Giuseppe Salmeri , mio nonno materno e' nato nel 1889 nell'isola di Favignana, in provincia di Trapani ed è vissuto per tanti anni in Libia, prima a Zuara e poi a Tripoli. Quando da piccolo mi ammalavo veniva spesso a casa mia a farmi visita. Io, che lo ammiravo per la sua naturale predisposizione a saper raccontare le cose, gli chiedevo sempre di narrarmi un po’ delle storie della sua vita di mare. Sapeva che mi piaceva ascoltare in particolar modo gli episodi del suo viaggio intorno al mondo, intrapreso quando lui aveva appena diciannove anni. Io, spinto dalla mia infantile curiosità, lo interrompevo spesso per fargli alcune domande sulle città che lui aveva visitato da giovane. Senza perdere il filo della storia, rispondeva con calma alle mie curiosità. Quando raccontava queste storie aveva l'abitudine di sedersi in un modo particolare, che io cercavo sempre di imitare. Si avvicinava con una sedia vicino alla sponda del mio letto, poi si sedeva a cavalcioni con la spalliera rivolta in avanti anzichè dietro, appoggiandovi sopra prima i gomiti e poi la testa . Seduto così, con quella sua voce resa roca dalle tante sigarette fumate , cominciava a raccontarmi le sue storie, che ogni tanto arricchiva con nuovi particolari. La storia che mi ricordo con piu' chiarezza, anche perchè mi affascinava di più, era quella del terremoto di Messina. Nel Dicembre del
1908 , all'età di diciassette anni, si imbarcò, in qualità
di "Gabbiere scelto", sulla Regia nave "Calabria”, che
era destinata ad iniziare un triennale giro di circumnavigazione
intorno al mondo sotto il comando del Primo Capitano di Fregata Mario
Casanova e del Comandante in Seconda, Capitano di Corvetta,
Giovanni Giovannini. La nave ospitava un equipaggio di 360 persone,
tutti scelti e robusti marinai, per poter meglio affrontare qualunque
clima e resistere a tutte le intemperie che la lunga campagna di 36 mesi
attorno al mondo comportava. Tutto
l’equipaggio della "Calabria" si trovava il giorno di Santo
Stefano , il 26 Dicembre del 1908, nell’Arsenale Navale di Venezia per
completare l’armamento e dare gli ultimi ritocchi alla preparazione
della nave stessa. Finalmente era arrivato il tanto
atteso e desiderato ordine dal Ministero della marina Militare
di mettersi in rotta verso la Sicilia per poi salpare per il giro
intorno al mondo. Dopo due giorni di viaggio, il 28 Dicembre, la "Calabria"
arrivò
nel porto di Palermo . All’ improvviso
arrivò un urgente dispaccio
proveniente dal Ministero che ordinava di partire
immediatamente e dirigersi urgentemente verso Messina. Si
sparse subito la notizia che quella città era stata colpita
contemporaneamente da un
catastrofico e devastante terremoto e maremoto.
Sbarcati a Messina , divisi in due squadre sotto il comando
di due ufficiali di grado superiore, si avventurarono in quell’ammasso di macerie. Tirarono fuori cadaveri ancora
caldi di uomini e donne, resi deformi dal peso degli
edifici crollati. La loro maggiore speranza era di trovare qualcuno
che fosse ancora vivo sotto quel mucchio di macerie. Dopo circa dieci
ore di massacrante opera di soccorso la tromba della loro
nave suonò la ritirata, richiamando a bordo entrambe le squadre. Una
volta adunati, il Comandante in seconda informò l'intero equipaggio
che anche la vicina città di Reggio Calabria era stata
maledettamente colpita da
quel terribile terremoto. Quindi divise l’equipaggio in
due squadre , stabilendo che una squadra si
recasse immediatamente a portare la sua
opera di soccorso nella vicina Reggio Calabria mentre l'altra restava a Messina. Mio nonno
fu tra quelli che andarono a
Reggio Calabria. Mi ricordo ancora
con chiarezza che quando mio nonno arrivava
a quel punto del racconto si interrompeva. Per qualche
secondo il suo
sguardo diventava triste e
si perdeva in un
remoto angolo del passato. Penso che, malgrado fossero
passati svariati anni da quell’immane tragedia , il ricordo del
suono implorante dei lamenti dei sotterrati
vivi sotto il cemento degli edifici e quello straziante di uomini
e donne che invocavano i loro cari scomparsi sotto l’ammasso
delle macerie, lo ossessionava ancora terribilmente. Dopo svariate ore
di duro lavoro la sua squadra era
diventata ormai stanca ed affamata. Il suo caposquadra aveva
deciso che era il momento che tutti dovevano fare
una pausa e pensare a rifocillarsi.
