Tempo fa, passeggiando per una
via principale di Roma, notai
che, nella vetrina di una
profumeria, tra i tanti
flaconcini di profumo, ne
figurava uno con un nome a noi
tutti molto familiare:
“Ghibli”.
“Ghibli”? Dissi sottovoce.
Incuriosito non esitai un solo
attimo ad entrare nel negozio
per acquistarne uno.
Volli immediatamente odorare il
contenuto e fui inebriato dal
delicato profumo che ne usciva.
La commessa mi guardò
meravigliata e perplessa.
“Signorina”
le dissi “Questo profumo è
sublime come lo è la sua
bellezza ma il vero profumo del
Ghibli è un’altra cosa!”
Mentre uscivo, mi resi conto di
aver aumentato la sua
perplessità anziché fugarla.
Sono così ritornato su i miei
passi ma soprattutto sono
ritornato col pensiero a molti
decenni prima.
Avendo attraversato molte volte
il Sahara, ho avuto occasione di
conoscere qual’era in realtà il
“profumo del Ghibli”, vento così
chiamato perché proveniente
dalla Ghìbla, nome che i
Libici danno alla regione a sud
della Tripolitania
settentrionale. È lo scirocco
italiano da cui differisce
notevolmente. Soffia impetuoso
sollevando minuscoli granelli di
sabbia bianchissima se
proveniente dalle dune del
mare di sabbia di Kalamscio
(Sahara orientale libico) oppure
di sabbia rossastra se
proveniente dalla Hammada el
Hamra. Ma oltre a sabbia,
viene sollevato anche il
feshfesh polvere impalpabile
che rende l’aria irrespirabile
ed accecante. È un vento secco
le cui folate sembrano uscire da
una fornace. Spesso riesce ad
attraversare il Mediterraneo ed
a raggiungere anche le Alpi.
Ovviamente perde di intensità e
di calore ma lascia il segno: la
sua cipria, soprattutto
sulle auto.
A volte è molto violento ma
probabilmente Erodoto non si
riferisce al Ghibli quando dice
che durante una spedizione gli
Psilli furono tutti quanti
seppelliti da un vento
impetuoso.
Cosa dire del calore? Ricordo
che il termometro che portavo
sempre con me molte volte
raggiungeva i 60 gradi!
Ma da dove nasce e si sviluppa
questo inferno? Non era certo
così un tempo quando al posto
del deserto c’erano foreste,
fiumi, laghi e persino il mare.
Il tutto confermato dai
ritrovamenti di fossili di varie
specie di dinosauri, pesci,
uccelli, di enormi tronchi di
alberi e di una miriade di
piante minori e vegetazione
varia.
Gli scienziati hanno formulato
diverse teorie sulla
desertificazione di tutta quella
parte del mondo. Spesso non si
sono trovati d’accordo ma una
cosa è certa: il deserto
continua ad avanzare coprendo di
dune, oasi e villaggi.
Ricordo che un giorno, Mr. John
Tappin, Ambasciatore degli Stati
Uniti d’America in Libia,
sapendo che conoscevo molto bene
il deserto, mi convocò per
chiedermi se potevo aiutare un
medico giunto dagli USA su
richiesta del Governo Libico
perché nella lontanissima oasi
di Uau En-Namus (così
chiamata perché era infestata da
grandi zanzare: namus in
arabo), si era sviluppata
un’epidemia che procurava, alla
popolazione di quell’inospitale
luogo, febbre altissima.
Mi permisi di suggerire
all’Ambasciatore ed a quel
giovane medico presente al
colloquio che, per evitare un
viaggio enormemente disagevole
ed una sfacchinata in auto di un
migliaio di chilometri, il mezzo
più adeguato sarebbe stato
l’aereo.
“Niente affatto”! Disse il
medico che probabilmente voleva
unire l’utile al dilettevole
(secondo lui). “Non voglio
perdere l’occasione di
attraversare il deserto”!
Il viaggio si svolse in
eccellenti condizioni
atmosferiche ed il Dott. George
Sykes, rimase soddisfatto della
sua decisione di compiere il
percorso via terra perché oltre
alla vasta zona desertica poté
visitare anche Hon, Sebha, Uau
El Kebir.
Oltre al dottore ed il
sottoscritto c’era anche Mohamed
Salah l’autista della Land
Rover, veicolo adattissimo ad
attraversare il deserto.
All’arrivo fummo accolti
calorosamente dagli abitanti:
quasi tutti Tuaregh.
Al Dott. Sykes bastò visitare
alcuni ammalati per capire che
si trattava di tifo causato
dall’acqua inquinata di alcuni
pozzi. Avrebbe fatto pervenire
urgentemente per via aerea le
medicine necessarie e l’epidemia
sarebbe stata debellata.
