Rommel dopo avere eliminato
ogni resistenza a Marsa
Matruch, il 30 giugno si era
già attestato nella zona di
Sidi Abd el Rahman a
11 Km. dalle posizioni inglesi
di Deir el Shein, presidiate
dalla 1^divisione
sudafricana e dalla XVIII
brigata indiana; più a Sud
nella zona di Qaret el Abd,
vi era la 2^divisione
neozelandese, a Ruweisat la
1^divisione corazzata
inglese, a Bab el Qattara
la VI
brigata neozelandese, a Naqb
Abu Dweis
la IX
brigata di fanteria indiana,
a Himeimat la 4^divisione
indiana e alla estremità
della linea di difesa la
7^divisione corazzata;
attorno al perimetro di El
Alamein
era stata preparata una
linea difensiva tenuta dalla
III brigata sudafricana.
Dall”inizio del mese di
luglio sino al giorno 11, in quelle zone, si svolsero alcuni sporadici
combattimenti; l’armata
italo tedesca era
riuscita a conquistare
le posizioni inglesi di
Tell el Eisa e Ruweisat,
ma Auchinleck dopo
qualche giorno, li
riconquistò; restarono
però in mano
italo-tedesca le
posizioni di Qaret el
Abd, Bab el Qattara e
Naqb abu Dweis.
Frattanto da ambo le
parti si riorganizzavano
e s’intensificarono i
campi minati, che i
combattenti italiani
appellarono subito come
“giardini del diavolo“;
da parte italo tedesca,
pare che lungo le loro
posizioni vennero messe
a sito molti di questi
“giardini del diavolo”
con una nuova originale
sequenza: ogni campo o
sacca aveva una
lunghezza di quattro
cinque chilometri e una
larghezza di alcuni
chilometri, il campo era
circondato da un
reticolato che ne
delineava i confini,
dentro venivano
interrate anche bombe di
aereo dai 100 ai 500 Kg., erano bombe inglesi
recuperate nei depositi
dei campi di aviazione
nemici di Marsa Matruk,
Fuka ed
in altri campi di
fortuna lungo la
frontiera, queste bombe
venivano collegate tra
loro da fili leggermente
coperti di sabbia e a
loro volta connessi a
spolette, quando il filo
veniva calpestato o
trascinato provocava per
contatto l’accensione
delle medesime e di
conseguenza lo scoppio
della bomba; vi erano
poi mine anticarro e
antiuomo, inoltre i
passaggi, non minati,
che usavano le pattuglie
italo-tedesche, quando
uscivano e rientravano
da operazioni notturne,
venivano mascherati
simulando di essere
minati onde ingannare i
genieri inglesi; lo
stratagemma era quello
di sotterrare sotto quei
corridoi barre di ferro
o altri rottami
metallici e quando gli
sminatori nemici, che di
notte penetravano in
quei campi minati per
aprire vie di sicurezza
alle loro fanterie e
carri armati, allorché
queste dovevano
attraversarli per
attaccare le nostre
posizioni, cercavano
anche d’individuare e
minare i passaggi
segreti che usavano le
nostre pattuglie per
entrare e uscire dai
quei campi; naturalmente
passando i loro
apparecchi magnetici su
quei tratti falsamente
minati, essi segnalavano
la presenza di mine e
quindi gli sminatori
sicuri che quel tratto
era minato passavano
oltre. Altro stratagemma
usato dai nostri genieri
era quello di
sovrapporre due e anche
tre mine antiuomo una su
l’altra, ingannando così
il geniere nemico che,
come sopra detto, aveva
il compito di aprire dei
passaggi per la
fanteria, localizzando
la mina la disinnescava
e non si accorgeva che
sotto un leggero
strato di sabbia vi potevano
essere ancora una o due
mine; i genieri tedeschi
misero in uso anche mine con
rivestimento in legno o
involucro isolante che così
sfuggivano alle rilevazioni
del detector; anche i
genieri inglesi usarono un
analogo accorgimento per le
mine antiuomo e anticarro,
le avvolgevano in teli
gommati e quando il detector
dell’avversario vi passava
sopra non le segnalava
perché il telo gommato
faceva da isolante. Erano
tutti stratagemmi per
ingannare il nemico
quando questi per
attaccare era costretto ad
entrare in un campo minato,
che quasi sempre seminava
morte.
Generalmente tutti i lavori
di sminamento e messa in
opera di mine avvenivano di
notte, in quanto di giorno
il lavoro, che era lungo e
fatto allo scoperto, metteva
l’artificiere alla mercé dei
cecchini nemici ma
soprattutto bersaglio ai
tiri di artiglieria; i
“giardini del diavolo“ nel
corso della guerra e anche
molti anni dopo causarono
migliaia di morti.
Le
fortificazioni campali nei
due schieramenti, vennero a
rinforzarsi ulteriormente
soprattutto nei mesi di
luglio-agosto. Per l’armata
italo-tedesca fu
provvidenziale l’arrivo in
Libia della 164^divisione
tedesca, posta prima al
comando del generale von
Mellenthin, promosso a tale
grado sul campo, poi del
generale Lungershausen e
della 288^brigata
paracadutisti Ramcke,
ambedue i contingenti erano
stati ritirati da Creta;
inoltre in quel periodo
arrivò anche la divisione
Folgore. Tutti questi
reparti furono trasportati
in Libia a mezzo via aerea,
in quanto con i convogli
marittimi, per il predominio
navale e aereo inglese nel
Mediterraneo, certamente
sarebbero stati
decimati.
Il
primo battaglione della
Folgore che arrivò in Africa
Settentrionale fu il IV al
comando del maggiore Alberto
Bechi Luserna; era partito
dallo aeroporto di Galatina(Lecce)
su aerei SM.75 e SM.82, che
atterrarono in Cirenaica (aeroporto
di Derna) il 15 luglio del
1942; il battaglione fu
subito trasferito prima a
Tobruch, poi a Fuka e il 21
era già a El Daba in attesa
dell’arrivo del resto della
divisione, che giunse entro
metà agosto, proveniente
parte dalla Grecia
(Tatoi) sempre per
via aerea e il resto ancora
da Galatina.
La
divisione paracadutisti “Frattini”
dal nome del suo primo
comandante (il 1°agosto
prenderà la denominazione di
Folgore) venne
ingannevolmente data
disponibile al generale
Cavallero da parte dello
SM/RE del generale Ambrosio,
promessa a Rommel con rapido
spostamento aereo dopo
essere stata ritirata dalla
riserva strategica
costituita per l’operazione
C.3 (occupazione di Malta);
occorsero invece 32 giorni
per trasferire la Folgore in A.S.(10 giorni di tradotta dalle Puglie
a Tatoi in Grecia via
Balcani). Un vero e proprio
tradimento.
Particolare storico: il
progetto italo-tedesco per
l’
l’occupazione di Malta venne
preparato dal generale
Gandin per l’esercito,
dall’ammiraglio Girosi per
la marina e dal generale
Cappa per l’aviazione. Il
generale Gandin che aveva a
lungo collaborato con lo
Stato Maggiore tedesco
dell’OBS di Kesselring,
venne ucciso a Cefalonia
dalla rappresaglia tedesca
dovuta allo ignobile
armistizio
voluto da Badoglio.
Gandin non era certamente
antitedesco ma ubbidì agli
ordini di Badoglio e ci
lasciò la vita.
Per una maggiore conoscenza
storica della divisione
Folgore, è necessario che il
lettore segua attentamente
certi particolari che ora
descriverò: agli inizi del
1941 erano già pronti tre
battaglioni, il primo
costituito da Carabinieri,
comandato prima dal maggiore
Bixio Bersanetti poi dal
maggiore Edoardo Alessi (il
lettore ne ha avuto
conoscenza nel terzo
capitolo),il secondo al
comando del maggiore
Zanninovich e il terzo
guidato dal maggiore Guido
Lusena; i tre battaglioni
costituirono poi il
1°reggimento paracadutisti,
il cui comando inizialmente
venne affidato al colonnello
Bignami, si fregiò del motto
“Ex alto fulgor” che in
seguito si trasformò in “Folgore“
per tutta la divisione; il
motto era stato ideato da
Don Maglioni,Cappellano
militare del reggimento.
A
settembre del 1941 nasce il
2°reggimento, con i quadri
del 5°-6°e 7° battaglione;
solo nei mesi di
novembre-dicembre venne
formato un 3°reggimento con
il 9°-10°e 11° battaglione
seguito dall’8° battaglione
guastatori e dal reggimento
artiglieria con genieri e
servizi. Ecco completata
organicamente la divisione
Folgore, pronta per
l’occupazione di Malta,
comandata dal generale
Enrico Frattini, una nobile
figura di Soldato, proveniva
dal Genio militare. Si era
volontariamente offerto, da
cinquantenne, al generale
Roatta per comandare la
divisione paracadutisti,
dopo il rifiuto a tale
incarico pericoloso ma
prestigioso di numerosi
pavidi generali.
La
divisione ormai completa,
iniziò sulle coste
dell’isola d’Elba, le
esercitazioni di
addestramento al
combattimento, con
simulazione di attacchi a
roccaforti e città, finti
sbarchi, occupazione di
aeroporti, assalti all’arma
bianca, conoscenza delle
carte topografiche, vennero
scelte zone che avevano una
certa somiglianza con il
territorio maltese; quelle
esercitazioni così
particolari, fecero
presupporre ai paracadutisti
di una prossima azione di
lancio, ma essi mai
immaginarono che l’obiettivo
fosse la conquista di Malta,
anche se per quella
conquista, era nata e
addestrata la divisione
Folgore. Poi l’addestramento
venne proseguito in Puglia
fra Brindisi e Lecce.
Altre forze armate del
nostro esercito e della
marina, compivano analoghe
esercitazioni, in vista
della attuazione C.3, erano
i paracadutisti nuotatori
del reggimento San Marco,
reparti speciali della
Milizia fascista (quattro
battaglioni), un battaglione
Arditi paracadutisti della
Regia aeronautica; sempre
per quel progetto furono
costruiti particolari
canotti e motozattere, si
studiarono tute speciali in
gomma e autorespiratori per
i sommozzatori, si
costruirono solide scale
metalliche atte a scalare
scogliere inaccessibili;
l’aviazione dal canto suo si
preparava per il difficile
compito di protezione. Per
l’eventuale azione su Malta,
oltre ai reparti speciali
vennero coinvolte le
divisioni “Friuli“, “La
Spezia“,
“Superga“, altre G.U. come
le divisioni “Assietta”,
“Livorno”, “Napoli” che
furono considerate di
rincalzo; complessivamente
in quella operazione
dovevano essere impiegati
non meno di 100.000 uomini
solo da parte italiana,
mentre i tedeschi avrebbero
partecipato con una
divisione paracadutisti,
reparti speciali corazzati,
fornendo inoltre gran parte
degli aerei e alianti
necessari, sia per il
trasporto che per attacco.
Comunque tutti quei
preparativi e addestramenti
furono tenuti rigorosamente
segreti, non certamente per
i servizi segreti inglesi,
che in Italia funzionavano
al meglio; ne erano
solamente a conoscenza quei
pochissimi comandi impegnati
in quella operazione. Solo
dopo che il tanto vantato
attacco a Malta fu
annullato, gli uomini dei
reparti interessati ne
vennero a conoscenza, questo
creò malcontento soprattutto
tra i paracadutisti, gli
arditi e i marinai del
S.Marco, che erano stati
sottoposti a pesanti
sacrifici negli
addestramenti.
Dopo l’abbandono del piano
su Malta, gli alti comandi
di Roma cercarono di
tacitare i paracadutisti
prospettando loro un’altra
possibilità di lancio di
guerra, con molta
probabilità in Africa
Settentrionale e certamente
l’obiettivo avrebbe dovuto
essere Alessandria; così
arrivò improvvisamente
l’ordine di trasferimento in
Grecia del 186°Reggimento,
che partì a luglio del 1942
da Ostuni (Puglia) in
ferrovia; il reggimento
attraversò tutta l’Italia
centrale e settentrionale,
entrò in Jugoslavia e
infine, nei primi giorni di
agosto, arrivò a Tatoi
(Grecia),dopo
2.000 km.di
ferrovia, si accampò nella
zona dell’aeroporto di
Atene. I molti massacranti
giorni di viaggio, trascorsi
sulle famose tradotte di
guerra, non intaccarono
minimamente, né il morale,
né lo spirito combattivo di
quella magnifica gioventù.
Da Tatoi il 7 agosto il
reggimento venne imbarcato
su aerei italiani che
atterrarono nello aeroporto
di Tobruch.
Il
187° Reggimento come gli
altri due reggimenti,
arrivarono in Africa con il
completo equipaggiamento di
lancio, ma inspiegabilmente
a tutti furono ritirati i
paracadute che vennero
ammassati, parte in un
deposito di Derna, altri in
uno di Tobruch e qui devo
fare conoscere un
particolare molto
agghiacciante che mi fu
riferito a suo tempo da
amici “ folgorini “ che
avevano vissuto l’odissea
della Folgore. Pare che
durante una ispezione ai
paracadute nel deposito di
Tobruch fu scoperto che un
gran numero di essi erano
stati manomessi: funi di
vincolo tagliate, altre
bruciate con acido e per non
allarmare i paracadutisti
venne detto che le avarie ai
paracadute erano state fatte
dai topi che avevano
rosicchiato le funi.... se
quanto mi é stato riferito
corrisponde a verità...
lascio ogni commento al
lettore!
Analogo sabotaggio venne
fatto al battaglione
carabinieri paracadutisti,
già in Libia dal 1941, che
trovarono i loro paracadute
IF41/SP. danneggiati nel
fascio funicolare e nelle
calotte. Furono riparati
dalle Suore Bianche
dell’Istituto religioso di
Tripoli.
Altro particolare....
demoralizzante e inutile,
sia il 186°Reggimento in
Grecia che gli altri reparti
in Puglia prima di partire
per l’Africa, dovettero
togliere dalle giubbe il
piccolo paracadute in oro
che denotava la loro
appartenenza a reparti
paracadutisti e la divisione
prese il nome di “Cacciatori
d’Africa “; solo nell’agosto
quando tutta la divisione
venne riunita a El Daba
(Egitto),i paracadutisti
furono autorizzati a
rimettere sul braccio il
piccolo paracadute dorato.
Questo accorgimento venne
spiegato dal fatto che
l’invio della divisione in
Africa Settentrionale,
doveva essere segreto,
quindi ecco l’eliminazione
del
simbolo di
paracadutista e la nuova
denominazione di “Cacciatori
d’Africa”. Particolare
sconcertante: Radio Londra
di allora, disse subito che
era inutile quel
camuffamento in quanto
avevano scoperto da tempo la
destinazione della
divisione. I tre Reggimenti
paracadutisti vennero
inviati in Africa
Settentrionale senza le
bandiere di guerra.
Man mano che i reparti della
Folgore arrivavano
scaglionati, venivano
aggregati alle divisioni di
fanteria che tenevano le
posizioni nella zona di El
Alamein, quella che ne
usufruì maggiormente fu la
divisione Brescia alla quale
furono assegnati due
battaglioni il 5° e il 7°
che parteciparono alla
conquista dei capisaldi
inglesi di Bab el Qattara,
Alam Nayil, durante la
seconda offensiva di Rommel
a fine agosto 1942.
Nel mese di settembre la
divisione ormai completa nei
suoi tre Reggimenti, il
186°comandato dal colonnello
Pietro Tantillo, il 187°dal
tenente colonnello Luigi
Camosso e il 185°artiglieria
dal colonnello Ernesto Boffa,
venne dislocata allo estremo
sud dello schieramento
dell’Asse: da Deir el
Munassib sino a Qaret el
Himeimat
Un
particolare non trascurabile,
nei reparti della Folgore
che arrivarono in Africa
Settentrionale mancavano due
battaglioni il 3° e l’11°
che non partirono in quanto
trattenuti in Italia
destinati a formare il primo
nucleo della costituenda
divisione Nembo.
