C a p i t o l o
PRIMO
Dopo la fine
del 2° Conflitto Mondiale, mi
sono spesso domandato quali
erano state le vere cause che ci
portarono alla guerra. Mi
domando ancora oggi, se l’Italia
poteva restarne fuori! Se
eravamo nelle condizioni
favorevoli per parteciparvi!
Perché scegliemmo l’alleato
tedesco invece di affiancare
Francia e
Inghilterra, come nella Prima
Guerra Mondiale!
Poter
conoscere infine, se vi furono
responsabilità o errori nella
politica internazionale del
fascismo! E’ risaputo che Benito
Mussolini oltre che capace
politico era anche un abile
“prestigiatore della parola“,
questo dono lo portava
spesso a
risolvere a suo vantaggio
controversie e ad appianare
pericolose
situazioni in Convegni
internazionali ai quali
partecipava: proverbiale la sua
simpatia per la politica inglese
che in seguito si tramutò in
aperta inimicizia; in questo
capitolo cercherò di rendere
chiare tali contraddizioni.
Tutte queste
perplessità mi hanno stimolato a
cercare la verità per giungere
alla conclusione del perché
Mussolini, allora capo del
Governo italiano, il 10 giugno
del 1940, dichiarò guerra a
Francia e Inghilterra e in
seguito a Grecia, Jugoslavia,
Russia, Stati Extraeuropei e per
ultimo agli Stati Uniti.
Come ho già
esposto nella “Premessa“, per
appagare la mia curiosità e
apprendere la verità, ho letto
quanto hanno scritto illustri
storici su argomenti militari e
di politica internazionale.
In quelle
letture ho valutato il pro e il
contro della nostra politica,
trovando spesso discordanze tra
gli uni e gli altri; da quelle
contraddizioni ponderandole con
attenzione, ho tratto le mie
considerazioni, riuscendo in
gran parte a dare una risposta
alle domande che mi ero posto e
che ora esporrò al
lettore, il quale alla
fine della lettura di questo
capitolo potrà giudicare il mio
pensiero.
L’osservazione del quadro
politico italiano, inizia quando
l’Italia era al massimo della
sua potenza e certamente in quel
periodo, perno non trascurabile
nella politica europea.
Dopo la
conquista dell’Abissinia
(1935-1936) in Italia venne a
crearsi una ripresa economica
che fu l’inizio di un certo
benessere. Le inique sanzioni
del 1935, volute dalla Società
delle Nazioni, dietro pressione
inglese, erano ormai un lontano
ricordo; il mondo ci guardava
con rispetto e simpatia,
l’Italia poteva marciare
tranquilla e sicura, il fascismo
si era ben consolidato; il Duce
a giusta ragione si
pavoneggiava: aveva consegnato
nelle mani del Re Vittorio
Emanuele III un Impero, l’Italia
ritornava ai lustri di Roma
Imperiale.In Libia l’opera
bonificatrice e di
colonizzazione voluta dal
Governatore Generale Italo Balbo
incominciava a dare i primi
benefici; ma ecco allo orizzonte
addensarsi nuove nubi minacciose
che non facevano sperare nulla
di buono. In Europa rinascevano
contrasti internazionali che
negli anni antecedenti al 1935
si pensava fossero stati risolti
con le numerose conferenze
tenute; causa principale di
questi contrasti fu sempre
la Germania
nazista di Hitler.
Naturalmente
per avere una visione
chiara delle cause che ci
portarono in quella disastrosa
guerra, é necessario riportarci
alla nostra politica
internazionale
del 1922, anno
dell’avvento del fascismo al
Governo e risalire sino al 1939,
non trascurando qualche accenno
alla politica italiana
antecedente al periodo
fascista.
Nel 1922
Benito Mussolini, appena posto a
Capo del Governo, si trovò ad
ereditare questioni di politica
internazionale lasciate insolute
dai precedenti governi: quelli
di Giovanni Giolitti, di
Vittorio Orlando, di Ivanoe
Bonomi e Luigi Facta, di questi
due ultimi governi i loro
presidenti si dimostrarono
deboli e impreparati sia nella
politica internazionale che in
quella interna. Iniziamo a
conoscere le vicende politiche
italiane dal 1922.
In Italia, in
quello anno, avvenne un
cambiamento radicale nel
governo; il 30
ottobre,
Benito Mussolini che era stato
eletto deputato
nel maggio del 1921, fu
dal Re
d’Italia chiamato a formare un
nuovo governo a seguito delle
dimissioni del Premier Luigi
Facta; Mussolini accettò e si
presentò in Parlamento per la
fiducia: ottenne 306 voti
favorevoli, compresi quelli di
Giolitti, Bonomi, Orlando,
Salandra, De Gasperi, Meda e
Gronchi che nel dopoguerra
diventerà Presidente
democristiano della Repubblica
italiana, di contro ne ebbe 116
sfavorevoli. In quella votazione
così piena di consensi al Capo
del fascismo, gli avversari
politici sostennero la
invalidità del voto, accusando
che i deputati in aula, al
momento della votazione, erano
stati intimoriti dalla presenza
nella capitale delle squadre
fasciste che avevano partecipato
alla marcia su Roma. Quelle
affermazioni non corrispondevano
alla
verità che era ben altra:
Vittorio Emanuele III aveva
constatato la inefficienza dei
governi Bonomi e Facta,
colpevoli di non aver saputo
frenare la disoccupazione che
saliva a ritmi sconvolgenti,
mentre l’inflazione marciava a
passi da gigante, con grosse
industrie che fallivano come
l’Ansaldo e l’Ilva, inoltre
l’anarchia
incominciava ad essere
presente; davanti a tali gravi
situazioni e constatando che la
classe media, i banchieri e gli
industriali, vedevano nel
fascismo la salvezza
dell’Italia, il Re non ebbe
dubbi nel porre a Capo del
governo Benito Mussolini. Da
tale situazione si era reso
conto la stragrande maggioranza
dei deputati ed ecco la ragione
del loro voto favorevole al Capo
del fascismo.
La sera
stessa del 30 Ottobre, il nuovo
capo del Governo sottopose al Re
la lista dei componenti del suo
Governo; Mussolini che avrebbe
potuto formarlo unicamente con
elementi fascisti, fu così
accorto da nominarne appena tre
(Oviglio, Di Stefani e
Giuriati), il resto comprendeva,
l’indipendente Giolitti (alla
Pubblica Istruzione), il
nazionalista Federzoni (al
Ministero delle Colonie), il
Generale Diaz al Ministero della
Guerra, il Ministero
dell’Agricoltura fu assegnato ad
un altro liberale il De Capitani
e ancora ai Lavori Pubblici e
quelli dell’Industria e
Commercio, andarono i
democratici Carnazza e Rossi;
Mussolini tenne (ad interim)
i Ministeri degli Esteri e
dell’Interno.
Tale evento
fu anche bene accettato dalle
grandi Potenze: in Inghilterra
uno dei maggiori organi di
stampa, il “Times “, in un
articolo del 30 novembre 1922
così commentava le ragioni che
avevano portato al Governo il
fascismo “...la Rivoluzione
nazionalista fascista è
legittima, in quanto è riuscita
senza turbamenti ha portare
ordine nei servizi pubblici e
nelle proprietà private.
legittimo quindi il suo potere....”
A questi commenti favorevoli si
unirono quelli dei più
importanti ambienti
bancari e dei Circoli
aristocratici della Gran
Bretagna.(1)
Mussolini sin
dai primi mesi di governo,
dovette affrontare i molti
problemi internazionali: alcuni
ci riguardavano direttamente (
Dodecaneso, l’Oltre Giuba, Fiume
e Dalmazia), problemi impostati
e mai risolti dai precedenti
governi. Egli si trovò sempre
preparato su ogni argomento, in
quanto pretendeva dai suoi
ambasciatori di essere informato
dettagliatamente sulla
situazione politica della
nazione ove erano accreditati,
soprattutto su quanto avveniva a
Berlino. Come capo di Governo e
anche in forma privata
intrattenne ottimi rapporti con
i maggiori esponenti politici di
Francia e Inghilterra, rapporti
che andarono avanti ottimamente
sino al 1935 anche se in alcuni
incontri internazionali vi
furono contrasti di vedute a
volte anche spinosi ma che
venivano quasi sempre appianati
con soddisfazione da ambo le
parti: merito come risaputo
della dialettica politica di
Mussolini.
Alcuni
storici sostengono
superficialmente che la politica
estera di Mussolini, dal 1922 al
1935, fu ispirata e voluta da
una sua amante, Margherita
Sarfatti, donna intellettuale di
origine ebraica, anglofila e
antitedesca; dicono anche che
era lei a scrivergli i discorsi
ufficiali. Queste avventate
affermazioni sono poco credibili
e a mio avviso da scartare,
poiché si trattò sempre di
calunnie messe in giro per
ridicolizzare la figura di un
uomo che godeva in quei momenti,
in tutta l’Europa, di un forte
prestigio. Chiunque abbia letto
o approfondito la conoscenza
della vita politica di
Mussolini, può rendersi conto
che con
quella intelligenza, con quel
temperamento forte e burrascoso,
non poteva lasciarsi influenzare
da una amante, sia pure di
grande intelletto e carattere
come la Margherita Sarfatti,
che nella migliore delle ipotesi
le avrà
dato consigli
e suggerimenti utili.
Mi dispiace
che tra questi storici debba
citare l’inglese Richard Lamb
che, come già detto, reputo lo
scrittore straniero più
obiettivo; anche egli pone il
problema Sarfatti, poi
spogliandosi da pregiudizi e
antipatie ci descrive un
Mussolini ammirato, odiato, di
grande popolarità, se pur
grottesco nella mimica dei suoi
discorsi, fu abile trascinatore
di folle, imprevedibile nelle
decisioni, statista che in molte
circostanze si dimostrò politico
cauto e ragionevole, sempre
attento alla situazione
internazionale e agli interessi
del suo paese...; un Mussolini
forse sconosciuto
anche agli italiani.
Diverso è il
giudizio di un altro inglese,
Denis Mack Smith, il quale pure
ammettendo che il Duce possedeva
grande intelligenza e capacità
di governo da considerarlo il
migliore politico della sua
generazione, cade poi in
contraddizione con se stesso e
ci presenta un Mussolini
arrogante, insensibile, rozzo,
che soleva nei suoi discorsi
dire tante sciocchezze più degli
altri politici del suo tempo, un
Mussolini che si circondava di
collaboratori adulatori, capaci
di presentarlo come capo di
enorme intelligenza o di
profonda umanità, di magnetismo
e carisma con un potere immenso.
Fortunatamente conosciamo il
livore anti-italiano e la scarsa
attendibilità del Mack Smith il
quale se
avesse l’obiettività e onestà di
storico, potrebbe parlarci a
lungo degli errori di Churchill
che invece con grande indulgenza
trascura.
A questi
collaboratori, secondo lo stesso
Smith, il Duce elargiva
onorificenze e lauti compensi:
penso che tale giudizio così
infondato e denigratorio esca
solamente da una mente d’oltre
Manica anti-fascista e
anti-italiana. Desidero invece
far conoscere, a solo titolo di
cronaca, alcuni
giudizi su
Mussolini, espressi da
autorevoli personalità inglesi;
ecco cosa scriveva Austen
Chamberlain, allora segretario
degli Affari Esteri del governo
inglese (siamo nel 1926):“...le
sorti dell’Italia sono dirette
da un Uomo straordinario, che è
diventato il fondatore di un
nuovo sistema politico e
creatore di una nuova Italia....“.
Lo stesso Winston Churchill nel
1933 così valutava il Capo del
Fascismo “...è il genio di
Roma, il più grande legislatore
italiano...” (2)
Apprezzamenti
così lusinghieri non venivano
solamente da parte inglese ma
anche da Pierre Laval, quando fu
Ministro degli Esteri francese e
in seguito anche
Primo Ministro, il quale
espresse sempre la sua
ammirazione e amicizia verso
Mussolini.
Nel corso
della sua carriera politica,
Mussolini commise certamente
degli errori
ma per la sua popolarità,
la stragrande maggioranza degli
italiani lo perdonò sempre.
Quando venne eletto capo del
Governo, Mussolini aveva appena
40 anni.
1922
CONFERENZA DI LOSANNA - 20
Novembre 1922
In
Svizzera si aprì, nel
novembre di quello anno, una
Conferenza alla quale
parteciparono
le seguenti Nazioni:
Italia - Francia - Inghilterra -
Russia - Grecia e Turchia.
Argomento principale fu la
controversia tra Grecia e
Turchia circa i territori della
Anatolia, che dopo la sconfitta
della Turchia nella 1^ Guerra
Mondiale erano passati sotto la
giurisdizione della Grecia. A
seguito di una nuova guerra tra
Grecia e Turchia che va dal 1920
al 1922, i turchi
riconquistarono quei territori
annettendosi anche alcune isole
greche dell’Egeo: da qui la
controversia. La Conferenza di Losanna doveva risolvere quella
spinosa questione; lunghe furono
le discussioni che si
appianarono in poche reciproche
concessioni. Solo nel
1923, con la seconda
Conferenza, sempre a
Losanna, vi fu il riconoscimento
dei territori della Anatolia a
favore della Turchia. La
delegazione italiana, sia nella
1^ come nella 2^ Conferenza, era
capeggiata da Benito Mussolini
nella doppia veste di capo di
Governo e Ministro degli Esteri,
la missione francese era con il
Ministro degli Esteri Raymond
Poincaré, quella inglese con
Lord Curzon, anch’egli Ministro
degli Esteri.
In quella
occasione la Grecia, con l’appoggio
inglese, fece approvare e
mettere all’Ordine del giorno,
la richiesta di restituzione da
parte dell’Italia, delle isole
del Dodecaneso da noi tolte alla
Turchia nel 1912: in quel
momento le
isole erano da anni sotto
amministrazione militare
italiana. La richiesta greca era
motivata dal fatto che nel 1912,
tra i Governi italiano e greco
era stato firmato un accordo con
il quale l’Italia s’impegnava,
entro il 1920, a restituire alla
Grecia le suddette isole.
Naturalmente
tale richiesta non trovò il
consenso da parte di Mussolini
che
fece presente come nella
Conferenza di Londra del 1915 e
quella di S.Giovanni di Mariano
1917 tra Inghilterra, Francia e
Russia, era stato stabilito che
le isole
del
Dodecaneso dovevano restare
all’Italia; analoga decisione
venne riconfermata nel Trattato
di Sévres del 1920, ratificata
con l’articolo 122, che
stabiliva definitivamente il
possesso di quelle isole
all’Italia. Quel voltafaccia
anti-italiano dell’Inghilterra,
rischiò di guastare i buoni
rapporti che in quel momento
intercorrevano tra i due
governi. Nell’occasione
Mussolini, vale la pena
riconoscerne l’abilità
diplomatica, approfittando di
quella circostanza, chiese che
venisse anche iscritta
all’Ordine del giorno, la
questione dell’Oltre Giuba che
ci riguardava e quella dei
mandati anglo-francesi nel Medio
Oriente, mettendo così in
imbarazzo la delegazione inglese
che fu costretta a rimandare
“sine die“ la richiesta
della Grecia. ( vedere FOTO
N°1 )
Onde dare al
lettore una migliore visione
delle vicende che portarono
l’Italia nel Dodecaneso e
illustrare chiaramente la
questione dell’Oltre Giuba, é
necessario delineare alcuni
principali aspetti della nostra
storia africana.
Nel corso
della guerra italo - turca del
1911 per la conquista della
Libia, il governo italiano
e per esso lo Stato
Maggiore Esercito, visto che la
guerra sul territorio libico si
era trasformata anche in
guerriglia con gravi perdite
umane ed un elevato costo in
denaro, onde porre fine a quel
conflitto, decise di portare la
guerra sul territorio turco
nella zona dei Dardanelli, così
da costringere anche la flotta
turca ad accettare una battaglia
risolutiva; ma i turchi
sapendosi inferiori come forza
navale, non uscirono in mare
aperto per affrontare la flotta
italiana, rimasero ben protetti
nelle loro basi dentro lo
Stretto dei Dardanelli, punto
nevralgico dell’Impero Ottomano.
Il capo di
Stato Maggiore della nostra
Marina ordinò allora alla flotta
di bloccare lo stretto, così da
impedire l’uscita delle navi
turche che avrebbero dovuto
portare rifornimenti alle loro
truppe in Libia, naturalmente
quel blocco danneggiava anche le
navi di altri Paesi che avevano
rapporti commerciali con la Turchia; vi furono delle
proteste diplomatiche, ma
ciò non impedì che il
blocco continuasse.
Per
rinforzare lo stato di assedio
venne dato ordine all’ammiraglio
Ernesto Presbitero, comandante
la flotta in quel settore, di
iniziare l’occupazione di tutte
le isole, sotto il dominio turco,
poste in posizione strategica
rispetto alle coste turche.
Il 28 aprile
del 1912 fu occupata dai marinai
italiani per prima l’isola di
Stampalia (Astympalea),
seguì l’isola di Rodi il 4
maggio, occupata dal 34° e 57°
reggimento di fanteria agli
ordini del generale Giovanni
Ameglio; a fine giugno fu la
volta delle isole di Scarpanto (Karpathos),
Coo (Kos), Calino (Kalimnos),
Nissiros, Calchi (Halki),
Patmo (Patmos), Lero(Leros),
Tilos o Piscopi, Simi, Caso (Kassos):
in tutto 12 isole, con una
superficie totale di 2.682 Kmq.
e una popolazione di circa
122.000 abitanti in maggioranza
greca, con minoranze di
armeni, turchi ed ebrei.
Nota storica:
a quelle 12 isole a seguito del
Trattato di Sèrves nel 1920,
venne ceduta all’Italia, il 3
marzo 1921, l’isola di
Castelrosso ( 2.265 abitanti ),
isola a Sud-Est di Rodi, sulle
coste dell’Asia Minore. (
MAPPA N°1 )
Nel 1912 la Turchia, vista
l’impossibilità di continuare la
guerra, chiese la pace, che
venne firmata il 18 ottobre
1912 a
Oucky nei pressi di Losanna
(Svizzera); tra le
clausole di pace
la Turchia
oltre a riconoscerci la
sovranità sulla Libia, cedeva le
isole del Dodecaneso già da noi
in precedenza occupate.
Nota storica
e incredibilmente vera; agli
atti dell’accordo di pace:
l’Italia s’impegnava a versare
annualmente alla Turchia,
l’enorme cifra di venti milioni
di lire, quale risarcimento
delle entrate fiscali che la Turchia
traeva dalla Libia.
Certamente questo accordo così
insolito sarà e resterà unico al
mondo: mai era avvenuto e
senz’altro mai avverrà, che uno
stato vincitore in guerra debba
risarcire quello perdente. Pare
che quel pagamento sia stato
però versato per un solo anno
(3)
Appena
qualche giorno dopo la firma
dell’accordo di pace, il
rappresentante del Governo
italiano firmava altro accordo
con
la Grecia, nel
quale l’Italia
s’impegnava ( come sopra
detto )a restituire entro il
1920, solo 10 isole da noi
occupate, ad eccezione di Rodi e
Stampalia. In effetti quelle
isole, per la loro
posizione
geografica, erano da
considerarsi greche ma é anche
vero che non fecero mai parte
della Grecia poichè esse da
secoli, erano parte integrale
dell’Impero Ottomano, anche se
abitate da minoranze etniche
elleniche.
La parola
Dodecaneso deriva dal greco “
dodeka “( dodici )e“ nesos “ (
isole ).
Ed ora
passiamo alla questione
dell’Oltre Giuba. Come sempre
succede tra i paesi in guerra,
da una parte o dall’altra, prima
di conoscerne l’esito, si fanno
accordi circa la spartizione
delle terre che nella
eventualità di vittoria andranno
a conquistare; questo avvenne
tra gli Alleati durante la Prima Guerra Mondiale. Infatti con gli accordi di
Londra del 1915 e di S.Giovanni
di Mariano (Contea della Savoia
)nel 1917, già a guerra
inoltrata, nella spartizione del
bottino, all’Italia (
rappresentata dal ministro degli
Esteri Sidney Sonnino ) con
l’articolo 13 di detti accordi
gli si riconosceva il possesso
del Dodecaneso, della Dalmazia,
della città di Fiume e dietro la
formula di “compensi
territoriali africani“ un tratto
di territorio dell’Oltre Giuba
ai confini della Somalia
italiana; questa ultima
concessione fu accettata dagli
alleati dietro esplicita
richiesta del nostro
Rappresentante che chiese la
modifica del vecchio confine.
Inoltre all’Italia veniva
concessa, come influenza
politico-economica, una buona
fetta di territorio turco nelle
Province di Adalia, Aydin, Konia
e Smirne; invece a conclusione
della vittoriosa guerra quelle
promesse vennero dimenticate, ci
furono riconosciute solo le
isole del Dodecaneso.
