Un sogno italiano, la Libia 

Capitolo VI°

Paolo Savasta

 

CAPITOLO SESTO

 

                            

Lo sbarco delle unità anglo-americane in Africa nel 1942 confermò agli Alti Comandi italo-tedeschi, l’intendimento operativo del nemico di impadronirsi della Tunisia e procedere per congiungersi con le truppe di Montgomery in avanzamento dalla Libia ed intrappolare così il dispositivo italo-tedesco.

Tale situazione impose l’adozione di contromisure atte a vanificare i progetti operativi delle forze alleate.

Le difficoltà di carattere logistico che avevano inizialmente debilitato le forze italo-tedesche non permisero di poter contrastare, con i mezzi tradizionali tra l’altro sempre più scarsi, la progressione nemica in Tunisia.

 

Gli Stati Maggiori italo-tedeschi divisarono conseguentemente il proposito di impiegare potenziandole reparti speciali già esistenti, come la X MAS, unità capaci di contrastare con arditi ed improvvisi atti di sabotaggio, il flusso dei supporti logistici essenziali all’alimentazione operativa delle teste di fronte anglo-americane.

 

Per la X MAS la prima azione nell’Africa del Nord francese, fu compiuta con successo, l’11 dicembre 1942 nel porto di Algeri, qui di seguito ne descriverò l’operazione.

L’attestarsi delle truppe nemiche nel Nord Africa ed il loro ormai certo sbarco in Sicilia, rese necessarie, anzi indispensabili, contromisure atte ad impegnare con maggior efficacia le forze degli alleati, penetrando con ardite incursioni nei loro centri logistici al fine di distruggerli o quanto meno di portarvi serio scompiglio.

 

Nell’aprile del 1942 era stato costituito un primo battaglione di incursori dell’aviazione italiana (denominato 1°battaglione d’assalto Regia Aeronautica) ed in seguito si realizzò la formazione di un secondo battaglione denominato ADRA (Arditi Distruttori Regia Aeronautica). Nel maggio del 1942, fu formato  il X°reggimento arditi dell’esercito con reparti specializzati quali camionettisti, nuotatori e paracadutisti. L’addestramento per queste formazioni venne completato tra il dicembre 1942 e il gennaio 1943, naturalmente con il conseguimento da parte dei componenti del brevetto di paracadutista.

Già da metà gennaio sino a tutto luglio del 1943, questi specialisti entrarono in azione e furono lanciate oltre 20 pattuglie, sia dell’ADRA che del X reggimento arditi, in tutto il territorio nemico del Nord Africa e in Sicilia appena dopo lo sbarco alleato effettuato nel luglio del 1943.

 

La prima azione di sabotaggio con aviolancio fu effettuata il 14 gennaio 1943 da una pattuglia comandata dal sottotenente Leo Zoli, con obiettivo un aeroporto di Algeri. Una seconda azione fu eseguita il 12 febbraio 1943 da altra pattuglia  con l’interruzione della linea ferroviaria costiera Algeri– Setif – Constantine, distruggendo il ponte di Beni Mansur in Algeria ( la pattuglia era comandata dal tenente Nino De Totto ).

 

Il 10 aprile, altre 4 pattuglie vennero lanciate in Algeria, comandate rispettivamente dal capitano Bosco e dai tenenti, Graff, Betti, Verutti. Le azioni non ebbero successo per una serie di malintesi e per l’intercettazione dell’ULTRA. Tutti i partecipanti furono catturati e nei brevi combattimenti i nostri sabotatori subirono gravi perdite. Il capitano Bosco che durante l’atterraggio si ruppe una gamba, fu catturato ed ebbe gravi complicazioni fisiche che lo portarono alla morte in un ospedale francese. 

Nel mese di giugno proseguirono senza sosta le incursioni, previo attrezzamento di quattro basi di partenza per le azioni di sabotaggio: una in Francia, aeroporto di Salòn en Provence ( Tolone ), denominata “base prima”; la seconda  in Sardegna, nell’aeroporto di Decimomannu (Cagliari); la terza in Sicilia,  aeroporto di Gerbini (Catania); la quarta nell’isola di Creta (Grecia), aeroporto di Eraklion ( MAPPA N°33 ).

