I
FRATELLI STEFANILE
In
memoria e onore di mio padre e dei suoi fratelli
29
agosto 2017
Antonio
Stefanile, mio nonno e capostipite della famiglia, accantonando l’idea
di emigrare in America, nel 1928 decise di andare nel
Nord-Africa, in Libia. Arrivò lì con moglie e otto figli, quattro
femmine: Immacolata, Maria, Elvira e Anna, altre due più anziane,
Adelina e Caterina, che erano nate da un precedente matrimonio, in
cui lui era rimasto vedovo, restarono a Nola (Napoli) perché già
sposate. Poi i quattro figli maschi: Saverio il primogenito,
Sabatino, Michele e il più piccolo Raffaele, mio padre, che allora
aveva appena dieci anni.
Una famiglia unita,
di contadini (in arabo fellahin)
e orgogliosi di esserlo, non si persero d’animo e iniziarono a
coltivare la terra di Libia. Dapprima furono dirottati dallo Stato
Fascista nella zona di Tagiura,
e precisamente ai Fondi Rustici, poi
un po’ alla volta dopo qualche anno si spostarono a Collina
Verde,

Tripoli - La Chiesa di Collina Verde - a
dx dietro la chiesa c'era un boschetto spaziosissimo su una parte alta
con balaustra, scendendo una scalinata si passeggiava sempre nel
boschetto sulla parte bassa. Alla sx della chiesa e sempre dietro,
c'erano diversi eucalipti e sotto c'erano di sicuro due campi da bocce,
a una quindicina di metri c'era un bel campetto sportivo dove
giocavamo, ma era più il tempo che stavamo al calciobalilla sotto il
patronato, fuori c'erano dei tavolini all'aperto e le sfide più
frequenti erano quelle a braccio di ferro, dove ci giocavamo una bibita
prima nella campagna della vedova Calabretta nel periodo bellico,
successivamente in altre campagne prese in gestione. In quella zona
oltre alle campagne dei fratelli Stefanile c’erano anche lquelle
dei Ferullo, dei Contarino, dei Merenda, dei Cilea, degli
Interdonato, dei Pellegriti, dei Mastrogiovanni etc.
Tutti lavoravano
quella terra, anche madre, sorelle, figlie zappavano,
aravano, seminavano e piantavano di tutto, talvolta con temperature
che si avvicinavano a 45 gradi e questa terra li ricompensava con
tanti raccolti e futti. Verso gli anni sessanta, nelle macellerie
libiche iniziò a scarseggiare la carne.
Mio padre e i suoi
fratelli
iniziarono ad importare bestiame dalla quella che allora era
considerata la Jugoslavia.
Mio padre stesso andava in Jugoslavia a
scegliere i capi di bestiame. Quando le navi mercantili arrivavano in
porto, c'erano chilometriche file di camion che trasportavano questi
capi di bestiame nelle campagne di Collina Verde.
La prima cosa che
si faceva era quella di legarli sotto l'ombra dei numerosi alberi di
arancio. I fratelli Stefanile, sempre attivi e solerti, lavoravano
anche di notte, alla luce dei loro fanali a petrolio, ed irrigavano
con i canali quei meravigliosi limoneti e aranceti. Niente e nessuno
li fermava, tutti e quattro erano dotati di una straordinaria forza
d’animo e fisica uniche. Tutti avevano una fede religiosa, un
credo, un senso della famiglia, della parentela, e del sangue che li
accomunava.
Grazie anche queste
loro qualità, uniti avevano la forza
di superare qualsiasi difficoltà, Anche l'avversità climatica
dovuta per lo più al gran caldo, compresa qualche invasione di
cavallette e le saltuarie alluvioni del wadi Megenin,
che si
rigonfiavano specialmente dopo i violenti temporali estivi. con loro
Per essere aiutati in questo faticoso lavoro, Saverio, Sabatino,
Michele e Raffaele avevano assunto diversi operai, circa una
quindicina, tutti libici. Questi operai si erano dimostrati subito
leali, religiosi, affidabili, nel più totale rispetto, specialmente
religioso.
Essi vivevano nella
stessa campagna dentro delle zeribe,
che erano capanne fatte con lamiere e rami d'albero.