In Africa Settentrionale
dopo le prime scaramucce
agli inizi del mese di
luglio, il feldmaresciallo
Rommel decise di lanciare
una offensiva frontale così
da non dare tempo al
generale Auchinleck di
riorganizzarsi; nei giorni
10 e 11 luglio Rommel iniziò
una serie di attacchi, che
lo portarono a conquistare
il ciglione di Ruweisat, ma
un contrattacco
dell’8^Armata lo costrinse a
ripiegare nuovamente alle
posizioni di partenza;
Rommel non desistette e dal
20 al 25 contrattaccò
nuovamente conquistando
tutte le importanti
posizioni tenute dagli
inglesi in quel settore; gli
attacchi e contrattacchi del
mese di luglio causarono
forti perdite da ambo le
parti con la differenza che
Auchinleck riceveva continui
rinforzi, per la vicinanza
del fronte da Alessandria,
di soldati e materiale
soprattutto americano,
quindi poteva reintegrare il
perduto, infatti a fine
luglio era giunta in Egitto
la 9^ Divisione australiana
e la 44^Divisione di
fanteria britannica, era in
arrivo anche l’8^ Divisione
corazzata forte di oltre 350
carri armati del tipo
“Valentine” e la
50^Divisione; Rommel
al contrario, aveva le sue
truppe, anche se rinforzate
dai nuovi arrivi, ormai
esauste, con pochi carri
armati efficienti, scarsezza
di carburante. Le preziose
tonnellate di combustibile
catturato a Tobruch e Marsa
Matruch si erano frattanto
esaurite e le basi di
rifornimento erano lontane
dal fronte dell’Asse:
Tripoli a oltre 2.300 Km.,quella più vicina era Tobruch a oltre 600 Km.
Rommel constatando la
tragica situazione che si
era generata in quel mese di
luglio durante la sua
offensiva che possiamo
considerare come la prima
battaglia di El Alamein, non
fidandosi degli aiuti
promessi dal generale
Cavallero e dal
feldmaresciallo Kesselring,
fece chiaramente capire la
sua decisione di lasciare il
comando e rientrare in
Patria, anche perché
incominciava a risentire
disturbi gastro-intestinali,
ma intervenne l’ordine
perentorio di Hitler di
restare sul posto e
continuare l’offensiva;
anche Cavallero e Kesselring
si precipitarono al
Quartiere generale di Rommel
assicurandogli che era in
navigazione un convoglio con
un carico di 5.000
tonnellate di combustibile,
quantitativo che era stato
previsto per iniziare un
altra offensiva sino ad
Alessandria; purtroppo ne
arrivò a Tobruch solo una
piccola parte; il convoglio
era stato decimato dagli
aerei e dai sottomarini
nemici, due navi cisterna
vennero affondate mentre
entravano nel porto di
Tobruch; Kesselring a sua
volta aveva promesso l’invio
di 500 tonnellate di
combustibile al giorno a
mezzo via aerea; anche con
questo mezzo, di
combustibile ne arrivò ben
poco, in quanto parte veniva
consumato dagli stessi aerei
addetti a quel trasporto.
Nel mese di luglio, il
comando superiore Africa
Settentrionale, decise di
occupare l’oasi di Siwah in
territorio egiziano, onde
prevenire un possibile
attacco inglese da quel
settore che avrebbe potuto
colpire, per aggiramento, le
nostre retrovie e di
conseguenza lo schieramento
dell’Asse ad El Alamein;
l’oasi di Siwah aveva in
quel momento un ruolo
strategico importante, in
quanto era il centro di
piste con direttrici a Nord
verso Alessandria e il
Cairo, mentre a Sud
toccavano Giarabub e da lì
si diramavano verso la costa
e l’interno del Fezzan.
Siwah nei millenni passati
ebbe celebrità storica in
quanto in essa si trovava,
secondo la leggenda,
l’Oracolo di Giove Annone
spesso consultato da
Alessandro Magno durante la
conquista dell’Egitto.
L’oasi di Siwah ha molte
sorgenti naturali e una di
queste che gli antichi
chiamarono “ La fontana del
Sole”, aveva e pare ancora
oggi una particolare
funzione delle sue acque, al
sorgere del sole sgorgava
acqua tiepida, a mezzodì
diventava fredda, al
tramonto del sole ritornava
tiepida e a mezzanotte era
bollente; questo secondo la
leggenda, ma il noto
esploratore padovano G.
Battista Belzoni nel 1819
riuscì ad arrivare ed
esplorare Siwah e conoscendo
la leggenda volle verificare
l’esistenza di quella
“Fontana” e la temperatura
delle sue acque, ebbene egli
ci ha confermato che quel
fenomeno era realtà.
Venne scelta la
136^Divisione Giovani
Fascisti, costituita nel
maggio del 1942, divisione
che prese quel nome in onore
dell’eroico comportamento
che i volontari giovani
fascisti dimostrarono a Bir
el Gobi; la divisione oltre
ad avere i due battaglioni
GG.FF. aveva un nucleo
autoblindo del Nizza
Cavalleria,comandato dal
tenente colonnello Grignoli,
un reggimento di
artiglieria, un gruppo
Sahariano, il 9°Battaglione
bersaglieri corazzato tratto
dalla divisione Trieste,
inoltre una sezione Sanità e
due squadre piloti esperti
per la guida di automezzi
nel deserto; pur essendo
stata definita come unità
corazzata aveva........ solo
due carri armati M.14 ed un
ridotto organico
divisionale, il comando
venne affidato al generale
Ismaele Di Nisio. In seguito
si aggiunsero due
battaglioni tedeschi il 3° e
il 330° al comando del
maggiore von Luck.
Il
20 luglio una colonna
motorizzata nella quale vi
era anche un battaglione
GG.FF.,partì da Giarabub via
terra e il 22 arrivò a Siwah
occupandola dopo un breve
combattimento con la
guarnigione egiziana,
rinforzata da elementi
inglesi
del LRDG, che vennero
subito eliminati;
contemporaneamente l’altro
battaglione GG.FF.
aviotrasportato con Junker
52 tedeschi, atterrava
sull’aeroporto nei pressi
dell’oasi completando
l’occupazione.
Per due mesi la nuova
guarnigione rimase
inoperosa, salvo sporadici
attacchi di autoblindo
inglesi, i componenti della
136^ Divisione ma
soprattutto i giovani
volontari GG.FF.
scalpitavano in quanto
avrebbero voluto combattere
e non avere il ruolo di
presidio; il 22 settembre il
feldmaresciallo Rommel
visitò Siwah e il sistema
difensivo attuato dalla
divisione, riaccendendo in
quei soldati la speranza di
un combattimento, infatti
annunciò una prossima azione
della divisione
contemporaneamente a quella
di El Alamein che avrebbe
dovuto avere come obiettivo
il Cairo; purtroppo questo
non avvenne in quanto la
battaglia finale di El
Alamein prese altra piega. I
nostri militari pur avendo
avuto degli scontri con
reparti esploranti inglesi,
sempre in attesa di veri
combattimenti, ebbero un
nemico più pericoloso e
peggiore dell’inglese, un
nemico che avevano tra le
loro file....... la malaria
che causò molte vittime;
essa era dovuta alla puntura
di una zanzara anofele, che
nel laghetto di Siwah aveva
trovato il giusto ambiente
per riprodursi, tale zanzara
era originaria dalle foci
del Nilo.
Torno a citare un episodio
che definisco vergognoso da
parte dei nostri alti
comandi di Roma: il
29 agosto a Siwah con i due
battaglioni dei ragazzi di
Bir el Gobi, venne formato
ufficialmente il reggimento
GG.FF. onde dare
consistenza, non tanto
numerica ma giuridica alla
divisione; era consuetudine,
sino dai tempi della nascita
dell’esercito italiano, che
ad ogni reggimento
costituito, venisse
consegnata
la Bandiera
di guerra; al reggimento
GG.FF. questo diritto
istituzionale e il
privilegio di combattere col
vessillo nazionale al vento,
venne inspiegabilmente
negato,
la Bandiera
reggimentale non venne mai
assegnata, restando così,
con i tre della Folgore, gli
unici reggimenti italiani
privati della Bandiera da
combattimento; molte allora
furono le rimostranze, sia
dai giovani volontari che da
parte di valorosi generali,
la scusante trovata dagli
alti comandi, fu quella di
dire che il reggimento non
aveva diritto, in quanto i
componenti erano considerati
“volontari”, anche se
portavano le stellette... a
mio avviso fu una faziosa e
ipocrita scusa, causata da
prevenzioni politiche fuori
luogo. Non conosco quale fu
la scusante ufficiale per i
reggimenti della Folgore,
certamente vergognosa anche
quella.
Nel mese di agosto si
verificarono in campo
avversario degli avvenimenti
che cambiarono
l’organizzazione militare
britannica in Egitto; il 3
agosto giunse al Cairo il
Primo Ministro Churchill per
rendersi conto della
situazione su quel fronte;
egli nutriva seri dubbi
sull’efficienza dell’8^
Armata, ma soprattutto
nutriva perplessità
nell’alto comando del Medio
Oriente (generale
Auchinleck). Al Cairo
Churchill incontrò il capo
di Stato Maggiore Imperiale
il generale Brooke e con lui
erano presenti anche i
generali Wavell giunto
dall’India, Smuts arrivato
dal Sudafrica, Tedder
comandante dell’aviazione
del Medio Oriente e
l’ammiraglio Sir Henry
Harwood, comandante, in quel
momento, della flotta
inglese di tutto il
Mediterraneo. Il tema
principale di quell’incontro
era la sostituzione del
generale Sir Claude
Auchinleck, quale comandante
dell’esercito imperiale
inglese del Medio Oriente; i
convenuti furono d’accordo
nello affidare il nuovo
comando al generale Harold
Alexander, mentre per quello
dell’8^Armata erano stati
proposti, sia il generale
Gott, comandante del XIII
Corpo d’Armata che il
generale Bernard Montgomery,
il quale si trovava ancora
in Inghilterra. Le
argomentazioni della scelta
sui due generali furono
laboriose, ma un fatto
tragico mise fine a quelle
discussioni: il 7 Agosto, il
generale Gott mentre con il
suo aereo, si recava al
Cairo in quanto convocato da
Churchill, venne abbattuto
da un ricognitore tedesco e
il generale perdette la
vita; non vi fu altra scelta
se non affidare il comando
dell’8^ Armata a Montgomery
che era un ottimo ufficiale
di fanteria, aveva
partecipato insieme con
Alexander, con il Corpo di
spedizione inglese alla
guerra in Francia, ma
certamente non era un
esperto dei mezzi corazzati,
al contrario di Rommel che
invece primeggiava in quel
campo; il 15 agosto sia
Alexander che Monty, con
questo diminutivo venne
chiamato in segno di affetto
dagli inglesi, presero
possesso delle loro cariche;
al generale Auchinleck venne
offerto il comando degli
eserciti inglesi di stanza
in Iraq e Persia, ma egli
con signorile dignità
rifiutò, anche perché era un
comando in sottordine (suo
superiore sarebbe stato
Alexander)
Allontanare il generale
Auchinleck dal Comando del
Medio Oriente e dall’8^
Armata, fu una vera
ingiustizia che egli non
meritava, in effetti
Auchinleck ad El
Alamein aveva fermato
l’avanzata di Rommel e a mio
avviso salvò anche l’Egitto.
Con il siluramento del
generale Auchinleck, caddero
in disgrazia il generale
Dorman Smith, vice capo di
Stato Maggiore Generale di
Auchinleck, il generale
Corbet capo di Stato
Maggiore per il Medio
Oriente e il generale
Ramsden che fu comandante
del XXX° Corpo d’Armata e
che aveva sostituto
Auchinleck in un momento
critico (il generale Ramsden
verrà “perdonato” da
Montgomery che gli affiderà
il comando di una divisione
di fanteria scozzese, certo
un comando in sottordine),
tutti questi generali
vennero posti sotto accusa
per le disfatta subita nella
battaglia di Ain el Gazala e
per la perdita di Tobruch.
Se
Auchinleck non fosse
riuscito a fermare Rommel ad
El Alamein, dietro i resti
dell’8^Armata non vi erano
che deboli forze inglesi
demoralizzate e in disordine
non certamente capaci di
contrastare l’avanzata della
armata italo-tedesca, che
sicuramente, disponendo di
forze adeguate e sufficienti
rifornimenti, avrebbe
conquistato la Palestina, la Siria e forse, sarebbe arrivata ad occupare i
pozzi petroliferi in Iraq e
a congiungersi con l’altra
parte della tenaglia
realizzata nel Caucaso dalla
Werhrmacht, infatti questo
piano era nelle intenzioni
del Fuhrer, dell’OKW e del
feldmaresciallo Rommel.
A
torto o a ragione, la storia
proclama il generale
Montgomery come il vero
salvatore dell’Egitto e
addirittura di tutto il
Medio Oriente, ma non si dà
importanza al fatto che
Montgomery quando
nell’ottobre del 1942 iniziò
la sua offensiva, si trovò
dinanzi un avversario ormai
esausto, con un Rommel
seriamente ammalato, in più
l’8^Armata aveva ricevuto
enormi rinforzi in uomini e
mezzi, soprattutto carri
armati, che superavano le
1300 unità e ancora aerei e
artiglieria americana; nel
mese di settembre-ottobre
infatti, erano giunti in
Egitto, con convogli
americani, ben 270 dei nuovi
e validi carri armati
“Sherman”, che andarono a
rinforzare adeguatamente
l’aliquota dei 210 carri
“Grant“ arrivati nel mese di
agosto, l’artiglieria ebbe
in dotazione 100 cannoni
semoventi da
105 mm.
e arrivarono in Egitto anche
85 aerei da bombardamento
pesante “Liberator“ USA e
32 bombardieri pesanti
inglesi “Halifax“. A questo
prezioso armamento bisogna
aggiungere migliaia di
tonnellate di materiale,
equipaggiamenti e
munizionamento affluite sia
dall’America che
dall’Inghilterra; da
considerare inoltre che
l’aviazione inglese in quei
giorni aveva il predominio
assoluto dei cieli con oltre
1200 aerei, ancora
Montgomery ebbe a disporre
di 220.000 soldati ben
equipaggiati. In campo
avverso, le divisioni
corazzate italo-tedesche,
invece si trovavano a corto
di carburante, i carri
armati erano ridotti a poche
centinaia, appena 200 quelli
tedeschi, tra
Mak III e Mak IV ( di
quest’ultimi solo 30),
mentre 300 erano italiani,
con i sorpassati M.11 e M.14
e non tutti efficienti.
L’arrivo in Libia delle
divisioni Folgore e
164^tedesca, nonché della
brigata paracadutisti
Ramcke, furono sì un valido
aiuto come soldati, ma
queste due Unità in effetti
mancavano di automezzi e
artiglieria pesante; pochi
erano gli automezzi addetti
ai rifornimenti i quali, nel
loro tragitto dalle basi
logistiche al fronte,
venivano quasi sempre
attaccati dai “commandos”
del Long Range Desert Group
(LRDG), il che causava
ritardi, perdita di prezioso
materiale e la distruzione
di automezzi.
A
proposito della pericolosità
di questi “commandos”,
vorrei segnalare alcune
delle loro incursioni dietro
le nostre linee effettuate
nel mese di settembre;
obiettivi furono: Tobruch,
Derna, Bengasi, Barce, Gialo
e non mancarono attacchi e
sabotaggi anche in
Tripolitania.
Sin dagli inizi del 1941, i
“commandos“ inglesi del
L.R.D.G. come già descritto,
erano stati attivi colpendo
le nostre retrovie e le
guarnigioni che presidiavano
l’interno del Fezzan, come
Uau el Chebir, Murzuch e
molte altre località della
Cirenaica. Nel luglio del
1942, il nuovo comandante
del Long Range Desert Group,
il colonnello John Haselden,
aveva studiato un progetto
per colpire profondamente le
retrovie avversarie: primo
obiettivo Tobruch, quale
importante centro per
l’approvvigionamento di
carburante alle truppe di
Rommel; il progetto venne
preso in seria
considerazione
dall’ammiraglio Sir Henry
Harwood che lo elaborò con
gli Stati Maggiori inglesi
in Egitto anche se vi furono
delle titubanze in quanto
l’azione presentava, per la
sua portata e complessità e
per
l’attuazione, gravi
rischi di riuscita, ma pur
presentando tali difficoltà,
quel progetto venne comunque
approvato.
Il
piano su Tobruch prevedeva
un attacco via mare, uno via
aerea con la partecipazione
di ben 200 aerei e uno via
terra; venne stabilito anche
il giorno
dell’azione: il
13 settembre 1942. Per
quella azione furono
addestrati oltre 1.000
uomini appartenenti all’11°
Commando Marine, ma ne
vennero scelti solo 600,
posti sotto la guida del
ten.colonnello Unwin. Quei
“commandos“ divisi in tre
gruppi, nelle primissime ore
della mattina del 12,
vennero imbarcati su due
cacciatorpediniere, numerose
torpediniere e molte lance a
motore fornite dalla Royal
Navy; la consistente
flottiglia era protetta
dall’incrociatore
“Coventry“. Quella massiccia
forza, partita nelle
primissime ore della mattina
del 12 settembre dal porto
di Alessandria, nella
nottata del 12 al 13 era già
dinnanzi a Tobruch dando
inizio allo sbarco, ma per
il mare grosso solo 150 “
commandos “ riuscirono a
prendere terra in una zona
fuori dal porto di Tobruch,
che doveva essere
l’obiettivo principale.