 

 

Da quelle basi partivano ad ondate successive i nostri sabotatori. La sera del 13 giugno, partì da Salòn en Provence una pattuglia comandata dal sottotenente Giovanni Confetto dell’ADRA che venne imbarcata su un aereo SM.82 per essere  lanciata in Algeria: obiettivo l’aeroporto di Blida. Il lancio per errore di calcolo, venne effettuato ad oltre 100 Km. di distanza dall’obiettivo. Tale grave evenienza unitamente alla perdita di alcuni contenitori di materiale necessario per il sabotaggio, nonchè la grande distanza dall’obiettivo, provocarono il fallimento dell’azione e tutti i componenti vennero catturati. Il giorno dopo, sempre in serata, altre due pattuglie, una del sottotenente Marvulli, l’altra del tenente Giuliattini, partirono su due aerei SM.82 per effettuare sabotaggi in Algeria, diretti agli aeroporti di La Senia e Tafaraui (Orano). Contemporaneamente il 14 giugno, alle ore 0,15, tre pattuglie vennero imbarcate, sempre su aerei SM.82, per colpire gli aeroporti di Biskra e Oulmene in Algeria, tali pattuglie erano comandate, dai sergenti maggiori Stramaccioni, Pennacchiotti e dal sottotenente Rizzi il cui obiettivo era Oulmene; anche in queste azioni tutti gli arditi sabotatori furono catturati.

Sempre nella nottata del 14 giugno, dall’aeroporto di Gerbini partiva altra pattuglia comandata dal sergente Di Giusto, obiettivo l’aeroporto di El Diem  (Tunisia ).

La base di Eraklion (Creta) fu utilizzata solo per missioni in Libia: infatti da quella base partirono nostre pattuglie per sabotaggi in Cirenaica ed anche in Tripolitania. In Cirenaica ebbero quali obiettivi gli aeroporti di Berka e Benina (Bengasi). Tratterò nel dettaglio quelle azioni che ritengo meritevoli di essere conosciute. 

 

Di sicuro spessore operativo si rivela l’azione della X MAS, contro il porto di Algeri. Iniziò il 4 dicembre 1942, con l’impiego di arditi subacquei e nuotatori, quando il sommergibile “Ambra“ comandato dall’allora tenente di Vascello M.O.V.M. Mario Arillo, con a bordo 18 assaltatori lasciò il porto di La Spezia destinazione Algeri. Di questi 18 audaci altamente specializzati, sei formarono tre pattuglie che agirono con siluri SLC, mentre gli altri della specialità “Gamma“, cioé sabotatori che si portavano a nuoto e con carica esplosiva sotto l’obiettivo, ebbero un ruolo molto particolare, in quanto agendo isolatamente avrebbero dovuto applicare, sotto le chiglie delle navi le famose “mignatte“ ( bauletti esplosivi a ventosa ), che con l’aumento della velocità del natante, metteva in funzione il congegno esplosivo. Vennero anche usate mine adesive dal peso da due a quattro kg. cadauno. Questi i nomi degli assaltatori siluranti: tenente di Vascello Giorgio Balessi e sottocapo palombaro Carlo Pesel, tenente del Genio navale Guido Arena e sottocapo palombaro Ferdinando Cocchi, guardiamarina Giorgio Reggioli e sottocapo palombaro Colombo Pammolli.  Gli incursori della specialità GAMMA erano: il sottotenente armi navali Agostino Morello, tenente di Vascello Augusto Jacobacci, secondo capo Battaglia, capo infermiere Oreste Botti, sergente granatiere Luigi Rolfini, sergente bersagliere Alberto Evangelisti, sergente bersagliere Gaspare Ghiglione, sottocapo palombaro Giuseppe Feroldi, sottocapo cannoniere Evideo Boscolo, marò Giovanni Lucchetti, soldato Luciano Luciani, fuochista navale Rodolfo Lugano.

 

Dopo sette giorni e sei notti di navigazione in immersione e con un mare burrascoso, il sommergibile “Ambra“ arrivò in vista di Algeri a notte inoltrata.

La distanza dal porto era eccessiva e con il mare sempre in burrasca era difficile uscire dal sommergibile. Il comandante Arillo, tuttavia rischiò e sempre strisciando sul fondo, che aveva una profondità di circa 18 metri, si portò sin dentro la baia di Algeri e si trovò, con il rischio di essere scoperto, al centro di un convoglio di sei navi ancorate nella baia.