Nota storica:
alla Conferenza della Pace a
Parigi nel 1919, il Primo
Ministro Vittorio Orlando che
rappresentava l’Italia, a causa
di quelle mancate concessioni,
abbandonò furioso il tavolo
della Pace.
Inghilterra e
Francia fecero la parte del
leone: la prima ebbe il
controllo della Mesopotania,
Iraq, Transgiordania e Palestina
con i porti di Haifa e Acri e
tutte le colonie tedesche
dell’Africa Orientale, inoltre
si schierò apertamente con gli
slavi sulla questione di Fiume;
alla Francia con identica
politica filo-slava venne
assegnato il Libano,
la Siria
e parte delle colonie tedesche
nell’Africa Sud-Ovest.
Veniamo a
conoscere la questione
dell’Oltre Giuba: nel 1887
iniziammo la nostra penetrazione
pacifica in Somalia, acquistando
dal Sultano di Zanzibar un ampio
tratto di costa che da Chisimau
arrivava a Mogadiscio e ancora
nel 1889 a seguito di un
Protettorato con i Sultani Jusuf
di Olbia e Osman Mahmud della
Migiurtinia, ampliammo la nostra
influenza su tutto il territorio
somalo sino a Capo Guardafui
nella estrema punta della
Somalia, di conseguenza fu
necessario definire i confini
con l’Abissinia e il Kenia
inglese.
Nota storica:
il Protettorato dei territori di
Olbia e della Migiurtina dopo
poco tempo si trasformò in
possesso definitivo dell’Italia,
in quanto i sopraccitati Sultani
cedettero i loro territori,
dietro compenso di una
considerevole somma in pregiato
denaro.
Con il
Governo abissino ogni tentativo
di definizione fallì, mentre per
il Kenia a seguito degli Accordi
del 4 marzo e 25 aprile 1891,
tra il Governo inglese e quello
italiano (Ministro Rudini) venne
delineato il confine limitandolo
solo alla sponda sinistra del
fiume Giuba; fiume che nasce in
territorio abissino nei
territori dei Galla Sidamo e
nell’Harrar, da due sorgenti e
scendendo verso Sud entra in
territorio della nostra Somalia
all’altezza del paese di Dolo e
lo percorre per 600 Km. sboccando nell’Oceano
Indiano
a Giumbo nei pressi di
Chisimau.
Ora dato che
nelle Conferenze di Londra e
S.Giovanni di Mariano era stato
promesso all’Italia un tratto di
territorio oltre il fiume Giuba,
ecco giusta la presa di
posizione di Mussolini nella
Conferenza di Losanna.
Onde
completare la conoscenza del
fiume Giuba, aggiungo questa
nota storica: le sorgenti del
Giuba furono scoperte dal noto
esploratore italiano, il
capitano di artiglieria Vittorio
Bottego. Venne barbaramente
assassinato, da orde abissine
nel 1897, durante una delle sue
esplorazioni.
1922
CONFERENZA INTERALLEATA DI
LONDRA
L’8 dicembre,
Mussolini si recò a Londra per
partecipare a quella Conferenza,
nata per definire le riparazioni
di guerra dovute dai tedeschi
agli alleati. Nel corso della
Conferenza si arrivò a un aspro
e duro scontro verbale tra il
delegato francese e quello
inglese; il primo pretendeva che la Germania pagasse sino in
fondo il debito di guerra,
mentre l’inglese era propenso ad
eliminarlo, non tenendo presente
che nella guerra del 1914-1918, la Francia era stata la
nazione maggiormente colpita,
sia in morti che in danni
materiali.
Contro tale
atteggiamento inglese, il
ministro Poincarè minacciò di
occupare la ricca regione della
Ruhr se non avessero accettato
la sua richiesta (occupazione
che in effetti avvenne
nonostante il parere contrario
dell’inglese lord Gurzon e dello
stesso Mussolini). Comunque a
Londra Mussolini si adoperò per
risolvere l’intricata
situazione, proponendo un piano
che consisteva nel ridurre il
debito tedesco a soli 50
miliardi di marchi oro pagabili
in due anni; naturalmente tale
proposta venne bocciata dal
francesi e
la Conferenza
si chiuse senza nulla di fatto,
ma con l’aumentata animosità tra
le nazioni europee.
1923
CONFERENZA DI LOSANNA
Non essendo
riusciti a risolvere tutte le
questioni nella prima
Conferenza, gli alleati decisero
di convocarne una seconda; così
il 15 giugno del 1923 gli stessi
Ministri si ritrovarono a
Losanna; qui Mussolini ottenne
il riconoscimento definitivo del
Dodecaneso e l’Inghilterra
cedette all’Italia
l’amministrazione del
territorio dell’Oltre Giuba, il
cui passaggio dei poteri fu
ratificato solo il 29 giugno
1925.
Con
l’annessione dell’Oltre Giuba,
un territorio di circa
600 Km. di
lunghezza e 150 Km. di profondità, la Somalia venne così ad
avere: 7 Province con 33
Distretti e una popolazione di
circa 1.200.000 abitanti
compresi 8.000 italiani.
1923 – Il 9
gennaio di quello anno, 60 mila
soldati francesi e belgi
iniziarono
l’occupazione del bacino
della Ruhr, suscitando una
reazione durissima da parte
inglese; stranamente, a distanza
di pochi mesi Mussolini,
cambiava politica e appoggiava
l’azione francese, mettendosi in
contrasto con la politica
inglese. Pochi giorni dopo e
precisamente il 12 gennaio,
altro cambio repentino di umore
di Mussolini, che confida a Sir
Ronald Graham, ambasciatore
inglese a Roma, la sua
apprensione per la svolta
negativa che si stava creando in
Germania con l’occupazione
francese della Ruhr e con il
pericolo che si scatenasse una
nuova guerra; in tal senso e
molto preoccupato inviava una
nota di protesta al Governo
francese, consigliandolo di
ritirare le truppe dal bacino in
questione, e arrivare a un
accordo con il Governo tedesco
di Weimar nella persona del
Cancelliere Wilhem Cuno. (4)
Dal 7 al 12
maggio 1923 i Reali
d’Inghilterra, dietro invito del
Governo italiano, visitano
l’Italia: accoglienze di
entusiasmo e cordialità ovunque;
con quella visita il prestigio
di Mussolini in Europa aumentò
enormemente e in Gran Bretagna
Egli consolidò con la classe
politica e con il governo ottimi
rapporti
politici e personali.
30 luglio, il
Governo abissino del Negus Hailé
Selassié, chiede di entrare a
fare parte della Società delle
Nazioni; la sua domanda fu
prontamente appoggiata dalla
Francia, contrari l’Inghilterra
e l’Italia che non aveva mai
digerito la sconfitta di Adua
(1896). Anche quelle divergenze
vennero appianate e Mussolini,
onde evitare maggiori contrasti
con
la Francia,
dette disposizioni al proprio
rappresentante presso la S.d.N., di convalidare e
accettare la richiesta del
Negus.
Il 27 agosto
1923 un grave fatto sconvolse
l’Italia, mettendo in stato di
apprensione la diplomazia
europea per il rischio di una
guerra tra Italia e Grecia. Si
trattava dell’assassinio
perpetrato da elementi greci,
attuato in territorio ellenico,
sulla strada che da Gianina
porta a Santi Quaranta, del
generale
italiano Enrico Tellini, capo
della commissione di controllo
internazionale, che doveva
definire un contenzioso insorto
sul confine greco-
albanese; in
quella imboscata furono uccisi
anche il maggiore medico Luigi
Corti e il tenente Mario
Bonacini.
Il grave
episodio suscitò in Italia
grande sdegno, Mussolini
sollecitato dall’opinione
pubblica, ordinò un
bombardamento navale su Corfù e
la sua occupazione. Il Governo
greco non sentendosi colpevole,
ma pur sempre corresponsabile
morale dell’eccidio, si appellò
alla Società delle Nazioni,
denunciando la violazione e
occupazione del suo territorio,
trovando subito l’appoggio
dell’Inghilterra che chiese
l’applicazioni di gravi sanzioni
contro l’Italia;
la Francia
fu meno drastica e propose che
la questione venisse risolta tra
gli ambasciatori dei due paesi.
La Società
delle Nazioni invece stabilì di
affidare la questione ad una
commissione neutrale di esperti,
la quale dopo lunghe
discussioni, decise che
la Grecia,
poteva avere avuto col suo
esasperato comportamento una
parte di responsabilità e la
condannava, a titolo
d’indennizzo,
a pagare all’Italia 50 milioni
in oro; le navi e le truppe
italiane avrebbero dovuto però
evacuare immediatamente Corfù;
tale decisione valse a Mussolini
un aumento di popolarità sia in
Italia che all’estero.
E’ bene
conoscere come la stampa inglese
in quel periodo, commentava
l’ascesa del fascismo nella
ricorrenza del primo anno di
governo, ottobre 1922 - ottobre
1923, il più autorevole giornale
inglese, il Times il 31 novembre
1923,
scriveva “...l’Italia
non è stata mai così unita: il
fascismo ha abolito il
cosiddetto gioco a scacchi
parlamentare, ha semplificato il
sistema tributario, ha ridotto
il disavanzo pubblico, ha
enormemente migliorato i
pubblici servizi, soprattutto
Ferrovie e Sanità, ha
ridimensionato una burocrazia
inutile e impotente senza
effetti negativi, ha perseguito
una politica coloniale vigorosa
e abbastanza valida. Tutto ciò
ha richiesto un’opera indefessa
e positiva, ma i doni principali
che tale Governo ha conferito
all’Italia, sono la sicurezza e
l’orgoglio nazionale. Il
fascismo ha dimostrato di avere
grande coraggio, notevole
saggezza e tantissima fortuna,
si è meritato da tutto il mondo
gli auguri sinceri di buon
compleanno...”.
Questa é
Storia d’Italia e la storia é di
tutti: se
vi
furono riconoscimenti
internazionali sull’opera del
fascismo, é giusto che essi
siano valutati per i meriti che
produssero e come tali,
conosciuti dal lettore.
1924 - Il 23
marzo cade in Inghilterra il
governo conservatore di Baldwin
e
subentrava al potere il
primo governo laburista, guidato
da Ramsay Mac Donald, molto
vicino e favorevole alla
questione italiana dell’Oltre
Giuba. Infatti il nuovo Ministro
degli Esteri Austen Chamberlain,
che vedeva di buon occhio la
politica estera italiana,
ratificò nel giugno 1924 con un
Trattato ad hoc la cessione
dell’Oltre Giuba all’Italia.
MAPPA N°2
1925 -
CONFERENZA DI LOCARNO.
Si svolse dal
14 al 16 ottobre: parteciparono
Italia, Francia, Inghilterra,
Germania, Belgio, Polonia,
Cecoslovacchia. In quella sede
fu firmato tra i partecipanti un
Patto di reciproca assistenza
militare; Francia e Belgio
ritiravano le loro truppe dal
bacino della Ruhr;
la Germania
rinunciava
ad ogni rivendicazione
sulla regione Alsazia-Lorena;
vennero stabilite delle garanzie
sulle frontiere franco-tedesca e
belga-tedesca. L’Italia in
quella occasione, cercò di
definire la linea di confine del
Brennero ancora non risolta, ma
la richiesta venne respinta in
quanto non era stata posta
all’Ordine del giorno.
Nonostante il suo disappunto
Mussolini si adoperò affinché
quella che Egli riteneva una
vera Conferenza di pace,
raggiungesse i fini preposti.
Negli
ambienti internazionali di
allora si parlò di un
conferimento del Premio Nobel
della pace a Benito Mussolini,
invece esso venne assegnato al
Ministro degli Esteri tedesco
Gustav Streseman e al suo
collega francese Aristide
Briand, promotori della
Conferenza.
Sempre nel
1925 quando la commissione
alleata, composta da americani,
inglesi , italiani e francesi,
stabilì di ritirare dal
territorio tedesco la
commissione di controllo per il
rispetto del Trattato di
Versailles e affidarla alla
Società delle Nazioni, Mussolini
e per esso il delegato italiano
preposto a quella commissione,
si oppose fermamente, in quanto
certo, che senza alcun controllo
diretto sul posto
la Germania
ne avrebbe approfittato: quella
previsione di Mussolini si
avverò.
1926 -1932 -
In quei
sei
anni
gli avvenimenti politici
internazionali
furono di scarso rilievo
in Europa, salvo per l’Italia
con la firma del Trattato di
Tirana, nel novembre del 1926,
che stabiliva il protettorato
italiano
sull’Albania, trattato
poco gradito dall’Inghilterra.
Nel febbraio
1929 avvenne la firma dei Patti
Lateranensi tra Italia e il
Vaticano, voluti espressamente
da Mussolini; con tali Patti il
Vaticano veniva riconosciuto
come Stato sovrano.
Purtroppo sin
dai primi mesi del 1932, la
situazione politica in Europa
cominciò a peggiorare;
la Germania,
ormai quasi tutta in mano al
nazismo,
avanzava a livello
internazionale una serie di
pretese. In quello anno
iniziarono
due Conferenze in
Svizzera: una a Losanna e
l’altra a Ginevra, ambedue
riguardavano però solo il
problema tedesco.
1932
CONFERENZA DI LOSANNA.
Questa quinta
Conferenza e terza a Losanna,
ebbe inizio il 16 giugno 1932
andando avanti stancamente
per le lunghe sino al 9
luglio. Vi parteciparono
l’Italia,
la Francia,
l’Inghilterra e la Germania. capi
delegazioni di quelle Nazioni
erano: per l’Italia
l’industriale Alberto Pirelli,
per
la Francia
il Primo Ministro Edouard
Herriot, per l’Inghilterra il
Ministro Neville Chamberlain
“fratello del famoso Austen“,
per la Germania Franz von
Papen che era succeduto nella
carica di Primo Ministro al
grande statista Bruning.
L’argomento
principale era il saldo delle
riparazioni di guerra che la Germania doveva ancora pagare; tema che era stato
già discusso nelle due
Conferenze di Losanna nel
1922-1923 e ancora in quella di
Londra nel 1922. Questa volta
l’interesse e il pensiero dei
partecipanti era quello di
annullare definitivamente tale
risarcimento come chiedeva la Germania; l’Italia e
l’Inghilterra erano propensi ad
annullare il debito,
l’opposizione veniva sempre
dalla Francia che come
già descritto, aveva
maggiormente sofferto nella
guerra 1914 -1918. Burrascose
furono le discussioni, ma alla
fine si arrivò ad un accordo: la Germania avrebbe pagato
solo 2 miliardi di marchi oro
contro i 50 richiesti nelle
passate Conferenze. Un vero
affare!
Mussolini
caldeggiò ragionevolmente e
apertamente la richiesta tedesca
di azzeramento dei danni di
guerra; con quello atto, che era
condiviso anche da parte inglese,
Egli volle dimostrare che
infierire contro una Germania,
in lenta e difficoltosa ripresa
e per giunta con il nazismo
ormai in casa, significava
alimentare ancor più il
malcontento del popolo tedesco,
venendo così a creare un forte e
pericoloso risveglio
nazionalistico con conseguenti
rivendicazioni; situazione
futuribile che si verificò
esattamemte qualche anno dopo;
infatti, in quel periodo, la Germania attraversava un
dissesto economico non
indifferente e l’allora
Cancelliere Bruning (non ancora
dimissionario), sperava molto
che gli alleati rinunciassero
alla richiesta completa di
riparazioni; quello atto di
generosità
avrebbe aiutato la Germania a riprendersi
dalla crisi. Purtroppo quanto
sperato non avvenne e la
conseguenza fu quella di fornire
ai nazisti un arma
propagandistica che subito
sfruttarono
1932
CONFERENZA DI GINEVRA
Contemporaneamente alla
Conferenza di Losanna se ne
svolgeva un altra a Ginevra;
anche qui erano presenti le
stesse nazioni di Losanna.
L’Italia era rappresentata da
Pompeo Aloisi, il quale aveva
avuto da Mussolini precise
istruzioni di appoggiare ogni
decisione inglese; la
delegazione tedesca era guidata
da Nadolny, uomo di fiducia di
von Papen; essa era giunta a
Ginevra con il preciso compito
di trattare l’uguaglianza di
“Status“ tra vincitori e vinti.
Inghilterra e Italia
appoggiarono subito tale
richiesta, così come avevano
sostenuto a Losanna
l’azzeramento del debito di
guerra; naturalmente la Francia, era contraria come
sempre, ad ogni concessione alla
Germania. Anche qui le
discussioni
furono lunghe e dure; la Conferenza fu più volte
sospesa e ripresa e i tedeschi,
forti dell’appoggio inglese e
italiano, quando abbandonavano
per
consultazioni la Conferenza, nel
rientrare in discussione
aumentavano ancora più le loro
pretese.
La Conferenza si chiuse con
un solo vantaggio morale a
favore dei tedeschi; quello di
uguaglianza tra vincitori e
vinti; lo “Status“ chiamato di
“Mac Donald“ perché proposto dal
Capo del governo inglese,
permetteva ai tedeschi di poter
avere un esercito di 500.000
uomini pari a quello delle
nazioni vincitrici, quindi
annullava di fatto parte delle
dure clausole, imposte ai
tedeschi dal Trattato di
Versailles firmato il 28 giugno
1919. In
quel Trattato
vi erano
altre condizioni che la Germania perdente doveva
rispettare ma che non rispettò
mai. Il Trattato di Versailles,
negli gli articoli 42-43-44,
imponeva alla Germania, oltre al
disarmo delle sue frontiere che,
dovevano essere “smilitarizzate”
per una profondità interna di 50 Km. e per tutta la
lunghezza dei suoi confini, di
avere un esercito non superiore
ai 100.000 soldati, composto
esclusivamente da personale di
carriera; per il naviglio,
articolo 191, era tollerato solo
il piccolo tonnellaggio; niente
aerei da guerra, articolo 198,
permessi soltanto alcuni
velivoli da ricognizione per la
sorveglianza del territorio,
pochi aerei civili commerciali e
scuole di pilotaggio sempre per
uso civile; bandite tutte le
industrie di guerra. Con gli
articoli 100-106 veniva
sottratta alla Germania la città
di Danzica e parte di territorio
della Prussia
Orientale;
gli articoli 119-120 la
privavano di tutti i suoi
possedimenti coloniali
Veniamo
ora a conoscere come i
tedeschi, nonostante la
presenza in Germania di una
commissione alleata che
doveva verificare il
rispetto delle clausole
imposte, riuscirono sin dal
1922, con abili sotterfugi
ad armarsi. Artefici di quei
stratagemmi furono i
generali von Sèeckt e von
Rathenau, divenuto questo
ultimo nel 1924, capo del
Ministero della
Ricostruzione Civile che in
effetti mascherava il
Ministero della
Ricostruzione Militare. In
che cosa consistevano questi
stratagemmi? Per l’aviazione,
appena qualche anno dopo
dalla fine della guerra,
erano sorte in tutta
la Germania
numerose scuole civili di
pilotaggio per aerei
a motore e a vela,
consentite in quanto
ritenute inoffensive dal
Trattato di Versailles,
scuole queste che in realtà
erano sedi di addestramento
per piloti militari;
naturalmente nacquero
centinaia di industrie per
la costruzione di piccoli
aerei civili e aerei
commerciali, tanto é vero
che dal 1924 al 1927 i
tedeschi avevano la più
grande flotta aerea
commerciale di tutta
l’Europa. Nel 1934 scadevano
le clausole restrittive per la Germania, ma già, come sopra detto, queste non
vennero mai rispettate e nel
1933, con l’avvento di
Hitler al potere, quelle
clausole divennero carta
straccia, in quanto il nuovo
capo della Germania non
volle più riconoscerle e le
industrie civili
aeronautiche divennero di
colpo industrie aeronautiche
militari: gli aerei da
civili si trasformarono con
alcune modifiche in aerei
militari e si procedette
alla costruzione di aerei
più potenti e sofisticati.
Lo stesso stratagemma valse
per la Marina: vennero costruite
grandi navi da crociera e di
conseguenza nacquero le
industrie navali mascherate
da stabilimenti civili. Si
procedeva con questo
ingegnoso sistema: venivano
messe in cantiere un certo
numero di grosse navi da
crociera, naturalmente
impostate in modo da essere
trasformate al
momento opportuno in
navi da
guerra;
una parte di esse venivano
lasciate incomplete nei
bacini di carenaggio; anche
queste, al diniego di Hitler
di riconoscere il Trattato
di Versailles, divennero
formidabili incrociatori e
corazzate e logicamente le
industrie navali da civili
furono trasformate in
militari.