Nonostante le difficoltà
nelle quali vennero a
trovarsi quei pochi
sbarcati, essi riuscirono a
cogliere di sorpresa e a
uccidere a sangue freddo i
serventi di alcune batterie
costiere italiane che
vennero distrutte;
contemporaneamente aerei
inglesi effettuarono, ad
ondate, massicci
bombardamenti sulla
cittadella, anche per
distrarre i difensori dal
vero attacco, ma la
guarnigione di Tobruch non
si fece sorprendere e reagì
con prontezza, merito anche
dei marinai del battaglione
San Marco. Vennero uccisi e
catturati quasi tutti i
componenti di quel primo
nucleo di sabotatori. I due
cacciatorpediniere, che
ancora tentavano di sbarcare
altri “commandos“ e
l’incrociatore di scorta,
visto che la sorpresa non
era riuscita cercarono di
allontanarsi, ma
l’artiglieria costiera e
soprattutto gli attacchi
aerei italiani riuscirono ad
affondarli, unitamente ad
alcune lance a motore; pochi
furono i superstiti che
ebbero la fortuna di
rientrare in Alessandria.
Anche la colonna inglese,
proveniente via terra, che
con uno stratagemma era
riuscita ad entrare in
Tobruch non ebbe sorte
migliore; essa era formata
da 90 incursori del Long
Range Desert Group,
comandati personalmente dal
colonnello Haselden, partita
alcuni giorni prima del 12
dal Cairo, percorrendo oltre 2.500 Km. di deserto, quasi
tutti su piste interne sino
a Cufra, per poi risalire
verso la costa sino a
Tobruch. Ed ecco quale fu lo
stratagemma usato per
entrare nella fortificata
cittadella: i commandos,
parte in divisa inglese,
fingendosi prigionieri,
altri sotto false spoglie di
soldati tedeschi, come
guardie di scorta.
Quest’ultimi falsi soldati,
erano stati scelti tra
coloro che parlavano
correttamente il tedesco e i
vari dialetti, erano in
effetti ebrei nati e vissuti
in Germania sino a quando,
per le famose leggi
razziali, furono costretti
ad abbandonarla rifugiandosi
in Palestina e allo scoppio
della guerra si arruolarono
nell’esercito inglese; essi
viaggiavano con documenti
militari tedeschi abilmente
falsificati, montavano su
tre autentici automezzi
tedeschi, bottino di guerra
e con questo inganno,
alquanto sleale, al di fuori
da tutte le Convenzioni
Internazionali sulle leggi
di guerra, arrivarono
indisturbati sin dentro
Tobruch, riuscendo a
danneggiare alcune strutture
militari; solo per i
sospetti di un ufficiale
tedesco della polizia
militare essi vennero
scoperti e non poterono
causare altri danni. Vi fu
però una accanita lotta, il
gruppo cercò allora di
uscire da Tobruch e prendere
la via del deserto, ma quasi
tutti vennero uccisi o
catturati, cadde anche il
colonnello Haselden; solo
pochi uomini riuscirono a
raggiungere il deserto e per
cinque settimane essi
vagarono in quel desolato
territorio, nutrendosi di
qualche radice, di insetti e
topi del deserto, solo
cinque superstiti vennero
infine avvistati e salvati
da una pattuglia inglese, ma
erano ridotti a larve umane,
tra loro uno era impazzito.
Il
compito principale di quei
“commandos“ provenienti via
terra, era quello di
arrivare il giorno prima
dello sbarco dei 600,
distruggere le postazioni
costiere onde facilitare lo
sbarco, liberare circa 4.000
prigionieri inglesi
concentrati dentro Tobruch,
armarli con quanto potevano
recuperare sul posto e
tenere per 24 ore impegnata
la guarnigione
italo-tedesca, onde
facilitare l’azione degli
altri “commandos” che
dovevano arrivare via mare;
per fortuna quel progetto
studiato così minutamente al
Cairo non ebbe successo,
anche per le sopravvenute
difficoltà durante il
percorso nel deserto, che
causarono un notevole
ritardo nel coordinamento
con gli incursori via mare.
Ma
la causa principale
dell’insuccesso fu la
macchinosa articolazione del
piano e le difficoltà di
attuazione con orari diversi
e interventi di altri
reparti.
Lo
schieramento di una così
potente forza per attaccare
la piazzaforte di Tobruch
derivava, come
constatazione, dal fatto che
Tobruch era diventata per
Rommel la principale base di
rifornimento per le sue
truppe, infatti onde
abbreviare le distanze con
gli altri centri di
approvvigionamento e il
fronte, era stato potenziato
il porto di Tobruch atto ad
accogliere
contemporaneamente molte
navi da carico, in quanto
era il porto più vicino e
distava poco meno di 600 Km. dal fronte, a
differenza di Bengasi che
era a oltre 980 Km. e addirittura ai 2.300 del porto di
Tripoli.
A
distanza di qualche giorno
dall’attacco su Tobruch,
altri “commandos“ del Long
Range Desert Group, partiti
da Cufra tentarono altre
incursioni contro nostre
città
costiere
e dell’interno.
Il
15 settembre, un reparto di
“commandos“, erano circa
200, dello
“Special Air
Service“, al comando del
ten.colonnello David
Stirling, partendo dalla
base di Cufra, ormai in mano
degli inglese dal marzo del
1941, si spinse sin dentro
Bengasi con l’intenzione di
distruggere le attrezzature
portuali ed affondare
qualche nave, liberare anche
qui 16.000 prigionieri,
armarli e resistere per
qualche giorno, in attesa
dell’arrivo da Malta di un
corpo di spedizione che
avrebbe dovuto occupare la
città, era previsto anche un
lancio di paracadutisti
sull’aeroporto di Benina
(Bengasi); questa volta i
nostri presidi erano
all’erta e gli assalitori
vennero respinti e in gran
parte catturati, anche qui
per il decisivo apporto dei
nostri marinai del S.Marco
del battaglione Tobruch.
Contemporaneamente
all’attacco su Bengasi,
anch’esso preceduto da un
bombardamento aereo di circa
due ore, un altro gruppo,
del L.R.D.G., comandato dal
maggiore Eason Smith riuscì
a penetrare nello aeroporto
di Barce iniziando a minare
e distruggere gli aerei, il
tempestivo intervento della
Polizia Africa Italiana
(P.A.I.) bloccò l’azione e
in uno scontro a fuoco quasi
tutti gli “incursori“
vennero eliminati; solo un
piccolo gruppo ebbe la
fortuna di rientrare alla
base.
Sempre nel mese di settembre
un battaglione di sabotatori
del “Sudan Defence Force” e
soldati francesi di “France
Libre“, partendo anch’essi
da Cufra, si spinsero sino a
Gialo con l’intenzione di
occuparla e creare una nuova
base avanzata, così da
colpire più facilmente le
basi logistiche della
Sirtica e del Fezzan, ma
anche quella azione andò
male per gli inglesi, poichè
i sabotatori vennero
respinti dalla guarnigione
di Gialo.
Un
altro episodio di sabotaggio
da parte inglese si era
verificato nel giugno
del 1942, quando ancora si
combatteva attorno a
Tobruch; un reparto del
L.R.D.G., proveniente
dall’interno del deserto,
cercò di penetrare dentro
l’aeroporto di Derna ma
l’impresa fallì per una
quasi incredibile
circostanza. Il reparto
nemico composto in
maggioranza da legionari
francesi della brigata
degollista “France Libre”,
giunse durante la notte in
vista dello aeroporto,
mentre il gruppo si
organizzava per attaccare,
un legionario di etnia
tedesca si offrì per
controllare la migliore via
di accesso allo aeroporto,
si spinse da solo e giunto
in vista di un posto di
guardia tedesco, parlando in
tedesco, li avvisò dello
imminente attacco, si prestò
anche a guidare i reparti
armati tedeschi sul posto
ove si trovavano gli
assalitori che presi alla
sprovvista, non ebbero il
tempo di difendersi e furono
quasi tutti catturati; il
gesto di quel legionario non
fu un tradimento, egli era
sì un legionario francese,
ma tedesco per nascita e
certamente anche per
sentimenti, quindi nel
partecipare a quella impresa
aveva già in mente di come
comportarsi a ritornare
tedesco. ( 1 )
Sul fronte di El Alamein
dopo attacchi e
contrattacchi nel mese di
luglio era subentrato, nelle
prime settimane di agosto,
un periodo di stasi, proprio
in quel mese avvennero dei
mutamenti ai vertici dei
comandi nei due schieramenti
avversari. Per gli inglesi,
come sopra descritto, la
sostituzione del generale
Auchinleck, del suo Stato
Maggiore, del generale
Ramsden che dovette cedere
il comando del XXX C.A. al
generale Sir Oliver Leese,
con poca esperienza di
guerra del deserto ma uomo
di fiducia di Montgomery.
Per gli italiani il comando
superiore Forze Armate
Africa Settentrionale, prese
la nuova denominazione di
comando superiore Forze
Armate di Libia con
giurisdizione militare su
tutto il territorio libico,
compresa l’armata
italo-tedesca che era agli
ordini di Rommel e da quella
data di fine luglio avrebbe
dovuto passare sotto il
comando del maresciallo
Bastico; ma quel
provvedimento ebbe valore
solo sulla carta, in quanto
tutta l’armata italo-tedesca
ormai si trovava sul
territorio egiziano, quindi
fuori da quello libico e
Rommel, qualificato come
“comandante operativo”
approfittò di questo
inconcludente cambio di
denominazione per continuare
imperterrito a comandare in
assoluto tutta l’ACIT
(Armata Corazzata
Italo-Tedesca), così che il
comando superiore di Bastico
veniva ad avere funzioni di
semplice ufficio di
collegamento con il comando
tedesco. Frattanto Rommel
che già accusava, come sopra
accennato,i gravi sintomi
della sua malattia, decise,
nonostante questo
“handicap”, di sferrare
l’ultimo e decisivo colpo
agli inglesi, con lo scopo
di sfondare le munite
fortificazioni di El Alamein
e puntare decisamente su
Alessandria e al Cairo. Il
piano dell’offensiva venne
studiato nei minimi
particolari e si basava
soprattutto sulla sorpresa e
sul fare credere al nemico
che il fronte da colpire era
su un dato settore mentre in
verità quello decisivo era
in altra zona; Rommel onde
dare credito al suo piano,
nelle giornate del 28 e 29
agosto concentrò tutte le
sue forze al Nord e al
centro del sistema difensivo
inglese, cioè dalla costa di
Tell el Eisa sino a Bab el
Qattara, trascurando
volutamente la zona
meridionale che da Bab el
Qattara andava sino a El
Taqa; in effetti quello era
il settore ove avrebbe
attaccato con le sue forze
corazzate e da lì avanzare a
raggiera sino alla cresta di
Alam Halfa da dove le tre
divisioni tedesche: 90a, 15a
e 21a, le tre italiane:
Ariete, Trieste e Littorio,
avrebbero puntato a Est
parte diretta sul Cairo (90a
e 15a) e parte su
Alessandria (21a, Ariete,
Trieste e Littorio).
Al
Nord due degli attacchi
furono solo
secondari, tanto da
distrarre il nemico e
portarlo a concentrare le
sue forze in quei settori;
infatti sulla costa, la
164^divisione tedesca con le
divisioni italiane Trento e
Bologna,
sferrarono un forte
attacco contro le posizioni
inglesi tenute dalla
9^divisione australiana e
1^divisione sudafricana,
mentre la zona centrale,
difesa dalla 5^divisione
Indiana e 2^divisione
neozelandese, veniva a
essere attaccata dalla
brigata paracadutisti
Ramcke, dalla divisione
Brescia e dal 5° e 7°
battaglione paracadutisti
italiani della Folgore, che
momentaneamente erano ancora
alle dipendenze della
Brescia; per inciso il 5°
battaglione era comandato
dal maggiore Giuseppe Izzo
(futura M.O.V.M. nella
guerra di liberazione),
mentre il 7° dal capitano
Carlo Mautino.
Anche il 187°reggimento
Folgore che presidiava la
zona di El Taqa, ebbe
l’ordine di muovere su Deir
el Alinda e Qaret el
Himeimat e tenere saldamente
quelle posizioni; per quella
azione vennero formati due
raggruppamenti, quello del
ten.colonnello Bechi con il
suo 4° battaglione e il 2°
battaglione del maggiore
Zanninovich, mentre l’altro
del tenente colonnello
Camosso, comprendeva il 9°
battaglione del maggiore
Aurelio Rossi e il 10° del
capitano Amleto Carugno.
Nella battaglia di Alam el
Halfa caddero combattendo
sia il maggiore Rossi
(M.O.V.M.) che il
capitano Carugno (M.A.V.M.),
venne ferito anche il
comandante Camosso.
A
Deir el Alinda il 187° subì
un contrattacco inglese
che tentava
di eliminare le
posizioni tenute dal 187°,
ma il nemico trovò a Deir
Alinda una strenua
resistenza tanto che non
riuscendo a sfondare,
ritornò sulle sue posizioni
di partenza; in quella
battaglia si sacrificò al
completo la 29^compagnia del
10°battaglione, comandata
dal tenente Franco Talò,
compagnia che teneva la
postazione a quota 101, la
più avanzata di tutto lo
schieramento della Folgore,
quota che dovette difendere
a costo di grande
sacrificio, in quanto lo
sfondamento da parte inglese
avrebbe aperto una breccia e
messo in pericolo tutta la
linea difensiva del 187°.
A
Deir Alinda il 10°
battaglione, ormai ridotto a
poche decine di uomini,
venne sciolto e i superstiti
passarono alle dipendenze
del 9° battaglione.
Nella notte del 3-4
settembre una pattuglia del
raggruppamento Camosso, al
comando del sottotenente
Monaco, riuscì a catturare
il generale Clifton
comandante la 6a brigata
neozelandese.
In
quelle azioni gli inglesi
incominciarono a conoscere
di che tempra
erano i paracadutisti
italiani.
Rommel certo che la
ricognizione aerea nemica
avesse constatato e
segnalato a Montgomery
l’ammassamento italo-tedesco
a Nord e al centro ed averlo
convinto della sorpresa,
spostò improvvisamente nella
giornata del 29-30 le sue
forze corazzate al Sud, tra
Bab el Qattara e Gebel Kalak
e, nella notte di plenilunio
del 30, iniziò la
penetrazione in quel
settore, che purtroppo
risultò fortemente minato e
difeso, mentre il
feldmaresciallo era convinto
che fosse poco fortificato
secondo le segnalazioni
(errate) avute dal suo
“servizio informazioni”,
ricavate da alcune (false)
carte topografiche
inglesi... e qui ebbe la
sorpresa a sue spese.
Il
generale Montogmery aveva
“intuito” (di seguito
verremo a conoscere le vere
ragioni di questa
“intuizione”) che Rommel
avrebbe sferrato il suo
attacco in quel tratto di
fronte, si parlò allora
anche di tradimento da parte
italiana e tedesca,
questo era anche possibile
visto che il servizio di
spionaggio nemico aveva dei
buoni agganci tra
personalità italiane e
senz’altro anche tedesche;
ma la vera ragione del come
Montgomery fu a conoscenza
del piano di attacco di
Rommel, lo si deve al fatto
che gli inglesi erano venuti
in possesso del cifrario
segreto tedesco e quindi
intercettavano e
decodificavano gli ordini di
Rommel attraverso un
congegno cifrante/decifrante
denominato “Enigma”,
utilizzato dal sevizio
ULTRA. Il generale
Montgomery nelle sue
“Memorie” non fa cenno di
essere venuto in possesso di
informazioni così preziose
sull’attacco di Rommel
attraverso spie o
intercettazioni; egli
giustificò la sua
“intuizione”, riferendosi al
tipo di tattica strategica
che in Rommel era ormai
usuale; tattica che aveva
applicato con successo nelle
battaglie di Ain el Gazala,
di Tobruch e Marsa Matruch,
vale a dire quella di fare
credere al nemico che
attaccava in un punto,
mentre il vero obiettivo era
un altro; inoltre Montgomery
spiega che capì in quale
zona doveva avvenire il vero
attacco di Rommel,
attraverso le
condizioni atmosferiche di
quel settore, dalla
disponibilità, in quel
momento delle forze
meccanizzate tedesche e
anche dal ritmo dei
rifornimenti. A mio avviso
queste giustificazioni non
sono convincenti, é vero che
anche Rommel, nelle sue “
Memorie “, non fa cenno ad
alcun tradimento, che il
fallimento del suo piano fu
dovuto solamente a scarsezza
di mezzi e di carburante,
comunque resta in me, oltre
al fatto delle
intercettazioni, il dubbio
di un tradimento.