 

Questa  insperata situazione permise agli assalitori di piazzare le loro cariche sotto quei natanti, vennero affondati i piroscafi: “Ocean Vanquisher“ di oltre 7.000 tonnellate e “Berto“ di 1.493 tonnellate, mentre furono danneggiati il “Centaur“ di 7.000 tonnellate e “l’Armatan” di 6.587 tonnellate. La reazione nemica si fece subito sentire e dei 18 incursori solo due ebbero la fortuna di sfuggire alla cattura raggiungendo il sommergibile che frattanto si era portato al largo di Algeri, il quale pur sottoposto alla caccia spietata dell’aviazione

e della marina inglese, riuscì a rientrare alla base di La Spezia. Comunque quell’azione ebbe successo anche se Supermarina aveva puntato su maggiori risultati.

La seconda missione che ritengo interessante far conoscere, è quella relativa all’attacco al ponte ferroviario di Ben Mansur in Algeria, compiuta da una pattuglia del X° Arditi al comando del tenente Giovanni (Nino) De Totto e del vice comandante sergente maggiore Mario Postai.

Il primo tentativo di lancio aereo in Algeria della pattuglia De Totto avrebbe

dovuto essere effettuato nella notte dell’11 febbraio 1943, ma causa le cattive condizioni atmosferiche sulla zona di lancio non poté essere compiuto e l’aereo SM.82 ritornò alla base di Decimomannu (Cagliari), da dove era partito.

La sera del 12, alle ore 20,30, lo stesso aereo imbarcò gli 11 sabotatori e dopo tre ore di navigazione, raggiunta la zona prestabilita il lancio venne effettuato. Purtroppo i sabotatori atterrarono a oltre 40 chilometri dal ponte ferroviario di Beni Mansur che era il loro obiettivo. La disavventura fu causata sempre da errati calcoli, in quanto ricavati da carte topografiche vecchie e quindi non aggiornate. Ovviamente con gli anni il paesaggio era cambiato  disorientando i nostri sabotatori. Il culmine della sfortuna di quel lancio fu determinato anche dalla perdita di alcuni contenitori, soprattutto quelli con le borracce d’acqua e the, che si sfasciarono nell’impatto con il terreno. Gli 11 incursori impiegarono tre giorni per arrivare nei pressi dell’obiettivo, marciando sempre di notte per non farsi individuare.

Il ponte di Beni Mansur costruito in ferro, poggiava su un Uadi (fiume asciutto) ed era di notevole importanza in quanto su di esso transitavano giornalmente numerosi treni che da Algeri portavano i rifornimenti alle truppe operanti in Tunisia; si trovava a 800 Km. dalla linea del fronte.

Nella giornata del 15, il tenente De Totto con i suoi sabotatori arrivò,  indisturbato, a un centinaio di metri dal ponte che era presidiato da un forte contingente francese. Il drappello fu quindi costretto a rimanere ben nascosto per tutta la giornata. Nella nottata del 16 iniziò l’avvicinamento all’obiettivo per sorprendere la guarnigione, ma scoperti dovettero sostenere una furiosa lotta. Il tenente De Totto con il sergente maggiore Postai e il sabotatore Renda fecero in modo di attirare il fuoco nemico su di loro, permettendo così al resto degli incursori di minare il ponte, che fu distrutto. In quel breve scontro il tenente venne ferito abbastanza gravemente alla spalla e alla gamba destra e non essendo più in grado di muoversi, ordinò al Postai di prendere il comando del gruppo e ritirarsi cercando di raggiungere la Tunisia. Certo fu una dura quanto mai inquietante decisione per il sergente maggiore il dovere abbandonare il suo comandante, che fu irremovibile obbligandolo a ubbidire al suo ordine. 

Il tenente De Totto venne catturato dai francesi, che pur trattandolo con durezza, gli dettero le prime cure; per la gravità delle sue ferite venne successivamente trasferito in un ospedale inglese, ove fu curato e assistito con ogni attenzione e appena guarito venne inviato in America quale prigioniero di guerra. Rientrò in Italia il 7 agosto del 1945. Anche gli altri arditi della pattuglia furono catturati e subirono la stessa sorte. 