Qualche giorno dopo decidemmo di
ripartire alla volta di Tripoli.
Il tempo si mantenne ottimo fino
ad Hon, poi l’odorato
sensibilissimo di Mohamed Salah
e la temperatura che salì
improvvisamente, preannunciarono
senza alcun dubbio l’arrivo del
Ghibli. Informammo il Dott.
Sykes che doveva prepararsi ad
affrontare per non meno di tre
giorni una violenta tempesta di
sabbia quindi chiesi a Mohamed
se era il caso di rientrare ad
Hon oppure di raggiungere Bun
Gem. Decidemmo di raggiungere
quel piccolissimo paese dove
sapevamo esistesse, vicino al
forte, un pozzo di acqua
potabile. Chiedendo
l’impossibile al motore della
grande Land Rover raggiungemmo
in gran velocità il pozzo appena
in tempo da non essere colpiti
dalla tempesta. Avevamo esaurito
le scorte d’acqua e le ghirbe
che usavamo per mantenere
l’acqua ad una temperatura
accettabile erano vuote. Ma per
fortuna c’era il pozzo e quindi
calammo il secchio assicurato ad
una lunga corda per rifornire le
due ghirbe. Ritirando il
secchio colmo, notammo che
l’acqua conteneva piccoli vermi
di colore rosso. Vermi d’acqua o
di qualche piccolo animale
precipitato nel pozzo e quindi
acqua inquinata? Il Dott. Sykes
che aveva seguito tutta
l’operazione a bordo dell’auto
disse che non avrebbe mai bevuto
quell’acqua. Mohamed Salah,
nativo di Hon e che di acqua di
pozzo se ne intendeva, dopo un
accurato esame disse che era
solo necessario filtrare l’acqua
con un fazzoletto. Personalmente
ho sempre avuto fiducia cieca
nei confronti degli uomini del
deserto e dissi che anch’io non
avrei avuto alcuna difficoltà a
bere quell’acqua.
Il Dott. Sykes, seccato della
nostra decisione, chiese di
ripartire immediatamente ma, nel
frattempo, il Ghibli era
diventato così violento da
ridurre la visibilità a nemmeno
di un metro rendendo quindi
impossibile riprendere il
viaggio.
La notte, rannicchiati
nell’interno della Land Rover,
riuscimmo a dormire qualche ora
ma, all’alba, il Ghibli soffiava
ancora con violenza e la sete
del Dott. Sykes aumentava.
Mohamed ed io continuavamo a
bere senza aver alcun problema
ma non riuscimmo a convincere il
dottore. Al terzo giorno ci
accorgemmo che il Dott. Sykes
pronunciava frasi sconnesse ed a
quel punto decidemmo di dargli
da bere con la forza. Si
riprese, per fortuna, e passata
la tempesta raggiungemmo Tripoli
dove, alla presenza
dell’Ambasciatore, il dottore
non finiva mai di ringraziare
sia Mohamed che me per avergli
salvato la vita.
Ho voluto ricordare questa
avventura (e ne avrei tante
altre da raccontare) perché il
Sahara che sempre mi ha
affascinato oltre ad essere
quella meraviglia della Natura
così ben descritta da scrittori
e poeti in termini romantici, è
pieno di insidie e non solo per
le tempeste di sabbia ma anche
per le sabbie mobili e tanti
altri imprevisti.
Ma come nasce e si sviluppa con
tanta violenza il Ghibli? Lascio
a chi di dovere la spiegazione
scientifica. Mi limito a
descrivere ciò che ho visto e
notato più volte. Spesso al
tramonto si nota una particolare
chiarità ed un’insolita calma
nell’atmosfera. È il Ghibli che
avverte la popolazione del
deserto che sta arrivando e la
invita a cercare riparo.
La temperatura mediamente sui 40
gradi sale improvvisamente a 60
gradi circa. Si formano
immediatamente numerosi
mulinelli di sabbia che si
spostano rapidamente alzandosi
verso l’alto e diventando sempre
più voluminosi. Si crea così una
barriera di sabbia che aumenta
continuamente di consistenza. A
questo punto inizia a soffiare
un forte vento da Sud verso Nord
che diventa accecante e che
soffiando anche in altitudine,
spinge sabbia e polvere a grande
distanza.
Ecco, così ho visto nascere il
Ghibli e ne conservo ancora
l’odore che … non è certo quello
imprigionato nel flaconcino di
profumo da me acquistato a Roma
in occasione di una bella
passeggiata.
Il vero Ghibli, forse ha lo
stesso odore delle rose del
deserto. Ne regalerò una
alla bella profumiera, uno di
questi giorni.
Silvio Peluffo