l’ inondazione sopraggiungeva nel periodo
scolastico, per noi ragazzi delle campagne era una festa, perché
le strade di Collina Verde erano allagate, quindi si restava a
casa. Non so se interpretarlo come un segno premonitore, un
saluto di addio nei confronti di noi italiani di Collina Verde,
ma successe che a pochi giorni dal colpo di stato di Gheddafi,
l’ Uadi Megenin dopo giorni di pioggia straripò allagando le
aziende. Ora a distanza di quarantatre anni, mi continuano a
dire, coloro che sono riusciti a tornare a Tripoli, che del
vecchio Uadi Megenin non resta traccia. Comunque sono certo che
se tornassi a Collina Verde, un qualcosa dell’Uadi Megenin
riuscirei a trovare.
Farò fatica a trattenere le lacrime, era e sarà per sempre nel
mio cuore: una parte della mia adolescenza. Inchallah ( se Dio
vuole).
Antonio Stefanile
cell.
3393671980
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