La terza azione fu quella, come sopra già detto, compiuta da 4 pattuglie dell’ADRA in Cirenaica, già da diversi mesi occupata dagli inglesi. Gli obiettivi erano i due aeroporti di Bengasi: il Benina e il Berka.

Le prime due pattuglie, dei sottotenenti Balmas e Comis, partirono a bordo di due SM.82 nella notte del 13 giugno dall’aeroporto di Eraklion (Creta), con obiettivo l’aeroporto di Benina (Bengasi).

 

Il giorno successivo, sempre dallo stesso aeroporto di Eraklion, altre due pattuglie al comando del sottotenente Di Tommaso e tenente Baccaro, partirono nella nottata per essere lanciate, come le prime, sul Gebel bengasino, con obiettivo Berka il secondo aeroporto di Bengasi.

Questa volta tutte e quattro le pattuglie, che frattanto si erano congiunte nel punto stabilito per l’inizio dell’azione, vennero fornite di carte topografiche ben aggiornate, stampate su seta, per essere più facilmente distrutte in caso di cattura (io sono venuto in possesso di una di queste preziose carte avuta in dono dallo storico Nino Arena). Inoltre a ogni incursore fu dato oltre al normale zainetto, contenente esplosivo T.4 plastico, micce e pacchetto di medicazione, un attrezzo leggero necessario per scavare il terreno e seppellirvi il paracadute. Tale attrezzo non era mai stato dato in dotazione alle altre pattuglie, le quali dovettero scavare le buche con le mani.

 

Ad azione di sabotaggio compiuta, gli arditi avrebbero dovuto portarsi in un punto del deserto, precisamente in un vecchio aeroporto di fortuna ormai abbandonato, ove un aereo militare li avrebbe successivamente recuperati. Questo accorgimento dava la possibilità di rilevare i sabotatori, cosa che non fu possibile per altre pattuglie che agirono in Marocco, Algeria e  Tunisia.

Purtroppo tutte e quattro le pattuglie, nella fase di atterraggio, furono vittime di una furiosa tempesta di sabbia che sparpagliò i sabotatori e disperse alcuni contenitori e ancor più gravemente tra l’altro quelli contenenti le radio trasmittenti e i bidoncini dell’acqua. Parecchi furono i contusi tra gli arditi e quanto faticosa fu la ricerca del materiale disperso, che venne effettuata solo di notte, impresa improba fu quella di raggrupparsi. Nonostante queste avversità ogni capo pattuglia si apprestò a raggiungere l‘obiettivo assegnatogli: tutti iniziarono la operazione loro assegnata da una distanza di oltre 30 Km. dagli aeroporti (per esigenze di sicurezza, quella era la distanza prevista per ogni lancio di sabotaggio, anche se spesso, per errati calcoli, essa veniva di gran lunga superata ).

 

La marcia di avvicinamento ai due aeroporti, che era stata facilitata per il possesso di quelle carte aggiornate, permise un buon orientamento. L’avvicinamento avveniva sempre di notte per intuibili ragioni. Peraltro nonostante ogni cautela quella che doveva essere una sorpresa non lo fu. Probabilmente gli inglesi vennero informati della presenza dei nostri arditi dagli arabi prezzolati che vivevano nella zona ove erano atterrati le nostre pattuglie, ai quali gli inglesi promettevano un premio in denaro qualora segnalavano o catturavano nostri paracadutisti sabotatori, definiti “Most Dangerons”. Frattanto aerei inglesi incominciarono a sorvolare a bassa quota tutto il territorio attorno agli aeroporti. In realtà l’ULTRA aveva captato e decifrato i messaggi radio su quelle azioni di sabotaggio, utilizzando codici e cifrari catturati.

