Lo sbarco
delle unità anglo-americane
in Africa nel 1942 confermò
agli Alti Comandi
italo-tedeschi,
l’intendimento operativo del
nemico di impadronirsi della
Tunisia e procedere per
congiungersi con le truppe
di Montgomery in avanzamento
dalla Libia ed intrappolare
così il dispositivo
italo-tedesco.
Tale
situazione impose l’adozione
di contromisure atte a
vanificare i progetti
operativi delle forze
alleate.
Le
difficoltà di carattere
logistico che avevano
inizialmente debilitato le
forze italo-tedesche non
permisero di poter
contrastare, con i mezzi
tradizionali tra l’altro
sempre più scarsi, la
progressione nemica in
Tunisia.
Gli Stati
Maggiori italo-tedeschi
divisarono conseguentemente
il proposito di impiegare
potenziandole reparti
speciali già esistenti, come la X MAS, unità capaci di
contrastare con arditi ed
improvvisi atti di
sabotaggio, il flusso dei
supporti logistici
essenziali all’alimentazione
operativa delle teste di
fronte anglo-americane.
Per la X MAS la prima azione
nell’Africa del Nord
francese, fu compiuta con
successo, l’11 dicembre 1942
nel porto di Algeri, qui di
seguito ne descriverò
l’operazione.
L’attestarsi delle truppe
nemiche nel Nord Africa ed
il loro ormai certo sbarco
in Sicilia, rese necessarie,
anzi indispensabili,
contromisure atte ad
impegnare con maggior
efficacia le forze degli
alleati, penetrando con
ardite incursioni nei loro
centri logistici al fine di
distruggerli o quanto meno
di portarvi serio
scompiglio.
Nell’aprile del 1942 era
stato costituito un primo
battaglione di incursori
dell’aviazione italiana
(denominato 1°battaglione
d’assalto Regia Aeronautica)
ed in seguito si realizzò la
formazione di un secondo
battaglione denominato ADRA
(Arditi Distruttori Regia
Aeronautica). Nel maggio del
1942, fu formato
il X°reggimento
arditi dell’esercito con
reparti specializzati quali
camionettisti, nuotatori e
paracadutisti.
L’addestramento per queste
formazioni venne completato
tra il dicembre 1942 e il
gennaio 1943, naturalmente
con il conseguimento da
parte dei componenti del
brevetto di paracadutista.
Già da
metà gennaio sino a tutto
luglio del 1943, questi
specialisti entrarono in
azione e furono lanciate
oltre 20 pattuglie, sia
dell’ADRA che del X
reggimento arditi, in tutto
il territorio nemico del
Nord Africa e in Sicilia
appena dopo lo sbarco
alleato effettuato nel
luglio del 1943.
La prima
azione di sabotaggio con
aviolancio fu effettuata il
14 gennaio 1943 da una
pattuglia comandata dal
sottotenente Leo Zoli, con
obiettivo un aeroporto di
Algeri. Una seconda azione
fu eseguita il 12 febbraio
1943 da altra pattuglia
con l’interruzione
della linea ferroviaria
costiera Algeri– Setif –
Constantine, distruggendo il
ponte di Beni Mansur in
Algeria ( la pattuglia era
comandata dal tenente Nino
De Totto ).
Il
10 aprile, altre 4 pattuglie
vennero lanciate in Algeria,
comandate rispettivamente
dal capitano Bosco e dai
tenenti, Graff, Betti,
Verutti. Le azioni non
ebbero successo per una
serie di malintesi e per
l’intercettazione
dell’ULTRA. Tutti i
partecipanti furono
catturati e nei brevi
combattimenti i nostri
sabotatori subirono gravi
perdite. Il capitano Bosco
che durante l’atterraggio si
ruppe una gamba, fu
catturato ed ebbe gravi
complicazioni fisiche che lo
portarono alla morte in un
ospedale francese.
