Il
pozzo arabo dell’oasi
di Saiad (Libia).
Configurazione
e
funzionamento del
pozzo arabo.
Pubblicato
su Italiani di Libia, periodico dell’Associazione
Italiani Rimpatriati
dalla Libia (AIRL),
anno XXXVIII / n.2 Marzo-Aprile 2016

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Il pozzo arabo è
l'icona dell'oasi
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Se
il Tuareg sul cammello è l’icona del Sahara, il “pozzo arabo” lo è
delle oasi, quelle nordafricane in particolare che rievocano scene
affascinanti: palmeti sovrastanti rigogliosi giardini (suani) profumati
di gelsomino a primavera, brusii di gente indaffarata alternati al
tubare delle tortore, i belati degli agnelli, il cigolio delle
carrucole sollecitate dalle funi degli otri d’acqua sollevati dal
fondo del pozzo dagli asini, interrotto dallo
scroscio dell’acqua in cascata nella vasca. Questo fascino
l’ho avvertito in Libia, quando intorno alla fine degli anni ’40,
ragazzo, frequentavo la scuola elementare a Tripoli ospite dei miei
zii, ed in estate tornavo in famiglia nell’azienda dei Conti Ricotti
Prina al km. 23 della strada Tripoli-Zavia, dove mio padre era il
fattore. L’azienda agricola iniziava proprio dove finiva l’Oasi di
Saiad (Saiad=caccia) e da qui, da uno dei tanti giardini con pozzo
arabo, veniva il guardiano dell’azienda: Alì Ben Guma. Costui aveva un
figlio, mio coetaneo di nome Nasser che in arabo vuol dire
Vittorio, quindi ci siamo ritrovati a giocare nel cortile della
fattoria due Vittorio, e non c’è voluto molto per raggiungere l’intesa
prima a gesti poi con scambio di termini nelle due lingue. Ci capitava
a volte di andare in bicicletta, percorrendo un km circa dalla
fattoria, nel giardino di Alì BeGuma dove Nasser aveva il compito di
trasferire l’acqua dal pozzo nella vasca, che poi la madre avrebbe
distribuito attraverso i canaletti nelle parcelle (gedauel) del
giardino dove, negli interspazi tra le palme si coltiva- vano ortaggi,
verdure, alcune piante di frutta ed erba medica per gli animali
domestici che fornivano lavoro, carne, latte e pelli. Nell’oasi, la
riservatezza delle donne che lavoravano nei giardini, era assicurata
dalle alte fitte siepi di ficodindia a delimitazione della proprietà,
grande quanto bastava al fabbisogno della famiglia, l’eccedenza andava
al mercato.
Il
pozzo arabo esprime nella denominazione la collocazione geografica e le
caratteristiche che ne definiscono il sistema e l’applicazione. Circa
la distribuzione geografica, le oasi associate a questo tipo di pozzo
si trovano nel Nordafrica come nel Vicino e Medio Oriente. In quanto
alle caratteristiche del pozzo, queste risultano poco descritte dalla
letteratura italiana in genere, che si limita ad enfatizzarne
l’immagine nel contesto scenografico
suggestivo dell’oasi, ma trascura di descriverne la configurazione ed
il funzionamento. Una lacuna che questo articolo intende colmare, dopo
aver spiegato l’origine presumibile dell’aggettivo “arabo”,
imprescindibile dal termine pozzo quasi fosse una formula. Le prime
immagini risalgono ai Francesi già alla fine del XIX sec. mentre quelle
italiane sono degli anni ’20, quando sulle cartoline spedite dal
Nordafrica in Europa, era riportata la scritta “Pozzo arabo”, poiché a
farne uso erano gli “Arabi” nei loro giardini. L’idea suscitata dalle
cartoline, che all’origine fosse un invenzione degli Arabi
riconducibile alla conquista del Nordafrica nel VII sec. d. C. è
suggestiva, non può essere smentita né confermata ma piace perché crea
mistero con la complicità della storia. Il pozzo arabo nel Nordafrica
così come ce lo ricordiamo quelli che ci siamo stati, è il risultato di
anni di esperienza delle popolazioni contadine delle oasi, ma non è
escluso che i “muhandisun” (ingegneri)
esperti nelle scienze idrauliche dell’epoca della conquista araba, non
abbiano apportato al sistema un salto di qualità. In ogni caso, il
pozzo dell’oasi prima di diventare “arabo” ha avuto origini remote come
mostra la foto a seguire, essendo stato l’approvvigionamento dell’acqua
dal sottosuolo nel Nordafrica, da sempre una ricerca essenziale anche
in altre forme come le antiche “foggare” (gallerie)
dei Garamanti nel Fezzan (Libia). Passando oltre, è interessante capire
le motivazioni della sua diffusione e spiegare le caratteristiche in
rapporto all’uso fondato sulla sinergia uomo-animale, distinto dai
pozzi privati e pubblici attrezzati di pompe idrauliche, ed anche da
quelli del deserto (bìr/abìar=pozzo/pozzi)
ad uso collettivo, dove a turno gli indigeni attingono l’acqua ad uso
domestico con il secchio sollevato a mano mediante una fune, ed
altrettanto fanno i pastori per abbeverare i loro armenti che, quando
sono cammelli (dromedari), di
acqua ne assumono in abbondanza.