L'ingresso di un tipo
di zeriba
Quando nacqui
io, mia madre, che per sua naturava aveva molto latte al seno, oltre
ad allattare me, allattava anche una neonata libica perché sua madre
non ne produceva abbastanza latte. Pertanto tutti consideravano come
fossimo fratello e sorella, Io crescevo assieme ai figli degli
operai, che ricordo si chiamavano Salem, Mabruk, Muktar, Fozi, Sami.
Insieme mangiavamo,
giocavamo, andavamo a caccia con le trappole (che
in arabo si chiamamo torbeghe). Insieme cercavamo i nidi sugli alberi
e nuotavamo a qualsiasi ora del giorno in quelle immense vasche di
acqua, che serviva ad irrigare i terreni con i canali fatti con la zappa. I fratelli Stefanile
erano sempre uniti, in ogni situazione piccola o grande ch fosse,
uniti alle feste dei battesimi, comunioni e cresime, fidanzamenti,
matrimoni, alle feste di Natale e di Pasqua. Erano uniti nella
felicità e purtroppo talvolta anche nel dolore quando qualcuno si
ammalava o peggio ancora quando veniva amancare qualche parente. Come
quando ci fu la drammatica scomparsa di zia Pasqualina, moglie dello
zio Saverio, il primogenito dei quattro fratelli.
Purtroppo
con il colpo di stato del 1 settembre arrivò il primo dramma. Ma i
quattro fratelli non si demoralizzarono, tutt’altro, continuarono a
zappare, arare, seminare, la loro terra. Il secondo dramma, che non
lasciava più alcune speranza, arrivò il 21 luglio 1970, verso il
tramonto. Dal campo sportivo di Zavia, Gheddafi cominciò a
proclamare alla radio libica locale, il sequestro di tutti i beni
mobili e
immobili, compreso il denaro in contante a tutti gli italiani nati e
residenti in Libia.

Gheddafi nel suo
discorso alla radio libica locale
Non solo ma ci
consentiva poco tempo per lasciare
il paese, tutti dovevano essere fuori dalla Libia entro le prime due
settimane di ottobre.
Nonostante
tutto, dopo che loro in Libia c'erano vissuti per42 anni (dal 1928
al 1970), il discorso di Gheddafi, seppur tremendo per la sua
gravità, non scalfì la loro dignità e l’orgoglio di essere
contadini (fellahin). Tutti e quattro i fratelli Stefanile, se pur
esposti per tanti anni a tutte le intemperie, pioggia, grandine,
caldo atroce erano orgogliosi di aver lavorato per tanti anni una
terra, a volte ingrata ma sempre amica, fraterna, e che aveva dato i
suoi frutti e tanti, esclusivamente e solo per il popolo libico.
Antonio
Stefanile di Raffaele
P.
S. Ho scritto questa memoria lo stesso giorno in cui 47 anni fa dal
porto di Tripoli. Nel pomeriggio del 29 Agosto 1970 ci imbarcavamo
sulla motonave Campania
Felix per abbandonare
definitivamente la Libia insieme altri 683 passeggeri,

La Campania Felix
nostri
compagni di sventura, ai quali veniva tolto tutto, ripeto tutto.
Tornavamo in Italia solo con quello che avevamo addosso, oltre a
quattro stracci riposti nelle valige, insieme a qualche baule. Io
avevo appena 17 anni.

I
fratelli Stefanile: da sx la prima coppia con il primogenito Saverio e
la consorte
Pasqualina, la seconda coppia con Sabatino e Ortenzia, la terza coppia
con Michele e Rosina, ed infine mio padre Raffaele e mia madre Olimpia
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