Per
l’esercito i 100.000 soldati
non erano altro che
altrettanti ufficiali che in
seguito verranno
opportunamente trasformati
in istruttori e comandanti
di reparti ad ogni livello
nella gerarchia militare. Vi
era però un inconveniente:
il Trattato non permetteva
che il piccolo esercito
potesse avere uno Stato
Maggiore: anche in questo
caso i tedeschi riuscirono a
ingannare gli alleati con un
altro ingegnoso sistema: gli
ufficiali tedeschi che
avevano combattuto nella
guerra 1914-1918, ritornati
alla vita civile, si erano
costituiti in private
associazioni di Arma; quindi
fu facile farli riunire in
seminari o convegni di ex
combattenti dove senza
destare sospetti, venivano
addestrati allo studio di
nuove discipline di guerra (
5 )
Per
curiosità storica: Alla
firma del Trattato di
Versailles oltre alla
presenza delle potenze
vincitrici, vi erano quelle
“associate”, in effetti
nazioni che avevano
dichiarato guerra alla
Germania ma non ne presero
parte diretta come: Bolivia,
Brasile, Cuba, Haiti, Cina,
Panama e lo Stato
serbo-croato-sloveno
(Jugoslavia ).
Ci si
domanda: esisteva una
commissione di controllo? Si
che esisteva; aveva
inizialmente sede permanente
in Germania ed era composta
da delegati delle potenze
vincitrici; in effetti
svolgeva un controllo molto
blando, infatti
mai
si era accorta di
tutti quei preparativi di
riarmo. Nel
1925 a
seguito degli accordi di
Locarno, essa fu ritirata
dalla Germania e il
controllo venne affidato
alla Società delle Nazioni,
con il compito di fare
saltuariamente delle
ispezioni: naturalmente
queste tempestivamente
venivano a conoscenza dei
tedeschi che correvano
immediatamente ai ripari.
Nota comica, nel 1926
la Germania
venne ammessa a fare parte
della S.d.N. e logicamente
le informazioni
sulle ispezioni
furono più precise.
Dal 1922
al 1932 gli alleati avevano
avuto la possibilità di
fermare il riarmo tedesco ma
non fecero nulla, salvo
la Francia,
che da sempre si era battuta
per il disarmo, qualche
volta appoggiata da
Mussolini. La storia per
questo atteggiamento così
remissivo condanna in primo
luogo l’Inghilterra o meglio
alcuni dei suoi Governi.
Qualche
altra
notizia sulla
Conferenza di Ginevra; essa
si chiuse il 14 ottobre del
1933 dopo oltre un anno, con
un completo fallimento; la
delegazione tedesca si
ritirò definitivamente
dietro ordine di Hitler che
frattanto
era divenuto
Cancelliere, quindi Capo del
Governo: era il 24 marzo del
1933. Mussolini accolse con
freddezza quella nomina
anche perché, avendo
proposto a Ginevra un “Patto
a quattro” che vincolava
Francia, Inghilterra,
Germania e Italia ad una
reciproca assistenza
militare, alla parità degli
armamenti per almeno un
periodo 22di 10 anni, quindi
un vero Trattato di pace;
con il ritiro della Germania
dalla Conferenza, quel Patto
in questione fu un vero
fallimento, da notare che il
Patto era stato in
precedenza approvato oltre
che dalla Francia e
Inghilterra
anche dal delegato
tedesco naturalmente con
l’approvazione del suo
Governo. (6)
L’Ambasciatore inglese Sir
Ronald Graham allora a Roma,
scrisse nelle sue memorie,
che Mussolini, quando il suo
Patto andò a vuoto per il
ritiro della delegazione
tedesca, ebbe parole molto
dure e furiose contro
Hitler.
1934 -
Il 17 febbraio a
Roma, Italia, Francia e
Inghilterra
firmano un accordo a
protezione dell’indipendenza
dell’Austria. Un mese dopo
sempre a Roma, Italia,
Austria e Ungheria siglano
un Patto di alleanza basato
sulla reciproca assistenza
militare qualora una delle
tre nazioni fosse
stata
attaccata da altra potenza
non firmataria (netto
riferimento alla Germania
nazista).
A giugno
si verificò un avvenimento
politico nuovo: Mussolini
incontrava a Venezia Hitler.
L’accoglienza di Mussolini
al nuovo Cancelliere del
Reich fu molto fredda; gli
argomenti in discussione
furono ovviamente di
politica internazionale. Il
Capo del fascismo mise bene
in evidenza che il Governo
italiano teneva molto
all’indipendenza austriaca;
Hitler in quella riunione
assicurò che la Germania non intendeva
interferire nella vita
politica dell’Austria.
Un mese
dopo quello incontro, il 25
luglio veniva assassinato a
Vienna, da sicari nazisti,
il Presidente austriaco
Engebert Dollfuss che
guidava un governo di
coalizione; immediatamente
in Austria scoppiarono delle
rivolte fomentate da
elementi nazisti, mentre
Hitler si preparava ad
invadere il territorio
austriaco. Mussolini prese
subito una ferma posizione a
difesa dell’indipendenza di
quel paese frenando così
ogni velleità di Hitler; 3
divisioni italiane vennero
schierate in assetto di
guerra sul confine
austriaco, dimostrando che
l’Italia rispettava gli
accordi firmati a febbraio
con Francia e Inghilterra.
Questo risoluto
atteggiamento di Mussolini
frenò le intenzioni del capo
del nazismo che desistette
in quella occasione dai suoi
propositi di conquista. Quel
gesto di forza del Capo del
governo italiano venne
accolto con favore e
compiacimento
dall’Inghilterra: possiamo
dire che fu il primo scontro
di forza di uno Stato
europeo nella lotta contro
Hitler per impedirgli di
impadronirsi dell’Europa;
certamente quella fu allora
una sconfitta per il
nazismo; purtroppo, cinque
anni dopo,
la Germania
nazista aveva completato la
conquista di buona parte
dell’Europa. Nel 1934 con la
morte per senilità del
maresciallo
Hindenburg, Hitler assume
anche la carica di
Presidente del Reich e le
inerenti prerogative di capo
dello Stato germanico.
1935 - Fu
l’anno in cui emersero
contrasti internazionali e
anche un cambiamento di
rotta della politica
italiana, preludio di quella
catastrofe che qualche tempo
dopo sconvolse il
mondo intero. Il
riarmo clandestino della
Germania era ormai diventato
un fatto determinante, tanto
é vero che Hitler non lo
nascondeva più, anzi
comunicava con orgoglio che la Germania possedeva una
forza aerea militare che
presto avrebbe superato in
potenza e numero quella
inglese; annunciò il
ripristino obbligatorio del
servizio di leva che il
Trattato di Versailles
gl’impediva. Dura la
reazione di Francia e
Italia, molto blanda quella
inglese; comunque onde
reagire alla evidente
violazione del Trattato, che
pur essendo scaduto nel 1934
era ancora tenuto in vita
dalla Società delle Nazioni,
Mussolini si fece promotore
di un altra Conferenza, per
discutere la nuova
situazione, Conferenza che
venne tenuta in Italia a
Stresa.
Scorriamo
brevemente gli avvenimenti
che maturarono dall’inizio
del 1935: dopo l’assassinio
a Marsiglia (9 ottobre 1934)
di Alessandro Re della
Jugoslavia e del ministro
degli Esteri francese
Barthou, per mano di due
anarchici croati; in Francia
a sostituire il ministro
assassinato, venne
richiamato Pierre Laval, che
nel 1931 era stato Primo
Ministro e da sempre nutriva
simpatia per Mussolini da
questi ricambiato;
naturalmente detta simpatia
era rivolta anche alla
nostra politica
internazionale. Nel mese di
gennaio, Francia e Italia
firmarono a Roma
un patto
di alleanza, consolidando
così l’amicizia
italo-francese. Con quello
accordo la Francia riconosceva i
diritti civili degli
italiani di Tunisia, inoltre
cedeva all’Italia
un tratto di deserto
del Fezzan in Libia, un
pezzo di territorio della
Somalia francese ai confini
con l’Eritrea, una
partecipazione nella
ferrovia Gibuti - Addis
Abeba: in compenso l’Italia
s’impegnava a seguire una
politica di rigore nei
confronti della Germania
nazista.
Sempre
nel mese di gennaio la Germania assorbì il
territorio della Saar, ricca
zona con giacimenti di
carbone, anche se non vi fu
alcuna azione di forza da
parte tedesca in quanto la
popolazione della Saar, in
maggioranza tedesca, decise
con un plebiscito di fare
parte della Germania. Il
Trattato di Versailles aveva
tolto alla Germania
sconfitta il territorio
della Saar, affidandone
l’amministrazione alla
Francia, la riannessione
dello Saar, secondo Hitler,
sanava ogni ingiustizia.
1935
CONFERENZA DI STRESA
In quello
anno, Benito Mussolini
vedendo che ormai
la Germania
nazista non rispettava più i
Trattati che proibivano il
suo riarmo e lo aveva
apertamente dimostrato,
convocò una ennesima
Conferenza a tre: Italia,
Francia e Inghilterra, che
ebbe luogo a Stresa sul lago
Maggiore dall’11 al 14
aprile. Argomento delle
discussioni sempre lo
stesso: il disarmo della
Germania e l’annullamento
del progetto nazista di
impadronirsi dell’Austria.
Francia e
Italia sostenevano il
concetto dell’aperta
violazione da parte tedesca
ai Trattati di Versailles,
Locarno, Ginevra e Londra,
quindi ne chiedevano la
condanna. Ma la delegazione
inglese capeggiata dal Primo
ministro Mac Donald e dal
Ministro degli Esteri John
Simon fece capire che mai
gli inglesi avrebbero
accettato sanzioni contro la Germania: pare che dietro
questo atteggiamento vi
fossero da tempo, trattative
segrete per un accordo
navale tra i due Paesi.
La
delegazione francese con il
Primo ministro Flandin e il
ministro degli Esteri Laval,
non conoscendo certamente
quei retroscena, si
meravigliò per
l’atteggiamento inglese e
propose
di portare la
questione tedesca dinnanzi
al Consiglio della Società
delle Nazioni.
Mussolini, presente sempre
nella duplice veste di Capo
di governo e Ministro degli
Esteri, appoggiò pienamente
la proposta francese e
pronunciò un duro discorso
contro il riarmo tedesco,
non risparmiando critiche
verso l’atteggiamento
inglese e riaffermando
ancora la sua volontà di
proteggere l’indipendenza
austriaca da eventuali
attacchi esterni, monito
chiarissimo alla Germania di
Hitler.
In quella
sede Mussolini propose una
singolare iniziativa: quella
di togliere ogni restrizione
militare ad Austria,
Bulgaria e Ungheria, che
erano state alleate della
Germania durante
la Prima Guerra
mondiale, subendo anch’esse
le clausole del Trattato di
Versailles; la proposta però
obbligava quelle nazioni a
unirsi in un blocco militare
centro-europeo anti-tedesco.
L’iniziativa di Mussolini
venne accettata con
entusiasmo dai francesi ma
l’Inghilterra pose riserve,
che portarono alla non
attuazione del progetto: da
quella
proposta italiana,
chiaramente di posizione
anti-tedesca e del contrario
atteggiamento inglese
incominciarono a incrinarsi
i rapporti di amicizia con
l’Inghilterra.
Il 17
aprile, due giorni dopo la
chiusura della Conferenza,
nonostante le ambiguità e le
titubanze degli inglesi,
la Società
delle Nazioni decretava,
all’unanimità, la
condanna del riarmo tedesco
e riconfermava l’obbligo di
non introdurre la leva
obbligatoria in Germania (cosa
che Hitler aveva già
ripristinato
qualche mese prima);
contestualmente a tale
decisione il Capo del
governo italiano auspicava
una azione di forza qualora
Hitler avesse proseguito nel
riarmo. Nonostante la ferma
condanna della S.d.N., la Gran Bretagna firmò
con
la Germania
gli accordi navali da tempo
in gestazione. Nel
parlamento inglese vi furono
ripercussioni negative e lo
stesso Winston Churchill
contestò apertamente
tali accordi quando questi
vennero proposti per
l’approvazione: era il 21
giugno 1935.
Come si
seppe dopo, quegli accordi
stabilivano, anche senza il
consenso degli alleati, che la Germania poteva costruire
navi da guerra, ma non oltre
le 10.000 tonnellate di
stazza e in quantità non
superiore a un terzo della
flotta inglese; gli veniva
così concessa la costruzione
di 2 corazzate, di 11
incrociatori, 25
cacciatorpediniere e un
numero di U.Boote non
superiore ai 20 sommergibili.
Ma anche in quella occasione
i tedeschi ingannarono
l’opinione
pubblica internazionale,
costruendo, prima due
corazzate, la Scharnost e la Gneisenau, chiamate anche
“corazzate tascabili”, che
trasformarono poi in
incrociatori pesanti, poco
dopo vennero varate le
corazzate Bismarck e Tirptiz,
che raggiungevano le 45.000
tonnellate cadauna, quindi
superavano
di gran lunga le
10.000 tonnellate stabilite
dagli accordi. In quanto ai
sottomarini, oltrepassarono
in abbondanza la quota
stabilita, tanto che nel
1940 i tedeschi ne
possedevano ben 57, più
della flotta subacquea
inglese. L’ammiragliato
inglese pur essendo venuto a
conoscenza dell’inganno, non
contestò nulla e attuò lo
stesso gli accordi.
Giustamente Churchill fece
presente che autorizzare
la Germania
a costruire navi da guerra,
sia pure per un terzo della
flotta inglese, che allora
era più potente e numerosa
di quella di Francia e
Italia messe insieme,
avrebbe consentito a queste
due nazioni di costruire,
rimodernare e ampliare le
loro flotte, ciò che in
effetti avvenne.
( 7 )
Ecco
quanto lo storico inglese
R.B. Mac Gallum, scrisse
sulla Conferenza di Stresa
“..............con
la sua forza militare e con
il suo governo forte e
maschio, l’Italia assicura
l’equilibrio del potere in
Europa..........”
In
ottobre due avvenimenti si
verificarono in Italia; la
guerra d’Abissinia e le
conseguenti sanzioni sancite
dalla Società delle Nazioni;
due avvenimenti che
suscitarono in Italia
acclamazione per la guerra e
rabbia per la presa di
posizione dell’Inghilterra.
Il 3
ottobre Benito Mussolini
denunciò alla Società delle
Nazioni, alcuni incidenti
che si erano verificati a
Ual-Ual sul confine
somalo-etiopico, chiedendo
che il Negus manifestasse
delle scuse per l’incidente
e pagasse un indennizzo,
riconoscendoci inoltre il
possesso della zona; ma
la S.d.N.
condizionata pesantemente da
Francia e Inghilterra, mai
volle intervenire a sanare
la questione, di conseguenza
Mussolini ordinò alle truppe
italiane di varcare i
confini della Eritrea e
della Somalia e iniziare
l’occupazione della
Abissinia. Dobbiamo
riconoscere che gli
incidenti di Ual-Ual, furono
solo un pretesto anche se
questi avvennero realmente:
le vere ragioni erano da
ricercarsi in fatti più
nobili, quali il prestigio,
la sicurezza, l’avere
attivato una politica
coloniale a livello
internazionale ma credo che
il fattore principale, al
quale il popolo italiano
teneva molto, era quello di
riscattare due umilianti
sconfitte: prima quella di
Dogali del 20 gennaio 1887 in cui venne massacrata
l’intera colonna del
Ten.Colonnello De Cristofori
( 500 uomini ) che tentava
di portare soccorso al
nostro presidio di Saati
(Dogali), assalita da bande
di abissini al comando di
Ras Alula; poi quella dal
Negus Menelik II imperatore
d’Etiopia inflittaci nel
marzo del 1896 in Adua.
A ragione
quindi, possiamo affermare
che quella guerra non fu
improvvisata ma aveva
origini ben lontane fin da
quando mettemmo piede in
Africa sul finire dell’800.
Forse farà bene al giovane
lettore conoscere, sia pure
con breve accenno, la storia
della nostra penetrazione
nel Continente nero.
L’Italia
giunse in quel lembo
d’Africa, che era
la Baia
di Assab sul Mare Rosso,
ufficiosamente nel 1869,
tramite la Società di navigazione
genovese di Raffaele
Rubattino
che con la mediazione e
l’influenza del Missionario
Giuseppe Sapeto acquistò,
per 6000 talleri di Maria
Teresa (moneta d’argento
austriaca circolante in
tutta l’Africa di allora),
la Baia
di Assab dal Sultano Ibrahim
Ben Ahmed, capo indiscusso
di quel territorio; a quei
tempi 6000 Talleri
corrispondevano a circa
30.000 lire italiane.
Sembra
invece che il Sapeto fosse
stato anche l’intermediario
di Re Vittorio Emanuele II e
avesse acquistato
la Baia
di Assab per conto del
governo Italiano,
mascherandolo come acquisto
privato della Società
Rubattino; questo perché
l’Italia ufficialmente non
voleva, in quei momenti,
ostacolare gli interessi di
Francia e Inghilterra in
Africa.
La Società Rubattino
amministrò quel territorio
sino al 1879, quando il
Governo italiano, ne
riscattò il possesso,
pagando alla Rubattino la
somma di 416.000 lire,
divenendo ufficialmente
possessore della Baia e così
da considerarsi e
qualificarsi come potenza
coloniale, alla stessa
stregua di Francia,
Inghilterra e Germania.
Dal
piccolo porto di Assab,
l’Italia iniziava una
pacifica
penetrazione verso
l’entroterra, acquistando
sempre dal solito Sultano
anche alcune isolette
dinanzi alla Baia. A seguito
della uccisione in Dancalia,
nella zona di Caribull,
dell’esploratore Gustavo
Bianchi e di alcuni
soldati italiani che
lo scortavano, il governo
decideva allora di occupare
il porto di Massaua, che
come tutta la costa Eritrea,
da quel porto sino al
confine del Sudan, era sotto
la giurisdizione del governo
egiziano, il quale fece una
blanda protesta ma nello
stesso
tempo ritirò da Massaua il
suo piccolo presidio,
lasciandoci campo libero.
Con
l’occupazione di Massaua
nacquero le prime
controversie con il Negus
abissino Johannes I il quale
essendo cristiano-copto
aveva assunto quel nome; il
Negus proclamava che tutto
il territorio eritreo era
dell’impero etiopico e non
dello Egitto, quindi Massaua
era sua proprietà e noi
dovevamo sloggiare.
Ovviamente non vi era alcuna
intenzione da parte italiana
di lasciare Massaua ed
iniziarono le prime
scaramucce che presto si
trasformarono in vere
battaglie, tanto che fummo
costretti ad occupare tutto
l’entroterra della città.
Alla
morte di Johannes I
avvenuta, il 10 marzo
1889 in
combattimento contro i
Dervisci musulmani ribelli,
gli succedette Menelik II,
Sovrano del territorio dello
Scioà, ma che l’Italia aveva
già riconosciuto quale
Imperatore di Etiopia ancor
prima della morte di
Johannes I, con un Trattato
segreto il 20 ottobre 1887.
Menelik II se pur tozzo nel
fisico, ambizioso e scaltro,
era uomo di cultura e di
idee moderne, non amava le
guerre, fu uno dei migliori
leader africani di allora.
Con il Trattato di Uccialli,
località in territorio
etiopico, Menelik II
riconobbe il nostro possesso
di Massaua e parte del
territorio del Tigrai;
infatti l’articolo 17 di
quel Trattato, delineava i
nuovi confini dell’Eritrea
sulla linea del Mareb e
nello stesso tempo concedeva
all’Italia alcune zone
d’influenza commerciale in
Dancalia e Tigrai che erano
sotto la giurisdizione del
Governo etiopico, inoltre
quel Trattato consentì
l’Italia di rappresentare
diplomaticamente l’Etiopia
alla Conferenza
Internazionale di Bruxelles;
come contropartita Menelik
II pretese dall’Italia armi
per il suo moderno esercito
e una grossa somma in
denaro.
Il
Trattato di Uccialli,
siglato il 2 maggio del 1889
dal conte Pietro Antonelli,
nipote del Cardinale Giacomo
Antonelli, in rappresentanza
del governo italiano, venne
ratificato a Napoli, il
1°ottobre
1889, in
lingua amarica e italiana
tra il capo del Governo
italiano Francesco Crispi e
Ras Makonnem delegato di
Menelik II. Purtroppo
qualche anno dopo, il
governo etiopico denunciava
il Trattato, in quanto
sosteneva che l’Italia non
aveva rispettato gli accordi
dell’articolo 17, violando
inoltre le zone di confine e
sobillando i Ras della
Dancalia e Tigrai a
ribellarsi al Governo
abissino, ma pare che la
cattiva traduzione del testo
del trattato, sia
dall’amarico all’italiano e
viceversa, abbia anch’essa
generato altri contrasti per
diverse interpretazioni;
questi fatti sfociarono poi
nella guerra italo-etiopica
del 1892, finita
tragicamente per noi ad Adua
nel 1896.
Con la
guerra d’Abissinia del 1935,
la popolarità di Mussolini
in Italia si era
ingigantita, perché gli
italiani avevano dato, senza
riserve, il loro consenso e
approvato con entusiasmo
quella impresa; anche in
Germania si ebbe una ondata
di
plausi
per l’Italia fascista mentre
in Inghilterra, che era
uscita sconfitta
politicamente dal confronto
con Mussolini per avere
apertamente criticato quella
guerra, il suo governo ci
osteggiava, solo alcuni
politici inglesi guardavano
ora l’Italia con occhi direi
benevoli.