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Antenato
del pozzo arabo
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Oasi:
pozzo arabo anni ‘20 con il bue sulla rampa |
La
diffusione del pozzo arabo è dovuta alla sua capacità ed facilità d’uso
adeguati alle oasi costituite da frazionate proprietà terriere a
conduzione familiare di limitata superficie, provviste di animali
domestici da lavoro come bovini ed asini. E’ risaputo che la prosperità
dei giardini e palmeti della maggior parte delle oasi del deserto, è
dovuta alla presenza di una diffusa falda acquifera sotterranea da cui
attingono acqua, ed in questo lo “strumento” è il pozzo arabo. La
dimensione limitata dei giardini, conseguente alla grande
frammentazione delle oasi, comporta consumi limitati di acqua anche in
estate, ridotti nelle altre stagioni dalle piogge che contribuiscono in
misura maggiore o minore a seconda della latitudine rispetto al mare e
al deserto. A prescindere della ricchezza della falda acquifera, il
sistema a traino animale può fornire moderate quantità di acqua
rispetto alle pompe idrauliche elettriche, tuttavia sufficienti, e la
conduzione familiare consente, in un sistema estremamente semplice, di
coinvolgere le donne ed i ragazzi della famiglia.
Il sistema “pozzo
arabo” è costituito da tre parti essenziali: pozzo (bir), vasca di accumulo (gebia), rampa di traino degli
animali (mjarr).
Il pozzo va posizionato qualche metro sopra il livello dei giardini,
per via che l’acqua d’irrigazione nelle canalette dalla vasca alle
parcelle (gedauel) scorre in leggera pendenza favorita dalla gravità.
Strutturalmente il pozzo è rivestito da un spesso anello in pietra
cementata, fino alla profondità della falda freatica, che
normalmente non supera i 20 m., costituita da uno strato consistente di
roccia porosa contenente l’acqua accumulata dalle piogge remote ed
alimentata da quelle recenti. In molte oasi a causa dell’inaridimento
del clima, le piogge non compensano i consumi della falda acquifera, e
questo deficit progressivo si avverte dal calo di livello dell’acqua
nel pozzo. Il sollevamento dell’acqua avviene mediante un otre (ghirba)
della capacità di 70-80 litri, ricavato da una pelle animale manipolata
a forma di secchio con sul fondo collegato un bocchettone tubolare di
scarico di materiale flessibile, lungo quanto l’altezza dell’otre con
il quale viaggia verticalmente appaiato durante la salita/discesa, (vedremo più avanti come avviene lo scarico
in vasca).
In superficie ai lati del pozzo si ergono due contrafforti (genhan) in
muratura alti circa 5 m., dimensionati per resistere al peso dell’otre
pieno d’acqua sollevato da fondo del pozzo verso l’alto da una fune
scorrevole su una carrucola (giurrara)
in legno, trainata da un animale che si muove lungo la rampa
ombreggiata da piante di fico o gelso. La carrucola è posizionata in
alto al centro sulla verticale del pozzo in una robusta travatura di
legno fissata trasversalmente ai due contrafforti. Questi ricevono
dalla carrucola e quindi dalla travatura su cui è posta, le
sollecitazioni trasmesse via fune delle forze combinate di compressione
(otre carico) e trazione (tiro animale)
che ne spiegano la notevole dimensione. Parallelamente, al di sotto
della travatura portante la carrucola alla distanza di un paio di
metri, è posizionato un asse di legno, normalmente un tronco di palma
fissato anch’esso ai contrafforti, spostato all’esterno verso la vasca
in modo da non ostruire la salita e la discesa verticale dell’otre.