 

Fortunatamente trattandosi di territorio boscoso, gli arditi riuscirono a occultare la loro presenza. I comandanti delle pattuglie decisero allora di dividersi: due gruppi puntarono verso l’aeroporto di Benina, gli altri due su quello di Berka. Agli uomini vennero date disposizioni di agire individualmente in caso di attacchi del nemico e di portare a termine la missione con ogni mezzo. Sfortunatamente si ebbero scontri a fuoco con gli arabi prima e con inglesi dopo; le quattro pattuglie, ormai scoperte, vennero accerchiate, gli arditi ingaggiarono una furiosa lotta, esaurite le munizioni dovettero arrendersi. Due arditi: Franco Cargnel e Vito Procida, che erano stati mandati in ricognizione per perlustrare e individuare quale fosse la migliore via di accesso all’aeroporto di Benina, nel ritornare presso la loro pattuglia e riferire, sentirono a distanza i colpi di fucileria, capirono che i loro compagni erano stati attaccati e attenendosi agli ordini ricevuti, decisero di compiere da soli la missione. Per due giorni e due notti, sfuggendo alle pattuglie inglesi e agli arabi che collaboravano con gli occupanti, avanzarono verso l’aeroporto di Benina. Pur essendo prostrati dalla fame e dalla sete, nella nottata del 19 riuscirono ad entrare dentro l’aeroporto che era continuamente vigilato e nonostante l’attiva sorveglianza, i due arditi piazzarono le loro cariche su diversi aerei dell’USAF ed anche sotto una grossa bomba d’aereo, casualmente lasciata vicino ad un velivolo pronta per essere issata a bordo. I due valorosi compiuta la missione di sabotaggio, si allontanarono velocemente di qualche chilometro dallo aeroporto che in quel momento era base americana, attendendo l’effetto delle esplosioni delle cariche collocate. Una ventina furono gli aerei distrutti e numerosi i morti e feriti, a causa soprattutto dello scoppio della bomba. La stampa inglese di allora, onde alleggerire lo smacco subito, scrisse che solo due apparecchi furono distrutti ad opera dei paracadutisti italiani, asserendo che avevano partecipato a quella azione ben 150 sabotatori. Gli inglesi erano ovviamente interessati nel ridimensionare le loro perdite ed a sopravvalutare l’entità numerica degli assalitori.

Gli arditi Vito Procida e Franco Cargnel, dopo il sabotaggio, marciarono per altri due giorni cercando di raggiungere il punto d’incontro con l’aereo che doveva recuperare le pattuglie. Essendo assetati e affamati (avevano ucciso un cammello e bevuto il suo sangue) si avvicinarono ad un accampamento arabo per chiedere del latte, vennero invece presi a fucilate: il Cargnel fu ferito e il Procida per non abbandonarlo, rispose al fuoco degli arabi, con il solo mitra di cui era in possesso ed esaurite le munizioni fu facile per gli arabi catturarli e consegnarli agli inglesi per riscuotere il compenso stabilito.

 

Per la loro eroica azione fu proposta la M.O.V.M., ma quando i due ritornarono dalla prigionia, quella proposta di Medaglia d’Oro, venne tramutata in Argento.

Questo l’atteggiamento vergognoso della politica del dopoguerra, nei confronti di chi aveva compiuto il proprio dovere in guerra.

 

Nei capitoli di questo libro, ho forse troppo abusato della parola “eroismo“; forse posso avere dato l’impressione di essermi lasciato trasportare da un senso di esagerato romanticismo. Mi é sembrato giusto e doveroso usare tale termine, soprattutto nella descrizione di particolari fatti d’arme, ove lo spirito di abnegazione e di dovere dell’ufficiale e del più umile subalterno venne sempre compiuto con il più alto senso di responsabilità e di obbedienza, pur nella consapevolezza che combattevano una guerra mal preparata e male condotta da una classe dirigente politica e militare, con armamento obsoleto e quantitativamente scarso ed una concezione operativa e dottrinaria riflettente, in buona parte a schemi della 1° guerra mondiale.

Prima di concludere, questo capitolo, vorrei riportare una frase le cui parole  mi rimasero impresse. Ascoltando all’inizio della guerra un discorso di Benito Mussolini, allora ero un giovanetto di appena 17 anni e poco capivo di discorsi

politici quelle parole non le ho mai dimenticate e stimo debbano essere note ai miei lettori soprattutto ai giovani, eccole:

“…………per alcuni la guerra può essere una politica, per altri una speculazione, per altri ancora un dovere penoso o una courvè sanguinosa o una maledizione oscura; per qualcuno può essere un’avventura, ma per i puri, per i giovani per gli adolescenti, la guerra è religione e poesia insieme……….”