Un breve
cenno storico su quella
guerra e di Ual Ual che ci
dette il via alla conquista
dell’Abissinia. La
menzionata località era un
posto di confine tra la Somalia e l’Etiopia,
sorvegliata da appena 80 “Dubat”
al comando di un nostro
ufficiale; il compito di
questo presidio era di
presidiare i numerosi pozzi
di acqua dolce che in
passato erano causa di
scontri tra le varie tribù
che abitavano lungo quel
confine, di conseguenza il
governatore italiano della
Somalia, onde evitare i
continui scontri, decise di
fare presidiare la zona che
aveva il nome di Ual Ual e
regolarizzare l’uso dei
pozzi da parte delle tribù
confinanti.
Verso la
fine di ottobre del 1934, si
presentarono a Ual Ual
truppe abissine al comando
del Deggiac Gabre Marian,
che scortavano una
commissione inglese-etiopica
la quale doveva rettificare,
secondo loro pretese, quel
tratto di confine.
La
commissione impose al
comandante del nostro
presidio di lasciare Ual Ual
perché quella zona, nella
nuova definizione dei
confini, era ora sotto la
giurisdizione dell’Etiopia;
naturalmente il comandante
italiano si rifiutò di
lasciare il suo posto, a
quel rifiuto i soldati
etiopici aprirono il fuoco
contro il nostro presidio,
che fu costretto data la
piccola consistenza ad
abbandonare la zona; ma il 5
dicembre successivo, lo
stesso presidio di “Dubat”,
rinforzato da altra truppa e
con l’appoggio di alcuni
carri armati, riconquistò
Ual Ual;
nella breve assenza degli
italiani, gli scontri tra le
tribù erano ripresi e
continuarono fomentati dagli
abissini. Analoghi scontri
armati, tra opposte tribù,
avvenivano anche ai confini
dell’Eritrea, anche qui per
questioni tradizionali di
acqua, di pascolo e diffusa
animosità, lotte che da
secoli si susseguivano e che
ancora oggi continuano.
Nota
storica: i “Dubat” erano
indigeni della Somalia
italiana, arruolati in bande
regolari al comando di un
ufficiale o sottufficiale
nazionale; pur non
fregiandosi delle stellette
furono soldati fedelissimi e
valorosi. La loro divisa
consisteva in tre semplici
strisce di tela bianca, che
essi si attorcigliavano una
ai fianchi, una messa di
traverso sulla spalla destra
e l’altra veniva ad
avvolgere il capo come
turbante; l’armamento
consisteva nel fucile
Mod.91, ma la loro arma
terribile era il famoso “billao”,
il caratteristico pugnale
somalo a due lame disuguali,
in quanto una era a taglio
netto mentre l’altra era
dentellata. Il motto di
questi reparti era “OVUNQUE
PRESENTI”
La parola
“Dubat” deriva
dall’indumento che
indossavano, infatti il
turbante in somalo e
conosciuto con il nome di
“Dub”, mentre la tela con la
quale essi avvolgevano i
fianchi veniva
chiamata “At” sempre
in lingua somala, unendo
queste due parole ecco la
denominazione di “Dubat”. (
FOTO N°4-5 )
La guerra
di Abissinia ci costò 4.000
morti, di cui 2.000 tra
ascari e dubat, con un
impegno militare di 350 mila
soldati nazionali, 87.000
indigeni, armati con 10.000
mitragliatrici, 1.100
cannoni, 250 carri armati e
circa 350 aerei con una
spesa per il nostro erario
di 11 miliardi di allora.
Purtroppo fu una “conquista”
che pagammo amaramente in
quanto non riuscimmo mai a
pacificare buona parte di
quel territorio nei 6 anni
di
nostro
“dominio”, considerando
oggettivamente che
l’Inghilterra attivò la
guerriglia in A.O.I.
finanziando ribelli e
predoni sino alla Seconda
guerra mondiale.
Ora
affrontiamo l’altro
avvenimento: le sanzioni
contro l’Italia. Subito dopo
l’entrata delle truppe
italiane in territorio
etiopico, il Negus Hailé
Selassié, figlio di Ras
Makonnen, denunciò la
violazione del suo
territorio alla Società
delle Nazioni, la quale, in
base dell’articolo XVI del
suo Statuto, applicò
sanzioni economiche contro
l’Italia.
In quella
velleitaria decisione vi fu
ancora una volta la mano
pesante del ministro inglese
Antony Eden che aveva sempre
mal sopportato e osteggiato
con personale intenzionalità
la politica estera di
Mussolini. Era il 10 ottobre
1935: delle 52 Nazioni che
componevano il Consiglio
della S.d.N., solo Austria,
Ungheria,
Albania e Germania non
votarono contro l’Italia. Le
sanzioni imposero al governo
italiano l’embargo di tutto
quel materiale che poteva
servire alla guerra, ad
eccezione del petrolio, del
carbone e la non chiusura
del Canale di Suez; ciò ci
permetteva di portare in
breve tempo tutto il
materiale occorrente per
continuare la guerra. Da
notare che gli U.S.A. con
politica squisitamente
affaristica, fornirono
invece all’Italia, centinaia
di ottimi trattori
caterpillar che furono di
grande e valido aiuto,
specie in Somalia. Sul “caso
Suez“ vi sono due versioni
ambedue possibili e
credibili; la prima da
attribuirsi all’ambigua
politica di pace condotta
sino allora dai governi
inglesi: in quel frangente
il governo era presieduto da
Sir Stanley Baldwin, il
quale pur non nutrendo né
antipatie né simpatie verso
l’Italia a differenza del
ministro Eden,
pensava che una forte
restrizione di sanzioni e la
chiusura del canale di Suez
alle navi italiane (chiusura
prospettata sempre da Eden),
avrebbe potuto scatenare una
guerra tra i due paesi. La
seconda versione era
militare, interessando
sempre l’Inghilterra; in
quel momento la Gran Bretagna non disponeva nel Mediterraneo di
una forza navale tale da
contrastare la superiorità
della marina italiana;
inoltre le navi inglesi
ferme nelle basi del
Mediterraneo come
Alessandria, Malta e
Gibilterra, scarseggiavano
di munizionamento e non
avevano cannoni antiaerei.
(8)
Vi era
anche un altro particolare
che intimoriva gli Inglesi:
la propaganda fascista aveva
fatto circolare la voce che
l’Italia possedeva piloti
suicidi, una specie di
Kamikaze, pronti in caso di
guerra a lanciarsi con il
proprio aereo, carico di
potente esplosivo, sulle
navi inglesi alla fonda
nelle loro basi del
Mediterraneo: gli Inglesi vi
avevano creduto, anche se in
realtà si trattò soltanto di
un “bluff”.
Anche in
quella occasione Churchill
aveva fatto notare al suo
governo il
pericolo in cui
andavano incontro gli
inglesi se avessero
insistito nella chiusura del
Canale di Suez; egli
pronunciò in parlamento un
caloroso discorso
contro
una eventuale guerra e
riguardo alle sanzioni, così
si espresse “...volere
delle pesanti sanzioni per
l’Italia, porterebbe solo
vantaggi alla Germania, in
quanto Mussolini sarebbe
così costretto a schierarsi
nel campo avversario...”.
Questa
profezia di Churchill si
avverò appena un anno dopo
soprattutto per
l’incomprensione e la cecità
dei governanti inglesi.
E’ vero
che il Governo di Stanley
Baldwin, anche con il parere
contrario di Eden, si
adoperò, dietro suggerimento
di Churchill, affinché le
sanzioni contro l’Italia
fossero alleggerite, ma tale
provvedimento non eliminò
l’incomprensione che si era
frattanto creata tra i due
governi.
La Francia di Laval che non
voleva inimicarsi l’Italia,
aveva capito che non
riconoscere la politica di
Mussolini in Africa sarebbe
stato un grave errore;
propose quindi con il
Ministro degli Esteri
inglese, Samuele Hoare, un
piano per risolvere
pacificamente la guerra
in Abissinia.
Tale
proposta che prese il nome
dei due firmatari, venne
denominata “Piano
Hoare-Laval“; prima di
passare all’approvazione dei
parlamenti francese e
inglese, venne sottoposta
alla attenzione di Benito
Mussolini, che dopo averla
letta e portata a conoscenza
del suo Governo, diede il
suo placet favorevole !
Occorre
riconoscere che Mussolini
dette la sua approvazione al
piano anglo-francese per due
ragioni importanti in quei
momenti: quando gli venne
sottoposto il patto si era
agli inizi di dicembre, e le
nostre truppe si trovavano
già in territorio etiopico
da due mesi, ma erano ferme
sulle posizioni conquistate
perché erano iniziate le
grandi piogge che rendevano
impossibile l’avanzata
per le disastrose
condizioni del terreno:
quella forzata sosta
inattiva, incominciava a
creare, tra i vari comandi
militari, oltre che inerzia
anche malumori; la seconda
ragione, consisteva nel
finanziamento della guerra,
l’Italia in quel momento era
impegnata in un conflitto
dispendioso, oltre che sul
piano militare soprattutto
su quello economico, in
quanto assorbiva una grande
quantità di denaro tendente
sempre ad aumentare;
Mussolini si era reso conto
di quelle effettive
difficoltà e di conseguenza
arrivò all’accettazione del
Piano “ Hoare-Laval “ (
vedi MAPPA N°3 a fine
capitolo ).
Cosa
proponeva quel Piano per
risolvere pacificamente
quella guerra ?
L’Italia otteneva
parte del territorio
etiopico e cioé tutta la Dancalia, il Tigré con
Adua e Macalle (due località
piene di sacri ricordi per
gli italiani), tutto l’Alto
Ogaden che veniva a fare
parte della Somalia italiana
ed ancora altra fetta del
territorio dell’Oltre Giuba;
in compenso il Governo
italiano doveva riconoscere
al Negus Hailé Selassié, uno
sbocco sul Mare Rosso nella
Baia di Assab nell’Eritrea
italiana. Per l’Italia la
proposta era vantaggiosa ma
non lo fu per il Negus, che
respinse il patto quando gli
venne fatto conoscere.
Come
verità storica è bene
ricordare un particolare
certamente a molti storici
sconosciuto, che il Governo
italiano di allora, in data
2 agosto 1928, aveva
concesso al Governo
etiopico, un “punto franco”
nel porto di Assab per 130
anni, concessione che mai
l’Etiopia usò. Inoltre
veniva anche autorizzato al
Negus di costruire una
strada che da Dessiè, in
territorio abissino,
arrivava sino sulla costa
del Mar Rosso in
Assab,territorio
dell’Eritrea italiana.
Anche questa
concessione non venne
attuata dagli abissini;
quella “costruzione” fu
fortemente osteggiata
dall’ingegnere minerario
inglese Ludovico Nesbitt,
non è stato mai appurato il
vero scopo di
quell’ostruzionismo, eppure
il Nesbitt era nato in
Italia ad Albano Laziale, da
madre italiana nel 1891;
questi fu un esperto
esploratore che conosceva
profondamente
la Dancalia,
visitata lungamente con un
altro esploratore,
l’italiano Raimondo
Franchetti, barone veneziano
che morì tragicamente in un
incidente aviatorio a sud
del Cairo (Egitto) il 7
agosto del 1935.
Dopo la
conquista dell’Etiopia, il
Governo italiano nel 1939,
realizzò in breve tempo la
costruzione di una strada
asfaltata di ben 870 Km. che da Dessie
arrivava ad Assab sul Mar
Rosso.
Il Piano
“Hoare-Laval“ il 7 dicembre
1935, fu discusso ampiamente
al parlamento inglese e
nonostante l’opposizione del
solito Eden, che stranamente
in quel periodo aveva anche
le funzioni di secondo
ministro degli Esteri con le
stesse prerogative di Hoare
che ne era il titolare,
venne accettato nella prima
convocazione ma nella
seconda convocazione del 18
dicembre fu inaspettatamente
respinto. Il ministro Hoare
per disappunto dette le
dimissioni, ma passò a
dirigere il Ministero
dell’Interno. Il suo posto
venne preso da Antony Eden
che così divenne il titolare
degli Esteri.
L’opposizione settaria e
insensata a quel Piano da
parte di Eden, che diverrà
il nemico pubblico n.1 degli
italiani, fu un grave errore
della diplomazia inglese:
forse, se fosse stato
accettato, oggi la storia
avrebbe un altro corso;
quella bocciatura invece
dette il colpo di grazia
alla politica internazionale
dell’Italia verso la Gran Bretagna e
spinse Mussolini, come aveva
previsto Churchill, ad
allearsi controvoglia con la Germania, pur
non nutrendo simpatie
nel nazismo.
La guerra
proseguì e il 5 maggio 1936,
il maresciallo d’Italia
Pietro Badoglio entrava in
Addis Abeba occupata,
concludendo la guerra con
l’Etiopia e Mussolini poteva
così consegnare nelle mani
del Re d’Italia l’Impero
dell’A.O.I.
Il 9
maggio, il Duce dal famoso
balcone di Piazza Venezia
annunciava agli italiani e
al mondo intero l’Italia
imperiale.
1936 – In
precedenza il 7 marzo
Hitler, che ormai da tre
anni aveva il potere
assoluto in Germania,
dichiarava ufficialmente che
non intendeva più sottostare
ai Trattati
di Versailles e di
Locarno e dava disposizioni
al suo esercito di
rioccupare la Renania che era da sempre
una regione (Land) della
Germania: occupazione questa
che si svolse senza
spargimento di sangue.
Frenetiche consultazioni
ebbero subito inizio tra
Francia e Inghilterra, che
considerarono quella
occupazione una “atto di
aggressione”. Il Capo del
governo francese Albert
Sarraut e il ministro degli
Esteri Flandin si trovarono
d’accordo nell’usare la
forza militare contro la Germania. I due uomini
di Stato si recarono per ben
due volte in Inghilterra
onde convincere l’alleato
inglese a intervenire con le
armi, ma trovarono sempre
blande promesse e il
consiglio di rivolgersi alla
S.d.N.; solo il ministro
Austin Chamberlain, che
ricopriva il ruolo di
Cancelliere dello
Scacchiere, aveva accettato
favorevolmente il progetto
francese di usare la forza
militare, ma quando
pronunciò, alla Camera dei
Lords il discorso per un
intervento armato inglese,
si trovò innanzi a un muro
di incomprensione; lo stesso
Lord
Lothian
che era
Capo della Camera,
rispose a Chamberlain che i
tedeschi in fine dei conti
rientravano in casa loro.
La Francia
si rivolse allora
alla S.d.N. che subito
impose alla Germania di
evacuare
la Renania,
in caso negativo avrebbe
trasmesso la questione alla
Corte
dell’Aia
che era stata costituita nel
1899, per risolvere senza
appello ogni divergenza
internazionale.
La Società
delle Nazioni rivolse un
appello anche a Mussolini
affinché convincesse Hitler
a più miti consigli:
Mussolini però nulla fece in
quanto il suo
risentimento
verso
la S.d.N. e
l’Inghilterra
non si era ancora
placato per le sanzioni che
erano state imposte
all’Italia.
Hitler da
parte sua, non tenne conto
delle minacce della Francia
e proseguì imperterrito
nella sua politica di
graduale espansione
territoriale; naturalmente
egli giocò al “bluff“ in
quanto ormai conosceva i
tentennamenti
dell’Inghilterra, pur
sapendo che in quei momenti
la sua potenza militare era
di gran lunga inferiore a
quella franco-inglese.
Un
particolare non trascurabile
su quelle vicende: la
rioccupazione della Renania
o meglio della “fascia“
smilitarizzata non fu bene
accetta da parte di alcuni
generali tedeschi con
mentalità prussiana, che
conoscevano bene i rischi di
una guerra avventata con un
esercito inferiore a quello
nemico. Nel 1936 la Germania poteva contare su
appena 40 Divisioni contro
le oltre 100 della Francia e
della sua alleata
Cecoslovacchia che ne aveva
altre 35 ottimamente armate
e bene addestrate; tali
forze avrebbero facilmente
battuto quelle tedesche su
tre fronti anche senza
l’aiuto delle divisioni
inglesi
Nel mese
di febbraio–marzo, dello
stesso fatidico anno,
scoppiava la guerra in
Spagna, altro tragico
avvenimento che vedeva
Italia e Germania unite nel
combattere lo stesso nemico:
il comunismo !
Le cause
di quella guerra furono la
crescente corruzione del
governo repubblicano
spagnolo, prettamente
comunista, che aveva creato
malcontento tra la
popolazione con
l’eliminazione fisica degli
avversari politici, con
vessazioni verso i
benestanti e i cattolici,
con stragi di sacerdoti,
dissacrazioni di chiese e
oltraggi, ma il malcontento
più sentito fu soprattutto
nell’esercito. La scintilla
della insurrezione
prettamente militare,
scaturì a seguito
dell’assassinio, da parte
comunista, del deputato
conservatore Calvo Sotelo.
L’esercito spagnolo si
ribellò, ad eccezione di
alcuni reparti della marina
che uccisero i loro
ufficiali restando così
nell’esercito repubblicano.
Il generale Francisco
Franco, allora comandante
militare del Marocco
spagnolo, postosi a capo dei
militari “nazionalisti“
attaccò le forze governative
repubblicane proclamando
decaduto il governo spagnolo
comunista, era il 17 luglio
1936.
La
diplomazia europea entrò
subito in azione proponendo
il “non intervento“:
aderirono Francia,
Inghilterra, Italia,
Germania e Russia che
firmarono un accordo; ma ben
presto quell’accordo si
sciolse e tutti i firmatari,
apertamente o con sotterfugi,
aiutarono sia l’uno che
l’altro dei contendenti.
Italia e
Germania intervennero a
favore di Franco
apertamente,
la Russia
anch’essa apertamente, inviò
armi e tecnici al governo
repubblicano, mentre Francia
e Inghilterra, mascherandoli
come soccorsi umanitari,
mandarono aiuti militari
solo ai repubblicani. Il
Ministro dell’Aeronautica
francese Pierre Cot, non
tanto segretamente, fece
pervenire ai repubblicani
aerei e personale aviatorio.
Andarono a combattere in
Spagna con l’esercito
repubblicano anche
volontari (non tanti)
comunisti italiani,
addestrati in Russia,
passati in Spagna attraverso
la frontiera francese
assieme a fuoriusciti
antifascisti.
L’Italia
fu quella che s’impegnò
maggiormente in aiuti, anche
se all’inizio dello scoppio
della guerra Mussolini si
mostrò restio ad inviare
anche soldati
(a onore della verità
il generalissimo Franco
aveva chiesto inizialmente
solo armi); l’incertezza di
Mussolini durò poco poichè
quando venne a conoscenza
che
la Francia
intendeva mandare aerei e
armi al governo
repubblicano, cosa che
regolarmente attuò (come
sopra citato), prese la sua
decisione; prima inviò
3.000 Camicie Nere,
che poi diventarono 10.000 e
a fine dicembre 1936, i
soldati italiani in Spagna
arrivarono a circa 75.000,
pari a 5 divisioni, con
l’aggiunta di 700 aerei e
l’apporto discreto ma reale
della marina per operazioni
belliche sulla costa
spagnola. La cooperazione
tedesca fu invece più
limitata ma selettiva anche
perché i generali tedeschi
vedevano malvolentieri
l’impegno di massa
dell’esercito tedesco;
Hitler mandò in Spagna
alcune squadriglie aeree da
bombardamento e da caccia
nonché specialisti
aeronautici e di
artiglieria, riuniti nella
Legione di volontari
denominata “Legione Condor“;
certamente Hitler approfittò
di quella guerra per
sperimentare l’efficacia e
la potenza dei suoi aerei,
ma soprattutto l’abilità dei
suoi piloti e il
comportamento in battaglia
dei reparti d’assalto.
1937 -
Mentre la guerra in Spagna
era ancora in corso, nel
mese di settembre si
verificarono nel
Mediterraneo alcuni
incidenti; sottomarini
sconosciuti affondarono
alcune navi mercantili russe
che trasportavano in Spagna,
secondo quanto dichiarato
dal governo repubblicano
spagnolo, “viveri” e
“medicinali” destinate al
fabbisogno della popolazione
civile; in realtà
trasportavano armi russe.
Ovviamente i sospetti
caddero sull’Italia in
quanto essa possedeva
sommergibili non certamente
su Franco che non ne aveva.
Fu indetta sull’argomento
una conferenza a Nyon con la
partecipazione delle nazioni
mediterranee, considerando
che si ebbe un attacco anche
a navi inglesi.
Durante
le discussioni vi furono
momenti di alta tensione
contro l’Italia; si ebbe
anche il pericolo che si
scatenasse una guerra, ma
vinse il buon senso da parte
di tutti i convenuti; le
cose si appianarono e
l’Italia fu riconosciuta
estranea a quegli incidenti.