Nel mese
di giugno proseguirono senza
sosta le incursioni, previo
attrezzamento di quattro
basi di partenza per le
azioni di sabotaggio: una in
Francia, aeroporto di Salòn
en Provence ( Tolone ),
denominata “base prima”; la
seconda
in Sardegna,
nell’aeroporto di
Decimomannu (Cagliari); la
terza in Sicilia,
aeroporto di Gerbini
(Catania); la quarta
nell’isola di Creta
(Grecia), aeroporto di
Eraklion ( MAPPA N°33 ).
Da quelle
basi partivano ad ondate
successive i nostri
sabotatori. La sera del
13 giugno, partì da Salòn en
Provence una pattuglia
comandata dal sottotenente
Giovanni Confetto dell’ADRA
che venne imbarcata su un
aereo SM.82 per essere
lanciata in Algeria:
obiettivo l’aeroporto di
Blida. Il lancio per errore
di calcolo, venne effettuato
ad oltre 100 Km. di distanza
dall’obiettivo. Tale grave
evenienza unitamente alla
perdita di alcuni
contenitori di materiale
necessario per il
sabotaggio, nonchè la grande
distanza dall’obiettivo,
provocarono il fallimento
dell’azione e tutti i
componenti vennero
catturati. Il giorno dopo,
sempre in serata, altre due
pattuglie, una del
sottotenente Marvulli,
l’altra del tenente
Giuliattini, partirono su
due aerei SM.82 per
effettuare sabotaggi in
Algeria, diretti agli
aeroporti di
La Senia
e Tafaraui (Orano).
Contemporaneamente il
14 giugno, alle ore 0,15,
tre pattuglie vennero
imbarcate, sempre su aerei
SM.82, per colpire gli
aeroporti di Biskra e
Oulmene in Algeria, tali
pattuglie erano comandate,
dai sergenti maggiori
Stramaccioni, Pennacchiotti
e dal sottotenente Rizzi il
cui obiettivo era Oulmene;
anche in queste azioni tutti
gli arditi sabotatori furono
catturati.
Sempre
nella nottata del 14 giugno,
dall’aeroporto di Gerbini
partiva altra pattuglia
comandata dal sergente Di
Giusto, obiettivo
l’aeroporto di El Diem
(Tunisia ).
La base
di Eraklion (Creta) fu
utilizzata solo per missioni
in Libia: infatti da quella
base partirono nostre
pattuglie per sabotaggi in
Cirenaica ed anche in
Tripolitania. In Cirenaica
ebbero quali obiettivi gli
aeroporti di Berka e Benina
(Bengasi). Tratterò nel
dettaglio quelle azioni che
ritengo meritevoli di essere
conosciute.
Di sicuro
spessore operativo si rivela
l’azione della X MAS, contro
il porto di Algeri. Iniziò
il 4 dicembre 1942, con
l’impiego di arditi
subacquei e nuotatori,
quando il sommergibile
“Ambra“ comandato
dall’allora tenente di
Vascello M.O.V.M. Mario
Arillo, con a bordo 18
assaltatori lasciò il porto
di La Spezia destinazione Algeri.
Di questi 18 audaci
altamente specializzati, sei
formarono tre pattuglie che
agirono con siluri SLC,
mentre gli altri della
specialità “Gamma“, cioé
sabotatori che si portavano
a nuoto e con carica
esplosiva sotto l’obiettivo,
ebbero un ruolo molto
particolare, in quanto
agendo isolatamente
avrebbero dovuto applicare,
sotto le chiglie delle navi
le famose “mignatte“ (
bauletti esplosivi a ventosa
), che con l’aumento della
velocità del natante,
metteva in funzione il
congegno esplosivo. Vennero
anche usate mine adesive dal
peso da due a quattro kg.
cadauno. Questi i nomi degli
assaltatori siluranti:
tenente di Vascello Giorgio
Balessi e sottocapo
palombaro Carlo Pesel,
tenente del Genio navale
Guido Arena e sottocapo
palombaro Ferdinando Cocchi,
guardiamarina Giorgio
Reggioli e sottocapo
palombaro Colombo Pammolli.
