Arabismi
Un
giorno di circa 60 anni fa
di
Domenico Ernandes
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Domenico Ernandes
Avevo
da poco compiuto i nove anni di età e quella mattina mi ero svegliato
presto, forse saranno state le sei. Fuori era buio, tirava vento e
pioveva a dirotto. Le nostre case a Tripoli, almeno nella zona del Lido
vecchio , non erano fornite d'impianti di riscaldamento. Ci scaldavamo
indossando i nostri vestiti più pesanti. Andando in bagno mi accorsi
che la luce della cucina era accesa. Al ritorno, incuriosito, mi
diressi direttamente in cucina. Mia madre con le guance un po'
arrossate per la fatica era intenta a mantecare un impasto bianco e molle - “Buongiorno Mamma, cosa stai
facendo?". “Buongiorno
- mi rispose - non vedi? Sto
preparando l'impasto per la frutta di Martorana perché
tra pochi giorni, il due di novembre, commemoriamo i nostri morti”.
Ed i morti che noi commemoravamo in quella occasione erano la mia nonna
paterna, Francesca Arpaia Ernandes e quella materna, Antonina Anselmi Salmeri (dai nomi arabi Salem e Amir “Emiro o Principe”).
Le
mie due nonne,
Francesca Arpaia Ernandes
e Antonina Anselmi Salmeri
Quella di preparare la frutta di Martorana per la festa
dei morti è un’usanza di origini siciliane. È la perfetta
imitazione o riproduzione di frutta e talvolta ortaggi o pesci.
Internamente è simile al marzapane ma notevolmente più dolce
e saporito; la base della sua ricetta è esclusivamente la farina di
mandorle e il miele.
Mia madre che era nata a Marsala (da
Marsa Allah “porto di Dio o di Alì”) rispettava
questa tradizione che aveva appresa da sua madre. Sul tavolo c’erano anche delle noci di
burro, alcune uova ed una scatola di zucchero
(da sukkar).
Quella che stava impastando era farina di mandorle, la farina giusta
per preparare il marzapane (da maw-thabán), che è la parte più
consistente della frutta di Martorana. Questa viene modellata creando
dei bellissimi dolcetti, a forma di frutta o ortaggi, con i loro colori
propri. C’erano l’albicocca (da
al-barqu¯q) gialla,
le ciliegie rosse-scarlatte
(da saqirlat) con le foglie
azzurro (da lazvard) -verdi, come la fetta rossa e verde del cocomero, il limone (da
laimun) verde, il mandarino e l’arancia (da narangÍ) gialla,
grappoli di uva zibibbo (da zibab) il fico verde, il carrubo (da
kharrub) color marrone. Poi c’era il carciofo
(da kharšūf) color
verde-viola, il pomodoro rosso-cremisi
(da qirmiz),
gli spinaci (da as-spanakh) verdi. Tutti, sia
i frutti che gli ortaggi erano belli a vedersi e spiccavano per la loro
lucentezza. Probabilmente questo effetto artistico era perché nella
composizione della pasta di marzapane c'era compreso anche l'albume (da albh- alf "bianco") dell’uovo.
Frutta di Martorana
Il nostro Cimitero, quello cristiano, si trovava a un chilometro scarso
da casa mia, che era ubicata nella zona del Lido. Lì c’erano due centri
balneari, uno si chiamava Lido Nuovo ed era gestito dalla famiglia
Infantolino mentre l'altro, il Lido Vecchio, era di
proprietà demaniale.
Domenico Infantolino
La mia casa era ubicata vicino al Lido Vecchio ed il pomeriggio del 30
di Ottobre del 1957 mia madre ed io ci avviammo a piedi
verso il Cimitero Cristiano. Percorremmo dapprima l’ultima metà di Via
Manfredo Camperio, attraversavamo l’ampio viale di Sciara Omar el
Muktar, ci addentrammo lungo una fila di siepi spinose, superammo i
binari della ferrovia (la cui princiale Stazione ferroviaria distava
solo poche centinaia di metri ),
La principale Stazione
ferrovia di Tripoli
superammo due piccole collinette, dove il terreno era di colore ocra,
un colore giallo-zafferano (da
za’faran) ed infine
arrivavamo all’ingresso del Cimitero.
Il
Cimitero Cristiano di Tripoli, Hammagi
All'interno c'erano vari viali e vialetti, che si diramavano come un
labirinto, incorniciati da lunghe file di cipressi.Un viavai di persone
tutte indaffarate, pregavano a testa china o a cambiavano i fiori
vecchi con quelli più freschi, o a pulivano con degli stracci le
foto dei defunti. C'erano tante tombe posate sul terreno epoi
svariate costruzioni di forma rettangolare formate da tante lapidi,
costruite su quattro livelli.