Quindi il segreto di
Montgomery risale non alla
sua bravura o “intuizione”,
un merito certamente che nel
generale inglese non
eccelleva, era anche un
esibizionista riconosciuto,
ma a quelle intercettazioni
e del possibile tradimento.
In realtà il servizio ULTRA
ad El Alamein, aveva parlato
diffusamente del piano di
attacco di Rommel e, di
conseguenza, Monty non ha
alcun merito se non quello
dello sfruttamento.
Montgomery dietro quelle sue
“intuizioni” era corso ai
ripari, rafforzando la
7^divisione corazzata
con la 22^ e 23^ brigata
corazzata (sempre della
7^divisione) che erano
tenute come riserve,
spostando anche il XIII
Corpo d’Armata, in quel
momento comandato dal
generale Horrocks, altro
generale di fiducia di
Montgomeny, che aveva
sostituito il generale Gott
dopo la sua morte; pose a
difesa di Alam Halfa la 44^
divisione di fanteria giunta
da poco dall’Inghilterra,
inoltre escogitò anch’egli
uno stratagemma che
certamente decise a suo
favore, in buona parte, le
sorti di quella battaglia
sfruttando le notizie ULTRA.
Esperti cartografi inglesi
del quartiere generale di
Montgomery, realizzarono su
indicazioni del Servizio di
controspionaggio, del
reparto “Intelligence”
dell’8^Armata, delle carte
topografiche della zona dove
Rommel avrebbe dovuto
attaccare, carte logicamente
false, ove venivano
segnalati tratti di deserto
accessibili mentre erano
intransitabili causa le
sabbie mobili, zone segnate
non minate che in effetti
erano minate, punti ove non
risultavano zone fortificate
ma che erano invece
fortemente armate; costruite
queste carte, esse furono
rese credibili con appunti a
penna, segni di riferimento,
addirittura macchiate di
the, come se fossero state
continuamente consultate;
poste le carte in una borsa
da ufficiale, disposta
questa su un autoblindo
“Scout” portato su un campo
minato, nei pressi di un
avamposto tedesco e
abilmente fatto saltare; ora
era consuetudine che quando
un carro nemico saltava su
una mina, questo veniva
subito individuato e
perquisito dalle pattuglie
avversarie, in quel caso
tedesche, così in quel
blindato venne trovata la
borsa con dentro le carte,
che consegnate al quartiere
generale di Rommel, furono
studiate da esperti
cartografi e... riconosciute
autentiche.
Rommel pur possedendo carte
della zona, certamente non
aggiornate e conoscendo che
le sue pattuglie poche
informazioni potevano
fornire sulle
caratteristiche del terreno,
ritenne provvidenziale il
possesso di quelle carte,
invece esse causarono una
infinità di danni.
Quando i carri armati
tedeschi iniziarono
l’avanzata, seguendo le
istruzioni di quelle carte,
finirono sui campi minati,
altri reparti s’insabbiarono
cosa che successe anche alle
divisioni Ariete e Trieste,
le quali rimasero
forzatamente bloccate dalla
sabbia e non poterono
seguire le divisioni
tedesche che avanzavano,
inoltre dove Rommel riteneva
di non trovare resistenza,
ebbe la sorpresa di subire
forti attacchi soprattutto
per la presenza del nuovo e
micidiale cannone
controcarro da 76/55 inglese
presente in 90 pezzi che
distrussero numerosi carri
Mark IV nella zona di
Ruweisat. Già dal giorno 31
agosto, la battaglia di Alam
Halfa era da considerarsi
perduta per l’armata
italo-tedesca; l’aggiramento
della cresta di Alam el
Halfa non venne neanche
iniziato, ma Rommel
persistette ancora nei suoi
attacchi e questi gli
causarono ancora gravi
perdite, resistette per
alcuni giorni poi, quando si
rese conto che
l’accerchiamento
dell’8^Armata non era più
attuabile, ordinò la
ritirata sulle posizioni di
partenza. Quella battaglia,
che prese il nome di:
“2^battaglia di El Alamein“,
durò 6 giorni e fu l’ultimo
tentativo per conquistare
l’Egitto ma fu anche la
battaglia che esaurì lo
sforzo d’attacco che sino ad
allora aveva sostenuto
l’armata dell’Asse, la quale
perdette anche valorosi
comandanti. Durante quei
giorni di battaglie, venne
ucciso il generale von
Bismarck, comandante della
21^panzerdivision, fu ferito
il generale Nehring,
comandante del D.A.K.
sostituito subito dal
generale von Vaerst il
generale Nehring lo
troveremo ancora in Tunisia
al comando del 90°Corpo
d’armata tedesco), anche il
generale Kleemann della
90^divisione leggera rimase
ferito, Rommel venne così a
privarsi dell’aiuto di tre
generali di punta, inoltre
altri 7 ufficiali superiori
dello Stato Maggiore del
D.A.K. caddero in
combattimento.( MAPPA
N°19)
Secondo fonti da ambo le
parti, spesso contrastanti,
le perdite in quella
battaglia per l’Asse furono
di 570 morti, 1.800 feriti e
57O prigionieri, più la
perdita di 36 carri armati
tedeschi e 11 italiani;
mentre nelle dichiarazioni
dell’avversario gli inglesi
ebbero 1.750 tra morti e
feriti e circa 300
prigionieri.
Tra i tanti caduti, da parte
italiana, desidero fare
conoscere anche la morte di
un giovanissimo soldato
italiano, appena
diciassettenne di nome
Sergio Bresciani, nativo di
Salò in
provincia di Brescia;
Egli arrivò clandestinamente
in Africa nel marzo del
1941, era sbarcato a Tripoli
da uno dei tanti convogli
che portavano in Libia armi,
munizioni e soldati; da
Tripoli sempre con mezzi di
fortuna raggiunse il fronte,
che allora era fermo ad El
Agheila in attesa della
controffensiva di Rommel.
Il
Bresciani intenzionato a
fare la guerra in quanto la
sentiva profondamente, si
presentò ad un ufficiale del
3°reggimento di artiglieria
celere, non perché avesse
scelto quel reparto ma esso
fu il primo nucleo militare
che incontrò; a
quell’ufficiale spiegò la
sua intenzione di
combattere, implorò di non
essere consegnato ai
carabinieri per essere
rimpatriato, il suo
entusiasmo commosse
l’ufficiale che lo assegnò a
un pezzo anticarro, in
qualità di servente, gli
venne data una divisa ma
senza le stellette, così
l’avanguardista di Salò
iniziò il suo dovere di
combattente.
Partecipò sempre come
servente al pezzo a tutta la
controffensiva sino a
Tobruch, lì compì i
diciassette anni, ormai si
sentiva un veterano anche se
i suoi compagni di lotta lo
indicavano con l’appellativo
di “ balilla “; seguì il suo
reggimento a Bir el Gobi,
dove la sua batteria venne
quasi distrutta,
ma il “ balilla “ fu
sempre tra i primi a colpire
il nemico, nel ripiegamento
non ebbe tentennamenti,
ormai non era più un
servente ma venne promosso
per meriti a puntatore.
Nella 2^controffensiva per
la riconquista della
Cirenaica, compì prodigi con
il suo pezzo, non cedette di
un passo, arrivò ad El
Alamein con alle spalle
17 mesi d’Africa. Nella
battaglia del 30 agosto, di
Alam el Halfa , Rommel per
il suo coraggio gli appuntò
sul petto la “Croce di ferro
“, mentre il comando
italiano lo propose per
la Medaglia
d’Argento e anche per una
licenza premio di 15 giorni,
ma il “balilla“ Bresciani
rinunciò alla licenza,
perché sapeva che era
imminente la grande
battaglia di El Alamein,
inoltre ebbe l’onore di
essere assegnato alla
divisione “Littorio“ come
puntatore su un carro
armato. Purtroppo Bresciani
si avviava fatalmente
incontro alla sua ultima
avventura; mentre era in
perlustrazione il suo carro
saltò su una mina, il
“balilla“ venne estratto dal
distrutto carro gravemente
ferito, aveva una gamba
spappolata e ferite per
tutto il corpo, portato
immediatamente nell’ospedale
da campo della divisione
Folgore, ove i medici fecero
di tutto per salvarlo,
purtroppo ogni tentativo fu
inutile; il 4 settembre del
1942 Bresciani chiuse la sua
esistenza che Egli volle
porre al servizio della
Patria, non tenendo conto di
date, di ricompense, ne
glorie o riconoscimenti
politici, guardò solo al
dovere e al sacrificio
coronato tragicamente da
tanti atti di eroismo.
Il
29 luglio del 1943; il Re
d’Italia, Vittorio Emanuele
III, gli conferì la Medaglia d’Oro al Valore
Militare.
Rommel volle giustificare
l’insuccesso del suo piano
attribuendolo al mancato
arrivo del carburante che
non permise ampie manovre di
movimento ai suoi mezzi
corazzati, ciò in parte é
vero, ma é anche vero che
egli si trovò di fronte un
Montgomery con grandi mezzi
in armi e uomini che gettò
senza risparmio nella
battaglia, ma soprattutto
quello che determinò la
vittoria inglese fu la
dovizia delle informazioni
ricevute, i dettagli del
piano di Rommel e l’apporto
determinante della
aviazione, che giorno e
notte sottopose l’armata
dell’Asse a terrificanti
bombardamenti, nonostante il
sacrificio di piloti e aerei
della ormai esigua aviazione
dell’Asse. E’ doveroso
segnalare l’eroica morte di
cinque ufficiali piloti che
a bordo dei loro caccia
Macchi 202, sfidarono i
veloci Spitfire inglesi;
questi i nomi di quei
valorosi tutti decorati di
M.O.V.M.: ten.colonnello
Giuliano Mauro, maggiore
Larsimont Pergameni Antonio,
capitano Maestri Athos,
capitano Ceccotti Livio e
tenente Bevilacqua Ezio.
Forse se Rommel avesse avuto
quel carburante tanto
insistentemente richiesto,
la battaglia di Alam Halfa
avrebbe preso altra piega,
si sarebbe prolungata anche
con qualche vantaggio, ma
certamente non gli avrebbe
dato la vittoria finale.
Di
sicuro c’è il fatto, che
andò a trovarsi in una zona
senza sbocco e sotto tiro
nemico rimanendo
intrappolato, uno smacco
grave per la “volpe del
deserto”.
L’aspra battaglia di Alam el
Halfa, é passata alla
storia, con questi
appellativi: per i tedeschi
come “
la Battaglia
dei 6 giorni “, mentre per
gli italiani, venne detta di
“ Santa Rosa “, in quanto
iniziata nella giornata di
domenica 31 agosto e
terminata il 6 settembre;
nello stesso periodo la Santa Rosa a Viterbo, il
cui corpo quasi integro
nonostante siano passati
molti secoli, viene venerata
per quei 6 giorni con grande
religiosità che coinvolge
non soltanto la popolazione
di Viterbo ma anche di
grande parte d’Italia.
Per Rommel Alam el Halfa fu
la negativa conclusione
delle sue vittoriose
avanzate e fu anche l’ultima
sua grande offensiva, per i
rimanenti mesi che egli
rimase in Africa; per la
verità storica né tentò
ancora due in Tunisia ma non
di quella potenza, una nel
febbraio 1943 su Kasserine,
nella quale ottenne anche
dei buoni risultati, l’altra
nel marzo del 1943, ove
cercò, di sfondare la linea
difensiva di Montgomery a
Medenine; le concluse
ambedue positivamente ma
senza convinzione di
successo. Dopo Rommel nessun
altro generale tedesco o
italiano tentarono in
Tunisia di effettuare grosse
offensive prima della resa
totale delle truppe
dell’Asse.
Dopo quella sfortunata e
perduta offensiva di Alam el
Halfa, a Rommel si
prospettarono due soluzioni:
una quella di ripiegare e
attestarsi su posizioni più
difendibili che poteva
trovare solo nel tratto:
Passo Halfaya - Sollum -
Bardia; l’altra rimanere su
quelle di El Alamein e
attendere l’attacco di
Montgomery; Rommel scelse
quest’ultima soluzione anche
per una questione di
prestigio personale. Presa
tale estrema decisione,
schierò la sua armata sui 70 Km. che andavano dalla
costa sino alle depressioni.
La scelta di El Alamein
corrispondeva tatticamente
al grande vantaggio di
combattere su una zona
limitata e priva di pericoli
di aggiramento: per passare
gli inglesi dovevano
attaccare frontalmente, se
fallivano perdevano.
Lo
schieramento ( vedere
MAPPA N°20 ) venne ad
assumere queste posizioni:
al Nord la 164^divisione
tedesca al comando del
generale Lungershausen, con
la divisione Trento del
generale Giorgio Masina;
scendendo verso Sud la
divisione Bologna con il
nuovo comandante generale
Mario Marghinotti; seguivano
in questo schieramento due
battaglioni della brigata
paracadutisti tedeschi
Ramcke, poi la divisione
Brescia del generale
Brunetto Brunetti; ancora a
Sud, erano in posizione
altri due battaglioni di
Ramcke e la divisione
Paracadutisti Folgore del
generale Enrico Frattini;
all’estremo Sud dello
schieramento (depressioni di
el Qattara), nella zona di
El Taqa, la divisione Pavia
del generale Nazzareno
Scartaglia. Dietro questa
linea di difesa, si trovava
il Corpo mobile di manovra,
così dislocato: a Nord nella
zona di Sidi Abd el Rahman
era schierata la
90^divisione leggera
tedesca, comandata dal
generale von Sponeck, la
divisione motorizzata
Trieste del generale Arnaldo
Azzi, poi il D.A.K. con la
15^panzerdivision del
generale von Vaerst e la
21^panzerdivision generale
von Randow, tra queste due
unità la nostra divisione
corazzata Littorio,
comandata dal generale
Gervasio Bitossi poi dal
generale Ceriana Mayneri; al
Sud l’Ariete del generale
Francesco Alfredo Arena.
Le
divisioni italiane
dipendevano da tre Corpi di
armata: il XXI° del generale
Enea Navarrini (divisioni
Trento, Bologna, e residui
della Sabratha tenuta in
riserva in quanto era
ridotta a soli due
battaglioni), il XX° con il
generale Giuseppe De
Stefanis (divisioni
Littorio, Trieste e Ariete),
mentre il X° comandato dal
generale Orsi Ferrari aveva
alle sue dipendenze la Brescia, la Pavia e la Folgore.
Nella zona da Bardia a
Sollum, con funzione
antisbarco, vi era una parte
della divisione Pistoia
appena giunta dall’Italia,
mentre tra Sidi Barrani e
Marsa Matruch, Rommel aveva
schierato, sempre come
truppa antisbarco, il
288°reggimento
granatieri tedeschi.
L’armata dell’Asse ad El
Alamein, ridotta
nell’organico delle sue
divisioni, nella imminenza
della offensiva inglese,
poteva schierare, su tutto
il fronte, appena 96.000
uomini, dei quali 43.000
erano italiani e come sopra
detto circa 500 carri
armati, poche centinaia di
cannoni e una esigua forza
aerea di appena un centinaio
di aerei, tra italiani e
tedeschi.
Questa modesta forza aerea
nel corso delle battaglie
del mese di ottobre, riuscì
ad abbattere ben 98 aerei
nemici
Come il lettore potrà notare
dalla mappa con la quale ho
voluto rappresentare lo
schieramento italo-tedesco,
le divisioni italiane quanto
quelle tedesche erano
intercalate tra loro; era
stato quello un piano
strategico voluto da Rommel,
in quanto inserire reparti
tedeschi con più idoneo
armamento tra quelli
italiani, avrebbe dato più
consistenza a quest’ultimi;
era risaputo infatti, anche
da parte inglese, che ai
soldati italiani mancavano
armi moderne e carri armati
potenti, i reparti tedeschi
invece, avevano quello di
cui mancavano gli italiani;
unendo così i mezzi tedeschi
e il valore italiano, vi
erano più possibilità di
contrapporre, una valida
difesa agli attacchi nemici
che generalmente erano
sempre stati condotti
intenzionalmente sulle
posizioni italiane. Comunque
quel mettere insieme reparti
italiani e tedeschi, non
dette complicazioni di
comando, grazie allo spirito
di cameratismo che in linea
era sorto tra ufficiali e
soldati italiani e tedeschi
Di contro Rommel aveva tre
Corpi d’armata inglesi: il
X° comandato dal generale
Herbert Lumsden, un veterano
della guerra del deserto, il
XXX° del generale Leese che,
come già detto, aveva appena
sostituito il generale
Ramsden, e il XIII° del
generale Horrocks; questi
tre Corpi d’armata
incorporavano ben
10 divisioni delle quali
3 erano corazzate, più 2
brigate di fanteria alleate,
una greca, l’altra francese;
un potente esercito di
220.000 uomini, con 1.348
carri armati, oltre 1.300
bocche da fuoco di grosso e
medio calibro e circa 830 di
piccolo calibro e una
poderosa forza aerea di
grande capacità d’azione.