Nel dopoguerra, venne fuori
la notizia che gli
affondamenti furono eseguiti
da sommergibili italiani,
fra cui uno del comandante
Junio Valerio Borghese).
Sempre
nel mese di settembre Benito
Mussolini fu invitato dal
Fuhrer a visitare la Germania; i due Capi di
stato s’incontravano
così per la seconda
volta, dopo Venezia nel
1934. A
Monaco il Duce ricevette
un’accoglienza grandiosa che
lo impressionò molto; andò
poi a Berlino dove il Capo
del fascismo pronunciò un
discorso in lingua tedesca,
dinanzi ad una folla di
800.000 berlinesi
applaudenti (Mussolini
parlava bene il tedesco, in
quanto da giovane era stato
insegnante di tedesco e di
francese, ma conosceva e
parlava anche inglese). Da
quello incontro Mussolini ne
uscì entusiasta; convinto
dell’amicizia del Fuhrer e
della potenza militare della
Wehrmacht che gli venne
presentata in azione nella
grande parata di Meklemburg.
Da quella visita, Hitler ne
approfittò per allacciare un
durevole rapporto di
amicizia; il 6 novembre
sottoscriveva con l’Italia
un patto di amicizia
denominato
“Asse Roma –
Berlino”.
1938 - Fu
certamente l’anno in cui si
manifestarono avvenimenti
tali da essere considerati,
in seguito, fondamentali
della prossima
guerra.
Il 4
febbraio Hitler assumeva
anche il Comando Supremo
delle Forze Armate tedesche,
così al potere politico
aggiungeva quello militare.
Il 19
febbraio, per alcuni
contrasti interni, il
ministro degli Esteri
inglese Antony Eden dava le
dimissioni; l’acerrimo
nemico di Mussolini e
dell’Italia e soprattutto
della politica
internazionale italiana, non
faceva più parte finalmente,
del Governo inglese, il suo
posto venne preso da Lord
Halifax.
Il 20
febbraio il Fuhrer
annunciava al mondo che
la Germania
intendeva riunire nel grande
Reich tutte quelle
popolazioni di origine
tedesca che vivevano fuori
dai confini della Germania:
un chiaro ammonimento
all’Austria, Cecoslovacchia
e Polonia, pur
considerando la presenza
anche in Italia di
alloglotti Volksdeutschen in
Alto Adige. Il giorno 11
marzo, Hitler
iniziava l’occupazione
dell’Austria e il 13 marzo
il famoso Anschluss era
compiuto: l’Austria veniva
incorporata nello Stato
germanico; Mussolini questa
volta non reagì, vedremo in
seguito il perché. Hitler
per quella mancata reazione
fu molto riconoscente e lo
dimostrò in un momento
cruciale per Mussolini
(liberazione del Capo del
fascismo dalla prigionia sul
Gran Sasso, da parte dei
paracadutisti tedeschi) .
Nel mese
di aprile il ministro degli
Esteri italiano, il Conte
Galeazzo Ciano e
l’ambasciatore inglese a
Roma, s’incontravano per
dare inizio a quella
politica di riavvicinamento
voluta da Neville
Chamberlain e ben vista da
Mussolini. I punti stabiliti
per quell’accordo di
amicizia erano i seguenti: la Gran Bretagna s’impegnava a riconoscere
ufficialmente l’annessione
della Etiopia all’Italia
che, come contropartita,
doveva fare cessare quella
propaganda anti-inglese che
la stampa Italiana aveva da
tempo montata; inoltre era
previsto il ritiro di un
certo numero di reparti
militari italiani che erano
stati dislocati in Libia
alla frontiera egiziana e
convalidare ancora, il
rispetto dello “Status quo“
nel Mediterraneo, la
possibilità da parte inglese
di usufruire delle acque del
lago Tana in Abissinia che
regolamentavano il corso del
Nilo azzurro in Sudan,
attivare inoltre il
reciproco controllo delle
difese militari, che
italiani e inglesi avevano
attuato lungo i confini
Egitto - Libia e Sudan -
Eritrea; ma il
punto
chiave al quale il Governo
inglese teneva moltissimo
era il ritiro delle truppe
italiane impegnate nella
guerra civile spagnola
ancora in corso.
Il piano
dell’accordo fu sottoposto
per l’approvazione a
Mussolini, in linea di
massima il Duce dette il suo
parere favorevole ma pose
due condizioni: una, che
Russia e Francia ritirassero
anche loro le forze di
specialisti, di aerei, di
piloti e di reparti armati
che ancora combattevano in
aiuto del governo comunista
repubblicano spagnolo;
l’altra era che prima di
ritirare le truppe italiane
dalla Spagna, l’Inghilterra
doveva riconoscere la
sovranità italiana sulla
Abissinia considerando
oggettivamente che nel 1938
ben 16 Nazioni le quali
facevano parte della S.d.N.,
avevano già riconosciuto
giusta la nostra impresa
militare in Etiopia.
Naturalmente le richieste
italiane portarono a lungo
le discussioni sugli accordi
che poi fallirono; quel
Piano italo-inglese per la
lunga durata, prese il nome
di “Accordo di Pasqua “.
Dal 3 al
10 maggio Hitler visitò
nuovamente l’Italia; arrivò
accompagnato da von
Ribbentrop, da Goebbels e
Hess e con un seguito di
circa 500 personalità, tra
generali, ministri e
giornalisti; nella forma
l’accoglienza fu grande, con
imponenti parate militari e
la grande rivista navale a
Napoli, ma nella sostanza
vi fu freddezza sia
da parte del Re Vittorio
Emanuele III, notoriamente
antitedesco
e
soprattutto
antinazista, sia da parte
del Papa Pio XI, causa le
leggi razziali applicate da
Hitler in Germania che
perseguitavano gli ebrei. Il
Papa onde evitare un
incontro con il Fuhrer, si
ritirò a Castel Gandolfo e
fece chiudere tutti i Musei
vaticani. Analoga antipatia
e freddezza si manifestò
anche tra alcuni alti
gerarchi fascisti, come
Italo Balbo, De Bono e lo
stesso Ministro Ciano, che
non mostrò grande entusiasmo
per quella visita.
A maggio
ebbe inizio la crisi
cecoslovacca: vi furono
frenetiche consultazioni
tra Daladier, Capo
del Governo francese, il suo
Primo Ministro Bonnet e
Neville Chamberlain, Primo
Ministro inglese.
Ormai in
Cecoslovacchia il partito
nazista locale aveva preso
il potere nella regione dei
Sudeti, rivendicata dalla
Germania; il legittimo
governo cecoslovacco di
Benes, che per quieto vivere
aveva fatto larghe
concessioni ai nazisti
cecoslovacchi di Henlein,
non si sentiva più sicuro e
si rivolse allora al governo
inglese, affinché venisse in
suo aiuto per la critica
situazione che si era
determinata, ma ricevette
solo vaghe promesse e il
consiglio di concedere il
plebiscito popolare per la
regione dei Sudeti. La Francia che sin dal 1925 aveva firmato un Trattato
di alleanza e reciproca
assistenza militare con la Cecoslovacchia, era
titubante a muoversi. Un
analogo Trattato la Cecoslovacchia lo
aveva con
la Russia,
ma questa aveva salvato la
faccia
dichiarandosi, sì
disposta ad aiutarla in caso
di aggressione ma solo
inviando aerei in quanto,
dicevano i russi, per
mandare truppe in
Cecoslovacchia essi dovevano
attraversare a nord il
territorio polacco e a sud
quello della Romania e
Ungheria, certamente quegli
Stati, per non inimicarsi la Germania, non avrebbero
consentito il passaggio nei
loro territori di truppe
sovietiche. Così la Cecoslovacchia
venne lasciata sola al suo
destino, né una Conferenza
riuscì a salvarla dalle mire
tedesche.
CONFERENZA DI MONACO
Il 30 settembre 1938 si
riunirono a Monaco in
Germania i capi della
diplomazia europea: per
la Francia Daladier,
per l’Italia Mussolini, per
l’Inghilterra
Chamberlain, per la Germania lo stesso Hitler;
assenti (non invitati) la Cecoslovacchia e la Russia. Anche qui
lunghe e travagliate furono
le discussioni: ogni
delegazione propose un
piano, ma nessuna di queste
riuscì a convincere Hitler
dal desistere
dall’occupazione della
regione dei Sudeti
rivendicata dalla Germania.
Mussolini, intuendo che le
mire espansionistiche di
Hitler dopo l’Austria non si
sarebbero fermate alla sola
regione dei Sudeti, si
adoperò, con tutto il suo
abituale impegno, per
risolvere quella ennesima
questione
che
minacciava nuovamente la
pace in Europa e nella veste
di mediatore propose al
presidente della
Cecoslovacchia, dopo avere
avuto assicurazioni da
Hitler che non avrebbe
occupato tutto il paese, di
concedere, onde evitare la
guerra, l’autonomia al
territorio dei Sudeti, la
cui popolazione era nell’80%
di origine tedesca. Si
trattava ovviamente di un
compromesso ma non era
certamente il pensiero
perverso di un
“guerrafondaio”.
Purtroppo
la sua proposta, sempre per
i tentennamenti inglesi, non
ebbe buon esito, la Conferenza si chiuse con
il solo vantaggio della
Germania nazista e la Cecoslovacchia
venne lasciata sola al suo
destino.Il 1° ottobre mentre
si discutevano ancora le
varie tesi, l’esercito
tedesco, dietro ordine di
Hitler, varcava il confine
cecoslovacco e iniziava la
penetrazione nel territorio
dei Sudeti. Con l’annessione
di quella parte della
Cecoslovacchia e con
l’Austria, la Germania incorporò nel
grande Reich ben 10.000.000
di altri cittadini di
origine tedesca (i
cosiddetti Volksdeutschen),
che andarono ad ingrossare
le file dell’esercito ed a
incrementare i lavori nelle
industrie belliche. La Conferenza si chiuse con
un nulla di fatto e a tutto
vantaggio della Germania
nazista.
E’ vero
che il Governo di Daladier
era propenso ad intervenire
militarmente
ma venne frenato
dall’opinione pubblica che
non voleva sentir parlare di
guerra poichè, le sofferenze
di quella del 1914 -1918
erano ancora vive.
Ecco una
statistica, delle forze
opposte che si sarebbero
trovate di fronte in caso di
conflitto alla data del
1°giugno 1938:
la Francia,
come già detto,
poteva mettere in
campo 115 divisioni, di cui
5 di cavalleria e 2
motorizzate, la Cecoslovacchia di
35, modernamente armate con
materiale di guerra tra il
più sofisticato, erano armi
che in quei momenti nessuno
altro esercito europeo
possedeva (da ricordare che
la Cecoslovacchia
aveva le famose fabbriche
Skoda, che producevano
cannoni e fucili tra i più
perfetti del mondo),
l’Inghilterra di 26
divisioni e ne aveva altre 29 in allestimento, la Polonia disponeva di 30
divisioni attive più 10 di
riserva e ancora 12 brigate
di cavalleria, quindi come
si può notare una forza
armata considerevole.
Di contro la Germania disponeva di 60
divisioni di cui 4
corazzate, ma era in grado
di completarne in brevissimo
tempo altre 36; ad esse si
aggiungevano 12 divisioni
fornite dall’Austria, anche
se male armate. Di questo
stato di inferiorità si
resero conto i generali
tedeschi i quali fecero
presente a Hitler che una
invasione del resto della
Cecoslovacchia, avrebbe
certamente scatenato una
guerra e la Germania, in quel momento,
non era ancora pronta a
sostenere l’urto delle forze
francesi - cecoslovacche e
inglesi.
Quel
tentativo di convincere
Hitler a desistere
nell’invasione della
Cecoslovacchia venne
considerato dallo Staff
nazista un complotto;
compromessi ne furono: il
generale von Bock, allora
Capo di Stato Maggiore
dell’Esercito, i generali
Halder, Brockdorff, Hoepner
e il Conte von Helldorff.
Hitler
quando venne a conoscenza su
quanto si tramava a suo
danno con quel complotto, lo
stroncò sul nascere ma non
fu così spietato come agì in
seguito con i congiurati del
1944, che furono tutti
eliminati fisicamente; con
questi dissenzienti si
limitò ad allontanarli
dall’esercito, ma dopo
qualche anno li richiamò in
servizio quando attaccò
la Russia,
inviandoli su quel fronte;
solo
il
generale Halder si salvò
dalla Russia in quanto fu
nominato Capo di Stato
Maggiore dell’esercito; uno
solo di quei congiurati non
venne punito in quanto,
scoperto si suicidò: era il
generale von Bock.
Durante
il processo di Norimberga in
cui erano implicati gerarchi
e generali nazisti, Halder
dichiarò che nel 1938 se
Francia e Inghilterra
avessero dichiarato guerra
alla Germania questa avrebbe
capitolato, in quanto non
aveva l’esercito pronto a
sostenere una guerra e i
generali avrebbero
estromesso Hitler dal
potere.
1939 -
Altro anno carico di
avvenimenti tragici e
decisivi che in parte
interessarono l’Italia.
Ormai era palese che la
minaccia di una guerra si
avvicinava pericolosamente; la Francia non sperava più in
una soluzione pacifica, la
stessa sensazione la provava
il popolo inglese, salvo
qualche eccezione di alcuni
suoi ministri; l’Italia si
era ormai affiancata
apertamente alla Germania.
Sempre in
Inghilterra come sopra
detto, pochi erano quelli
che credevano ancora che
colloqui diretti potevano
scongiurare la guerra, tra
questi in particolare il
Primo Ministro Neville
Chamberlain, il quale sul
finire del 1938 e nei primi
mesi del 1939, per ben tre
volte si era recato in
Germania incontrando Hitler
per dissuaderlo
d’intraprendere iniziative
che mettessero in pericolo
la pace in Europa; in ogni
incontro il Fuhrer faceva
promesse di pace che poi non
manteneva.
In
gennaio, Chamberlain era
ancora convinto che un
contatto diretto con
Mussolini avrebbe portato a
un miglioramento della
situazione internazionale,
eccolo quindi a Roma ove
venne accolto con tutti gli
onori spettanti a un Capo di
Stato anche se Mussolini,
come scrisse Ciano nel suo
diario, non fu molto
entusiasta di quella visita.
L’amicizia e la simpatia che
Chamberlain nutriva per
Mussolini lo portò a un
punto tale di fiducia
da far pervenire al Duce
copia del discorso che egli
avrebbe pronunciato alla
Camera dei Comuni di Londra,
per riferire l’esito
dell’incontro con il capo
del Governo italiano.
Nonostante quell’atto di
cortesia, apprezzato da
Mussolini, la politica di
avvicinamento con l’Italia
non ebbe effetto. (
FOTO N°3 )
In verità
lo scopo di quella visita
era una chiara mossa di
Chamberlain per allontanare
da Hitler un futuro alleato;
ma anche Hitler non fu da
meno; é documentato che la
missione compiuta a Parigi,
dal Ministro degli Esteri
tedesco von Ribbentrop, che
ebbe un lungo colloquio con
il collega
francese Bonnet, non
fu altro che un tentativo di
portare la Francia a staccarsi dalla
Gran Bretagna così da
isolarla; ma anche questa
operazione non riuscì.
Il 15
marzo, truppe tedesche
penetrarono in
Cecoslovacchia occupando
Praga e istituendo il
“Protettorato di Boemia e
Moravia“ affidato dal Fuhrer
al nazista Heidrich che
sostituiva von Neurabh. Il
Premier inglese Chamberlain
annunciò la fine della
tolleranza diplomatica.
Il 7
aprile Mussolini, per non
essere da meno di Hitler,
sbarcava in Albania e in
pochi giorni la occupava,
defenestrando Re Zog che
stranamente, prima chiese
asilo politico all’Italia ma
poi preferì
la Grecia.
Sempre in
aprile il feldmaresciallo
del Reich Hermann Goering
venne in visita ufficiale in
Italia per illustrare a
Mussolini
e a Galeazzo Ciano,
la linea di condotta della
Germania nei riguardi della
Polonia, allora nelle mire
tedesche; é provato che la
ragione principale di quella
visita, verteva sì ad un
rafforzamento di amicizia ma
soprattutto a creare una
vera alleanza militare.
Il 22
maggio il ministro degli
Esteri italiano Ciano e
quello tedesco von
Ribbentrop firmavano a
Berlino il famoso “Patto
d’Acciaio“ che suggellava
l’alleanza
militare
tra Germania e
Italia.
Qualche
giorno dopo la firma del
Patto, Mussolini scriveva a
Hitler una lettera che
faceva recapitare a mezzo
Ciano, nella quale esortava
Hitler a non intraprendere
alcuna azione di guerra
prima del 1942, anno in cui
l’Italia
sarebbe stata pronta
militarmente, sia come
esercito che come armamenti,
per affiancarsi in guerra
con
la Germania.
Mussolini
aveva ormai capito che la
guerra era inevitabile,
visto anche che la Germania oltre ad avere
completato l’occupazione di
tutta
la Cecoslovacchia,
aveva invaso, dietro accordi
con la Lituania, anche
il territorio di
Memel, era il 22 marzo del
1939. ( 9 )
Il Fuhrer
di quella lettera non ne
tenne minimamente conto e
prosegui nelle sue minacce
di conquista, questa volta a
danno della Polonia;
argomento di contestazione
la “città libera” di
Danzica. ( 10 )
A seguito
della poca considerazione
che Hitler ebbe per quella
lettera, il Duce ne fu
veramente contrariato e si
disse molto preoccupato di
tale politica tedesca nei
riguardi di un alleato;
approfittando di quello
stato di tensione, alcune
eminenti personalità del
fascismo e dell’esercito,
che non vedevano di buon
occhio una alleanza con
la Germania
nazista, fecero pressione su
Mussolini affinché si
allontanasse da Hitler; tra
i promotori, oltre a Ciano,
vi erano
Balbo, De Bono,
Grandi, Bottai e
l’antitedesco Federzoni; per
l’esercito i marescialli
d’Italia, Pietro Badoglio e
Rodolfo Graziani; favorevoli
invece alla alleanza con
la Germania,
furono i gerarchi Roberto
Farinacci e Achille
Starace. Dietro
queste insistenze e con la
pressione di Ciano,
Mussolini venne solamente
convinto a dichiarare, il
1°settembre 1939, l’Italia
“Stato non belligerante“. (
11 )
Fu una
forma di protesta consentita
che non ebbe però molto
effetto su Hitler, convinto
della potenza militare della
Wehrmacht.
Il
1°settembre alle ore 4,45
truppe tedesche iniziavano
l’occupazione della Polonia;
naturalmente la diplomazia
tedesca si era al riguardo
premunita, assicurandosi
la neutralità della
Russia con un accordo tra
von Ribbentrop e il russo
Molotov, firmato il 23
agosto 1939. L’accordo
prevedeva la spartizione
della Polonia; così mentre i
tedeschi attaccavano da
Ovest, i russi a loro volta
iniziavano l’occupazione da
Est.
Nota
curiosa: il Presidente
americano Franklin
Delano Roosevelt,
volle farsi garante di una
pace in Europa e inviò a
Hitler un messaggio,
esortandolo a non proseguire
in una politica di “aggressione“
per almeno dieci anni e
invitando Mussolini a
convincere Hitler alla pace.
Immediatamente dopo
l’aggressione alla Polonia,
i governi di Francia,
Inghilterra, Australia e
Nuova Zelanda, il 3
Settembre 1939, dichiararono
guerra alla Germania,
iniziandola di fatto e
motivandola a loro dire,
dall’invasione della Polonia.
L’URSS che aveva ugualmente
iniziato a invadere la Polonia, venne “risparmiata”
da critiche e dall’offensivo
titolo di “invasore”.
L’Italia
essendosi dichiarata
“Non belligerante“ rimase
fuori dal conflitto ma per
poco tempo; infatti il 10
giugno 1940 entrava in
guerra affiancandosi alla
Germania contro gli alleati.
Non
appena il 2°conflitto
mondiale ebbe termine, la
stampa nazionale ed estera,
gli storici improvvisati che
subito spuntarono come
funghi, i politici venuti
fuori dalle ceneri del
fascismo tutti animati da
faziosità, furono lesti
nell’accusare il Capo del
fascismo quale responsabile,
insieme a Hitler, delle
distruzioni che quella lunga
guerra portò al mondo intero
ma soprattutto in Europa.
Altre accuse
furono e sono ancora rivolte a
Mussolini; per prima quella di
avere condotto la
Nazione in una
guerra non sentita né voluta dal
popolo italiano e per giunta
nella più completa
impreparazione, di avere
commesso molti errori militari
nelle sue guerre “inutili”,
inoltre quella di avere voluto
fare una guerra in Abissinia,
per sete di conquista e
soffocare la libertà del popolo
etiope e ancora colpe per le
inutili guerre di Spagna,
Albania, Grecia, Jugoslavia e
per ultima quella di Russia.
