Tripoli
di Libia, l’antica Oea, la Tarabulus al Gharb, la bella Tripoli
all’inizio del 1941, ad oltre un semestre dall’entrata
dell’Italia nella seconda guerra mondiale.
Tony
abitava vicino all’albergo “La Perugina”.

Tony
Chi non lo ricorda
quel modesto albergo quasi al termine della via che da Piazza Italia
conduceva al Porto

Piazza Italia
, proprio ai piedi del
Monumento ai Caduti ,

Monumento ai Caduti
a non
più di cinquanta metri dall’Arco Romano di Marco Aurelio,
l’imperatore filosofo.

L'Arco Romano di Marco
Aurelio
Aveva preso in affitto
una stanza
ammobiliata al terzo ed ultimo piano di un vetusto palazzo con ripide
scale di legno in Zenghet Madrasaat, nella Città vecchia, il
quartiere a ridosso del Porto che la sera diventava deserto.
Infatti la paura dei bombardamenti notturni che la R.A.F. proveniente
da Malta effettuava regolarmente su Tripoli aveva spinto gli abitanti
ad abbandonare le loro case e a rifugiarsi nelle sicure grotte di
Gargaresh a circa venti chilometri dalla città.
Egli
non poteva che restare nella sua camera, solo come un cane: anche la
padrona di casa, una vecchia maltese, era andata a stabilirsi
lontano, a Zuara,
quasi al confine con la Tunisia e tornava una volta
al mese per pulire e per riscuotere l’affitto.
Invidiava
quella gente fortunata che aveva la possibilità di mettersi al
sicuro; avrebbe voluto anche lui andarsene, la sera, da quel lugubre
quartiere ma ritornare il mattino seguente in orario per assumere
servizio si era rivelata impresa difficile.
In
quel tempo Tony era dipendente dei Magazzini Generali del Porto per
annotare le merci in partenza e in arrivo. Alle sette dalla banchina
centrale partivano i rimorchiatori con le bettoline e con il
personale addetto verso le navi in rada e se si perdeva la …corsa
si perdeva anche la giornata e forse anche il posto di lavoro:
perciò, per non correre il rischio del licenziamento, come tanti
altri, era costretto a restare là, a qualche centinaio di metri dal
Porto, obiettivo preferito dai bombardieri inglesi , ad aspettare
ansioso e impotente l’ora delle incursioni e correre al rifugio
con le ali ai piedi e poi spesso trascorrere buona parte della notte
rintanato in un cantuccio sotto le robuste volte del Castello Turco
fra la gente avvilita come lui.

Il Castello di Tripoli
Possedeva
una vecchia bicicletta che gli consentiva di recuperare un po’ del
sonno perduto al rifugio durante la notte e di raggiungere in orario
il posto di lavoro; al ritorno , invece, serviva per trasportare
qualcosa che riusciva a comprare dai marinai delle navi che facevano
una specie di piccolo “mercato nero”: pacchi di pasta , carne
congelata, barattoli di marmellata o scatole di conserva di pomodoro
che ormai al mercato libero , senza la tessera annonaria, erano
introvabili. La Guardia di Finanza all’ingresso fingeva di non
vedere ed egli utilizzava quel ben di Dio per rinsaldare amicizie e
simpatie e quando il “bottino” era abbondante , cederlo al
padrone del ristorante dove era abbonato a cenare e ad ascoltare la
radio.
A
differenza di Lombardo, un collega genovese, non approfittava della
sua posizione di lavoratore sulle navi provenienti dall’Italia per
lucrare nel piccolo commercio; cedeva quella merce per lo stesso
prezzo da lui pagato e qualche volta anche rimettendoci .
Così
il suo tempo, in quel tragico primo semestre del 1941, si svolgeva
saltando di giorno in giorno da una nave all’altra, di sera in
trattoria ad ascoltare la radio e di notte correndo da casa al
rifugio e viceversa e tentando di dormire il più possibile fra un
bombardamento e l’altro. Eppure, nonostante i disagi e le paure, si
sentiva tranquillo.
Le
corse al rifugio, il fragore delle bombe e quell’apparato di
mitragliere e soldati appostati tutt’intorno al Porto e lungo il
bellissimo lungomare, all’inizio davano l’impressione di stare
ad una sagra…e, al ristorante, ascoltava le notizie del “bollettino
di guerra” esprimendo, a volte, meraviglia per l’interesse che
suscitavano su alcuni avventori i quali interrompevano la cena per
stare più vicini alla radio e non perdere una parola del
“comunicato”.
“Ma
di che si preoccupa ‘sta gente !” –pensava- “Tanto
vinciamo noi!..” E rideva e correggeva l’italiano di Aquino,
un anziano portalettere che cenava al suo stesso tavolo e che
mormorava “Popolo ‘gnoranto, popolo ‘gnoranto!” quando
la radio trasmetteva i battimani e le acclamazioni che si
interponevano ai discorsi del Gerarca di turno nelle piazze italiane.
La
propaganda di guerra gli aveva fatto il lavaggio del cervello; e non
solo a lui ovviamente. Le notizie cattive venivano date
col…contagocce. Il disastro dell’Armata del Generale Rodolfo
Graziani nel deserto
della Marmarica