Gli incursori della
specialità GAMMA erano: il
sottotenente armi navali
Agostino Morello, tenente di
Vascello Augusto Jacobacci,
secondo capo Battaglia, capo
infermiere Oreste Botti,
sergente granatiere Luigi
Rolfini, sergente
bersagliere Alberto
Evangelisti, sergente
bersagliere Gaspare
Ghiglione, sottocapo
palombaro Giuseppe Feroldi,
sottocapo cannoniere Evideo
Boscolo, marò Giovanni
Lucchetti, soldato Luciano
Luciani, fuochista navale
Rodolfo Lugano.
Dopo
sette giorni e sei notti di
navigazione in immersione e
con un mare burrascoso, il
sommergibile “Ambra“ arrivò
in vista di Algeri a notte
inoltrata.
La
distanza dal porto era
eccessiva e con il mare
sempre in burrasca era
difficile uscire dal
sommergibile. Il comandante
Arillo, tuttavia rischiò e
sempre strisciando sul
fondo, che aveva una
profondità di circa 18 metri, si portò sin
dentro la baia di Algeri e
si trovò, con il rischio di
essere scoperto, al centro
di un convoglio di sei navi
ancorate nella baia.
Questa
insperata situazione
permise agli assalitori di
piazzare le loro cariche
sotto quei natanti, vennero
affondati i piroscafi:
“Ocean Vanquisher“ di oltre
7.000 tonnellate e “Berto“
di 1.493 tonnellate, mentre
furono danneggiati il
“Centaur“ di 7.000
tonnellate e “l’Armatan” di
6.587 tonnellate. La
reazione nemica si fece
subito sentire e dei 18
incursori solo due ebbero la
fortuna di sfuggire alla
cattura raggiungendo il
sommergibile che frattanto
si era portato al largo di
Algeri, il quale pur
sottoposto alla caccia
spietata dell’aviazione
e della
marina inglese, riuscì a
rientrare alla base di
La Spezia. Comunque
quell’azione ebbe successo
anche se Supermarina aveva
puntato su maggiori
risultati.
La
seconda missione che ritengo
interessante far conoscere,
è quella relativa
all’attacco al ponte
ferroviario di Ben Mansur in
Algeria, compiuta da una
pattuglia del X° Arditi al
comando del tenente Giovanni
(Nino) De Totto e del vice
comandante sergente maggiore
Mario Postai.
Il primo
tentativo di lancio aereo in
Algeria della pattuglia De
Totto avrebbe
dovuto
essere effettuato nella
notte dell’11 febbraio 1943,
ma causa le cattive
condizioni atmosferiche
sulla zona di lancio non
poté essere compiuto e
l’aereo SM.82 ritornò alla
base di Decimomannu
(Cagliari), da dove era
partito.
La sera
del 12, alle ore 20,30, lo
stesso aereo imbarcò gli 11
sabotatori e dopo tre ore di
navigazione, raggiunta la
zona prestabilita il lancio
venne effettuato. Purtroppo
i sabotatori atterrarono a
oltre 40 chilometri dal ponte ferroviario di Beni
Mansur che era il loro
obiettivo. La disavventura
fu causata sempre da errati
calcoli, in quanto ricavati
da carte topografiche
vecchie e quindi non
aggiornate. Ovviamente con
gli anni il paesaggio era
cambiato
disorientando i
nostri sabotatori. Il
culmine della sfortuna di
quel lancio fu determinato
anche dalla perdita di
alcuni contenitori,
soprattutto quelli con le
borracce d’acqua e the, che
si sfasciarono nell’impatto
con il terreno. Gli 11
incursori impiegarono tre
giorni per arrivare nei
pressi dell’obiettivo,
marciando sempre di notte
per non farsi individuare.