Vicino a loro, in quella parte della città colpita dal terremoto
ancora piu' duramente di altre , c'era un
convento semidistrutto, dove alcune operose suore vestite tutte
di bianco ,
scampate miracolosamente al crollo dell'edificio, servivano generosamente
a chiunque lo chiedesse un piatto di minestra calda . Mio nonno
mi parlava sempre con commozione
di quel gruppo di suore
vestite con una tonaca bianca. Malgrado tutto attorno
a loro ci fosse tanta polvere causata dai calcinacci e
il sangue della gente colpita dal crollo degli edifici , la
loro tonaca, come per magia , era rimasta bianca ed
immacolata. Mio nonno mi diceva di avere avuto sempre il sospetto che quelle suore
vestite di bianco fossero angeli mandati dal
cielo. Da lì , finalmente il 10 di Gennaio del 1909, partirono per iniziare quel lungo viaggio, che doveva durare trentasei mesi , di circumnavigazione attorno al mondo, sospeso precipitosamente in occasione di quell'immane disastro. Nel 1910, a bordo della "Calabria", a testimonianza del suo coraggio gli venne assegnata una medaglia al valore civile e un diploma su cui era scritto :" Il Re concede a Salmeri Giuseppe la Medaglia Commemorativa per aver prestato opera soccorritrice nei luoghi devastati dal terremoto di Messina e Reggio del 1908". Nel 1915 all'inizio della Grande Guerra fu richiamato in marina con il grado di "Nocchiere". Riuscì a sopravvivere malgrado quella guerra avesse causato la morte ed il ferimento a tantissimi soldati e distrutto numerose famiglie. Nel 1940 all'età di cinquantuno anni partecipò anche alla seconda guerra mondiale come "Comandante di dragamine". Svolse una decisiva opera nell'affondamento di una nave nemica. Durante questa azione , malgrado il mare fosse in tempesta e abbondantemente cosparso di mine, con sprezzo del pericolo, salvò la vita ad una ventina di marinai dell'unità nemica affondata, rimasti in balia delle onde senza scialuppe di salvataggio. Per questa coraggiosa azione gli fu assegnata una medaglia di bronzo al valor militare e fu congedato con il grado di "Maresciallo Capo". Proprio questa medaglia la ebbi in dono da mio nonno nell'agosto del 1953, in occasione del mio quinto compleanno. Mi ricordo che la ripose, legata con cura ad un nastrino rosso scarlatto, dentro un piccolo barattolo di vetro trasparente, insieme ad alcune monete di metallo, di varie forme e colori, che aveva raccolto nel suo viaggio attorno al mondo. Io fui molto onorato di ricevere da lui un dono cosi' simbolicamente importante, perchè sapevo bene lo sforzo che aveva dovuto compiere per meritarsela. La conservai in quel barattolo per tanti anni, come fosse stata una preziosa reliquia. Poi , quando arrivo' il momento che fummo costretti ad abbandonare la Libia per andare in Italia, mia madre fu fermata alla dogana dell'aeroporto di Tripoli per essere ispezionata. Mi raccontò che vide quell'innocuo barattolo di vetro girare per varie mani, poi, all'improvviso scomparve. Ad una sua rimostranza le fu detto di non preoccuparsi e di aspettare perchè , dopo un controllo, tutto le sarebbe stato restituito. Attese invano. Purtroppo si dovette imbarcare senza il mio barattolo di vetro. Penso ancora con nostalgia a quel piccolo barattolo di vetro, prezioso solamente per il suo valore affettivo , che racchiudeva dentro di sè così tanti bei ricordi della mia infanzia.
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