 

Al di fuori da ogni retorica, c’è tanto da meditare su questa frase, specialmente oggidì che molte cose sono mutate, che tanti valori si sono modificati (non sempre in senso positivo), che tanti ricordi sono stati cancellati dall’implacabile scorrere del tempo e dall’inarrestabile evoluzione delle mentalità e dei costumi.

Tuttavia resta fermo il fatto che la guerra, con i suoi svariati risvolti è un fenomeno ineluttabile e lo dimostrano i molti efferati conflitti armati che tuttora affliggono tante parti del mondo.

 

Propongo alla meditazione una mia personale considerazione, che non vuole essere  stimolo alla guerra, ma più semplicemente spunto per ricordare alle giovani generazioni il valore della parola Patria.

Ogni Nazione, ha il dovere di rispettare ed accettare i laceranti tormenti ed i più tortuosi passi della propria storia: deve rispettare il suo passato militare e dedicare culto ai suoi Eroi, se vuole serbare la propria dignità.

Purtroppo questa nostra Italia, democratica e repubblicana, non guarda al suo passato militare, ai suoi Eroi (spesso dimenticati), non ne incoraggia il ricordo, timidamente espone la sua Bandiera, non invoglia i giovani alla conoscenza della sua Storia, cosi che per questi la Patria è un termine vago, incomprensibile.

 

Plaudo al sincero intento del Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, il quale opera pervicacemente e con passione per riportare gli italiani a un maggiore rispetto verso le nostre tradizioni militati e a non fare dimenticare quanti caddero combattendo per il Tricolore. 

 

A chiusura di quanto ho esposto nei capitoli 3°, 4°, 5° e 6° vorrei infine fare conoscere al lettore il mio pensiero conclusivo, sui tre anni di guerra condotta e combattuta in Africa Settentrionale:

Nel corso del secondo conflitto mondiale tanto si è scritto, altrettanto si è ”narrato” e pertanto si crede di sapere ormai tutto. E invece no !

Io (che combattente paracadutista volontario, nato e cresciuto in Libia e della Libia amante appassionato sin da quando essa era allora la “Quarta sponda” della nostra Patria), ho tanto letto di storia sospinto dalla nostalgia, per acquisire una sempre più approfondita conoscenza della verità e soprattutto per trovare una parola di esaltazione del coraggio, del valore dei nostri fratelli che hanno profuso con fierezza ed impareggiabile abnegazione ogni più nobile risorsa morale e fisica in una impari lotta, svolta in ambiente naturale ostile con mezzi assolutamente inadeguati. Ecco una delle ragioni per le quali ho voluto scrivere questo libro. Altro motivo di notevole importanza è stato quello derivante dagli scritti di numerosi storici (che mi permetto di valutare solo come semplici “narratori”); rare le eccezioni di autentici e credibili storici che nella mia “Premessa” ho voluto citare e dai quali, ho attinto molto di quanto riportato in questo libro: dati storici inconfutabili. Ritornando a questi “narratori” che nei loro testi non solo hanno esposto fatti importantissimi con stupefacente superficialità, senza alcuna credibilità e sovente deplorando con evidente sfacciata faziosità, il comportamento dei nostri soldati, presentandoli come marionette, inconsapevoli del loro ruolo, quasi sempre umiliati e anche vilipesi come massacratori di popolazioni indifese se non come veri e propri predoni.

 

Eh già! Perché in tal modo “erudendo il pupo” (il popolo), questi faziosi si guadagnavano il compiacimento e l’esaltazione, soprattutto nel dopoguerra, da parte degli ostinati sinistri detrattori di professione dei perenni valori che caratterizzano l’italica Gente.

 

Ed ecco allora che ho avvertito prepotente l’impulso di indagare, di documentarmi, con la ricerca ostinatamente minuziosa di documenti in Italia e all’estero, per scrivere a mia volta un qualcosa di veramente inoppugnabile che mettesse in luce la verità, depurata da ogni sorta di oggettive asserzioni presentate come dogmi.

 

Con questo mio lavoro ho inteso in definitiva smentire i detrattori e porre in buona evidenza (senza tuttavia occultare errori, difetti, meschini retroscena che in quella guerra si verificarono), i meriti dei nostri fratelli combattenti, sovente riconosciuti finanche dal nemico.

 

Ancora o

N°1 -lN.

 

 
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