Montgomery poteva disporre
di circa 1.500 aerei di cui
ben 1.300 dislocati in
Egitto e Malta, tale forza
era concentrata in 96
squadriglie inglesi, 13
americane, 13 sudafricane, 5
australiane, una rhodesiana,
una greca, una francese ed
anche una jugoslava, così
che l’aviazione inglese in
quel momento dominava nei
cieli d’Africa e nella
battaglia di El Alamein
contribuì in modo efficace,
attaccando nostri aeroporti,
linee di comunicazioni,
anche se l’attenzione
maggiore fu quella di
colpire e distruggere i
convogli che portavano
rifornimenti a Rommel; negli
ultimi 4 mesi del 1942, gli
aerosiluranti inglesi con
mezzi navali di superficie e
subacquei distrussero e
affondarono oltre 200.000
tonnellate di naviglio; solo
nei giorni del 27 e
28 ottobre
affondarono 2 grosse
petroliere quasi all’altezza
di Tobruch.
Le
10 divisioni inglesi e del
Commonwhealt/Dominions
schierate da Nord a Sud
erano:
9^
divisione australiana del
generale Morshead;
51^divisione di fanteria
scozzese - generale Ramsden
2^
divisione neozelandese -
generale Freyberg;
1^
divisione
sudafricana -
generale Piennar;
4^
divisione indiana - generale
Tuker;
50^divisione inglese
- generale Nichols;
44^divisione di fanteria
inglese - generale Hughes;
7^
divisione corazzata -
generale Harding;
1^
divisione corazzata -
generale
Briggs;
10^divisione corazzata -
generale Gatehouse.
Inoltre nella zona del Delta
era schierata per ogni
evenienza la
8^divisione corazzata
comandata dal
generale Gardner
Nel mese di settembre 1942,
si consolidarono da ambo le
parti le rispettive
posizioni, ma la malattia di
Rommel andò a peggiorare.
Certamente l’insuccesso
della battaglia di agosto
dette il colpo di grazia
alla sua già malferma
salute, che da mesi lo
perseguitava, quella
delusione intaccò
completamente il morale, la
volontà e anche aggravò il
suo stato fisico, tanto che
il suo medico personale il
Dr Horster, che lo aveva in
cura sin dalla Francia
quando Rommel comandava la
7^divisione corazzata in
quella campagna, diagnosticò
una grave forma di
itterizia, catarro cronico
allo stomaco e
all’intestino, scompensi
cardiaci e laringite
cronica, obbligandolo a
rientrare in Germania con
l’immediato ricovero nella
clinica specializzata di
Semmering nei pressi di
Vienna.
Il
23 settembre Rommel lasciava
il comando al generale
George Stumme appena giunto
dalla Russia ove aveva
comandato il XL° Panzerkorps
(Corpo d’armata). Il 17
Settembre avvenne il cambio
di comando, Rommel non
manifestò molta fiducia in
Stumme, in quanto non lo
riteneva particolarmente
esperto nella guerra del
deserto, ma il suo sostituto
gli era stato mandato
direttamente da Berlino.
Il
24 Rommel era in Italia ed
ebbe colloqui prima con
Mussolini, nella sua
residenza estiva di Forlì,
poi a Roma con il
maresciallo Cavallero; in
ambedue i colloqui egli
espose la grave situazione
in cui si trovava in quel
momento l’ACIT, fece
chiaramente capire che senza
i promessi rinforzi non
avrebbe potuto tenere la
situazione e prospettò anche
la perdita della Cirenaica,
anticipando i possibili
eventi futuri, mettendosi al
riparo da possibili critiche
e diminuzione di prestigio.
Un abile mossa.
Il
26 eccolo a Berlino ed anche
a Hitler chiarì quanto aveva
detto a Roma, ma si trovò
davanti a un muro di cieco
ottimismo; ebbe solo
promesse di aiuti che
risultarono poi in parte non
mantenute. A Berlino la
guerra in Africa venne
considerata quale operazione
secondaria, poichè in quel
momento il fronte più
importante e impegnativo era
quello russo; il giorno dopo
quel colloquio Rommel venne
ricoverato in clinica.
Nel mese di settembre ad El
Alamein, le truppe dell’Asse
erano in attività
soprattutto per consolidare
le loro precarie
fortificazioni, in quanto
non essendo nelle condizioni
di contrattaccare per la
nota situazione ed anche
perché ormai la guerra non
era più di movimento ma di
posizioni, direi quasi di
trincea; dall’altro fronte
gli inglesi, in attesa
dell’attacco finale,
iniziarono a saggiare le
posizioni tenute dagli
italiani. A Sud la Folgore, che teneva un
fronte di circa
15 Km.,
venne ripetutamente
attaccata da forze corazzate
nemiche, ma i paracadutisti
non cedettero terreno, il
loro eroico comportamento
destò ammirazione nel
nemico, molte furono le
gesta di eroismo,
dall’ufficiale al semplice
paracadutista. Dal Nord al
centro, lo schieramento
italo-tedesco, venne tenuto
sotto la costante pressione
nemica che concentrò i
maggiori attacchi di
disturbo contro le posizioni
delle divisioni italiane,
soprattutto verso la Trento, la Bologna e la Brescia che non mollarono
un centimetro di terreno.
Lo
scopo inglese era evidente,
si basava sulla conoscenza
del morale e
sull’affidabilità
materiale degli italiani,
incentrandole sulle negative
esperienze avvenute in
passato, sulla intenzione
radicata di spronare sforzi
e attacchi sulle G.U.
italiane di fanteria: un
facile bersaglio!
Per tutto il mese di
settembre e buona parte di
ottobre, gli inglesi tenendo
ferme le loro divisioni
corazzate, bersagliarono con
tiri di artiglieria le
posizioni italo-tedesche,
mentre l’aviazione non dette
respiro poichè giornalmente
tonnellate di bombe venivano
lanciate sulle nostre
posizioni, neanche la notte
era risparmiata, sgretolando
sistematicamente ogni
resistenza psico-fisica e
combattiva. Secondo quanto
scritto nelle memorie del
generale Alexander, egli
dichiara che in solo due ore
e mezza, nella zona ove
erano concentrate le
maggiori forze di Rommel,
l’aviazione inglese aveva
scaricato su quelle
posizioni ben 8O0 tonnellate
di bombe.
Nel corso di quelle
battaglie sia l’aeronautica
italiana che la Luftwaffe, pur essendo in
condizioni di inferiorità
numerica, cercarono di
contrastare la superiorità
avversaria, impegnandosi
duramente in violenti
scontri aerei; in uno di
questi scontri, precisamente
il 30 settembre, ore 11,35,
venne “abbattuto”,
un giovane pilota
tedesco, aveva appena 22
anni, il capitano Joachim
Marseille, asso della
Luftwaffe con 158 vittorie
omologate, decorato anche di
M.O.V.M. italiana, gli
inglesi nei loro comunicati
di allora, si vantarono di
avere abbattuto il più
temibile avversario da
caccia, ma la vera fine di
quel temibile pilota tedesco
fu che mentre era in volo,
il motore del suo aereo
prese improvvisamente fuoco
e l’aereo non avendo più
controllo precipitò al suolo
causando la morte dell’asso
Marseille; non dobbiamo
dimenticare l’eroico
comportamento del 4° e
3°Stormo da caccia e del
50°Stormo d’assalto
dell’aviazione italiana che
pur combattendo ancora con i
sorpassati biplani CR.42
dettero filo da torcere ai
piloti inglesi che guidavano
aerei, velocissimi e
potentemente armati. Nota
interessante dei 98 aerei
inglesi abbattuti dalla
caccia italo-tedesca, nella
battaglia di El Alamein, ben
45 furono attribuiti
all’opera instancabile dei
nostri piloti, anche se
dotati di aerei con
inferiori caratteristiche.
Nel frattempo il generale
Montgomery preparava
silenziosamente il suo piano
di attacco per la grande
battaglia, usando, oltre
alla sorpresa, una serie di
“bluff“, mimetizzando la sua
poderosa forza corazzata in
inoffensivi automezzi e le
opere campali nascoste con
coperture in reti, teloni e
lamiere; infatti un carro
armato, abilmente
mascherato, veniva a
sembrare, alla nostra
ricognizione aerea, un carro
da trasporto, con questo
sistema riuscì in parte ad
ingannare i comandi italo -
tedeschi.
Anche Rommel usò ugualmente
l’astuzia del carro armato
ma in senso inverso, quale
quello di trasformare
semplici autocarri in falsi
carri armati, onde far
credere all’avversario di
avere a disposizione grandi
quantità di quei mezzi e
spesso gli inglesi caddero
in questo inganno, Rommel lo
aveva già sperimentato con
successo durante le
battaglie in Cirenaica.
Montgomery volle completare
il suo piano con un altro
clamoroso stratagemma, per
dare l’impressione al
comando italo-tedesco
dell’ACIT di attaccare a Sud
del loro schieramento,
quindi dette subito inizio
in quel settore, alla
costruzione di un falso
acquedotto fatto abilmente
con bidoni e tubazioni fuori
uso, traendo in inganno,
anche questa volta, la
ricognizione che dall’alto
non poteva notare che le
tubature erano composte da
bidoni; questo scaltro
accorgimento, venne portato
per le lunghe come lavori
onde fare supporre al
comando dell’Asse, che un
eventuale attacco
dell’8^Armata era
subordinato al completamento
dell’acquedotto, che secondo
gli esperti tecnici tedeschi
non poteva essere finito se
non verso la fine di
novembre; invece l’offensiva
di Montgomery avvenne la
sera del 23 ottobre ed in
effetti fu una sorpresa per
il generale Stumme, che
aveva sostituito Rommel. Per
Monty erano però modesti
sotterfugi rispetto alla
realtà costituita da
migliaia di carri armati,
cannoni, aerei, munizioni,
carburante, rifornimenti
alla cui distribuzione
vennero impiegati 60 mila
automezzi logistici.
Alle ore 21,40 del
23 ottobre ( Mappa n°21 ),
oltre un migliaio di cannoni
inglesi di ogni calibro,
vomitarono
sulle posizioni
italo-tedesche da El Alamein
sino alle Depressioni,
migliaia e migliaia di
proiettili, ma la maggiore
concentrazione di tiri di
artiglieria, onde dare
l’impressione che in quel
settore doveva essere il
punto di sfondamento, cadde
sulle posizioni della
Folgore e della Pavia, pare
che sulle loro posizioni
piovvero da 2.000 a 3.000 granate; per circa due ore la
terra tremò su tutto il
fronte, poi per alcuni
istanti subentrò una certa
calma, ma fu una illusione
per i nostri soldati,
infatti appena dopo le 22,
la fanteria avversaria
appoggiata da numerosi carri
armati era già davanti le
nostre posizioni che
venivano nuovamente
martellate dall’artiglieria;
a Sud la Folgore, dovette sostenere
i duri attacchi del XIII
Corpo d’armata, che gli
aveva messo di fronte la
44^divisione, la 7^divisione
corazzata e la brigata
francese, ma era a Nord che
Montgomery concentrò il suo
maggiore sforzo, in quanto
vennero duramente provate le
divisioni Trento, Brescia e
Bologna, che dovettero
fronteggiare il XXX° e il X°
Corpo d’armata che era
l’orgoglio dell’8^Armata.
Il
giorno 24 la battaglia aveva
preso già una svolta
alquanto sfavorevole per
Stumme, anche perché egli
non ebbe la possibilità di
fare intervenire compatte le
4 unità corazzate, che
Rommel aveva predisposto nel
retro dello schieramento,
assegnando ad ognuna di esse
un settore di azione di 15 Km. e che dovevano
intervenire soltanto in caso
di sfondamento della linea
del fronte.
Nella stessa giornata del
24, il generale Stumme
moriva in una tragica
circostanza: mentre era in
macchina con il suo capo di
Stato Maggiore il colonnello
Buechting, in ispezione
notturna sulla prima linea,
la sua macchina venne
ripetutamente colpita da
tiri di mitragliatrice, non
si seppe se sparati da un
carro armato o da un
autoblinda infiltratasi
nelle linee tedesche, a
seguito di quel improvviso
mitragliamento l’autista
impaurito fece una forte
inversione che provocò la
caduta, fuori
dall’automezzo, del generale
Stumme che forse era anche
riuscito ad aggrapparsi alla
portiera, ma l’autista non
si accorse di quanto stava
capitando al generale e
proseguì la sua folle corsa
rientrando velocemente nelle
linee tedesche e solo allora
si accorse che sulla
macchina non vi era più il
generale ma solo il corpo
del colonnello Buechting
ormai morto in quanto
colpito al capo; il giorno
dopo pattuglie tedesche
andarono alla ricerca del
generale e riuscirono a
trovare il suo cadavere;
dalla perizia medica risultò
che era morto per un attacco
cardiaco, forse lo sforzo di
restare aggrappato alla
macchina gli fu fatale; lo
sostituì il generale von
Thoma, anch’egli giunto da
poco dalla Germania, ma era
già stato in Libia nel
settembre del 1940, inviato
da Hitler in missione, per
accertarsi della situazione
militare del nostro esercito
in quel periodo. La
scomparsa del generale
Stumme mise in grave crisi
il comando tedesco, anche
perché il generale Wilhelm
von Thoma non aveva grande
esperienza di guerra nel
deserto; il generale venne
infatti catturato dagli
inglesi a novembre nella
battaglia di Tell Aqqaqir.
Il
giorno 24, Hitler telefonò a
Rommel in ospedale ove era
ricoverato da 3 settimane,
imponendogli l’immediato
rientro in Africa;
nonostante fosse ancora
convalescente, il
feldmaresciallo ubbidì e nel
tardo pomeriggio del 26 era
già in Africa al suo
quartiere generale di El
Daba, prendendo subito in
mano la situazione e
contrapporre con un
contrattacco la pericolosa
minaccia nemica, sforzandosi
di riunire le due
panzerdivision; é noto che
quello improvviso
rientro
produsse una azione
rassicurante tra la truppa.
Certamente Rommel si era
reso conto che ormai El
Alamein era perduta, sapeva
che la sua armata era a
corto di carburante,
nonostante ciò tentò,
dirigendo personalmente un
contrattacco, che per il
momento riuscì soltanto ad
arrestare l’avanzata nemica,
ma perdette di conseguenza
numerosi carri armati.
Avvalendosi del grande
numero disponibile di mezzi
e di uomini, Montgomery, con
la 9^divisione australiana e
la 1^divisione corazzata,
era riuscito ad aprire un
varco di circa
10 Km.
nel sistema difensivo
dell’Asse nel settore Nord,
però il pronto intervento
della 21^panzerdivision e
della 90^divisione leggera,
riuscirono momentaneamente a
tamponarlo; anche al Sud
dove la divisione Folgore
teneva saldamente le sue
posizioni, vennero sferrati
attacchi, poi per qualche
giorno vi fu una specie di
tregua, tanto che il
feldmaresciallo Kesselring,
recatosi il giorno 28 ad
ispezionare il fronte di El
Alamein, ritenne che Rommel
avesse in mano la
situazione; Kesselring
rientrato a Roma, in un
colloquio con Mussolini, lo
aveva assicurato che il
fronte di El Alamein non
destava in quel momento
seria preoccupazione; in
effetti egli era giunto al
fronte nel momento in cui
Montgomery aveva allentato
la pressione per
riorganizzarsi onde sferrare
l’attacco finale, quella
sosta naturalmente permise a
Rommel di rafforzare le sue
posizioni, quindi Kesselring
aveva trovato una situazione
alquanto calma ma non per
questo meno preoccupante.
Nei colloqui tra i due
feldmarescialli, Rommel per
l’ennesima volta tornò a
ripetere che se non
arrivavano i rinforzi
richiesti, non avrebbe
potuto mantenere quel
fronte, rinforzi che non
giunsero a destinazione a
causa di affondamenti di
navi da carico e petroliere;
altro grave problema di
Rommel era il
munizionamento, doveva
razionare le granate, in
quanto spesso l’artiglieria
non poteva reagire per
mancanza di proiettili,
quando invece da parte
avversaria, il loro
bombardamento era illimitato
e senza soste.