Il Generale Rodolfo
Graziani
per esempio, era stata
ridotta a “ritirata
strategica” e il successivo abbandono di Bengasi e dell’intera
Cirenaica a “prudente trasferimento dei coloni italiani in
luoghi meno esposti”.
Purtroppo,
presto, molto presto, avrebbe dovuto cambiare opinione in merito alle
nostre possibilità di vittoria anche se, con l’arrivo ai primi di
febbraio dell’Afrika Korps
del Generale
Rommel , quella stessa
propaganda sarebbe diventata più intensa e martellante.

Il
Generale Erwin Johannes Rommel
Ritornando a casa tutte
le sere, dopo oltre dieci ore di lavoro sulle navi,
esattamente alle sei e mezzo, notava fra i vari mendicanti che
chiedevano l’elemosina all’entrata del Porto, un po’ distaccata
dagli altri accattoni, una ragazza cenciosa, quasi una bambina,
appoggiata alla rugginosa balaustra che impediva il passaggio degli
autoveicoli; con il viso sempre volto verso il mare, tendeva
timidamente la mano e aspettava che i lavoratori e i marinai in
libera uscita le regalassero qualcosa. Un paio di volte anche Tony le
diede dieci o più lire e qualche tavoletta di cioccolata e la
guardava desiderando che si voltasse verso di lui per meglio
salutarla; ma ella sembrava non vedere che il mare.
La
trovava sempre lì quando dopo aver fatto la doccia usciva di nuovo
da casa per recarsi in trattoria; al ritorno però non c’era più;
evidentemente col calar della notte rientrava a casa.
Una
sera, invece, la ritrovò al solito posto. Si fermò e le disse “Ciao!”
e la osservò meglio. Dimostrava non più di
quattordici-quindici anni, magra, un vestitino a tunica sdrucito , un
paio di sandali non meno malconci ai piedi nudi e sudici e un
visetto triste sotto un gomitolo sporco e arruffato di capelli
biondicci; era proprio insignificante e faceva pena.
“Ciao!”
le disse ancora “Scusa, ormai ci conosciamo , anche se solo di
vista…ma son curioso di sapere che fai qui tutta sola, aspetti
qualcuno? E’ quasi buio…”
“Aspettaghe
mia amica; poi andaghe a fifahouse” (rifugio) rispose e dal
suo accento Tony capì che era ebrea, non maltese come aveva in un
primo momento creduto.
La
comunità ebraica in Tripolitania era in quel tempo divisa in tre
categorie: ebrei quali i Nunes-Vais, gli Hannuna, i Barda, gli Habib
ecc.., di nazionalità italiana, ricchi e istruiti; ebrei
straccivendoli, lustrascarpe o fabbri-calderai della Città vecchia,
apolidi e poveracci, ed ebrei indigeni quasi tutti contadini,
abitanti sull’Altopiano
del Gebel Nefusah, nelle grotte troglodite
di Garian e di Tigrinna , discendenti, sembra da quegli ebrei che
fuggiti dall’Egitto non se la sentirono di seguire Mosè
attraverso il Mar Rosso e preferirono dirigersi ad Ovest affrontando
le insidie del deserto anziché le onde del mare.
Questa
piccola mendicante apparteneva evidentemente alla seconda categoria ,
quella dei poveracci i quali, anche se ancora le leggi razziali (di
cui peraltro la gente poco sapeva) non venivano applicate o, se in
qualche caso si applicavano, si riducevano ad inutili cartelli sulle
porte dei negozi degli ebrei ricchi per invitare la gente “ariana
” cioè noi e i tedeschi, a non comprare dai “semiti”.
“A
quanto pare stasera la tua amica è in ritardo!” osservò Tony.
“ Sì,
fave ritardo”…ammise la piccola ebrea; e soggiunse: “ ma
ancova pevsto…inglesi non venive pvima di ove dieci”.
Poi a sua volta domandò:
“Pevchè te non andave a dormive a fifahouse di Gargaresh? Quello
sicughro!”
“No,
io non vado a nessun rifugio , non ho paura, io! Fra un pò salirò
nel mio appartamento ammobiliato e dormirò fino a domattina
infischiandomi degli inglesi e delle loro bombe!” si vantò
Tony; aveva ventitre anni e pur non interessandogli minimamente
l’opinione di quella stracciona, chissà perché, desiderava che
ella lo considerasse un…duro! Ebbe l’impressione di aver fatto
centro e che ella restasse a bocca aperta , affascinata dal suo
coraggio e attese.
“Fovtunato
te che aveve appavtamento!”commentò lei …Volse lo sguardo
verso il mare e cominciò a lamentarsi : “Inglesi bombavdato
mia casa, io non c’è più casa! Mio papa e mia mamma andati a
Gavian, io qui sola per fave sevva.” Poi, guardandolo
fisso con un accento speranzoso chiese:
“Te
voleve me pev pulizia tuo appavtamento? Io conosce signova
maltesa tua padvona di casa e lei fovse conosce me e lei contenta
se io venive fave pulizia a tuo appavtamento …” Aveva
gli occhi celesti ed era la prima volta che Tony vedeva una ebrea
con gli occhi così chiari.
“Tu
fare pulizia? Non mi dire! A parte il fatto che alla pulizia
dell’appartamento deve provvedere la “maltesa”, non credi che
prima dovresti pulire te stessa?” osservò Tony; e crudele e
provocante, con una ancor più crudele risata della quale in seguito
si sarebbe vergognato, aggiunse:
“Scommetto
che sei ancora piena di pidocchi!”
“ Si
pidocchi c’è ma solo in testa e capelli; in vestito non c’è!
Vuoi vedeve?” ammise candidamente.
“No
, non voglio vedere” le disse, già pentito del suo
atteggiamento poco comprensivo nei confronti di quella poveretta che
si trovava in evidente difficoltà. E, siccome lei aveva ricominciato
a piagnucolare, finse di arrabbiarsi:
“Porca
miseria piantala ! La gente che passa e ti sente piangere potrebbe
pensare chissà che cosa…che ti abbia offesa o qualcos’altro…vuoi
mettermi nei pasticci?”
Ma
non sapeva decidere se era più saggio andare a prepararsi per
l’imminente incursione aerea o restare a far compagnia a quella
stracciona.
Cercò
di tranquillizzarla esprimendo il parere che la sua amica sarebbe
potuta arrivare da un momento all’altro e restò con lei,
appoggiato alla rugginosa balaustra.
Quando
però l’attesa si fece troppo lunga ed era da escludere che la
fantomatica amica potesse arrivare, non avendo cuore di lasciarla lì
sola nel buio le propose di salire nel suo…appartamento. Posto ce
n’era e poi…se la padrona di casa, che come già detto, si era
trasferita a Zuara la conosceva non avrebbe fatto storie qualora
fosse venuta in seguito a sapere che aveva ospitato la piccola
mendicante. Si trattava in fondo di una sola notte, che diamine! Poi
il giorno dopo …sarebbe stato sempre un altro giorno , avrebbe
trovato il modo di liberarsene, senza sentirsi in colpa.
“ Senti,
come ti chiami? Come? Giulia? Bene, senti Giulia:
Clicca sulla foto per vedere il video