Inizio a
difesa della verità, con il
contestare quanto
alcuni storici hanno
scritto, affermando che quella
guerra non fu sentita né voluta
dal popolo Italiano che ne subì
atrocemente le conseguenze nei
58 mesi di belligeranza, dei
quali ben 19 combattuti sul
nostro territorio e con l’Italia
divisa in due, occupata da
eserciti
stranieri
e finita con una lotta
fratricida, che per la sua
faziosità ci portò ad una
instabilità politica - sociale
che perdura ancora oggi.
Certamente vi
fu una parte di italiani che non
approvarono la guerra
soprattutto perché
combattuta a fianco della
Germania nazista; erano anziani
che avevano visto e vissuto la Prima Guerra mondiale subendone le conseguenze; a
questi aggiungerei quel gruppo
di fasulli intellettuali che
sotto il fascismo non contavano
nulla e quindi non erano
riusciti ad “arraffare“
privilegi ed onori; poi veniva
una sparuta schiera di quella
aristocrazia secondaria, a mio
avviso di presunti blasonati;
infine gli antifascisti e la
classe dei “traditori“ di
professione, che l’Italia ha
sempre sfornato nella sua
millenaria storia. Chi ebbe fede
e credo incondizionato alle
ragioni che ci portarono alla
guerra fu la gioventù italiana,
quella gioventù sana che accorse
al grido di richiamo della
Patria; migliaia di giovani
partirono volontari: io fui uno
tra quelli; questi
giovani onorarono
l’Italia su tutti i fronti.
Per la nostra
impreparazione alla guerra, sono
perfettamente d’accordo su
quanto venne e viene scritto in
merito, anche perché confermata
da storici che meritano questo
nome; nel capitolo seguente mi
soffermerò ampiamente su questa
impreparazione.
Passando
all’argomento delle presunte
soffocazioni della libertà del
popolo etiope, iniziate con la
guerra in Abissinia, vorrei ben
porre in evidenza che
l’occupazione della Etiopia non
fu fatta per distruggere
l’indipendenza di quel popolo ed
eliminarne la libertà: anzi
apportammo ordine e benessere in
quello immenso territorio, ove
l’arretratezza e la povertà
erano fattori inconfutabili; lo
stesso Ras Tafari prima che
diventasse Imperatore con il
nome di Hailé Selassié ne
riconobbe l’esistenza, tanto é
vero che lo fece presente
durante il suo discorso tenuto
alla Società delle Nazioni, nel
settembre del 1923, quando
l’Etiopia fu ammessa a farne
parte.
Per quella
guerra si accusò e si accusa
ancora Mussolini di avere
aggredito l’Etiopia, senza
preavviso, con un pretesto
“fasullo”, per sete di
conquista, per depredarla delle
sue ricchezze naturali; questa
accusa non regge, in quanto
Mussolini se avesse voluto
aggredire l’Etiopia avrebbe
potuto attuarla con facilità gia
nel 1930, quando in Etiopia
erano scoppiate delle rivolte
contro il governo di Addis
Abeba, condotte da Ras Gusga
Ouele nel ricco territorio del
Goggiam a sud del lago Tana.
Sarebbe stato allora facile per
il Duce correre in aiuto dei
rivoltosi, tanto più che l’aiuto
era stato richiesto da Ras Gusga
che nutriva simpatie per
l’Italia.
Alcuni
storici
asseriscono
che le ricche
miniere di ferro, zolfo,
sale, oro, platino e piombo che
il Governo del Negus poco
sfruttava, erano il vero
obiettivo di Mussolini; questa
tesi potrebbe avere la sua
credibilità in quanto alcuni di
detti minerali mancavano
all’Italia che era costretta ad
importarli da altre nazioni;
altra tesi, era quella di
eliminare la disoccupazione,
inviando in quei territori
migliaia di italiani bisognosi
di sicuro lavoro e un migliore
futuro per loro e famiglie,
assicurando a quelle manovalanze
e maestranze ottimi guadagni;
per questa ultima tesi avrei
qualche dubbio in quanto in
Italia,in quel periodo la
disoccupazione era stata quasi
del tutto eliminata; comunque
accetto queste opinioni ma resta
sempre in me la convinzione, che
il Capo del fascismo volle dare
all’Italia, oltre l’Impero,
anche un grande prestigio
internazionale ma soprattutto un
più sicuro avvenire al popolo.
Sempre al
dire di quella stampa
prezzolata, anti-italiana e
anti-fascista, la vittoria
italiana in Etiopia fu dovuta
essenzialmente all’uso
indiscriminato
dei gas, ai bombardamenti
di indifesi villaggi e ospedali,
alla “ferocia del soldato
italiano” che eliminava i feriti
e i prigionieri bruciandoli con
i lanciafiamme, ancora con più
crudeltà erano descritti i
massacri di donne e bambini; a
queste infamanti accuse del
tutto infondate, anche se è
stato accertato che l’Italia in
quel periodo possedeva bombe e
granate di artiglieria caricate
a gas iprite e arsine, come le
possedeva l’Inghilterra che ne
fece uso contro la rivolta dei
Curdi nel 1930
e anche nel 1935 contro
gli agfani per domare una loro
rivolta. L’utilizzazione delle
armi chimiche furono usate per
la prima volta dai tedeschi nel
1918 sul finire della Prima
Guerra Mondiale, fu una strage,
vennero lanciate sulle linee
alleate bel 2.500 tonnellate di
gas iprite; solo nel 1925
la Società
delle Nazioni interdiceva l’uso
delle armi chimiche e
batteriologice, molte
la Nazioni, tra
queste l’Italia, accettarono il
non uso di dette armi ma diverse
Nazioni ignorarono tale
decisione. Comunque nonostante
quella proibizione voluta dalla
S.d.N. tutte le Nazioni
firmatarie custodivano dette
armi nei loro depositi. Come
sopra detto da certa stampa
diffamatoria e anti-italiana
l’Italia usò, per tutta la
durata della guerra in Etiopia,
bombe a iprite e granate a
arsine che ne anticiparono la
vittoria questo è un falso,
quella guerra che era
già vinta in partenza dato il
moderno armamento delle
nostre
truppe; per onestà storica devo
riconoscere che l’esercito
italiano si usò iprite e arsine
ma solamente due volte per
giusta ritorsione in quanto
nella battaglia dell’Amba Aradan
sul fronte Nord, ove gli
abissini usarono proiettili
dirompenti, i famosi Dum-Dum,
erano pallottole che quando
colpivano l’avversario
esplodevano nel suo corpo
spappolandolo, infatti erano
stati proibiti dalla S.d.N.; la
seconda volta sul fronte del Sud
( Somalia ), quando venne
accertato che la truppa
abissinia massacrava i
prigionieri e mutilava (
evirazione )anche
i cadaveri. A
giustificazione di quel uso
chimico, cito la giusta reazione
espressa da due autorevoli
personalità che parteciparono a
quella guerra quali la M.O.V.M. Generale Angelo
Bastiani e il noto giornalista
Indro Montanelli che così
scriveva sul “Giornale Nuovo“ in
data 14-4-1983 “...sappiamo
benissimo che indietro non si
torna e i sogni di restaurazione
non sono che sogni, ma siamo
stufi di arrossire o fingere di
arrossire del nostro passato
coloniale, il soldato italiano
non ha nulla da vergognarsi per
le sue guerre africane...”
Vorrei porre
al lettore una mia osservazione:
perchè il Negus, quando rientrò
in Etiopia dopo la nostra
sconfitta, non accusò l’Italia
di averlo combattuto usando i
gas? Eppure avrebbe avuto tutto
l’interesse di accusarci per
giustificare la sua sconfitta,
invece mai ne fece cenno al
mondo, anzi trattò con umanità e
protezione gli italiani, che
nonostante il triste epilogo
dell’Impero della Africa
Orientale Italiana erano rimasti
in quella terra.
Nella schiera
di questi denigratori emerge,
nel tradizionale livore
anti-italiano, lo storico
inglese Denis Mack Smith, il
quale rincara la dose attaccando
alcuni
generali che combatterono
in quella guerra, come il
generale De Bono che definisce
un adulatore di Mussolini e
sempre secondo lo Smith, lo
qualifica come militare con poca
esperienza di combattente e
quando fu inviato in Etiopia, al
comando delle truppe italiane
operanti, “commise” enormi danni
con azioni militari sbagliate,
tanto che venne sostituito con
Badoglio. Denigrare così un
ottimo generale che non fu certo
un adulatore, pur facendo parte
del famoso Quadrumvirato del
Fascismo formato da: Michele
Bianchi, Italo
Balbo, Cesare
Maria De Vecchi, Emilio De Bono,
a mio giudizio non é leale, non
é corretto che
storici poco seri
esprimano giudizi e dicerie
malvagie su nostri prestigiosi
generali. La vera ragione di
quella sostituzione fu il
lavorio dietro le quinte di
Badoglio, che aspirava a quel
comando e non é da sottovalutare
la rivalità che correva tra le
due personalità; altro generale
preso di mira dallo Smith fu
Rodolfo Graziani, al quale
attribuì una spietata conduzione
di quella guerra, con stragi di
inermi etiopici, dimenticando
che lo stesso Graziani fu
vittima di un attentato
terroristico e ne uscì
gravemente ferito con centinaia
di ferite da schegge per tutto
il corpo.
Al riguardo
possiamo citare le stragi di
boeri fatte dagli inglesi, su
poveri coloni di origine
olandese, che si erano inseriti
nell’Africa Meridionale, essi
lottarono disperatamente per ben
29 mesi ( 1899-1902 ) a difesa
della loro indipendenza, contro
le forze inglesi, alla fine dopo
inutili massacri dovettero
abbandonare il loro territorio.
Lo Smith nel
suo libro “Le guerre del Duce“
scrive peste e corna anche su
tutto l’apparato del fascismo,
asserisce che i gerarchi
fascisti erano tutti arrivisti,
i nostri diplomatici degli
incapaci, gli uomini di cultura,
nella maggioranza ignoranti e
presuntuosi, non risparmia i
giornalisti i quali, sempre
secondo lo Smith, pur di fare
carriera scrivevano quello che
Mussolini voleva per elogiare il
fascismo; inorridisco
nell’apprendere che uno storico,
quale lo Smith si autodefinisce,
possa avere scritto cose così
false e orrende e mi meraviglio
che i suoi libri circolano in
Italia. E’ invece risaputo che
da sempre alcuni storici
inglesi, si considerano come
“vendicatori storici” col
compito di annullare, denigrare,
alterare la verità per
ridimensionare l’Italia a
modesto paese europeo privo di
orgoglio e capacità gestionale.
Potremo,
volendo, parlare a lungo di
scandali dalla classe politica
inglese e dei suoi regnanti. Non
lo facciamo per serietà.
Ed ora il mio
pensiero su quelle “inutili”
guerre, di cui viene accusato
Mussolini., d’accordo che alcune
di esse furono “inutili” e che
il Duce commise degli errori
militari, ma perché addossare
dette colpe solo al capo del
Governo
e non agli
uomini che lo circondavano come
consiglieri militari? Vedi
sempre Badoglio e il suo
“Staff”. Ad onore della verità
debbo ammettere che Badoglio non
condivise l’entrata
in guerra dell’Italia
contro la Francia, ma di questa sua
presa di posizione è da far
conoscere che egli era filo
francese, amico personale del
maresciallo di Francia Gamelin e
questa sua simpatia era
risaputa. E’ anche vero che
Badoglio non approvò l’attacco
alla Grecia, ma è da ricordare
che fu Capo di Stato Maggiore
Generale dal 1925 a fine 1940, quindi
avrebbe dovuto contestare, sia
la nostra im...preparazione alla
guerra che l’entrata nel
conflitto, non lo fece se non
subito, dette le dimissione a
fine dicembre 1940 solo dopo la
disfatta in Grecia.
Iniziamo con
la guerra di Spagna che per
alcuni di questi storici fu
considerata solo come un impegno
gravoso del nostro esercito
soprattutto per la difficile
situazione economica in cui
venne a trovarsi l’Erario, già
dissanguatosi con la guerra in
Abissinia, quindi guerra
“inutile”; ma a mio avviso essa
invece impedì l’affermazione nel
Mediterraneo e nell’Europa sud
occidentale del bolscevismo,
facendo inoltre conoscere con
grande anticipo sui tempi gli
orrori dei comunisti con i loro
metodi di governo. Oggi c’è una
profonda revisione storica di
quegli
eventi. Ecco
perché non considero quella
guerra inutile o come errore
militare l’intervento italiano
voluto ideologicamente dal Capo
del Governo, anche dal fatto che
gli italiani ritennero giusto
che Mussolini, apertamente
anticomunista, corresse in aiuto
del generale Franco, che si era
ribellato al Governo
repubblicano comunista di Juan
Negrin. L’aiuto a mio parere, fu
certamente eccessivo e di
conseguenza impegnativo, inoltre
a fine guerra fummo generosi con
il generale Franco,
permettendogli di consolidare
l’armamento del suo esercito
onde avere sicurezza nel governo
del paese; gli lasciammo 517
aerei, un grande numero di
automezzi e carri armati e quasi
tutta l’artiglieria; quel poco
di materiale militare che
rientrò in Italia era ormai così
mal ridotto da non essere più
riutilizzato. Lo storico Nino
Arena nel suo libro inchiesta,
già citato, conferma che con il
materiale lasciato in Spagna
avremmo potuto armare molte
nostre divisioni, anche se
quello armamento era obsoleto;
ma le artiglierie e tutto il
materiale di armamento ed
equipaggiamento di cui le
-nostre divisioni in servizio
nel Regio Esercito non erano
anch’esse obsolete?
Una nota
storica molto interessante:
durante il corso del Secondo
Conflitto, quando fu chiesto al
generale Franco, da parte dei
Governi italiano e tedesco, di
permettere il passaggio di
truppe tedesche per una
eventuale occupazione della base
inglese di Gibilterra, il
generalissimo Francisco Franco,
allora reggente il potere in
Spagna, si rifiutò adducendo
motivi di neutralità e di
precarie condizioni del suo
esercito in quanto,
accondiscendendo al passaggio di
truppe, avrebbe rischiato di
essere coinvolto in quella
guerra che non era in condizioni
di sopportare. Un “sacro
egoismo” comune a molti
governanti.
Questo
rifiuto amareggiò molto Benito
Mussolini, lo stesso governo
inglese stigmatizzò l’operato di
Franco, considerandolo una mente
fredda ed egoista, per nulla
grato a Mussolini e a Hitler per
l’aiuto che aveva ricevuto
durante la guerra civile
spagnola, ma la Spagna, con quel rifiuto, si
salvò anche se venne lungamente
emarginata e messa sotto accusa
dagli alleati. ( 12 )
Resta
comunque assodato che il nostro
intervento in Spagna lasciò un
grande vuoto nelle Casse dello
Stato e nel nostro armamento
militare.
Guerra di
Albania: ecco, a mio giudizio un
errore militare e purtroppo una
guerra “inutile” di Benito
Mussolini, quando il 7 aprile
1939 ordinò all’esercito
d’iniziare l’occupazione di quel
territorio: certamente non fu
una conquista di espansione
territoriale né tanto meno fu
oppressa la libertà di un
popolo; come sopra accennato sin
dal 1926 l’Albania era sotto
l’influenza italiana e quindi
l’Italia aveva una certa
ingerenza negli affari nazionali
e internazionali del governo
albanese; inoltre la grande
maggioranza della popolazione
albanese guardava all’Italia con
simpatia: le ragioni
furono
ben
altre, ma prima un breve
cenno storico sul perché della
nostra ingerenza nella politica
albanese. Nel corso della Prima
Guerra mondiale (1914-1918) le
truppe italiane occuparono
l’Albania che allora faceva
parte dell’Impero Ottomano,
alleato con
la Germania;
con il Trattato di Versailles,
l’Albania veniva posta sotto
amministrazione militare
italiana, questo dal 1918 al
192O; dopo tale data sino al 1926, in Albania si
susseguirono governi provvisori
che non davano stabilità al
paese, anche perché in continua
guerra con
la Jugoslavia
per questioni di confine; solo
nel luglio del 1926, venne
firmato a Parigi da Francia,
Inghilterra, Grecia, Jugoslavia,
Giappone, Italia e Albania, un
accordo che definiva la nuova
delimitazione di frontiera tra
Albania e gli Stati confinanti,
all’Italia fu affidato il
compito di fare rispettare i
confini. Il 27 novembre sempre
del 1926, venne firmato a Tirana
un accordo bilaterale, di
“amicizia e sicurezza” tra il
Governo italiano e quello
albanese, in effetti fu un vero
protettorato, così l’Albania
veniva a fare parte attiva della
nostra politica nazionale e
internazionale, con grande
contrarietà della Francia e
Jugoslavia che vedevano così
perdute le loro mire su quel
territorio.
Nel dicembre
del 1928, il Governo italiano
facilitò l’instaurazione di una
monarchia, aiutando il capo
tribù Ahmed Zog, che già nel
dicembre del 1924 si era
ribellato al governo albanese di
Fan Noli, conquistando il potere
e proclamando, nel dicembre
1925, la repubblica di Albania
divenendone presidente; ma Ahmed
Zog essendo uomo ambizioso e
volendo un potere assoluto, dopo
pochi anni di repubblica, nel
1928 la trasformò, con il
consenso italiano, in monarchia
costituzionale e si auto-nominò
Re di Albania per se e i suoi
discendenti.
L’occupazione
dell’Albania irritò il governo
inglese; lo stesso Neville
Chamberlain, che aveva sempre
visto con occhio benevole la
nostra politica internazionale,
si associò alla presa di
posizione del governo inglese;
solo Lord Halifax, da ministro
degli Esteri approvò
l’occupazione, sostenendo che
essa era la conclusione militare
che poneva fine a un
protettorato (gli inglesi erano
maestri in questi giuochi, vedi
il protettorato dell’Egitto
trasformato poi in occupazione
militare, e così per l’India e
la Palestina ).
Quali le vere
ragioni che ci condussero ad
invadere l’Albania? Non furono
certamente militari ma
politiche-economiche: infatti in
quelle regioni il petrolio ebbe
il suo posto importante. Sin dal
periodo di quel protettorato i
rapporti
ufficiali con il governo
albanese, ma soprattutto con Re
Zog, procedevano in buona
armonia, addirittura nostri
ufficiali facevano parte
dell’esercito albanese come
istruttori e comandanti;
purtroppo agli inizi del 1938 e
sino ai primi mesi del 1939
questi rapporti peggiorarono per
intrighi
della Casa regnante;
infatti Re Zog non tenendo conto
degli accordi commerciali con il
governo italiano, che aveva
l’assoluta precedenza su tutte
le contrattazioni commerciali,
aveva preso impegni con
compagnie francesi e inglesi,
soprattutto con la Anglo-Persian Oil Company, per lo sfruttamento dei
pozzi petroliferi che si
trovavano in territorio
albanese; ovviamente da parte
italiana vi fu una dura reazione
verso il governo inglese, che
giustificava quelle concessioni,
mentre ammoniva il governo
albanese, di annullare ogni
trattato con francesi e inglesi;
Re Zog non dette ascolto e
continuò nei contatti con quelle
compagnie. In quel periodo la
nostra politica estera con
Inghilterra e Francia non
godeva di buoni rapporti ed era
evidente che Mussolini mirasse a
contrastare l’ingerenza
franco-inglese nei Balcani, ma
temeva anche una eventuale
concorrenza della Germania che
aveva anch’essa mire in quel
settore.
Certamente
quelle controversie, con un
Mussolini abile politico, si
sarebbero potute risolvere
attraverso i canali diplomatici
e non con una guerra, sia pure
breve e con pochissime vittime;
qui consiste l’errore militare
di Mussolini, che con quella
conquista volle mostrare, più
alla Germania che alle altre
Potenze Occidentali, che
l’Italia era una nazione
militare temibile da tenere in
considerazione; la dimostrazione
credo che abbia avuto poco
effetto sia sul piano politico
sia su quello militare per
vistosi errori tecno-logistici
commessi.
Ed ora
descriviamo le altre “inutili”
guerre che se non fossero
avvenute, la guerra in Africa
Settentrionale avrebbe avuto
altro corso; se tutto quel
potenziale di uomini e di
materiale bellico perduto in
Grecia, Jugoslavia e Russia
fosse stato mandato in Libia, il
fronte bellico più importante,
certamente non avremmo perduto
la guerra così drasticamente,
nonostante i sacrifici e il
valore del soldato italiano.