Il ponte
di Beni Mansur costruito in
ferro, poggiava su un Uadi
(fiume asciutto) ed era di
notevole importanza in
quanto su di esso
transitavano giornalmente
numerosi treni che da Algeri
portavano i rifornimenti
alle truppe operanti in
Tunisia; si trovava a 800 Km. dalla linea del
fronte.
Nella
giornata del 15, il tenente
De Totto con i suoi
sabotatori arrivò,
indisturbato, a un
centinaio di metri dal ponte
che era presidiato da un
forte contingente francese.
Il drappello fu quindi
costretto a rimanere ben
nascosto per tutta la
giornata. Nella nottata del
16 iniziò l’avvicinamento
all’obiettivo per
sorprendere la guarnigione,
ma scoperti dovettero
sostenere una furiosa lotta.
Il tenente De Totto con il
sergente maggiore Postai e
il sabotatore Renda fecero
in modo di attirare il fuoco
nemico su di loro,
permettendo così al resto
degli incursori di minare il
ponte, che fu distrutto. In
quel breve scontro il
tenente venne ferito
abbastanza gravemente alla
spalla e alla gamba destra e
non essendo più in grado di
muoversi, ordinò al Postai
di prendere il comando del
gruppo e ritirarsi cercando
di raggiungere la Tunisia. Certo fu una dura quanto mai inquietante
decisione per il sergente
maggiore il dovere
abbandonare il suo
comandante, che fu
irremovibile obbligandolo a
ubbidire al suo ordine.
Il
tenente De Totto venne
catturato dai francesi, che
pur trattandolo con durezza,
gli dettero le prime cure;
per la gravità delle sue
ferite venne successivamente
trasferito in un ospedale
inglese, ove fu curato e
assistito con ogni
attenzione e appena guarito
venne inviato in America
quale prigioniero di guerra.
Rientrò in Italia il 7
agosto del 1945. Anche gli
altri arditi della pattuglia
furono catturati e subirono
la stessa sorte.
La terza
azione fu quella, come sopra
già detto, compiuta da 4
pattuglie dell’ADRA in
Cirenaica, già da diversi
mesi occupata dagli inglesi.
Gli obiettivi erano i due
aeroporti di Bengasi: il
Benina e il Berka.
Le prime
due pattuglie, dei
sottotenenti Balmas e Comis,
partirono a bordo di due
SM.82 nella notte del 13
giugno dall’aeroporto di
Eraklion (Creta), con
obiettivo l’aeroporto di
Benina (Bengasi).
Il giorno
successivo, sempre dallo
stesso aeroporto di
Eraklion, altre due
pattuglie al comando del
sottotenente Di Tommaso e
tenente Baccaro, partirono
nella nottata per essere
lanciate, come le prime, sul
Gebel bengasino, con
obiettivo Berka il secondo
aeroporto di Bengasi.
Questa
volta tutte e quattro le
pattuglie, che frattanto si
erano congiunte nel punto
stabilito per l’inizio
dell’azione, vennero fornite
di carte topografiche ben
aggiornate, stampate su
seta, per essere più
facilmente distrutte in caso
di cattura (io sono venuto
in possesso di una di queste
preziose carte avuta in dono
dallo storico Nino Arena).
Inoltre a ogni incursore fu
dato oltre al normale
zainetto, contenente
esplosivo T.4 plastico,
micce e pacchetto di
medicazione, un attrezzo
leggero necessario per
scavare il terreno e
seppellirvi il paracadute.
Tale attrezzo non era mai
stato dato in dotazione alle
altre pattuglie, le quali
dovettero scavare le buche
con le mani.
Ad azione
di sabotaggio compiuta, gli
arditi avrebbero dovuto
portarsi in un punto del
deserto, precisamente in un
vecchio aeroporto di fortuna
ormai abbandonato, ove un
aereo militare li avrebbe
successivamente recuperati.
Questo accorgimento dava la
possibilità di rilevare i
sabotatori, cosa che non fu
possibile per altre
pattuglie che agirono in
Marocco, Algeria e
Tunisia.
