HAMMANGI Il cimitero cristiano alla periferia di
Tripoli
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Cara famiglia di profughi
tripolini, eccomi a voi con l'ennesima lettera voluta dalla mia coscienza, la
quale ha spesso, se non sempre, il sopravvento su di me e non
riesco assolutamente in determinati momenti di ispirazione a non scrivere. Qualche
volta, pensando di avere lo stato d'animo giusto, ho iniziate
a scrivere queste mie lettere per una decina di volte, ma dopo un po' smettevo, non riuscivo ad andare
avanti. Credetemi riesco solo a scrivere solo se in quei momenti sembra ci sia
qualcuno che mi detti. Dopo
aver finito di scrivere la lettera, nel rileggerla, a me pare che io
l'abbia scritta sotto dettatura, e che io abbia solo il compito
di leggerela. Mi sembra quasi strano che l'abbia scritto proprio io. Scusate questa
curiosa e strana prefazione e veniamo a noi, avrete notato il titolo, che dire,
strana la vita; ieri pomeriggio 1° novembre 2015 andavo a far visita alle tombe
dei miei genitori, nella nostra cappellina di famiglia, dedicando loro per un
po' di tempo, le preghiere dell'eterno riposo e della luce perpetua. Rientrando a casa, sul notiziario del
TG4, apprendevo la drammatica notizia che il nostro cimitero di Hammangi, era
stato nuovamente e vigliaccamente
profanato. Già nel gennaio del 2014 veniva attaccato da nostalgici di Muammar
Gheddafi, che distrussero l'ingresso, uccisero la guardia e devastarono decine
di tombe. Il cimitero cristiano di Hammangi era, ma purtroppo da tanto tempo
non lo è più, un posto solenne, armonioso, invaso da un'atmosfera di pace, silenzio, riflessioni, preghiera e
ricordi, di coloro che non ci sono più. Avrebbe dovuto esserlo
all'infinito, per quelle 7800 salme di nostri concittadini tripolini, che lì
riposano ancora. Penso sia infinita, la
mortificazione nell'animo di noi tripolini a questa notizia, specialmente per
coloro che là, hanno sepolto ancora i loro cari, impossibilitati da 45 anni a
portare loro un fiore, sulle loro tombe. Cosa resta da dire: Dio onnipotente
perdona loro che non sanno quello che fanno. Noi grazie a Dio, nel giugno del
1970, due mesi giusti, prima di lasciare definitivamente la Libia, riuscimmo a
riportare in Italia, nella cappellina di famiglia “Stefanile”, precisamente
nel cimitero di Nola (Napoli), non ricordo se quattro o cinque salme, dei
nostri cari defunti deceduti in Libia: forse mio bisnonno Saverio, sicuramente
mio nonno Antonio, la moglie mia nonna Angela, mia zia Pasqualina, moglie di
mio zio Saverio fratello di mio padre e
mio zio Carmine, marito di mia zia Elvira, sorella di mio padre. Io personalmente che non avevo ancora 17
anni, con due zii Michele ed Anna, rispettivamente fratello e sorella di mio
padre, partimmo per l'Italia, per ricevere le salme. A Tripoli,
burocraticamente parlando non fu facile, ma ripeto grazie a Dio, ci riuscimmo. Ricordo
ancora il giorno dell'esumazione delle salme. Ci andò mio padre e non ricordo
con quali altri familiari.So solo che era una giornata caldissima. Mio padre
raccontò un particolare di quei momenti molto emotivi. Disse che il becchino fu
veramente bravo, perchè tra i resti di mio nonno, stentava a trovarne il mento,
ma infine ci riuscì, raccontandolo a casa, sconsolato, disse che se fosse
tornato indietro, non l'avrebbe più riesumati, chissà cosa provò in quei
momenti nel vedere i resti dei suoi genitori e che erano i miei nonni. Quel pomeriggio quando ritornò a casa, era
fortemente prostrato, pensieroso, triste e depresso, passò qualche giorno prima
che gli ritornasse il sorriso sulle labbra. Il cimitero cristiano di Hammangi
distava pochi chilometri dalla città di Tripoli, lo si raggiungeva percorrendo la strada che
portava a Gargaresh, appena si arrivava, si parcheggiavano le auto in un grande
spazio antistante, dove perennemente, per tutto l'anno, sostava un banco che
vendeva fiori a coloro ai quali, servivano all'ultimo momento. All'ingresso sulla destra vi era la camera
mortuaria e sulla sinistra se ricordo bene, la casa del custode, appena ci si
incamminava all'interno, su quei viottoli larghi ricoperti di ghiaino, le siepi ben curate, delimitavano gli spazi, per le sepolture
sotto terra. Dopo aver fatto alcuni metri dall'entrata, girando sulla
sinistra, continuando a camminare, a una
certa distanza si trovavano i loculi in cemento, oltrepassati questi e salendo
qualche gradino, si entrava nel cimitero dei soldati inglesi, morti durante il