Elenco
brevemente quanto impegnammo su
quei tre fronti partendo da
quello greco. Alla data del 28
ottobre 1940, iniziarono le
operazioni militari in Grecia;
sul confine greco-albanese
avevamo schierate, 6 divisioni
di fanteria, una divisione
alpina e una corazzata
(Centauro) che contava, oltre ai
normali battaglioni di fanteria,
3 battaglioni di bersaglieri, 3
battaglioni carri armati L.3 e
37 carri lanciafiamme; le 8
divisioni con una forza di
70.000 uomini, posti sotto la
guida del generale Visconti
Prasca, iniziarono quella
guerra, che al dire di Galeazzo
Ciano, doveva essere una
passeggiata, invece si dimostrò
subito disastrosa per il nostro
esercito; i greci riuscirono a
cacciarci oltre il confine
albanese. La reazione di
Mussolini fu terribile, tanto da
sostituire il generale
Visconti Prasca, accusandolo
della disfatta; al suo posto
venne
messo il generale Soddu,
ma anche egli venne sostituito
con il generale
Cavallero, il quale riuscì a
fermare l’avanzata dei greci e
passare al contrattacco, grazie
all’invio urgente dall’Italia di
due Armate, la 9^ e la 11^, per
un complessivo di 12 divisioni
di fanteria più 4 divisioni di
alpini. Questa forza umana venne
rinforzata con 24 mila
automezzi, oltre 400 aerei,
1.400 cannoni di vario calibro,
80 carri armati M.13 e L 3, 24
cannoni contraerei. le perdite
umane furono disastrose, in
appena 6 mesi di quella guerra
avemmo 39.000 morti, 63.240
feriti, 52.1O8 tra congelati e
ammalati per i disagi del
terribile inverno greco. Il
disastro sarebbe stato di gran
lunga superiore se non fosse
intervenuto l’esercito tedesco a
salvarci da quella tragica
situazione, nonostante l’eroico
comportamento dei nostri soldati
che pur con scarsi mezzi e
l’inadeguato vestiario
invernale, seppero tenere testa,
per oltre sei mesi a un
esercito, piccolo, ma addestrato
ai combattimenti in alta
montagna; inoltre con un morale,
specie quello dei suoi generali,
altissimo anche perché
combattevano per difendere la
loro terra.
Un
particolare storico
significativo: pare che Hitler
quando apprese da Mussolini che
le truppe italiane avevano
attaccato
la Grecia, ebbe
uno scatto di ira, in quanto la
sua diplomazia era in contatto
con quella greca per accordi
circa l’uso
di basi militari che sarebbero
serviti alla Germania per certe
operazioni nel Medio Oriente.
Nonostante il
famoso “Patto di Acciaio” che
legava militarmente l’Italia
alla Germania nazista, dove ogni
decisione militare doveva essere
approvata da ambo le parti,
Mussolini questa volta non ne
tenne conto e agì senza
consultare Hitler; qui non posso
dare torto a Mussolini per avere
agito all’insaputa dell’alleato,
in quanto Hitler mai interpellò
Mussolini sulle sue iniziative
belliche.
Altro
particolare sconcertante in
quella guerra che durò 6 mesi,
fu la mancanza di coordinamento
tra aviazione ed esercito, tra
artiglieria e fanteria, oltre
alle manchevolezze su ogni
livello di servizi, specie
quelli logistici-
sanitari; ancora da
segnalare le vicissitudini,
della divisione corazzata
Centauro, la quale allo inizio
delle operazioni venne tenuta
come riserva e in seguito,
quando la situazione incominciò
a diventare critica, invece di
usarla come grande Unità
corazzata, venne frazionata a
tronconi che furono inviati nei
punti più pericolosi del fronte.
(13)
D’accordo che
la presenza di una G.U.
corazzata sul fronte
greco-albanese, non era del
tutto appropriata in quanto
doveva agire su terreno
prevalentemente montuoso, con
scarse strade rotabili. Un
tentativo di usare in forze i
mezzi corazzati della Centauro a
quota 731, tenuta dalla
divisione Siena, si tradusse con
la distruzione di alcuni carri
armati M.13, ciò probabilmente
giustifica del perché la Centauro venne scorporata,
ma non giustifica l’averla
impegnata in Grecia, viste le
difficoltà del terreno; il suo
posto era invece in Africa
Settentrionale.
La campagna
con la Jugoslavia iniziata
nell’aprile del 1941, ebbe
termine su quel fronte, alla
data dell’8 settembre 1943, ma
la tragica odissea dei nostri
soldati e dei civili italiani
andò avanti sino al 1947: pochi
i fortunati che riuscirono a
rientrare in Italia, molti a
guerra ultimata finirono nelle
foibe o morirono di stenti nei
campi di sterminio iugoslavi.
In Jugoslavia
inviammo la 2^Armata, comandata
dal Generale Vittorio Ambrosio,
che nel corso della guerra venne
sostituito dal generale Mario
Roatta a sua volta sostituito
dal generale Mario Robotti che
aveva comandato, sempre in
Jugoslavia, l’XI Corpo d’Armata.
La 2^ Armata suddivisa in 5
Corpi d’Armata era composta da
16 divisioni di fanteria, più
altri reparti non divisionali
per un complessivo di 400.000
uomini, con 26.300 automezzi,
4.200 trattori, 60 carri armati
M.13 e 220 L.3: numericamente
poderosa l’artiglieria anche se
obsoleta, così composta: 1620
cannoni di vario calibro, 2.100
mortai da
45 mm. e
820 da
81 mm.,
86.000 quadrupedi, con la
partecipazione di oltre 480
aerei. Tutto questo materiale
bellico all’atto dell’armistizio
venne catturato in parte dagli
slavi e il rimanente dai
tedeschi; secondo le stime
calcolate dallo storico Nino
Arena, gli iugoslavi, con il
nostro materiale catturato,
riuscirono ad armare due nuovi
Korpus partigiani in Jugoslavia
e uno nella Venezia Giulia.
I caduti
italiani nella campagna di
Jugoslavia, prima dell’8
settembre, furono 11.362, i
feriti 15.16O e i dispersi
9.391; le perdite più cruente si
ebbero purtroppo dopo l’8
settembre con un complessivo di
71.000 tra caduti e dispersi; ai
caduti del dopo 8 settembre,
bisogna aggiungere 5.242 soldati
della Repubblica Sociale
Italiana (R.S.I.) che erano
stati schierati a difesa dei
nostri confini della Venezia
Giulia. I civili di etnia
italiana pagarono crudelmente il
loro attaccamento alla Patria,
ufficialmente si calcola, con
approssimazione, che tra caduti
e dispersi si supera la cifra di
27 mila ma i conti non tornano,
poiché secondo le testimonianze
degli esuli dalmati-istriani si
arriva a 50 mila.
Fu grave
errore politico-militare di
Mussolini, che poteva lasciare
ai tedeschi il compito della
occupazione di quel vasto
territorio, il quale faceva
gola, non solo alla Germania ma
anche alla Bulgaria e Ungheria
che in effetti parteciparono con
le loro truppe all’occupazione.
Dopo qualche mese dall’inizio di
quelle operazioni, intervennero
i tedeschi che ci salvarono da
una disastrosa situazione
militare, lasciando all’esercito
italiano il compito di
controllare parte della Croazia
e Slovenia e tutta la costa
della Dalmazia sino a Ragusa, ma
la guerra partigiana degli
jugoslavi ci causò gravissime
perdite umane.
Passiamo ora
alla campagna di Russia, questa
fu si una guerra “inutile”, la
più
disastrosa iniziata nel
1941, certamente non richiesta
inizialmente dai tedeschi ma
semplicemente voluta da
Mussolini, non per presunte
necessità militari, come quelle
di Grecia e Jugoslavia, ma per
un principio ideologico e
politico, poiché solo nel 1942
vi fu una esplicita richiesta
tedesca di aiuto militare. Fu un
altro disastro che ci costò
oltre 84.000 morti e dispersi,
30.000 feriti e congelati; una
buona parte dei caduti era
deceduta in prigionia; enorme
danno umano su una forza di
280.000 soldati che vennero
impegnati in Russia, di cui
80.000 erano alpini.
Come perdita
di materiale da guerra,
abbandonato a seguito della
tragica ritirata, occorre
registrare 11.300 automezzi,
oltre 4.000 motomezzi, un
migliaio di cannoni e un numero
imprecisato di aerei; lo
storico Nino Arena ci
precisa che la cifra
esatta fu di 119 aerei
perduti. Durante la ritirata,
nel coraggioso tentativo di
salvare il maggior numero di
feriti da trasportare in Italia,
perdette la vita il comandante
del Corpo aereo italiano, il
generale Enrico Pezzi, il suo
aereo venne abbattuto con un
carico di feriti.
Il primo
Corpo di Spedizione Italiano in
Russia (C.S.I.R.) al comando del
generale Messe, fu inviato in
URSS nel luglio del 1941 e operò
sino all’agosto del 1942; aveva
un supporto di 62.000 uomini,
3.500 automezzi, 1.550
motomezzi, 4.600 quadrupedi;
purtroppo anche in questa
spedizione, che doveva essere
compiuta con i mezzi più moderni
di nostra produzione,
l’artiglieria era composta con i
soliti cannoni da 47/32
controcarro che difficilmente
riuscivano a fermare
l’aggressività dei carri armati
russi T34 da 32 tonnellate,
mentre noi mettevamo in linea
ancora i carri armati L3 da 3
tonnellate.
In agosto del
1942 lo STAMAGE decise d’inviare
in Russia un Corpo più
consistente, addirittura
l’8^Armata, al comando
del generale Gariboldi, che
lasciato il comando della
10^Armata in Libia era passato
ad un alto incarico durante la
guerra di Grecia; tale armata
venne ad affiancarsi al CSIR che
scompare come sigla, assumendo
quello di Armata Italiana in
Russia (ARM.I.R. ); così la
forza militare dell’8^Armata
aggiunta a quella del CSIR
raggiunse i 280.000 uomini con
16.700 automezzi, 4.700
motomezzi, 25 mila quadrupedi,
60 carri armati L3 e L6, mentre
l’artiglieria era composta da
722 cannoni obici, 19 semoventi
da 40, 874 mortai da 81 e Brixia
da 45, 266 pezzi controcarro
Breda Ansaldo da 47/32, 224
mitragliare Breda 65 e ancora
1742 mitragliatrici Fiat 35 e
Breda 37 e 2.657 fucili
mitragliatori Breda; tutto
questo materiale andò perduto
durante la terribile ritirata.
L’intervento
italiano in Russia venne
giustificato ideologicamente e
materialmente, onde compensare
quale segno di gratitudine,
l’intervento tedesco in Grecia
prima e in Libia dopo; comunque
resta sempre un terribile errore
militare non solo di Mussolini
ma anche di quelle alte cariche
militari che eseguivano alla
lettera i suoi ordini, anche se
sbagliati, senza ribellarsi o
quantomeno avere il coraggio di
dimettersi in disaccordo fra
esigenze politiche e
strategiche, praticando invece,
il complotto, il tradimento, il
sabotaggio alla nazione in
guerra.
Indubbiamente
in quasi tutte le campagne di
guerra intraprese, vi furono
degli errori militari non solo
di Mussolini ma come sopra già
detto, anche di chi gli stava
attorno e lo consigliava
militarmente; purtroppo
Mussolini non sempre ascoltò i
pareri di validissimi generali
che fecero in guerra il loro
dovere e molti caddero alla
testa delle loro truppe: il
lettore ne conoscerà le gesta e
i nomi nel capitolo sulla guerra
in Libia.
Il Capo del
fascismo non fu certamente uno
stratega militare ma era
soprattutto un abile e
ineguagliabile politico, anche
se commise l’errore di
accentrare tutto il potere
militare nelle sue mani; era
Ministro della Guerra, aveva
tutti
i Ministeri
militari e in ultimo era anche
capo Supremo delle Forze Armate,
carica che per lo Statuto
Albertino spettava al Re, ma
Mussolini dopo la conquista
dell’Abissinia, aveva assunto
anche il titolo di 1°maresciallo
dell’Impero che lo metteva sullo
stesso piano gerarchico del Re
Vittorio Emanuele III; pare che
il Re non avesse gradito la
nomina di Mussolini a 1°
maresciallo dell’Impero ma non
avendo la possibilità, per
limiti di età, di visitare le
truppe nei vari fronti come capo
Supremo delle Forze Armate, di
conseguenza fu costretto ad
accettare l’alta Carica del
Duce, affidandogli anche la
delega di comandante Supremo su
tutti i fronti.
Ora proviamo
a contestare quanto certi
“storici“ hanno scritto
paragonando Mussolini a Hitler
accusato di crimini contro
l’umanità. L’accusa più grave
viene sempre dall’inglese
Denis Mack Smith che
ancora nel libro “Le Guerre del
Duce“ a pagina 89 così
scrive...” quando le
operazioni militari in Etiopia
ripresero, Badoglio usò una
tattica molto più spietata di De
Bono. Ordini espliciti di
Mussolini imponevano
all’esercito italiano di
ricorrere, se necessario, ad
ogni mezzo, dal bombardamento
aereo indiscriminato su ospedali
e villaggi, all’impiego su vasta
scala di qualunque gas e
addirittura alla guerra
batteriologica (assolutamente
falso e offensivo),
naturalmente come da
precisi ordini di Mussolini,
queste azioni dovevano essere
tenute segrete...”
Come
documentazione lo Smith
dichiara, che parte di quelle
notizie le aveva
apprese da un articolo di
un certo Angelo Del Boca, anche
questo a mio avviso penna
senz’altro rancorosamente
antifascista e aggiungerei
anti-italiana; articolo apparso
sul quotidiano “Il Giorno“ del
12 novembre 1968... come si vede
tra compari non si tradisce. A
titolo di cronaca aggiungo che
il Del Boca ha scritto ben 6
libri sulle nostre guerre
africane, pur costretto ad
ammettere che qualcosa di buono
facemmo in quelle guerre, poi si
lascia trascinare da suo
anti-fascismo, scrivendo
calunnie, fantasie, menzogne,
peste e corna e, ancora a mio
avviso, infangando l’Italia e
l’esercito italiano. Merita
soltanto disprezzo e
inaffidabilità.
Sono
congetture che reputo
inaccettabili in quanto, frutto
di dicerie non veritiere e
falsate storicamente anche se
questi scrittori hanno cercato
altrove di documentarle,
consultando gli archivi delle
parti a noi avverse; io a
riprova posso ancora portare le
dichiarazioni delle due eminenti
personalità che come sopra già
accennato, parteciparono a
quella guerra: uno il noto
giornalista Indro Montanelli,
con il grado di sottotenente,
l’altro
la Medaglia
d’Oro al Valore Militare, Angelo
Bastiani, divenuto poi generale
e Presidente Nazionale delle
M.O.V.M. d’Italia, allora
sottufficiale al comando di un
Reparto indigeno, che hanno
rilasciato ampie dichiarazioni
smentendo i due scrittori sopra
menzionati; il Generale Bastiani
partecipò a tutte le operazioni
di guerra in Abissinia dal 1935
al 1941 ma non ebbe mai notizie
di questi fatti.
Ancora oggi
certe “penne” ricalcano quanto
hanno scritto lo Smith e il Del
Boca, falsando la storia,
classificando noi carnefici e
gli altri vittime, noi
fucilatori di inermi capi, i
nostri soldati massacratori di
donne e bimbi,
mentre nessun accenno
agli eccidi commessi dai ribelli
etiopici. Da quanto scritto da
questi “storici”, venne fondata,
l’accusa a Mussolini di crimini
contro l’umanità.
Le stragi
inglesi in India per reprimere
le varie ribellioni, soprattutto
la inaudita carneficina dei
Cipai o Cepoys (soldati indiani
al servizio inglese ) che si
erano ribellati, non sono mai
menzionate. Pochi, ad esempio,
parlano delle orrende stragi
della RAF su Dresda e Lipsia,
dove centinaia di migliaia di
innocenti civili furono bruciati
con le bombe al fosforo. Ma per
questi assassini non ci fu
nessuna Norimberga.
Sempre le
stesse “penne“, mettono sullo
stesso piano Hitler e Mussolini,
circa
il disumano trattamento
degli ebrei; complice di Hitler,
il Capo del fascismo
volle invece scimmiottare
le leggi razziali applicate dal
Capo del nazismo nei confronti
degli ebrei ma non arrivò mai al
loro sterminio.
In Germania
il problema ebraico invece fu
molto feroce e crudele, le
persecuzioni iniziarono già dal
1933, con uccisioni di esponenti
ebraici nel mondo politico e
della cultura; lo stesso von
Rathenau, che fu uno degli
esecutori della ricostruzione
armata della
Germania sin dal 1922,
venne ucciso perché di origine
ebraica, i negozi degli ebrei
vennero distrutti. Con
l’approvazione della famosa
Legge di Norimberga, il
Parlamento tedesco dichiarò il
non godimento dei diritti civili
e politici al cittadino tedesco
di origine ebraica, i medici e
tutti i professionisti ebraici
vennero isolati, ogni ebreo
doveva applicare sul bavero
della giacca o del cappotto la
stella gialla di Davide, come
riconoscimento di non
appartenenza alla razza ariana.
Il 10
novembre del 1938, nella cosi
detta “notte dei cristalli“ si
ebbe il culmine, con saccheggi
nelle abitazioni civili e nei
negozi degli ebrei, vennero
bruciate le sinagoghe da bande
naziste e nessuna punizione si
ebbe per quei criminali; dal
1940-42 avvennero le
deportazioni di massa nei
disumani campi di concentramento
e dal 1943 al 1945 la
“soluzione finale“: risultato 6
milioni di ebrei eliminati dai
nazisti tedeschi.
Questi orrori
in Italia non furono mai
compiuti durante il periodo del
Governo fascista; la Legge del 6 ottobre 1938,
emanata dal Gran Consiglio del
Fascismo e logicamente avallata
da Mussolini quale capo del
governo, dichiarata come “Legge
per la purezza della razza
ariana”, si limitò
all’allontanamento dai pubblici
uffici degli impiegati di
origine ebraica, così anche
nelle scuole per gli insegnanti
e gli alunni; i professionisti
furono obbligati a istituire un
loro albo professionale, vi fu
la requisizione di qualche
grossa proprietà immobiliare, il
cittadino italiano di origine
ebraica non portò mai alcun
distintivo che segnalasse la sua
diversità, i negozi degli ebrei
non subirono alcun danno. Vi
furono delle eccezioni a quella
ingiusta e vergognosa Legge: i
cittadini di origine ebraica
classificati
come “Benemeriti della
Patria“ non subirono
alcuna
restrizione, come anche
chi aveva antenati combattenti
nelle guerre del nostro
Risorgimento o per chi era stato
combattente nella Prima Guerra
Mondiale, nella guerra di
Abissinia e di Spagna, altro
beneficio per coloro che si
erano iscritti al Partito
Fascista prima del 1922.
Come il
lettore può notare, quella legge
pur discriminante e settaria non
fu disumana, cosa che invece
contestano certi “storici“, a
mio giudizio Mussolini non
commise alcun crimine contro i
cittadini italiani di origine
ebraica, che da secoli vivevano
in Italia pacificamente e con
laboriosità; la maggiore parte
di essi risiedevano a Roma.
Se vi furono
delle deportazioni, queste
avvennero dopo l’8 settembre
1943, quando a seguito di un
ignobile armistizio i tedeschi
occuparono Roma; di quelle
deportazioni non si può
addossare alcuna colpa a
Mussolini: il Fascismo era
finito in Italia il 25 luglio
del 1943.
Rimanendo in
argomento, richiamo
all’attenzione del lettore un
fatto (cui ho già accennato in
un altro mio libro sulla Libia),
che desidero far conoscere; il
maresciallo dell’Aria Italo
Balbo, Governatore Generale
della Libia, quando assunse
quella alta carica, nominò quale
comandante dell’Arma dei
Carabinieri della Libia il
generale Ivo Levi che era di
origine
ebraica
e non lo destituì neanche
quando venne emanata quella
vergognosa legge razziale; anzi
Balbo si ribellò e fece sì che
pochissimi degli oltre 25.000
ebrei che vivevano in Libia
venissero colpiti dalle
disposizioni impartite da Roma;
vennero licenziati solo pochi
anziani impiegati, ormai vicini
alla pensione e sempre per sue
disposizioni ottennero, oltre
gli arretrati degli stipendi che
erano stati sospesi appena
emanata la legge anti-ebraica,
anche la pensione. A coloro che
furono licenziati
e che avevano intenzione
di continuare a lavorare in
privato,
si permise di ottenere
licenze per svolgere attività in
proprio; a onore della verità
bisogna riconoscere che alcuni
alti gerarchi del fascismo la
pensavano come Italo Balbo; i
nomi: il Ministro Teruzzi, il
maresciallo d’Italia De Bono e
Giuseppe Bottai che fu ministro
dell’Educazione Nazionale.
Altra accusa
rivolta a Benito Mussolini
sempre da certa stampa servile,
fu quella di avere scatenato una
guerra così catastrofica
insieme a Hitler; anche
questa accusa ha fondamenta
false, Mussolini non volle la
guerra, é assodato che più volte
e in tutte le Conferenze
Internazionali fu promotore di
proposte di pace. Come già
evidenziato precedentemente
nella descrizione della politica
internazionale del fascismo, che
va dal 1922 sino alla conferenza
di Monaco nel 1939, ci si rende
conto che non fu Mussolini il
colpevole, ma Hitler e i
tentennamenti
pro Germania dei Governi
inglesi che si erano susseguiti
dal 1935
sino allo scoppio del
Secondo Conflitto Mondiale, che
incoraggiarono le mire
espansionistiche della Germania
nazista.