Dopo quei pochi giorni di
calma
nella notte del 31
ottobre e nella giornata del
1° novembre, Montgomery
sferrava l’attacco decisivo,
quello finale: a Nord le
fanterie della 9^divisione
australiana, della
51^divisione scozzese, della
2^ neozelandese e
1^sudafricana con l’appoggio
della 1^divisione corazzata,
sfondavano il settore tenuto
dalla divisione Trento e
164adivisione leggera
tedesca, sostenuto anche
dalla 90^Divisione tedesca,
nonostante l’intervento
della divisione corazzata
Littorio e della
15^panzerdivision, che aveva
dato il cambio alla
21^spostata più a Sud; al
centro le posizioni attorno
a Deir el Abyad tenute dalla
divisione Bologna e parte
della brigata paracadutisti
tedeschi non ressero alla
spinta della 4^divisione
indiana, della brigata greca
e della 10^divisione
corazzata del X° Corpo
d’armata inglese; un poco
più a Sud anche la Brescia e il resto della
brigata Ramcke cedettero
contro l’attacco della
50^divisione inglese; le
divisioni Ariete e Trieste,
prodigandosi nel contrastare
l’avanzata dei corazzati
inglesi, subirono gravissime
perdite. La Trieste agli inizi della
grande e definitiva
offensiva inglese del 1°
novembre,
venne tolta dalla
riserva mobile d’Armata e
immediatamente inviata nella
zona di Sidi Abd el Rahman
in sostituzione della 21^
panzerdivision. A Sud
la Folgore,
con il suo 8°battaglione
guastatori, i due
battaglioni paracadutisti
tedeschi Hubner e Burkardt e
parte della divisione Pavia,
non potendo più avere
l’appoggio dell’Ariete, che
Rommel aveva fatto risalire
al Nord, resistettero
caparbiamente ai duri
attacchi della 7^divisione
corazzata, della
44^divisione di fanteria e
dalla brigata francese, alle
quali si erano aggiunte la
10^ e 23^brigata corazzata.
Nei giorni 2 e 3 novembre
nella zona di Tell el
Aqqaqir, avvenne la più
micidiale e decisiva
battaglia tra forze
corazzate; i due
belligeranti misero in campo
quanto di meglio e più
potente avessero in quel
momento in mezzi corazzati;
purtroppo la superiorità
inglese ebbe il sopravvento,
la già decimata divisione
Trieste subì altre perdite,
la divisione corazzata
Littorio perdette un grande
numero di carri armati, lo
stesso destino toccò alla
21^panzerdivision, la
divisione Ariete, ormai
ridotta a pochi carri
armati, dette il suo eroico
ultimo contributo e finì
quasi distrutta nonostante
l’eroismo dei carristi e
dell’8°bersaglieri, da
citare anche il contributo
dato dai battaglioni di
fanteria delle divisioni
Bologna e Brescia che
subirono anch’essi gravi
perdite. Rommel si rese
conto che non avrebbe potuto
più capovolgere le sorti
della battaglia in suo
favore, quindi volendo
salvare il maggiore numero
di uomini e di mezzi, prese
l’estrema decisione di
ripiegare. Infatti già dai
primi giorni di novembre,
Rommel aveva constatato la
superiorità inglese, alla
quale non poteva
contrapporre che poche
forze, non sperava più
nell’arrivo di rinforzi che
comunque mai sarebbero
arrivati, le scorte di
carburante erano quasi
esaurite, quindi fu giusta e
saggia la sua decisione di
ritirarsi onde salvare il
salvabile.
Contemporaneamente alla
decisione di ripiegare su
altre posizioni, Rommel
ricevette da Berlino un
perentorio telegramma di
Hitler che gli imponeva la
resistenza ad oltranza ad
El Alamein che secondo
Berlino doveva essere tenuta
sino all’ultimo uomo.......”
Vittoria o morte .....” con
questo demagogico e inutile
ordine Hitler chiudeva il
suo telegramma.
Rommel era rimasto dapprima
sorpreso e indeciso sul da
farsi, tanto che aveva già
dato ordine di non attuare
più il ripiegamento, ma poi
consigliandosi con il suo
Stato Maggiore e con il
felmaresciallo Hesserling
che approvò ogni decisione
di Rommel, il quale forte di
quello appoggio, annullò
l’ordine insensato di Hitler
e dette inizio al
ripiegamento.
Purtroppo quella ritirata
lasciò al loro destino,
alcune divisioni di fanteria
italiane, come
la Folgore,
la Pavia, la Brescia e parte della
brigata paracadutisti
Ramcke, che prive di
automezzi non erano in grado
di affrontare un rapido
ripiegamento verso la costa.
Queste gloriose divisioni,
unitamente ai paracadutisti
tedeschi, benché rimaste
isolate resistettero, sino
al giorno 2 - 3 novembre
agli attacchi nemici, poi
furono costrette ad
abbandonare le loro
posizioni che avevano
strenuamente difeso per
lunghi mesi, iniziando a
piedi quel tragico
ripiegamento che dopo pochi
giorni si concluse con la
loro cattura. Solo i
paracadutisti tedeschi
riuscirono a recuperare con
un colpo di mano degli
automezzi inglesi, con i
quali poterono
ricongiungersi al resto
dell’armata di Rommel.
Corsero voci di accusa verso
Rommel, che per salvare il
maggiore numero di soldati
tedeschi, aveva requisito un
certo numero di autocarri
alle fanterie italiane;
sinceramente non sappiamo se
vi é verità su quelle accuse
ma é anche vero che le
divisioni di fanteria
italiane erano scarsissime
in quanto ad automezzi,
abbiamo molti esempi su
questo fenomeno, la prima
ritirata di Graziani ne é
una prova; causa la penuria
di mezzi di trasporto, in
quella ritirata vennero
fatti prigionieri circa
130.000 nostri soldati,
perché appiedati e quindi
nella impossibilità di
ritirarsi velocemente.
In
verità Rommel disponeva di
200 automezzi italiani avuti
dall’Intendenza A.S. ma
ritenne opportuno
utilizzarli per le esigenze
delle sue G.U. mobili ed
egoisticamente rifiutò di
consegnarli agli italiani.
Dopo 12 durissimi giorni di
lotta, la battaglia di El
Alamein si era conclusa,
l’8^Armata di Montgomery
aveva inflitto una grave
sconfitta alle truppe di
Rommel che ormai erano in
ordinata e non precipitosa
ritirata, come allora
affermò anche la stampa
inglese. In quel
ripiegamento l’aviazione
inglese non dette tregua
alle truppe dell’Asse; i
resti di quella armata, che
fu l’orgoglio di Rommel,
marciava verso Fuka, ove le
poche unità, ancora in grado
di combattere, avrebbero
dovuto creare una zona di
difesa, purtroppo la
pressione inglese impedì la
possibilità di attuare
quella difesa, quindi
avvenne un nuovo
ripiegamento generale su
Marsa Matruch che cadde il 7
novembre, poi fu la volta di
Tobruch, occupata dagli
inglesi il 13. Continuando
la ritirata, le truppe
italo-tedesche evacuarono
Bengasi il 20, e solo tra
Agedabia ed El Agheila,
Rommel riuscì a contenere
l’avanzata dell’8^Armata,
che in effetti ormai si
limitava a seguire
prudentemente a distanza
quella ritirata non
impegnandosi in grossi
combattimenti, lasciando il
compito di distruzione alla
aviazione. Rommel tenne
quella linea di difesa per
pochi giorni, ma non aveva
più carri armati, poichè
degli oltre 480 disponibili
a El Alamein, a El Agheila
poteva contare solo su 35
carri tedeschi e non più di
20 carri M.14 della
Littorio; i carri armati
della 21^panzerdivision con
quelli superstiti della
Ariete e Trieste, che
avevano fatto baluardo,
prima a Tell Aqqaqir e poi a
Fuka, non esistevano più;
dei
96.000 uomini che
erano stati schierati ad El
Alamein, 10.000 erano morti,
15.000 furono i feriti,
34.000 prigionieri dei quali
oltre 10.000 erano tedeschi,
il resto erano sbandati e
solo poco più di 9.000
potevano considerarsi ancora
in condizioni di combattere,
inoltre la grande parte
dell’artiglieria o era stata
distrutta o abbandonata, per
mancanza dei mezzi di traino
colpiti dalla RAF o perché
privi di carburante.
Le
statistiche fornite dagli
inglesi circa le loro
perdite, dettero allora
questi numeri: 13.500
soldati tra morti, feriti e
prigionieri, 500 carri di
vario tipo distrutti sui
1.300 schierati che avevano
partecipato alla battaglia,
un numero imprecisato di
cannoni perduti ( pare che
una parte di essi vennero in
seguito
recuperati,
trovandosi in territorio
ormai saldamente in loro
mani).
La
battaglia di El Alamein ebbe
caratteristiche diverse da
tutte le altre battaglie che
si combatterono in Africa
Settentrionale, fu una
battaglia di posizioni dove
l’avversario per avanzare
doveva aprirsi una breccia,
poi per il limitato campo
d’azione molto fortificato
da ambo le parti, solo il
più forte in mezzi e uomini
poté sfondare, questo
appannaggio fu degli inglesi
che di quella battaglia ne
fanno tuttora un vanto
storico.
Il
Primo Ministro Churchill
nelle sue Memorie cosi
scrive: .....Prima di El
Alamein non avevamo mai
ottenuto una definitiva
vittoria, dopo El Alamein
non conoscemmo più la
sconfitta.
Gli inglesi si sono sempre
vantati di avere sfondato ad
El Alamein le “salde difese”
italo-tedesche, ciò è
esagerato; dei 96.000
soldati italo-tedeschi
schierati
su quel fronte, solo
89.000 erano in prima linea,
gli altri 7.000 erano
addetti ai servizi logistici
di seconda linea.
I
soldati di prima linea
dovevano difendere un fronte
di oltre 70 chilometri, vale a
dire 1.200 uomini per
chilometro, ciò a
dimostrazione come le difese
fossero sparpagliate.
Montgomery si è vantato
nelle sue “Memorie”, che le
posizioni nemiche erano
saldamente fortificate e lo
sfondamento da parte inglese,
fu “una impresa gigantesca”
dovuta alla sua abile
strategia.
In
effetti il sistema difensivo
italo-tedesco si basava
soprattutto sulla estensione
di campi minati che avevano
una profondità di 4-5 chilometri e in essi
non vi erano zone che
facessero da cuscinetto, i
capisaldi distanziavano vari
chilometri l’uno dall’altro,
quindi fu facile per gli
inglesi, avvantaggiati da
una massa imponente di carri
armati e l’uso incessante
dell‘artiglieria, sfondare
il fronte e penetrare in
profondità.
Ad
El Agheila erano anche
giunti i superstiti della
136^divisione “Giovani
Fascisti”, dopo una
massacrante marcia di 1.100 Km. attraverso il
deserto
(Mappa n°22 ),
ecco la loro odissea: quando
il generale Montgomery
sferrò ad El Alamein
l’attacco del 23 ottobre,
che obbligò Rommel a
ripiegare, la divisione, che
era a Siwah rimase isolata e
l’8 novembre dovette
abbandonare le posizioni che
teneva in quella oasi e
ripiegare verso l’interno
del deserto, in quanto non
fu possibile sfruttare la
pista per Marsa Matruch
poiché questa era già stata
riconquistata dagli inglesi,
allora il generale Di Nisio
prese l’estrema decisione di
puntare su Giarabub; la
divisione si mosse parte a
piedi e parte su quei pochi
automezzi Lancia 3RO e Fiat
740, alcuni dei quali non
avendo più benzina venivano
trainati da quelli in grado
di muoversi, seguivano gli
unici due carri armati che
la divisione, pomposamente
qualificata come corazzata,
aveva in dotazione.
Purtroppo quella ritirata fu
sempre sotto il costante
bombardamento dell’aviazione
nemica che causò ancora
morti e feriti e la
distruzione di diversi
automezzi e dei due carri
armati; benché decimata,
nella giornata del 10, la
divisione riuscì a
raggiungere Giarabub, ma
appena giunta sul posto il
generale Di Nisio, essendosi
aggravate le sue condizioni
fisiche, causa la malaria
che aveva contratto a Siwah,
fu costretto a lasciare il
comando e venne imbarcato
sull’unico velivolo che
ancora operava a Giarabub e
trasportato all’ospedale di
Derna, subentrò nel comando
il colonnello Follini che
decise di proseguire per
Gialo.
Recuperata la guarnigione di
Giarabub, la divisione
continuò il ripiegamento,
sempre nell’interno del
deserto verso Gialo e Augila,
con continui insabbiamenti
degli automezzi e tirati
fuori dalla sabbia a forza
di braccia, sacrificando
tutto ciò che era possibile
mettere sotto le ruote,
zaini, pastrani, giacche,
persino le barelle dei
feriti; il giorno 16, quello
che restava della 136^
divisione “corazzata” GG.FF.
giunse a Gialo accampandosi
nell’interno del forte, ma
l’aviazione inglese non
dette loro pace, bombardando
il forte, vi furono diversi
feriti e la distruzione di
altri automezzi.
Dopo
1.100 Km.
e 10 giorni di estenuante
marcia in pieno deserto su
piste sconosciute i
superstiti di quella 136^
divisione affamati, assetati
e ridotti a larve umane, il
giorno 18 arrivarono ad
Agedabia, dove furono subito
impegnati, aggregati ai
resti della divisione
Sabratha, come retroguardia
e copertura dei reparti
italo-tedeschi che ormai si
ritiravano verso la Tripolitania. (
vedere MAPPA N°22 del
ripiegamento di Siwah e FOTO
N° 1-2 )
Dal 22 novembre al
1°dicembre, le retroguardie
dell’Asse riuscirono a
frenare ad Agedabia
l’avanzata inglese, grande
merito di questa resistenza
fu l’eroica difesa fatta dai
due battaglioni Giovani
Fascisti e dai superstiti
fanti delle divisioni
Sabratha, Bologna e Trento,
ormai ridotti a poche
centinaia di uomini.
Altra resistenza venne fatta
a Buerat ai confini con la Tripolitania, dal 26
dicembre al 3 gennaio 1943 e
anche qui i Giovani Fascisti
si scontrarono con reparti
del XXX° Corpo d’armata
inglese; ultima difesa a
Tarhuna, poi avvenne
l’abbandono definitivo della
Libia, Tripoli venne
occupata il 22 Gennaio 1943.
Circa l’abbandono della
Libia, vorrei citare un
fatto ancora sconosciuto
dagli storici militari che
hanno descritto le vicende
belliche di quel periodo; io
ne sono venuto a conoscenza
attraverso la testimonianza
di un mio concittadino che
fu presente in una
particolare circostanza, ove
vennero prese le estreme
decisioni circa l’abbandono
della Libia e sono
autorizzato a fare il suo
nome, egli si chiama Pietro
Napolitano, oggi novantenne,
allora era sottufficiale in
servizio presso il Comando
Superiore Africa
Settentrionale, descrivo
l’episodio con le sue
parole:........” eravamo
ai primi giorni del mese di
gennaio, ero stato
distaccato al villaggio
Bianchi (nota
dell’autore: il villaggio
agricolo Bianchi si trovava
a 44 Km. da Tripoli) per predisporre e
attrezzare un ampio locale
per una importante riunione
militare, io ero all’oscuro
di cosa si trattasse. Dopo
qualche giorno, avevo
trovato la sistemazione
adatta nel grande salone
della Casa del Fascio
locale, frattanto il
villaggio Bianchi si
andava riempiendo di molti
ufficiali superiori di ogni
Arma, seppi da uno di questi
ufficiali che in giornata
avrebbe avuto luogo al
villaggio Bianchi un
avvenimento storico: un
Consiglio di guerra tra gli
Stati Maggiori italiano e
tedesco. Infatti alle ore
17,00 precise del giorno 18,
arrivarono i marescialli
Bastico e Cavallero,
scortati da almeno 100 tra
bersaglieri e carabinieri
motociclisti; alle ore 17,10
atterrarono sul campo di
foot-ball con aerei “Storch
Fieseler”, i feldmarescialli
Kesselring e Rommel, accolti
dal numeroso stuolo di alti
ufficiali italiani e
tedeschi. Si riunirono
nell’ampio salone della Casa
del Fascio, attorno a un
lungo tavolo ove erano
disposte tante carte
geografiche.
Ebbe così inizio l’incontro
che io chiamerei di scontro;
insieme ad un sottufficiale
tedesco ero di servizio
all’entrata del salone e
quindi in grado di assistere
a tutto l’incontro, così
attraverso gli interpreti,
sentii ogni parola e segui
ogni mossa dei convenuti.