secondo conflitto mondiale, tutti sotto terra, le croci bianche a segnalare le
tombe con i nominativi e un prato verde, curatissimo. Nello spazio del nostro
cimitero, tra le tombe di quelli sepolti sottoterra, ricordo vi erano anche gli
ossari e quando andavo al cimitero con mia madre, prima mi recavo alla fontana
per prenderle l'acqua
per i fiori, dopo avergliela portata, raggiungevo gli ossari, mi affacciavo
ai tombini aperti e guardavo sul fondo, quel mucchio di ossa e teschi. Invece,
sempre dall'ingresso principale, se si proseguiva dritto, si raggiungeva l'imponente e maestoso monumento con rispettivo ossario, dei nostri soldati morti nel deserto, durante la seconda guerra
mondiale, con al centro la bellissima chiesa e lo spaziosissimo piazzale. Riprendendo il discorso inerente alla grave offesa al nostro cimitero di Hammangi,
credo che ogni cimitero e in qualsiasi paese esso si trovi, debba essere un
luogo sacro, a prescindere da sepolture diverse tra musulmani, cristiani o ebrei, quest'ultime
due a Tripoli erano le comunità più presenti, con una minoranza greca ortodossa. Non esiste un Dio per il cimitero cristiano, un altro per il cimitero musulmano
e un altro per quello ebraico. Esiste un unico Dio onnipresente ed onnipotente
per tutti i cimiteri, oltretutto musulmani, cristiani ed ebrei, finchè erano in
vita pregavano un unico Dio, quindi perchè un luogo di pace e di riposo eterno
deve essere profanato, offeso e violentato? I cimiteri rappresentano anche la sinagoga, la moschea o
la chiesa, questi ultimi sono luoghi di
culto di diverse religioni, il cimitero poi diventa il definitivo luogo, di
pace e riposo eterno, per qualsiasi persona che in maniera e in età diversa
abbandona questa vita terrena. Un detto arabo dice che: la tomba, è il
recipiente di tutte le azioni, compiute
durante la vita. Ripeto cimiteri e luoghi di culto, dovrebbero
essere intoccabili, rispettati, tutelati e neutrali, da ogni tipo di
vandalismo, violenza e da qualsiasi
problema di ordine religioso, politico,
sociale ed economico. Gli indiani d'America si facevano uccidere dai
coloni bianchi, per difendere i luoghi dove loro credevano e dicevano,
riposassero gli spiriti dei loro antenati. Sinceramente se mi venisse chiesto
per qualsiasi motivo, se alla mia morte vorrei o dovessi essere sepolto in un
cimitero musulmano o ebraico, anche con le rispettive tradizioni, non avrei nessun problema ad
accettare, perchè ripeto per l'ennesima volta, è un luogo di pace per il riposo
eterno, a prescindere dalla religione. Vorrei raccontare un episodio, accaduto
quando eravamo ancora in Libia e penso
fossero gli anni 1964-65, per dare l'idea un po' del nostro vivere in
gran sintonia e rispetto con i libici, specialmente dal punto di vista del
rispetto religioso. Una domenica pomeriggio, prima del tramonto, mio papà con
uno dei tanti suoi nipoti, figlio di un
suo fratello e altri tre amici, tornavano da una battuta di caccia, che avevano
fatto mi pare, nella zona di Nalut. Guidava lui l'auto e
quest'ultima, in una curva, con tutti e cinque dentro, si rovesciò, strisciando
con la cappotta per una ventina di metri sull'asfalto, andandosi a fermare sul
ciglio di un dirupo. Uscirono indenni dall'auto, sani e salvi e guardandosi
intorno si accorsero, che ad un centinaio di metri, su una collina vi era un “Marabutto”. Istintivamente pensarono
subito alla sua protezione per non essersi fatti neanche un graffio, con l'aiuto dei libici del posto, trainarono
e lasciarono l'auto al posto di polizia di Nalut e dopo una quindicina di
giorni andarono a riprenderla, io compreso,
avrò avuto 11-12 anni. Portarono con loro, anche un furgoncino carico di
alimentari ed un agnello vivo, donando tutto al marabutto in segno di ringraziamento,
secondo mio padre e gli altri, per la grazia ricevuta. A sua volta il “Marabutto”
avrebbe macellato l'agnello e dividendo
quest'ultimo e gli alimentari, avrebbe
donato tutto ai poveri e bisognosi. Sinceramente se al posto del “Marabutto” ci
fosse stata una chiesetta cristiana, sarebbe stata fatta la stessa cosa per i
poveri e bisognosi di quel villaggio. Questo era il nostro vivere con i
fratelli libici, ho usato il termine fratelli anche se non consanguinei, ma
fratelli, uniti da una grandissima parola: “Rispetto”, specialmente religioso. E allora, tornando al problema
vergognoso di Hammangi, chi ha osato un gesto così irrispettoso, antireligioso,
di una cattiveria e vigliaccheria unica?