Quest’asse (tronco di palma)
sostiene il rullo al cui interno scorre la seconda fune del sistema
collegata tra la bocca del bocchettone dell’otre e l’animale, avendo la
funzione di scaricare l’acqua al momento giusto al punto giusto. Dopo
la vasca adiacente al pozzo, segue la rampa del percorso dell’animale,
sia esso un asino o un bovino, sottomesso al traino della fune che
tramite la carrucola solleva l’otre pieno e l’abbassa quando è vuoto.
Contemporaneamente anche la fune del bocchettone trainata dallo stesso
animale, si muove lungo il rullo fissato sull’asse che la guida. La
rampa col tempo, sotto l’azione degli zoccoli tende ad affossarsi in
discesa favorendo lo sforzo dell’animale con il carico, mentre nel
tornare all’inizio-rampa il percorso avviene in salita ma qui l’otre è
vuoto e lo sforzo ridotto. Lo scroscio dell’acqua in cascata nella
vasca è un segnale per l’animale, che intuisce la fine del percorso ed
inverte il senso di marcia per ritornare all’inizio-rampa. Il punto
chiave del sistema, è quello in cui avviene lo scarico dell’acqua sotto
la carrucola, dall’otre nella vasca attraverso il bocchettone. Il
meccanismo di scarico innescato dalla forza di gravità è degno di
Leonardo da Vinci, poiché quando la fune legata al bocchettone
dell’otre con il quale viaggia appaiato, supera dall’interno il
rullo-guida fissato sull’asse, non più guidata cade all’esterno
trascinando in basso il bocchettone verso la vasca, scaricandovi
l’acqua. Completato il ciclo, otre e bocchettone nel discendere si
ricompongono per un nuovo ciclo.

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Oasi: suani
(giardini) irrigati con acque di pozzo
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Pozzo comune nel deserto con
prelievo a secchio |
Durante
le operazioni, ogni ciclo di scarico e scarico è assistito da qualcuno
che segue gli animali lungo il percorso, e ne controlla il corretto
svolgimento che dura mediamente due minuti. Poiché l’acqua contenuta
nell’otre è di 70-80 litri, la quantità/ora sollevata è 2.100-2.400
litri da cui si deduce che dopo 5-6 ore, quanto può supportare
l’animale sottoposto al traino, se ne immettono nella vasca tra 10-14
mc./giorno in relazione al fabbisogno per irrigare a rotazione il
giardino, abbeverare gli animali ed uso domestico. Negli appezzamenti
maggiori si fanno due turni con animali diversi. Questo spiega perché
il pozzo arabo è adeguato alle frammentate oasi, ed anche finché si
estraggono queste modeste quantità d’acqua, la falda freatica, e di
concerto l’oasi, avranno lunga vita. Ma perché i pozzi arabi sono
rimasti tradizionali fino ai nostri giorni malgrado l’evoluzione nel
settore idraulico, e nella fattispecie delle pompe idrauliche?
Principalmente il ritardo è dovuto alla mancanza finora di linee
elettriche capillari come richiedono le frammentate oasi, e poi la
“tradizione”, un elemento caratteriale della gente delle oasi,
diffidenti dei cambiamenti radicali. Fin qui l’armonioso equilibrio tra
risorse naturali ed il razionale sfruttamento dell’uomo con il
contributo degli animali, ha consentito alle meravigliose oasi di
svolgere la funzione di ecosistemi vivibili nel deserto. Ora è
possibile che con l’arrivo dell’energia elettrica, il pozzo arabo sia
destinato all’estinzione anche se conserverà l’apparenza, non
l’essenza. D’altra parte l’energia elettrica, oltre a liberare gli
animali dal faticoso lavoro paragonabile a maltrattamento, porterà la
luce nelle case e strade dell’oasi, e di conseguenza apparecchi Hi-Fi
ed elettrodomestici: il progresso è inarrestabile. Il pozzo arabo ha
dato per secoli un prezioso contributo allo sviluppo agricolo ed
economico delle oasi, ed ora che è parte della storia merita di avere i
suoi musei a cielo aperto dove una guida possa illustrarne ai turisti
il glorioso passato.
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