I
nostri generali,
prospettando i loro piani,
avevano tentato e insistito,
battendosi come leoni,
affinché non si abbandonasse la Tripolitania; ma con
la “volpe del deserto” non
ci fu nulla da fare, Rommel
alzatosi in piedi, prima
calmo, dopo con voce alta,
menando pugni all’aria e sul
tavolo, infuocandosi sempre
di più, restò irremovibile e
il risultato fu “ripiegamento
generale verso
la Tunisia”.
I
marescialli Cavallero e
Kesselring si erano
mantenuti più calmi, ma dopo
tanto battere e ribattere,
il risultato finale fu a
nostro svantaggio: perdere
la nostra cara Tripolitania.
I
saluti furono freddi dopo
tutti partirono, anzi
sparirono. Nessuno del
Comando superiore e di altri
Comandi s’interessarono di
me né dei miei sottoposti;
dopo avere ricevuto l’ordine
di ripiegamento, restammo
soli e senza mezzi, solo per
mia volontà riuscii ad
effettuare quel ripiegamento
sino in Tunisia con mezzi di
fortuna”.
Certamente questa pagina di
storia sconosciuta ai più,
vuol dimostrare
l’antagonismo che sussisteva
tra le nostre alte gerarchie
e Rommel, comunque anche
accettando la proposta
italiana di non abbandonare la Tripolitania e opporre resistenza attorno a
Tripoli, non avrebbe risolto
nulla, si sarebbe prolungata
di qualche giorno la nostra
presenza in Libia e con il
risultato di
aumentare il numero di morti
e prigionieri, ma
soprattutto di morti
civili,in quanto Tripoli era
molto popolata sia da
italiani, oltre 20.000, che
da libici.
Veniamo ora a conoscere
quale sorte toccò ad una
delle più gloriose nostre
divisioni nella battaglia di
El Alamein: la divisione
Folgore, vanto ancora oggi
dell’esercito italiano.
Come sopra già accennato,
la Folgore
teneva un fronte di 15 Km.: da Deir Alinda a Deir
Munassib e da Deir Munassib
sino a Qaret el Himeimat,
allo estremo limite delle
depressioni di El Qattara. A
Deir Alinda era schierato il
187°Reggimento sino a Deir
Munassib, poi veniva
l’8°battaglione guastatori e
scendendo verso Sud il
186°reggimento, l’estrema
punta di questo schieramento
era tenuta dal 5°-6°e 7°
Battaglione del 186°. Il
185° artiglieria
paracadutista non presidiava
alcun tratto di fronte in
quanto i suoi gruppi di
batterie erano state
assegnati ai singoli
battaglioni dei reggimenti
186°e 187°.( FOTO N°3
)
La Folgore
sin dal mese di agosto e per
tutto settembre era stata
oggetto di continui assalti
inglesi; in quei due mesi
aveva avuto i suoi morti in
eroiche azioni di attacchi e
contrattacchi, mentre gli
inglesi si erano logorati in
quegli assalti tanto che
agli inizi di ottobre
avevano affidato la
distruzione dei capisaldi “folgorini“
alle loro artiglierie e alla
aviazione che purtroppo
causarono molte vittime, una
illustre fu quella di Guido
Visconti di Modrone,
decorato poi di M.A.V.M. ,comandante
della 11acompagnia del 4°
battaglione.
Il
18 ottobre, durante una
ispezione notturna alle
posizioni del 4° battaglione
moriva il generale Orsi
Ferrari, comandante il X°
Corpo d’armata, Egli con il
suo seguito andarono a
finire su una sacca minata e
saltarono in aria; in quel
tragico incidente perirono
il maggiore Patella,
comandante del 4°
battaglione e il maggiore
Macchiato, mentre rimase
ferito il paracadutista
Polese, tutti
del 187°reggimento
che era passato al comando
del colonnello Bechi.
Alla morte del generale Orsi
Ferrari, il comando del X°
Corpo d’armata venne preso
provvisoriamente dal
generale Frattini, in
seguito quel comando fu del
generale Nebbia.
Quando il generale
Montgomery sferrò nella sera
del 23 ottobre il grande e
risolutivo attacco allo
schieramento italo-tedesco,
concentrò, come già
descritto, il massimo sforzo
al settore tenuto dalla
Folgore e affidò quel
compito al XIII° Corpo
d’armata che aveva ai suoi
ordini: la 7^divisione
corazzata ( veterana di
guerra del deserto ), la
44^divisione e la
50^divisione inglese, una
brigata greca e una brigata
francese, alle quali si
aggiunsero in seguito due
brigate corazzate, la 10^ e
la 23^, non meno di 50.000
uomini contrapposti ai circa
6.000 folgorini di cui 4.500
schierati in linea; il
Montgomery sperava con quel
poderoso esercito di
frantumare le posizioni
della Folgore, così da
aprire un varco e dal Sud
penetrare profondamente
nelle retrovie per poi
risalire al Nord e prendere
alle spalle il resto
dell’Armata di Rommel, ma
nonostante che quel piano
fosse stato messo in opera
con il concorso
dell’aviazione e con
l’incessante martellamento
dell’artiglieria sulle
posizioni della Folgore e
della Pavia, gli inglesi non
riuscirono a passare.
Per la verità storica, il
fronte tenuto dalla Pavia
che era il lato sud delle
depressioni e quindi
l’estrema punto difensivo,
non ebbe gravi perdite nella
battaglia del 23 ottobre, in
quanto poco impegnato, gli
inglesi si accanirono contro
le posizioni della Folgore
alla quale era stato dato
come rinforzo un solo
battaglione del 28°
reggimento della Pavia,
battaglione che si sacrificò
insieme ai “folgorini”.
Il
185°reggimento artiglieria,
comandato dal colonnello
Boffa che disponeva dei
soliti cannoni da 47/32 che
facevano appena il solletico
ai possenti carri armati
inglesi, compì sino dalla
sua entrata in linea una
valida opera di appoggio ai
nostri fanti paracadutisti,
schierando nei capisaldi
avanzati i suoi modesti
pezzi anticarro; solo quando
ebbe in prestito dall’Ariete
cannoni più potenti, dette
migliori risultati.
Dal 23 al 31 ottobre altre
morti gloriose si ebbero
nella Folgore; cadde,
combattendo alla testa dei
suoi uomini, il capitano
Costantino Ruspoli di Poggio
Suasa, verrà decorato di
Medaglia d’Oro al Valore
Militare, due giorni dopo
anche il fratello Marescotti
Ruspoli che comandava il
raggruppamento omonimo venne
ucciso, altra M.O.V.M.;
perdono la vita combattendo
il maggiore Francesco
Vagliasini di Randaccio, il
tenente Gastone Simoni, il
paracadutista Gerardo
Lustrissimi, molti i caduti
del IV° battaglione, quasi
distrutto il V° e il VII°;
vengono feriti il capitano
Felice Valletti Borgnini,
già in altre azioni ferito
per ben tre volte, ma il 26
mentre era al comando del
IV° battaglione fu colpito
gravemente alla gola e alla
spalla, lasciando il comando
al tenente Antonino Gallo
che lo stesso giorno di
comando subisce la medesima
sorte del capitano Valletti;
restano ancora feriti altri
ufficiali quali il tenente
Lassalle Errani, il tenente
Vittorio Bonetti, il
maggiore Izzo comandante del
V Battaglione, ancora il
maggiore
Bergonzi del VII e
tantissimi paracadutisti che
se dovessi tutti nominarli
non mi basterebbero 4 capitoli
di questo libro; di 16
comandanti di battaglione
della divisione che si erano
succeduti nei vari comandi,
10 caddero combattendo e 5
vennero feriti più o meno
gravemente, a dimostrazione
di quanto elevate furono le
perdite della Folgore.
Il
giorno 3 novembre
la Folgore
ricevette l’ordine di
abbandonare le posizioni
ancora validamente tenute e
ripiegare su Gebel Kalakh, a 20 Km. Sud-Ovest, ripiegamento
che venne effettuato sotto
l’incalzare di mezzi
blindati inglesi appoggiati
dalla onnipresente aviazione.
Duro fu quel ripiegamento,
con altri morti e feriti, il
giorno 6 novembre durante un
contrattacco della
retroguardia del
186°reggimento, venne
colpito mortalmente il
tenente Gaetano Lenci; a
contrastare l’avanzata
nemica si sacrificò anche il
VII° e IX° battaglione del
187°, andando all’assalto
con in testa i loro
comandanti, in una di quella
azioni caddero prigionieri
il generale Frattini, il
vice comandante della
Folgore generale Bignami e
il colonnello Boffa del
185°reggimento artiglieria.
La Folgore
ormai isolata nel deserto,
circondata dalle autoblindo
e carri armati, ridotta ad
appena 32 ufficiali e 272 paracadutisti
dei 6.000 che erano giunti
in Egitto, stremata, senza
più munizioni ma soprattutto
senza più viveri, acqua e
medicinali, fu costretta a
cedere le armi; erano le ore
17 del 6 novembre 1942, la Folgore chiudeva una pagina gloriosa della sua
storia.
La
resa della Folgore fu nobile
come una Vittoria.
Comunque non tutta
la Folgore
fu eliminata, il capitano
Carlo Lombardini , riuscì
nel dicembre 1942 a costituire un
battaglione con
paracadutisti che al momento
della dissoluzione della
Folgore, si trovavano nelle
retrovie o ricoverati negli
ospedali, con essi dette
vita al 285°battaglione
Folgore che a
Zuara in Tripolitania
e in Tunisia, nelle
battaglie del Mareth, Uadi
Akarit, Takruna e
Enfidaville dimostrò al
nemico, che la Folgore non era morta.
Ecco alcuni commenti della
stampa inglese di allora
sulla Folgore:
Radio Cairo del 8 novembre:
...“gli italiani si sono
battuti molto bene, la
divisione paracadutisti
Folgore al di là di ogni
possibile speranza, ha
combattuto al disopra di
ogni limite”...
Radio Cairo del 11 novembre
1942: ...“la resistenza
offerta dalla divisione
Folgore é invero ammirevole”...
La Reuter
di Londra, nello stesso
periodo: ...“i paracadutisti
italiani della divisione
Folgore
sono stati
ammirevoli”...
Comunicato della B.B.C. di
Londra del 3 dicembre 1942:
...“gli ultimi superstiti
della Folgore
sono stati raccolti
esamini nel deserto.
La Folgore
é caduta con le armi in
pugno”...
Dalla B.B.C. di Londra, dal
discorso del Primo Ministro
W. Churchill in occasione
della vittoria a El Alamein:
...“dobbiamo davvero
inchinarci
davanti ai resti di
quelli che furono i leoni
della Folgore”...
Questa é solo una parte dei
commenti che il nemico e
parte della stampa straniera
di allora dedicarono alla
nostra più gloriosa
divisione in quella
sfortunata guerra. L’Albo
d’Oro della Folgore si
fregia, per le battaglie
combattute in A.S., di ben
22 M.O.V.M.
di cui
5 a
viventi, 175 le medaglie
d’Argento, 61 di Bronzo, 73
Croci di guerra e numerose
decorazioni tedesche
assegnate ai folgorini.
I
generali Frattini Enrico,
Bignami Riccardo e il
maggiore Verando Giovanni,
furono insigniti dell’Ordine
Militare d’Italia. I
reggimenti paracadutisti:
185°-186°e 187° vennero
decorati con
la M.O.V.M.
Uno dei battaglioni più
decorati della Folgore fu il
VII° del 186° Reggimento,
con 8 M.O.V.M. di cui 2 a viventi: serg. maggiore
Pistillo e paracadutista
Leandro Franchi, di
quest’ultimo la drammatica
storia ha quasi
dell’inverosimile che
porterò a conoscenza in
questo capitolo; il VII°
Battaglione ebbe ancora
15 M.B.V.M.,
20 Croci di Guerra, più 7 Croci
di ferro di 1aClasse e 15 di
2aClasse tedesche.
Il
miracolo e l’eroismo della
Folgore non si sarebbe mai
potuto realizzare senza i
suoi splendidi ufficiali,
sottufficiali o semplici
Paracadutisti.
Molto si é scritto da parte
degli storici e della
stampa, sulla epopea della
divisione paracadutisti
Folgore di El Alamein, ma
non moltissimo sugli uomini
che ne fecero parte,
soprattutto dei comandanti
di compagnia, di plotone o
del singolo paracadutista.
Una eccezione la troviamo
nei due libri “FOLGORE e si
moriva“ e “Uomini della
FOLGORE ad El
Alamein“, scritti dal “folgorino‘
Raffaele Doronzo, che ci
descrive il paracadutista
non solo come soldato ma
anche come uomo, con le sue
preoccupazioni, le sue
angosce, i suoi timori e
anche le sue paure: l’uomo...
soltanto l’uomo!
Leggendo i libri del Doronzo,
in uno di essi “Uomini della
FOLGORE ad El Alamein“ notai
che l’autore, con
ammirazione, traccia le
vicissitudini di un
comandante di compagnia; la
sua figura di soldato mi
colpì immediatamente, così
da volerne conoscere più
profondamente la vita
militare.
Questo il suo nome: tenente
Franco TALO’, classe 1914,
promosso capitano sul campo
di battaglia ad El Alamein.
Ecco l’iter militare del
tenente Franco TALO’. Appena
diplomato, entra nel 1934,
con un concorso selettivo,
nella
Accademia di
Educazione Fisica della
Farnesina in Roma; ma poi,
attratto dalla vita
militare, lascia l’Accademia
di Roma per un altra
Accademia, quella di Modena,
allora denominata “Regia
Accademia di Fanteria e
Cavalleria”. Nominato
sottotenente in S.P.E. nel
1938, viene assegnato, dopo
la frequenza della Scuola di
Applicazione di Parma, al
III° battaglione del
33° Reggimento Fanteria “
LIVORNO “ di stanza a Cuneo.
(FOTO N°4 )
Nel giugno 1940, allo
scoppio del secondo
conflitto mondiale, é sul
fronte francese, ove già
dimostra particolari
attitudini di comando. Sul
finire del 1941, eccolo a
Tarquinia, alla Scuola
Paracadutisti, ove, nel
giugno 1942, consegue il
brevetto di paracadutista.
Assegnato al 187°reggimento,
assume il comando della 29^
compagnia e partecipa dal 1°
al 4 settembre alla
“battaglia di Santa Rosa” a
DEIR ALINDA, a difesa della
famosa Quota 101.
Nel corso delle mie
ricerche, ho avuto anche la
fortuna di conoscere il di
lui fratello Luigi, oggi
generale di C.A.(T.O) della
Guardia di Finanza, che mi
ha permesso di attingere tra
i ricordi del fratello.
Una lettera di Franco TALO’
scritta al fratello Luigi
dal fronte di El Alamein, mi
ha profondamente colpito.
Trascrivo, qui di seguito,
una parte di quella lettera:
...”Caro fratello, i
giorni qui si fanno sempre
più duri. Sono malato, ma
ancora riesco a fare per
intero il mio dovere. Non so
cosa possa accadere in
questo periodo. Ho fiducia.
Ci rivedremo... ho
anche io le mie grandi
soddisfazioni, me le danno i
miei soldati che sono
veramente meravigliosi. Per
ognuno di loro, una Medaglia
d’Oro sarebbe poco...”
Questa lettera scritta a
fine agosto, qualche giorno
prima che la sua
29^ compagnia, nella
battaglia a Deir Alinda,
venisse ad essere
completamente distrutta, già
dava notizia che Egli
soffriva di una dissenteria
che andava sempre più
aggravandosi, trasformandosi
in una forte itterizia; il
tenente TALO’, nonostante
che il colonnello Camosso,
suo comandante di
reggimento, lo esortasse al
ricovero in un ospedale da
campo, rimase sempre in
linea con i suoi
paracadutisti.
Per 4 giorni, la
29^compagnia tenne
saldamente quella Quota, pur
sotto il martellamento
incessante della artiglieria
nemica e i continui assalti
di due scelti reggimenti
inglesi, quali il West Kent
e il London Regiment, i
paracadutisti del tenente
Franco TALO’ non mollarono
il terreno di un centimetro,
benché provati per le gravi
perdite.
Purtroppo a fine battaglia,
della 29^compagnia rimasero
poche decine di soldati.
Ecco cosa scrisse nel suo
rapporto, al comando della
divisione “FOLGORE“, il
colonnello Luigi
Camosso, comandate del
187°reggimento, sulla
battaglia sostenuta dalla
29^ compagnia e sul suo
comandante: ”...in quei
quattro giorni di
combattimento a quota 101,
il tenente Franco Talò guidò
personalmente nei
contrattacchi la sua
compagnia, fu calmo, deciso,
sprezzante del pericolo;
questo ottimo ufficiale che
vedeva nello eroismo dei
suoi uomini il frutto di
mesi e mesi di intelligente,
faticosa e tenace
preparazione militare e
spirituale, diresse
personalmente il
combattimento e,
paracadutista tra i suoi
paracadutisti, con il suo
coraggio personale contribuì
alla rotta dell’avversario...”