Cara famiglia di tripolini durante il periodo gheddafiano chi è arrivato
in Libia da altri paesi? E dopo, durante la rivoluzione anti-Gheddafi, sono
stati solo i libici a combattere o vi era la presenza di tantissime altre
persone arrivate da fuori della Libia, senza escludere la collaborazione
occulta di qualche paese europeo e non solo, prima dell'attacco francese e
tutti, ripeto tutti, per mettere le mani, su quell'immensa ricchezza, che era
il petrolio libico? Spiego mie personali
opinioni, impressioni: non credo che i libici conosciuti negli anni di
permanenza in Libia, con cui abbiamo condiviso tempi meravigliosi, abbiano
potuto trasmettere alle loro generazioni future, così tanta malvagità e
crudeltà. Noi delle aziende agricole,
dove i libici lavoravano a fianco a fianco di mio padre, solo con la forza
delle braccia e una grande volontà, spesso con temperature che superavano i 40°
gradi di caldo all'ombra, non credo abbiano potuto cambiare i loro caratteri
ospitali e amichevoli di allora, sotto l'influenza di chissà quali elementi
esterni alla Libia e per cosa? I libici
che lavoravano la terra di Collina Verde
con mio padre erano rispettati
come uomini prima, poi come operai, di
una fedeltà e lealtà unica, dimostrata in tantissime occasioni, talvolta
andando contro i libici stessi, con giuramenti sacri per certe dispute,
talvolta anche in difesa di mio padre. Uomini credenti in un unico Dio, che pregavano inginocchiandosi per
terra cinque volte al giorno, rivolgendosi verso la Mecca e osservando il mese sacro del Ramadan, digiunavano un mese all'anno, a prescindere dalle condizioni climatiche e
da qualsiasi altra cosa. Ci sentivamo fratelli con i libici per il rispetto che
ci univa, coloro con i quali io giocavo con i loro figli, andavo a caccia con
loro, con le torbeghe (trappole), mangiavamo il cuscus assieme,
nello stesso piatto, seduti per terra,
bevevamo lo shehi (thè) dallo
stesso bicchierino! I miei amici libici, con cui nelle aziende agricole
condividevo le feste di circoncisione, partecipavo ai loro meravigliosi
matrimoni, che duravano una settimana e purtroppo qualche volta anche i loro
funerali. Chi ha contaminato le menti e
il cuore di quel popolo fraterno, della
nostra Libia? Chi ha inquinato
loro l'anima , specialmente di quelli
che avrebbero dovuto essere le future
generazioni? Chi sono questi individui e tanti, giunti in Libia da paesi
esterni, che invocando Dio, usano un fanatismo religioso, uccidono, torturano,
usano violenza e crudeltà anche verso i cittadini libici?
Queste non sono
persone religiose, usano la religione per scopi personali ed oltretutto
violenti e crudeli. No e poi no, questo
non è l'Islam che io ho avuto la
fortuna e il piacere di conoscere per 17 anni in Libia e ripeto, tantomeno il popolo libico con cui ho
vissuto. Ricordo ancora con emozione, i brividi a fior di pelle, quando il muezzin dal minareto della moschea, chiamava i fedeli alla preghiera di un
unico Dio. Che stati d'animo, un grande
coinvolgimento emotivo, anche per noi cristiani, un' atmosfera unica,
spirituale, religiosa, il “muezzin” con le sue parole cantilenanti, le prime
erano un inno di lode, di onnipotenza e onnipresenza: Allah ua Ackbar (Dio è grande) glorificavano l'unico Dio, che è anche il nostro, dei
cristiani e anche degli ebrei! Il vero Islam
non è fatto di violenze, distruzioni; è per la pace, la tolleranza, il sapere,
il confrontarsi con culture diverse, Dio stesso ci ha fatto diversi perchè ci
conoscessimo. 
| ...Ricordo ancora con emozione, i brividi a fior di pelle, quando il muezzin dal minareto della moschea, chiamava i fedeli alla preghiera di un
unico Dio... |
Spero e prego Dio, che in un prossimo e non tanto lontano futuro,
la Libia con il suo popolo giovane e fiero ritorni a gestire totalmente il
proprio paese, estirpando e pulendolo da
quel tumore di ignoranza e fanatismo religioso arrivato dall'esterno. Quel
paese, dove siamo nati, cresciuti,
educati, con una mentalità rispettosa, sana, pulita, amichevole, solidale e
sincera, anche con gli stessi libici e come ho ripetuto tante altre volte, era
un pezzo di paradiso restato in terra. Inshallah
(Se Dio vuole)
Antonio Stefanile di Raffaele 2 Novembre 2015
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