Lapidi del Cimitero su
quattro livelli
Sparse c'erano anche delle piccole cappelle padronali.
Entrambe le lapidi delle mie nonne era poste sul livello più alto di
queste costruzioni, non molto lontane tra di loro. Così mia
madre, ogni volta, era costretta a salire per due volte su una scala
(ce n'era una in dotazione per ogni costruzione) per pulire le due .
Camminando lungi i viali alberati mi soffermai soffermai a
leggere i nomi e le date di nascita e di decessfoto
e mettere dei fiori freschi. Io per sentirmi utile
andavo alla più vicina fontana per riempire d'acqua alcune
bottigliette che mia madre aggiungeva nei vasi che
contenevano i
crisantemi freschi.
Dopo esserci inginocchiati pregammo insieme l'Eterno Riposo e poi
cominciammo il nostro giro del Cimiteroo scritti
sulle lapidi. Per la maggior parte erano cognomi italiani, poi
c'erano alcuni cognomi maltesi e pochi greci. I nomi italiani erano per
lo più di origine siciliana. Svariati di questi ultimi
cognomi erano di origine araba come Macaluso (da Mahlus che significa liberato o
schiavo affrancato), Badalà (da
Abd-Allah “servo di
Dio”), Salemi (dal nome
arabo Salem “saluto”), Zappalà (da Izzbin-Allah, "potenza in Allah"), Gangemi (da Haggiam “colui che esercita bassa
chirurgia", una specie di cerusico), Sodano
(da Saudan
“negro”), Maggadino (da Muqaddam o Muqaddì (da ”capitano, comandante di
un peschereccio”), Cassarà
(da Qasr “castello di Allah o
Ali”), Caffaro (da Kafer “miscridente”), Mulè (da Mawla “padrone”).E poi ancora
Zappalà (da Izzbin-Allah, "potenza in Allah"), Cabibbo (da Habib “amico amato”), Morabito (da Murabet “eremita) nostri conoscenti
che gestivano un magazzino (da mahzin, "deposito") di generi alimentari
e poi Sortino (da Surti “poliziotto”), il cui figlio
aveva fondaco (da funduk) per la vendita di prodotti
alcolici in Sciara Omar el Muktar.
Finito il nostro giro uscimmo all'uscita del cimitero incontrammo Rita
Bessi, la figlia di Renato Bessi, il più conosciuto marmista e
fornitore di lapidi di Tripoli. Il signor Bessi era un toscano di
statura media, dalle guance rubiconde e dagli occhietti piccoli e
furbi, dai capelli nerissimi, tirati a lucido con la brillantina. Il
suo dopobarba profumava di zagara (da
zahra), il profumo
dei fiori di arancio. Rita era bella ragazza di circa diciotto anni,
che vestiva con garbo (da qarib ‘modello’), ci disse che il
giorno dopo sarebbe dovuta partire con la nave per l’Italia, fino a
Napoli per poi raggiungere Firenze, e frequentare il primo anno della
facoltà di scienze matematiche. Lì avrebbe dovuto approfondire gli
studi dell’algebra (da al dgiabar), usando le lettere
algebriche X (da sÍay’)ed Y, conoscere gli algoritmi (dal matematico arabo al-Khuwārizmī ) per fare in
modo di risolvere i problemi matematici attraverso un numero finito di
passaggi elementari da zero (da sifr)
all'infinito.
Il
filosofo e matematico al-Khuwārizmī
Tornati a casa mia madre mi permise di mangiare solo uno dei dolci
della frutta di Martorana, un fico dalla buccia verde. Gli altri dolci
dovevano essere conservati per regalarli il giorno dopo ai nostri
parenti, amici e conoscenti. Era questa l'usanza.
Per concludere è inutile negare che l'influenza araba nella
nostra penisola è stata ed è forte, e non soltanto nel sud
Italia. Basta semplicemente esprimersi e conoscere l'italiano per
scoprire che tantissime parole derivano proprio dalla lingua araba.
Gli arabismi sono legati per lo più al mondo alle scienze e al
mondo filosofico e matematico, ma non solo. Molte di queste parole sono
rimaste nei vari dialetti italiani, mischiandosi e uniformandosi alla
lingua del posto, soprattutto nelle città di mare, come Genova, dove
per esempio gli scaricatori del porto si chiamano camalli (da ḥammāls ”scaricatore di
porto”), così come le città di Venezia e di Palermo, che in
passato avevano rapporti commerciali con il mondo arabo.
I camalli del porto di
Genova
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