Dai fatti su esposti emerge
la figura di questo ottimo
ufficiale subalterno, che
sul campo di battaglia,
nella cruenta lotta in
posizioni particolarmente
difficili, si distinse in
modo particolare.
Il
colonnello Camosso, così
chiudeva il suo rapporto:
...”ritengo che la
promozione al grado di
CAPITANO per MERITO di
GUERRA sia da concedere con
la seguente motivazione:
UFFICIALE COMANDANTE DI
COMPAGNIA, DI ELETTE VIRTU’,
GIA’ DISTINTOSI IN
PRECEDENTI COMBATTIMENTI,
ATTACCATO NEL SUO CAPOSALDO
DA FORZE NEMICHE
PREPONDERANTI, INFONDEVA NEI
SUOI PARACADUTISTI, PUR
DURAMENTE PROVATI
DA UNA LOTTA
INEGUALE, IL SUO STESSO
SPIRITO COMBATTIVO E
LA SUA TENACIA,
TANTO
DA SGOMINARE
L’AVVERSARIO, INFLIGGENDOGLI
DURE PERDITE E CATTURANDO
UNA SESSANTINA DI
PRIGIONIERI, RICACCIANDOLO
SULLE POSIZIONI DI PARTENZA,
DOPO UN LUNGO E ALTERNO
COMBATTIMENTO DURATO
PARECCHI GIORNI, DURANTE IL
QUALE CONFERMAVA
BRILLANTEMENTE LE SUE
PROVATE CAPACITA’ DI
COMANDO E LE SUE MAGNIFICHE
DOTI DI COMBATTENTE E
TRASCINATORE”...
Deir Alinda ( Africa
Settentrionale ) 30 agosto -
4 settembre 1942
Il Comandante del
187°reggimento
(
colonnello Luigi Camosso )
Il
30 ottobre 1942, con
Bollettino Ufficiale,
registrato alla Corte dei
Conti, al N°112, il tenente
Francesco TALO’, Distretto
di Palermo, venne promosso
capitano.
Il
capitano TALO’, nonostante
le sue precarie condizioni
di salute e sempre
rifiutando l’urgente
ricovero, continuò a
combattere; pur di non
abbandonare i suoi soldati
che lo seguivano con
ammirazione assoluta. Anche
se li comandava con la mano
di ferro, stravedeva per
essi anche se non lo dava a
vedere.
Il
6 novembre, nel deserto
egiziano, si chiudeva la
pagina eroica della
divisione Folgore.
Il
giorno 7 Novembre 1942, un
piccolo gruppo di indomiti
paracadutisti che non
vollero
arrendersi,combattevano
ancora. Erano comandati da
un giovane ufficiale, il
capitano Franco TALO’
’.
.
Combatterono
sino allo esaurimento delle
munizioni; in ultimo usarono
i pugnali, ma poi vennero
sopraffatti e catturati. Il
nemico non perdonò mai al
capitano Franco TALO’ quella
resistenza ad oltranza e nei
quasi tre anni di prigionia
non gli risparmiò sofferenze
e umiliazioni di ogni
genere.
Tutto questo per avere
Franco TALO’; “l’ultimo di
El Alamein”, gridato sempre
ad alta voce il suo
altissimo attaccamento alla
Patria italiana.
Nel 1945, in conseguenza delle
Sue precarie condizioni
fisiche, il capitano Franco
TALO’ venne rimpatriato e
rientrò in Italia.
Dopo un breve periodo di
convalescenza, essendo
ufficiale in servizio
permanente effettivo,
riprese servizio,
raggiungendo il grado di
tenente colonnello.
Purtroppo a seguito delle
gravi malattie sofferte in
guerra ed anche a causa
delle cattive cure ricevute
in prigionia, si spense a
Milano il 2 Giugno 1965, a solo 5O anni di età.
Ed
ora un nuovo accenno alla
vita guerriera di un altro
eroe: il paracadutista
Franchi Leandro decorato di
M.O.V.M. per una azione, che
come sopra ho accennato ha
dell’incredibile.
Nella notte del 23-24
ottobre, quando ebbe inizio
il terribile bombardamento
sulle posizioni della
Folgore, Leandro Franchi si
trovava al riparo in una
buca, in compagnia del
paracadutista Marco
Bartalotto, quando una
granata quasi centrò la
buca, Bartalotto morì sul
colpo, una scheggia gli
aveva portato via parte
della testa, mentre Franchi
venne ferito al braccio e
alla gamba sinistra, forte
della sua fibra, si medicò
da solo e si trascinò presso
la buca del suo Comandante;
benché ferito si offrì
volontario per riattivare
delle linee telefoniche
interrotte dai proiettili;
ferito nuovamente, questa
volta al braccio destro,
riuscì a rientrare nella
postazione tenuta dalla sua
Compagnia. Vi era però un
altro compito, quello di
minare un tratto di terreno
dinnanzi alla postazione,
anche questa volta fu
volontario, nonostante che
il suo comandante gli avesse
ordinato di recarsi presso
l’ospedale da campo per le
necessarie cure; Leandro
Franchi rifiutò e si
avventurò, nella nottata, in
quel rischioso lavoro che
completò sotto il continuo
bombardamento,sia
dall’aviazione che
dall’artiglieria nemica,
rientrò esausto che era
quasi l’alba.
Il
giorno 25 mentre ancora
spossato si trovava in buca,
venne assalito da alcuni
neozelandesi, benché
indebolito per le ferite,
ingaggiò un furioso “ match
“ con gli assalitori,
ricordo che il Franchi da
civile era stato un
promettente pugile dei pesi
medi, purtroppo causa le
ferite fu sopraffatto e
catturato; portato nello
accampamento neozelandese,
si prodigò per curare un
ufficiale paracadutista
gravemente ferito, riuscendo
a medicarlo alla meglio e a
salvarlo da una emorragia.
Nella notte, strisciando
lentamente assalì alle
spalle eliminandole, ben
cinque sentinelle, liberando
altri prigionieri, poi
caricandosi sulle spalle un
capitano ferito e
trascinando anche un altro
ufficiale quasi cieco, si
addentrò nel deserto
dirigendosi verso le nostre
linee. Dopo tre lunghissimi
chilometri riuscì a
raggiungere un nostro
avamposto; rifiutava ancora
di farsi ricoverare e
riprese il suo posto di
combattente.
Nel pomeriggio del 27 la sua
posizione venne ancora
attaccata dai neozelandesi,
Franchi era in una buca,
debolissimo per la perdita
di sangue, nonostante ciò
ingaggiò una lotta, ma
questa volta un neozelandese
lo assalì a colpi di
pugnale, tre ne ricevette
sulla faccia e sul collo in
ultimo l’assalitore gli
conficcò il pugnale nel
cranio e credendolo morto lo
lasciò in buca; dopo poco
tempo il nostro Eroe si
riprese e con l’unico occhio
ancora sano si accorse che
presso la sua buca vi erano
due nemici, afferrata la
pistola, fece fuoco
uccidendone uno, l’altro gli
si avventò contro, cercando
di colpirlo con la
baionetta, ma il Franchi con
la forza della disperazione
riuscì ad abbatterlo.
Rimasto isolato, poichè il
suo plotone, nel frattempo,
aveva dovuto ripiegare di
qualche chilometro su nuove
posizioni, benché avesse
sempre quel pugnale
conficcato in testa,
raggiunse una postazione
della Folgore; soccorso fu
portato allo ospedale di
Marsa Matruch ove riuscirono
a togliere il pugnale, però
le sue condizioni erano
talmente gravi, che venne
con urgenza, a mezzo aereo,
trasportato in Italia. Nello
ospedale del Celio di Roma,
i medici non si fecero tante
illusioni, gli venne anche
data l’estrema Unzione; ma
il forte paracadutista
sopravvisse. Dal 1942 al
1954 subì ben cinque
operazioni, applicandogli
anche una calotta d’argento
al cranio, non recuperò più
l’uso dell’occhio ferito.
Nel 1954 gli fu concessa
la M.O.V.M.
( FOTO N°5 )
Dal novembre a dicembre del
1942, in
Africa Settentrionale due
grandi avvenimenti dettero
origine ad un nuovo corso
della guerra in quel
territorio: lo sbarco
anglo-americano in Marocco e
Algeria e una ordinanza del
maresciallo Bastico, intesa
a ristrutturare ciò che era
rimasto dello esercito
italiano dopo El Alamein; il
nuovo esercito operò in
Tunisia con il XX e XXI
corpo d’armata che poi
formarono la 1aArmata
italiana.
E’
doveroso da parte mia dare
al lettore una conoscenza
anche se breve, del
Sacrario di El
Alamein, ove riposano per
l’eternità soldati italiani
e libici e poco lontano, i
“memorials” dei caduti
tedeschi e inglesi.
Il
Sacrario italiano si trova a
breve distanza da El
Alamein, nella zona della
famosa Quota 33 ove si
svolsero le grandi
battaglie, il terreno é
stato ceduto gratuitamente
all’Italia dal Governo
egiziano.
Questa opera muraria,
progettata e voluta dal
ten.colonnello Paolo Caccia
Dominioni, che combatté ad
El Alamein a fianco della
divisione Folgore al comando
del XXXI battaglione
Guastatori d’Africa, é
formata da tre imponenti
edifici: il Sacrario
propriamente detto, un
complesso di costruzioni e
la “Base italiana“ detta di
Quota 33, questi due ultimi
si trovano sulla strada
litoranea che da Marsa
Matruch arriva ad
Alessandria.
Il
Sacrario, che si distingue
per la sua torre ottagonale,
ha alla sua base un ampio
padiglione che contiene in
loculi le spoglie, o meglio
i resti, dei Caduti, che
sono 4.800 di cui 768
“ignoti “, tra questi Caduti
vi sono i resti di
21 M.O.V.M.,
mancano i corpi di altre
14 M.O.V.M.
che non
sono mai stati
ritrovati assieme a migliaia
di altri Caduti scomparsi
per sempre.
Nell’interno del Sacrario vi
é una galleria semicircolare
con ampi finestroni che
oltre a dare illuminazione
consentono una suggestiva
vista del mare, al centro di
questa galleria l’Altare
sormontato da una grande
croce.
Le
strutture murarie che si
trovano lungo la strada,
comprendono il cimitero dei
soldati libici Caduti, che
sono 228, con la Moschea e un porticato d’ingresso, sito espositivo
quale corte d’onore; segue
il Museo con cimeli bellici
e ancora un’altro contenente
ricordi trovati tra i resti
dei Caduti e anche ricordi
di ex combattenti.
La
“Base italiana“ dista circa
500 metri
dal Sacrario, essa nel
periodo delle ricerche di
Paolo Caccia Dominioni e del
suo assistente, l’ex
guastatore milanese Renato
Chiodini del XXXI°, fu sede
delle operazioni di recupero
salme, oggi é adibita come
abitazione del custode
italiano.
Tra i cimeli si trovano
anche 4 cannoni da 47 mm. recuperati dalle torrette di carri armati
della “Trieste” abbandonati
o distrutti durante la
battaglia, questi cannoni
sono così posti: due alla
entrata del Sacrario e altri
due
dinanzi al porticato
d’onore.
E’anche vero che gli inglesi
dal 1943 al 1945,
provvidero, con la
collaborazione di
prigionieri italiani e
tedeschi, alla raccolta
delle salme di Caduti
inglesi, italiani e
tedeschi, costruendo a Quota
33 un cimitero italiano e
uno tedesco, non trascurando
le cure di manutenzione;
purtroppo non essendoci
custodi in quei cimiteri,
gli arabi del deserto ne
toglievano le croci di legno
per alimentare i loro
fuochi, necessari per farsi
il the; naturalmente gli
inglesi rimettevano in
sostituzione altre croci,
senza curasi di collocarle
sul tumulo giusto.
Un
particolare interessante:
nel 1960, adiacente al
porticato d’onore del
Sacrario é stato consacrato
un sacello che contiene le
spoglie di operai italiani
morti in Egitto, durante i
lavoro delle dighe di
Assuan, Esna ed Edfina.
Già dal 1946-47, il
ten.colonnello Caccia
Dominioni, che aveva ripreso
al Cairo il suo studio di
architetto, abbandonato allo
scoppio della guerra, si era
interessato al problema
recupero salme dei Caduti
nel deserto egiziano,
iniziando con delle
ricognizioni nella zona di
El Alamein, a lui abbastanza
nota in quanto aveva
preso parte a quelle
battaglie nel 1942 ; avendo
notato che ancora vi erano
salme di Caduti da
recuperare, in quanto gli
inglesi nel 1943 avevano
raccolto solo quelle trovate
sulla costa, decise
d’intraprendere l’ardua
impresa della ricerca e
recupero dei resti di quelli
che erano stati
frettolosamente seppelliti
in diversi punti del deserto
e lungo piste nell’interno
egiziano.
Caccia Dominioni parlò di
questo suo progetto con il
Console Generale italiano
del Cairo, il
Dr.Alfredo Nuccio, ex
bersagliere e combattente ad
El Alamein dove fu ferito,
quest’ultimo entusiasmato da
quel progetto, sollecitò
l’intervento delle autorità
di Roma, le quali
approvarono il piano dell’ex
comandante del XXXI
battaglione Guastatori e gli
affidarono il compito di
attuare i lavori di
recupero.
L’architetto Dominioni,
lasciò allora il suo studio
del Cairo e con la
collaborazione di un suo ex
guastatore, il maresciallo
Chiodini già menzionato, si
mise con impegno al faticoso
e pericoloso lavoro, che
ebbe inizio nel 1947 e si
concluse nel 1962. Furono
oltre 15 anni di duri
sacrifici, svolti in
maggiore parte su terreni
minati, infatti in quella
impresa perirono ben 7
operai indigeni, lo stesso
comandante e il Chiodini
saltarono in aria su una
mina, la fortuna fu dalla
loro parte, rimasero illesi,
ma il Chiodini l’anno prima
aveva avuto analogo
incidente rimanendo
seriamente ferito.
Nel cimitero italiano a
Quota 33, venne posta nel
1960, una lapide con la
seguente epigrafe, dettata,
nel 1942 ad El Alamein, dal
ten. colonnello Alberto
Bechi Luserna, già comandate
del IV° battaglione Folgore
e M.O.V.M alla memoria,
della guerra di Liberazione
1943-45, così é scritto su
quella lapide:
“Tra le sabbie
non più deserte, sono qui di
presidio per l’eternità i
ragazzi della “FOLGORE”:
fior fiore di un popolo e di
un esercito in armi.
Caduti per una idea, senza
rimpianti, onorati dal
ricordo dello stesso nemico,
essi additano agli italiani,
nella buona e nella avversa
fortuna, il cammino
dell’onore e della gloria.
“Viandante”, arrestati e
riverisci: Dio degli
eserciti, accogli gli
spiriti di questi “ragazzi”
in quell’angolo di cielo che
riserbi ai Martiri e agli
Eroi.”
(
Nelle FOTO N°6-7-8-9 sono
raffigurati, Lapide Caduti
soldati Libici, Sacrario e
Moschea, Lapidi
commemorative )
Nota storica: a fine
dicembre 1942, il
maresciallo d’Italia Ettore
Bastico, che nel mese di
agosto del 1942 aveva
assunto il comando di tutte
le Forze italo-tedesche
operanti in Libia, ordinò lo
scioglimento formale per
dissoluzione organica delle
divisioni: Bologna, Trento\,
Pavia, Brescia, Ariete,
Littorio e Folgore, in
quanto erano andate
completamente distrutte
nella battaglia di El
Alamein; i superstiti delle
Unità disciolte vennero
incorporati nel ricostituito
XX° corpo d’armata del
generale Enea Navarrini, poi
passato al comando del
generale Barbieri, formato
dalle divisioni: Centauro,
al comando del generale
Conte Calvi di Bergolo (che
aveva assorbito i resti
dell’Ariete e Littorio) e
dalla 136^ divisione GG.FF.
e Trieste, mentre nel XXI°
C.A. erano passate le
divisioni: La Spezia, Pistoia ultime arrivate dall’Italia e una
aliquota dei reparti
sahariani.
Queste gloriose divisioni
che si sacrificarono in
battaglie impossibili,
resteranno per sempre, come
esempio di onore, sacrificio
e obbedienza, nella nostra
Storia militare a
testimonianza del valore del
soldato italiano.
NOTE DEL 4° CAPITOLO
N°1 – Michael Carter
– La battaglia di El Alamein
– Ed.Baldini-Castoldi
N°2 - Paul Carel –
Le volpi del deserto –
Editori
Baldini-Castoldi-1963