Oggi, alla
luce delle documentazioni emerse
dagli archivi dopo decenni di
isolamento forzato, si può
ragionevolmente affermare, che
furono inglesi e francesi che
con la loro stolta politica di
chiusura verso l’Italia,
portarono il Duce verso Hitler.
E’ dimostrato
anche che Mussolini non vide mai
di buon occhio il nazismo,
questo anche dopo il 1935 quando
la politica anti-italiana
voluta dall’Inghilterra
e in alcuni casi anche
dalla Francia, lo fecero
avvicinare ad Hitler; la
politica internazionale di
Mussolini dal 1922 al 1935 fu
decisamente antitedesca e
affiancò in quei periodi la
politica di Francia e
Inghilterra.
Nelle varie
Conferenze Internazionali
Mussolini, si allineò quasi
sempre alle tesi di questi due
Paesi anche se qualche volta
sorsero dei logici e naturali
contrasti; firmò Trattati a
protezione di quelle nazioni che
potevano essere minacciate dalla
Germania nazista, vedi
l’Austria,
la Cecoslovacchia,
la Polonia, ciò
a dimostrazione che condannava
aggressioni e provocazioni
naziste.
Vorrei
portare a conoscenza quanto
scriveva lo storico inglese
R.B. Mc Callum, sulla politica
internazionale di Mussolini...”chiunque
sappia leggere tra le righe dei
documenti britannici, non può
sottrarsi alla chiara
impressione che Mussolini fosse
disposto a servirsi anche della
forza per tenere a freno Hitler...”(14)
Su quanto
hanno scritto alcuni storici, i
quali confermano che la politica
antinazista di Mussolini dal
1932 al 1935, avversa
allo avvento di Hitler al
potere, era dovuta al fatto che
il Capo del fascismo, vedeva nel
nazismo ( o socialismo nazionale
) un avversario nella sua
politica internazionale nella
influenza nei Balcani e in
Austria, questa tesi a mio
avviso è accettabile,
considerando la conquista
dell’Albania.
Gli stessi
storici asseriscono inoltre, che
tra fascismo e nazismo vi erano
delle affinità ideologiche,
credo che questa sia una
asserzione più propagandistica
che reale. Il nazismo nacque
da una politica di
ritorsione e vendetta nazionale
causata dalla cocente sconfitta
militare della Germania e in
seguito alle umilianti
condizioni di resa imposte dai
vincitori; un popolo orgoglioso
quale il tedesco, era naturale
che non accettasse supinamente
in toto il punitivo e gravoso
Trattato di Versailles; questo
Hitler lo capì e basò la sua
politica nazista e sociale su
quel diffuso malcontento: fu
l’asso vincente e il
nazionalsocialismo si estese su
tutta la Germania.
Il fascismo
invece, ebbe origine da una
situazione economica disastrosa,
da una incapacità politica
altrettanto pericolosa che
tendeva ad introdurre in Italia,
oltre la dottrina
social-comunista anche il suo
potere, il ché avrebbe causato
la perdita d’identità nazionale.
Mussolini capì quale doveva
essere la giusta via da seguire
ed affrontò quei problemi; ecco
allora l’avanzata del fascismo
che fece presa oltre che sul
popolo anche sulla classe
industriale, militare e nel
clero. Una chiara sconfitta di
inettitudine politica.
Secondo il
mio giudizio, non vi fu alcuna
affinità ideologica o pratica
tra fascismo e nazismo, poiché
marciarono ambedue su direttive
diverse.
Altro
episodio significativo sulla
politica di ambiguo
tentennamento inglese nei
confronti della Germania
nazista, lo si ebbe, come sopra
già descritto, nel marzo del
1936 quando le truppe tedesche
occuparono
la Renania,
allora sotto amministrazione
francese, il cui governo,
presieduto da Albert Sarraut,
reagì a quella occupazione e il
ministro degli Esteri francese
Flandin si rivolse
all’Inghilterra
per avere un appoggio
militare onde respingere dalla
Renania i tedeschi ma ne ebbe un
rifiuto.
Quella
rinuncia della Gran Bretagna di
aiutare
la Francia
fu un grave errore, se le due
nazioni allora avessero
dichiarato guerra alla Germania
nazista, le sorti del mondo o
meglio dell’Europa oggi
sarebbero diverse, in quanto
la Germania nel
1936, pure avendo già una forte
flotta aerea, disponeva di un
esercito
numericamente inferiore a
quello di Francia e
Cecoslovacchia, nazione questa
che aveva siglato anni prima con
la Francia un
impegno militare in caso di
guerra. In più vi era l’apporto
sia terrestre che aereo
dell’Inghilterra; da aggiungere
anche le forze armate della
Polonia, anch’essa impegnata da
accordi militari con Francia e
Inghilterra. Questa
considerevole forza militare
avrebbe, certamente pur con
gravi perdite, sconfitto
l’esercito tedesco anche perchè
questo veniva ad essere
impegnato su tre fronti. Viene
spontaneo domandarsi: l’Italia
come si
sarebbe
comportata? Mussolini sarebbe
corso in aiuto di Hitler? Io
credo di no in quanto non vi era
ancora nessun accordo militare e
politico con la Germania.
Il rifiuto
inglese di aiutare la Francia fece perdere
l’occasione per bloccare le
ricorrenti mire espansionistiche
e di aggressività del nazismo;
un atto di coraggio degli
inglesi avrebbe risparmiato
all’epoca la vita a milioni di
soldati e di civili e la guerra
gli alleati invece di averla
vinta nel 1945 l’avrebbero
potuta vincere nel 1936. Una
colpevole debolezza inglese, da
valutare e condannare.
Hitler,
incoraggiato purtroppo dalle
paure e dai tentennamenti del
governo inglese, continuò nella
sua politica aggressiva e di
riarmo del III Reich. L’11 marzo
1938 fu la volta dell’Austria
che venne occupata senza colpo
ferire. Ci si domanda : perché
questa volta Mussolini
non reagì come nel 1934 ?
Due a mio
giudizio furono le ragioni: la
prima fu che il Duce, pur avendo
allineato la nostra politica
internazionale a quella tedesca,
ma non ancora convinto
militarmente, aveva capito che
non vi era, da parte inglese e
francese, la fermezza e la
volontà di bloccare Hitler e
quindi Egli da solo nulla
avrebbe potuto fare questa volta
per garantire la pace in Europa,
pur essendo stato nel 1934 il
solo sostenitore
dell’indipendenza austriaca e
anche perché non intendeva avere
ai confini del Brennero una
poderosa Germania nemica. La
seconda ragione fu quella che
Hitler, da Mussolini
interpellato prima della
invasione, garantì che i confini
del Brennero non venivano
intaccati o violati, che la Germania o meglio il
partito nazista austriaco, che
in quel momento aveva quasi
tutto il potere del paese,
assicurava l’emanazione di un
plebiscito “democratico”
popolare che lasciava scegliere
agli austriaci nel volere o non
volere l’annessione nel “Terzo
Reich“; dietro queste precise
ammissioni del Fuhrer, il capo
del Governo italiano si ritenne
soddisfatto e non si oppose
all’annessione. Il referendum fu
fatto con un eclatante
risultato, il 99% della
popolazione chiese di essere
incorporato alla Germania, solo
11.320 scrissero sulla scheda
“NO“ e 5.776 furono le schede
bianche; così il 13 marzo del
1938 l’Austria
divenne tedesca, il 14
marzo Hitler entrava
trionfalmente a Vienna,
l’Anschluss era compiuto. Il 5
maggio di quello anno Mussolini
riconosceva ufficialmente
l’annessione dell’Austria al
Reich e faceva
significativamente un passo
avanti verso la nuova Germania.
Ancora nel
1938, dopo l’Anschluss, se
Francia, Inghilterra e alleati
europei tutti uniti avessero
dichiarato guerra alla Germania,
questa, come nel 1936, era
ancora militarmente inferiore
alle forze alleate messe
insieme; i tedeschi in quel
momento disponevano si di un
numero maggiore di divisioni di
fanteria e corazzate e come
sopra accennato, ne potevano
approntare in breve tempo altre,
comunque sempre numericamente
inferiori alle forze alleate che
potevano mettere in campo almeno
200 divisioni. Su questi dati di
fatto la Germania nazista non
avrebbe avuto alcuna possibilità
di vittoria anche se disponeva
di un esercito magnificamente
addestrato e una aviazione
potente. Probabilmente a guerra
iniziata, il Capo del nazismo
sarebbe stato allontanato dal
potere, in quanto molti generali
tedeschi, conoscendo
l’inferiorità numerica
dell’esercito tedesco in quel
momento, non avrebbero
continuato una guerra da loro
ritenuta già perduta. Ma allora,
ci si domanda: perché quando
scoppiò il conflitto del 1939, i
generali tedeschi non si
ribellarono a Hitler ? Nel 1937
c’era stata la sostituzione
punitiva dei generali von
Blomberg e Fritsch: un primo
esempio.
Questa
potrebbe essere la risposta: i
generali si erano resi conto che la Germania nel 1939, aveva
ormai l’esercito più potente del
mondo anche se non numericamente
ma il meglio armato, quindi
sicurezza
nella vittoria! Infatti
in un solo anno
la Wehrmacht
era riuscita ad approntare 86
divisioni di fanteria, 3
divisioni alpine, 6 divisioni
corazzate pesanti, 4 divisioni
corazzate leggere, 4 divisioni
motorizzate e il numero di
soldati mobilitati, in caso di
estremo bisogno, poteva
raggiungere in breve tempo la
cifra di 4.500.000;
la Luftwaffe
agli ordini del maresciallo del
Reich Hermann Gòring, era molto
potente e la produzione
industriale aviatoria, era in
grado entro la fine del 1939, di
produrre almeno altri 8.000
aerei;
la Marina aveva
già in mare: 2 corazzate
pesanti, 6 leggere, 1
incrociatore pesante e 6
leggeri, 57 sommergibili, 21
cacciatorpediniere, 12 siluranti
e un numero imprecisato di altro
naviglio leggero. Questa
impressionante forza militare,
certamente fece decidere i
generali ad
accettare la guerra e a non
ribellarsi. Eppure nel 1944 un
gruppo di generali tedeschi che
contavano, tentò di eliminare
Hitler e di porre fine al
conflitto,
che certamente ritenevano
perduto! Purtroppo il loro piano
fallì e vennero tutti
giustiziati.
L’occupazione
della Cecoslovacchia avvenuta il
15 marzo, amareggiò e scoraggiò
veramente il Duce che nella
conferenza di Monaco aveva dato
tutto il suo massimo appoggio
per la riuscita di quella che
doveva essere la Conferenza della pace; infatti ne troviamo
testimonianza su quanto scrisse
Galeazzo Ciano nel suo Diario in
data 19 marzo 1939... “Mussolini
fu fortemente indignato per la
questione Cecoslovacchia in
quanto Hitler lo tenne
all’oscuro dei suoi veri
propositi di conquista...”
Il disappunto
di Mussolini venne recepito
dalla diplomazia francese e
inglese che subito ne
approfittarono per spingere il
Capo del fascismo a passare
dalla loro parte dopo essersi
resi conto degli errori fatti
verso l’Italia e della necessità
di rimediarvi. La Francia cercò di
riallacciare quei rapporti
amichevoli che purtroppo erano
andati perduti nel 1935 con la
guerra di Abissinia, il ministro
degli Esteri francese Bonnet
onde convincere Mussolini a un
ravvicinamento fece delle
piccole concessioni, quali una
partecipazione azionaria alla
amministrazione del Canale di
Suez, un compromesso su Gibuti,
ancora qualche altro beneficio
sugli italiani residenti in
Tunisia ma fu intransigente alle
altre richieste di Mussolini,
alcune delle quali di valide
giustificazioni sulla cessione
di Nizza, Savoia, Corsica e
Tunisia: richieste naturalmente
respinte e di conseguenza nessun
ravvicinamento; anche
l’Inghilterra tramite Neville
Chamberlain, cercò di portare
l’Italia alla vecchia amicizia
degli anni 1922 sino al 1935 ma
anche con l’Inghilterra che
temeva richieste non accettabili
il riavvicinamento fallì.
Un paradosso,
Mussolini malgrado non avesse
simpatie per il nazismo e per la
politica di aggressività di
Hitler e fosse stato sino ad
allora fautore di pace, il 22
maggio del 1939 si legava
maggiormente alla Germania con
il famoso “Patto d’acciaio“ che
il conte Galeazzo Ciano e il
ministro Joachim von Ribbentrop
firmarono a Berlino.
Altro motivo
di indignazione di Mussolini fu
quando Hitler, non
consultandolo, firmò
segretamente con la Russia un trattato militare
di non aggressione, in parole
povere, quel trattato, non era
altro che la spartizione della
Polonia che il capo del nazismo
si accingeva a conquistare: la
scusante di quella occupazione,
come noto, fu il famoso
“corridoio di Danzica“.
Mussolini venne a conoscenza,
sia del patto del Reich con la Russia che dell’intenzione
dell’aggressione al popolo
polacco, tramite l’ambasciatore
inglese a Roma.
Quella
scorrettezza di Hitler nei
confronti di Mussolini ormai
alleato, fece sì che esponenti
fascisti con Ciano in testa e
militari quali Graziani,
Cavallero, Baistrocchi e lo
stesso Balbo, cercarono di
persuadere Mussolini a rompere
per violazione morale lo spirito
dell’accordo militare (Patto
d’acciaio) e uscire fuori dalla
sfera tedesca; in un primo
tempo, ancora sotto tale
indignazione, Egli avallò la
proposta di Ciano ma dopo
qualche giorno scrisse a Hitler
una lettera nella quale
affermava che l’Italia avrebbe
preso iniziative militari a
favore della Germania qualora
questa fosse stata aggredita da
Francia o Inghilterra, mentre
sarebbe rimasta neutrale qualora
si fosse verificato il
contrario. Sono certo che nelle
intenzioni di Mussolini era
presente non tanto la nostra
impreparazione (che in effetti
esisteva ), quanto il guadagnare
del tempo onde avere ancora una
possibilità di salvare la pace,
appellandosi alle trasgressioni
tedesche.
Hitler non
tenne conto di quella lettera e
attuò il suo piano di
occupazione della Polonia:
Mussolini come sopra già detto,
si attenne allora a dichiarare
l’Italia paese ancora neutrale e
“ Non belligerante “:
siamo nel 1939.
Ovviamente il
lettore si chiederà: perché
Mussolini dopo avere dichiarato
la
“Non belligeranza “, il
10 giugno 1940 entrò in guerra a
fianco della Germania ?
Tre furono, a mio parere,
le ragioni che spinsero il capo
del Governo italiano
a dichiarare guerra a
Francia e Inghilterra. La prima
fu quella di mantenere fede allo
spirito del “Patto d’Acciaio“
ove era contemplato, che qualora
la
Germania
fosse stata messa in stato di
guerra da parte francese e
inglese (il ché avvenne in
quanto Hitler fu così abile da
farsi dichiarare guerra),
l’Italia
si sarebbe
affiancata militarmente alla
Germania. La seconda ragione fu
quando Mussolini
vide la Francia in ginocchio, con i tedeschi che
avanzavano su tutto il suo
territorio e l’Inghilterra ormai
sull’orlo di essere invasa,
quindi sicuro che quel conflitto
non sarebbe continuato ancora
per oltre un mese e volendo
sedersi al tavolo del vincitore
dichiarò opportunisticamente la
guerra.
La terza
ragione a mio avviso, fu quella
che maggiormente Mussolini tenne
in
considerazione: se fosse rimasto
neutrale, Hitler avrebbe preso
quella neutralità come
tradimento e certamente si
sarebbe vendicato invadendo
l’Italia, tesi questa forse non
avventata, poiché
la Germania
in più occasioni dimostrò di
fare da sola.
A chiusura di
questo capitolo vorrei fare
ancora qualche considerazione: è
facile per molti improvvisati
storici, per certa stampa
calunniosa ma soprattutto per
quegli italiani che con la loro
secolare irriconoscenza settaria
e la scarsa cultura del concetto
di Nazione, hanno voluto
addossare ogni responsabilità
della guerra perduta a
Mussolini. D’accordo che Egli
ebbe delle responsabilità, a me
è costato moltissimo
attribuirgliele, ma condanno
senza indulgenza quegli alti
responsabili militari che
gravavano attorno alla sua
persona di capo militare, i
quali accettavano ogni sua
proposta senza contraddirlo,
ribellarsi o dare le dimissioni,
questo era il loro dovere e non
giungere a soliti compromessi
all’italiana con i risultati che
tutti oggi conosciamo.
Io non credo
sia giusto addossare tutta la
responsabilità di una guerra
perduta a un Uomo che era
riuscito a portare l’Italia da
modesto Paese politicamente
sconclusionato a grande Potenza;
certamente molti “storici“ per
ragioni di opportunismo
politico, hanno volutamente
falsato la nostra storia.
D’accordo che per ogni guerra
perduta e inevitabile cercare un
responsabile, per l’Italia fu
prescelto, in funzione delle sue
numerose attribuzioni come “Capro
espiatorio”, Benito Mussolini.
Pagò con la vita il suo amore
per l’Italia e in un modo
orribile, fu un assassinio e il
suo corpo
dato in pasto alla
teppaglia popolare che ne fece
scempio.
Quanto da me
scritto in questo capitolo sono
riflessioni e argomenti a sola
difesa di una parte della Storia
d’Italia, che bene o male ci
appartiene ed io una parte di
questa storia ho avuto la
fortuna di viverla e così ho
voluto descriverla; lascio al
lettore ogni giudizio su quanto
ho inteso portare a sua
conoscenza, così da permettergli
di esprimere il suo concetto
sulla politica internazionale
italiana, che và dal 1922 sino
allo scoppio della Seconda
Guerra Mondiale, compreso
l’operato del capo del Governo,
Benito Mussolini.
NOTE DEL !°
CAPITOLO
N°1
– Richard Lamb in “Mussolini e
gli inglesi” pag.41
N°2
– Richard Lamb in “Mussolini e
gli inglesi” pag.45
N°3
– Libia Italiana – Editrice
Italia – pag.42
N°4
– Richard Lamb in “Mussolini e
gli inglesi” pag.53
N°5
– W.Churchill –
La Seconda Guerra
mondiale –Parte 1^
N°6
– Il Patto era stato firmato a
Roma il 6 giugno dal
rappresentante del
Governo tedesco, allora
presieduto dal Cancelliere von
Schleicher che
era succeduto a Franz von
Papen
N°7
– W. Churchill –
La Seconda Guerra
mondiale – Parte 1^ -Cap.VIII
N°8
– W. Churchill –
La Seconda Guerra
mondiale – Vol.1°
N°9
– MEMEL, città della Lituania
importante per il suo porto, con
una
popolazione di circa
49.000 abitanti, formata da
russi, polacchi,
slavi e con grande
prevalenza di popolazione di
origine germanica;
disponeva di una
superfice di 2.447 Kmq.
Il Trattato di Versailles
del 28 giugno 1919 tolse alla
Germania
sconfitta quel territorio
e, con gli articoli 28 e 29 lo
proclamò
“territorio neutrale” ma
sotto controllo tedesco. Nel
1923, causa
alcune controversie,
la Società
delle Nazioni, tolse alla
Germania
il controllo del
territorio e nel 1924 ne affidò
la giurisdizione
alla Lituania.
La Germania
nazista il 22 marzo del 1939,
occupava
quanto era venuta ad un
accordo pacifico con la Lituania.
N°10 –
DANZICA, anche questa importante
città sul mare Baltico con il
porto
di Gdynia; prima del
conflitto mondiale del 1914-1918
era parte del
territorio tedesco della
Prussia
Orientale, alla sconfitta
della
Germania, sempre con il
Trattato di Versailles venne
dichiarata e
internazionalizzata come
“Città Libera”, affidandone alla
Polonia
l’Amministrazione
doganale, concedendole anche il
possesso definitivo
di tutto il territorio
attorno alla città.
Nel 1939, il governo del
Reich chiese alla Polonia il
libero accesso
a Danzica attraverso un “corridoio
extraterritoriale” nel
territorio
da essa occupato, per
collegare la città alla Prussica
Orientale con
capitale Konigsberg,
permettendo così ai tedeschi di
usufruire del
porto di Gdynia,
richiesta questa che venne
respinta dalla Polonia,
fornendo alla Germania,
con tale lesiva decisione,il
pretesto per
il Secondo conflitto.
N°11-
Galeazzo Ciano – Diario datato
1-9-1939 Vol.1
N°12-
W.Churchill –
La Seconda Guerra
Mondiale – Vol.2°- Parte II
N°13-
Generale Luigi Mondini- Prologo
del Conflitto italo-greco.
N°14-
Richard Lamb – Mussolini e gli
inglesi – Pag.156