Purtroppo
tutte e quattro le
pattuglie, nella fase di
atterraggio, furono vittime
di una furiosa tempesta di
sabbia che sparpagliò i
sabotatori e disperse alcuni
contenitori e ancor più
gravemente tra l’altro
quelli contenenti le radio
trasmittenti e i bidoncini
dell’acqua. Parecchi furono
i contusi tra gli arditi e
quanto faticosa fu la
ricerca del materiale
disperso, che venne
effettuata solo di notte,
impresa improba fu quella di
raggrupparsi. Nonostante
queste avversità ogni capo
pattuglia si apprestò a
raggiungere l‘obiettivo
assegnatogli: tutti
iniziarono la operazione
loro assegnata da una
distanza di oltre 30 Km. dagli aeroporti (per
esigenze di sicurezza,
quella era la distanza
prevista per ogni lancio di
sabotaggio, anche se spesso,
per errati calcoli, essa
veniva di gran lunga
superata ).
La marcia
di avvicinamento ai due
aeroporti, che era stata
facilitata per il possesso
di quelle carte aggiornate,
permise un buon
orientamento.
L’avvicinamento avveniva
sempre di notte per
intuibili ragioni. Peraltro
nonostante ogni cautela
quella che doveva essere una
sorpresa non lo fu.
Probabilmente gli inglesi
vennero informati della
presenza dei nostri arditi
dagli arabi prezzolati che
vivevano nella zona ove
erano atterrati le nostre
pattuglie, ai quali gli
inglesi promettevano un
premio in denaro qualora
segnalavano o catturavano
nostri paracadutisti
sabotatori, definiti “Most
Dangerons”. Frattanto aerei
inglesi incominciarono a
sorvolare a bassa quota
tutto il territorio attorno
agli aeroporti. In realtà
l’ULTRA aveva captato e
decifrato i messaggi radio
su quelle azioni di
sabotaggio, utilizzando
codici e cifrari catturati.
Fortunatamente trattandosi
di territorio boscoso, gli
arditi riuscirono a
occultare la loro presenza.
I comandanti delle pattuglie
decisero allora di
dividersi: due gruppi
puntarono verso l’aeroporto
di Benina, gli altri due su
quello di Berka. Agli uomini
vennero date disposizioni di
agire individualmente in
caso di attacchi del nemico
e di portare a termine la
missione con ogni mezzo.
Sfortunatamente si ebbero
scontri a fuoco con gli
arabi prima e con inglesi
dopo; le quattro pattuglie,
ormai scoperte, vennero
accerchiate, gli arditi
ingaggiarono una furiosa
lotta, esaurite le munizioni
dovettero arrendersi. Due
arditi: Franco Cargnel e
Vito Procida, che erano
stati mandati in
ricognizione per perlustrare
e individuare quale fosse la
migliore via di accesso
all’aeroporto di Benina, nel
ritornare presso la loro
pattuglia e riferire,
sentirono a distanza i colpi
di fucileria, capirono che i
loro compagni erano stati
attaccati e attenendosi agli
ordini ricevuti, decisero di
compiere da soli la
missione. Per due giorni e
due notti, sfuggendo alle
pattuglie inglesi e agli
arabi che collaboravano con
gli occupanti, avanzarono
verso l’aeroporto di Benina.
Pur essendo prostrati dalla
fame e dalla sete, nella
nottata del 19 riuscirono ad
entrare dentro l’aeroporto
che era continuamente
vigilato e nonostante
l’attiva sorveglianza, i due
arditi piazzarono le loro
cariche su diversi aerei
dell’USAF ed anche sotto una
grossa bomba d’aereo,
casualmente lasciata vicino
ad un velivolo pronta per
essere issata a bordo. I due
valorosi compiuta la
missione di sabotaggio, si
allontanarono velocemente di
qualche chilometro dallo
aeroporto che in quel
momento era base americana,
attendendo l’effetto delle
esplosioni delle cariche
collocate. Una ventina
furono gli aerei distrutti e
numerosi i morti e feriti, a
causa soprattutto dello
scoppio della bomba. La
stampa inglese di allora,
onde alleggerire lo smacco
subito, scrisse che solo due
apparecchi furono distrutti
ad opera dei paracadutisti
italiani, asserendo che
avevano partecipato a quella
azione ben 150 sabotatori.
