Sono tuttora grato al Generale
Mohammed Zentuti perché fu lui a
introdurmi a Corte per
cine-fotografare tutte le
manifestazioni alle quali il
Sovrano avrebbe presenziato.
Alla vigilia di quello che per
me sarebbe stato un grande
avvenimento, il Generale Zentuti
mi fece alcune raccomandazioni:
non fare mai domande ma
ovviamente rispondere se me le
avessero fatte, massima
riservatezza su tutto ciò che
avrei visto e sentito prima,
durante e dopo le
manifestazioni.
Il primo incontro con Sua Maestà
ebbe luogo a Misurata alla
vigilia del suo primo viaggio da
Re alla volta di Tripoli. Ero
molto emozionato nonché
imbarazzato, in quanto italiano,
perché conoscevo bene la sua
storia.
Nato a Giarabub nel 1890,
Mohammed Idris El Mehdi
Es-Senussi, era il Capo della
Senussia: una Confraternita
politico-religiosa molto potente
che, in nome del risveglio
religioso e dell’osservanza alla
tradizione islamica, cercava di
attuare un recupero
dell’arabismo classico. Si
oppose pertanto, anche per
motivi religiosi, alla conquista
italiana della Libia e
soprattutto della Cirenaica i
cui territori dell’interno gli
furono assegnati nel 1917 con il
patto di Akroma. In seguito alla
ripresa del conflitto per la
riconquista da parte italiana
del territorio (1928-1930) fu
costretto a riparare in Egitto
rientrando soltanto alla fine
della seconda guerra mondiale.
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Mohammed Idris El Mehdi
Es-Senussi |
Avevo già potuto constatare, già
dai primi giorni del suo Regno,
che aveva dimenticato gli orrori
della guerra ed il lungo esilio.
Egli, capo di una setta
religiosa molto ortodossa, aveva
permesso che i non musulmani
residenti continuassero a
professare il loro credo, a
lasciare aperte al culto Chiese
e Sinagoghe e a tollerare la
Processione del Corpus Domini
che talvolta passava proprio
davanti al Palazzo Reale. Anche
l’attività delle Scuole dei
Fratelli Cristiani non fu
interrotta. Tutti hanno potuto
continuare ed esercitare la
propria professione ed i propri
commerci.
Pensavo, però, che se mi avesse
trattato con freddezza e
distacco, non avrei certamente
avuto motivo di meravigliarmi.
Ma i miei timori si rivelarono
infondati poiché, quando iniziai
a scattare le prime foto e i
primi filmati, dimostrò subito
di gradire e di apprezzare il
mio lavoro. E non si infastidiva
neanche quando, per esigenze
tecniche, mi avvicinavo
indugiando troppo con la
cinepresa.
Quando non scattavo fotografie e
non filmavo, senza farmi
accorgere, l’osservavo con
attenzione. Indossava sempre
impeccabili costumi nazionali.
Era un uomo dal portamento molto
nobile e dall’aspetto sempre
tranquillo. Conversava raramente
con coloro che facevano parte
del suo seguito e quando lo
faceva, parlava sommessamente e
a monosillabi. Non l’ho mai
visto ridere né sorridere. Era
sempre molto serio, ma sereno e
mi dava l’impressione di essere
un uomo che pensasse molto.
Impressioni che non mutarono
negli anni successivi.
Per quanto riguarda il suo
atteggiamento nei miei
confronti, trovandomi molto
spesso vicino a lui, mi accorsi
che qualche volta mi guardava
direttamente senza mai dirmi una
sola parola. Ebbi la sensazione
che veramente gradisse non solo
il mio lavoro ma anche il mio
modo di comportarmi.
Non potrò mai dimenticare quanto
accadde in occasione di un
viaggio del Re da Tripoli alla
volta di Tobruk per la consegna
della bandiera di combattimento
ad una unità corazzata
dell’Esercito Libico. Alcuni
chilometri dopo il villaggio che
allora si chiamava Corradini,
giunti all’altezza di una zona
dunosa dove i nostri agricoltori
avevano fatto crescere
rigogliosi ulivi, fece fermare
la macchina, scese da solo e,
dando qualche preoccupazione
alla scorta, si recò ai bordi
della strada soffermandosi a
guardare le piantagioni. Scesi
anch’io per chiedergli se dovevo
scattare delle fotografie, mi
disse “là”, (no) e mentre
stavo per allontanarmi fece un
cenno con la mano in direzione
degli ulivi e mi disse:
“Queies” (buono).
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...giunti
all’altezza di una
zona dunosa dove i
nostri agricoltori
avevano fatto
crescere rigogliosi
ulivi... |
Quell’unica parola e per il modo
con cui era stata pronunciata,
ha avuto per me lo stesso
effetto di un lungo discorso.
Rivolta verso di me, chiaramente
come italiano, mi fece capire
che era una manifestazione di
ammirazione nei confronti
dell’opera dei nostri contadini.
Fu sempre in occasione di quel
viaggio che, tramite uno dei
suoi collaboratori, mi chiese di
scattare alcune foto ufficiali;
quella che figura in questo
articolo fu scelta da Lui
personalmente. Prima di lasciare
Tobruk rimasi a dir poco
sbalordito quando la stessa
persona del suo seguito mi disse
che Sua Maestà il Re aveva
espresso desiderio di scattare
nel Palazzo Reale di Tripoli
delle fotografie alla Regina
Fatma. Il giorno dopo il mio
arrivo a Tripoli contattai la
sua segretaria che era già al
corrente del desiderio del Re.
La sera stessa del nostro
colloquio telefonico, in uno dei
saloni più belli del Palazzo
Reale, incontrai la Regina Fatma
che sorridendo mi disse di
essere pronta per essere
fotografata; il risultato è
quello che appare in questo mio
articolo.
Difficilmente potrò dimenticare
Re Idris, questa figura severa
ma serena, questa persona sempre
seria ma non autoritaria, il
portamento semplice ma regale.
Sono questi avvenimenti che
hanno reso interessante e
piacevole la mia professione:
Silvio Peluffo