Gli inglesi erano ovviamente
interessati nel
ridimensionare le loro
perdite ed a sopravvalutare
l’entità numerica degli
assalitori.
Gli
arditi Vito Procida e Franco
Cargnel, dopo il sabotaggio,
marciarono per altri due
giorni cercando di
raggiungere il punto
d’incontro con l’aereo che
doveva recuperare le
pattuglie. Essendo assetati
e affamati (avevano ucciso
un cammello e bevuto il suo
sangue) si avvicinarono ad
un accampamento arabo per
chiedere del latte, vennero
invece presi a fucilate: il
Cargnel fu ferito e il
Procida per non
abbandonarlo, rispose al
fuoco degli arabi, con il
solo mitra di cui era in
possesso ed esaurite le
munizioni fu facile per gli
arabi catturarli e
consegnarli agli inglesi per
riscuotere il compenso
stabilito.
Per la
loro eroica azione fu
proposta
la M.O.V.M.,
ma quando i due ritornarono
dalla prigionia, quella
proposta di Medaglia d’Oro,
venne tramutata in Argento.
Questo
l’atteggiamento vergognoso
della politica del
dopoguerra, nei confronti di
chi aveva compiuto il
proprio dovere in guerra.
Nei
capitoli di questo libro, ho
forse troppo abusato della
parola “eroismo“; forse
posso avere dato
l’impressione di essermi
lasciato trasportare da un
senso di esagerato
romanticismo. Mi é sembrato
giusto e doveroso usare tale
termine, soprattutto nella
descrizione di particolari
fatti d’arme, ove lo spirito
di abnegazione e di dovere
dell’ufficiale e del più
umile subalterno venne
sempre compiuto con il più
alto senso di responsabilità
e di obbedienza, pur nella
consapevolezza che
combattevano una guerra mal
preparata e male condotta da
una classe dirigente
politica e militare, con
armamento obsoleto e
quantitativamente scarso ed
una concezione operativa e
dottrinaria riflettente, in
buona parte a schemi della
1° guerra mondiale.
Prima di
concludere, questo capitolo,
vorrei riportare una frase
le cui parole
mi rimasero impresse.
Ascoltando all’inizio della
guerra un discorso di Benito
Mussolini, allora ero un
giovanetto di appena 17 anni
e poco capivo di discorsi
politici
quelle parole non le ho mai
dimenticate e stimo debbano
essere note ai miei lettori
soprattutto ai giovani,
eccole:
“…………per alcuni la guerra
può essere una politica, per
altri una speculazione, per
altri ancora un dovere
penoso o una courvè
sanguinosa o una maledizione
oscura; per qualcuno può
essere un’avventura, ma per
i puri, per i giovani per
gli adolescenti, la guerra è
religione e poesia insieme……….”
Al di
fuori da ogni retorica, c’è
tanto da meditare su questa
frase, specialmente oggidì
che molte cose sono mutate,
che tanti valori si sono
modificati (non sempre in
senso positivo), che tanti
ricordi sono stati
cancellati dall’implacabile
scorrere del tempo e
dall’inarrestabile
evoluzione delle mentalità e
dei costumi.
Tuttavia
resta fermo il fatto che la
guerra, con i suoi svariati
risvolti è un fenomeno
ineluttabile e lo dimostrano
i molti efferati conflitti
armati che tuttora
affliggono tante parti del
mondo.
Propongo
alla meditazione una mia
personale considerazione,
che non vuole essere
stimolo alla guerra,
ma più semplicemente spunto
per ricordare alle giovani
generazioni il valore della
parola Patria.
Ogni Nazione, ha il dovere
di rispettare ed accettare i
laceranti tormenti ed i più
tortuosi passi della propria
storia: deve rispettare il
suo passato militare
e dedicare culto ai suoi
Eroi, se vuole serbare la
propria dignità.
Purtroppo
questa nostra Italia,
democratica e repubblicana,
non guarda al suo passato
militare, ai suoi Eroi
(spesso dimenticati), non ne
incoraggia il ricordo,
timidamente espone la sua
Bandiera, non invoglia i
giovani alla conoscenza
della sua Storia, cosi che
per questi
la Patria
è un termine vago,
incomprensibile.
Plaudo al
sincero intento del
Presidente della Repubblica
Italiana Carlo Azeglio
Ciampi, il quale opera
pervicacemente e con
passione per riportare gli
italiani a un maggiore
rispetto verso le nostre
tradizioni militati e a non
fare dimenticare quanti
caddero combattendo per il
Tricolore.
A
chiusura di quanto ho
esposto nei capitoli 3°, 4°,
5° e 6° vorrei infine fare
conoscere al lettore il mio
pensiero conclusivo, sui tre
anni di guerra condotta e
combattuta in Africa
Settentrionale:
Nel corso
del secondo conflitto
mondiale tanto si è scritto,
altrettanto si è ”narrato” e
pertanto si crede di sapere
ormai tutto. E invece no !
Io (che
combattente paracadutista
volontario, nato e cresciuto
in Libia e della Libia
amante appassionato sin da
quando essa era allora la “Quarta
sponda” della nostra
Patria), ho tanto letto di
storia sospinto dalla
nostalgia, per acquisire una
sempre più approfondita
conoscenza della verità e
soprattutto per trovare una
parola di esaltazione del
coraggio, del valore dei
nostri fratelli che hanno
profuso con fierezza ed
impareggiabile abnegazione
ogni più nobile risorsa
morale e fisica in una
impari lotta, svolta in
ambiente naturale ostile con
mezzi assolutamente
inadeguati. Ecco una delle
ragioni per le quali ho
voluto scrivere questo libro.
Altro motivo di notevole
importanza è stato quello
derivante dagli scritti di
numerosi storici (che mi
permetto di valutare solo
come semplici “narratori”);
rare le eccezioni di
autentici e credibili
storici che nella mia “Premessa”
ho voluto citare e dai quali,
ho attinto molto di quanto
riportato in questo libro:
dati storici inconfutabili.
Ritornando a questi “narratori”
che nei loro testi non solo
hanno esposto fatti
importantissimi con
stupefacente superficialità,
senza alcuna credibilità e
sovente deplorando con
evidente sfacciata faziosità,
il comportamento dei nostri
soldati, presentandoli come
marionette, inconsapevoli
del loro ruolo, quasi sempre
umiliati e anche vilipesi
come massacratori di
popolazioni indifese se non
come veri e propri predoni.
Eh già!
Perché in tal modo “erudendo
il pupo” (il popolo), questi
faziosi si guadagnavano il
compiacimento e
l’esaltazione, soprattutto
nel dopoguerra, da parte
degli ostinati sinistri
detrattori di professione
dei perenni valori che
caratterizzano l’italica
Gente.
Ed ecco
allora che ho avvertito
prepotente l’impulso di
indagare, di documentarmi,
con la ricerca ostinatamente
minuziosa di documenti in
Italia e all’estero, per
scrivere a mia volta un
qualcosa di veramente
inoppugnabile che mettesse
in luce la verità, depurata
da ogni sorta di oggettive
asserzioni presentate come
dogmi.
Con
questo mio lavoro ho inteso
in definitiva smentire i
detrattori e porre in buona
evidenza (senza tuttavia
occultare errori, difetti,
meschini retroscena che in
quella guerra si
verificarono), i meriti dei
nostri fratelli combattenti,
sovente riconosciuti
finanche dal nemico.
Ancora o
N°1 -lN.