Giulia
l’appartamento
dove io abito è molto grande e la padrona di casa, come tu hai detto
di sapere, non c’è. Se vuoi puoi venire su a trascorrere la notte
in una della stanze libere”.
“Te
cvedeve io essere gahabusha (=puttana)? Io non gahabusha,
io figlia
famiglia. Te voleghre me pev fave amove una notte come
shavmutha (=prostituta) e poi buttave fuori, io no stupida.
Vai via, yallah!” (=forza, dai).
Urlò e si appoggiò piangendo sulla balaustra con la testa fra le
braccia.
“No!
“ protestò Tony “. “Non ci penso neppure a fare l’amore
con te…sozza come sei, non ti toccherei neppure con le pinze, te lo
giuro. Tu puoi chiudere la porta della camera con la chiave e nessuno
ti disturberà.” (Ma perché cavolo mi sto impicciando di
questa stracciona ! pensava Tony. Fosse una di quelle ragazze ebree
prosperose e culone che si incontrano per la città vecchia e che se
invitate non si tirano indietro, passi, ma questa è proprio un
…niente e per di più fa la difficoltosa. Quasi quasi la mollo qui
al freddo della notte invernale …e me ne vado a dormire…). Ma la
sua educazione romantica, maturata e assorbita leggendo i classici in
edizione ridotta del suo maestro della quinta elementare (sic!) non
glielo consentì.
“Credi
che se pensassi che sei una “shavmutha”
(=prostituta) perderei tanto tempo a parlare? Ti
offrirei dieci lire e…prendere o
lasciare!”. “Comunque “- concluse - se non sei
d’accordo, io posso aspettare ancora qualche minuto , poi me ne
vado. Scegli tu.”
Non
rispose e restarono ancora un pò, lei sempre sospirando e lui
sinceramente speranzoso che l’amica arrivasse. Ma non venne ed
erano quasi le nove ormai, l’ora vicina all’abituale primo
bombardamento aereo della notte.
Doveva
decidere anche perché si poteva correre il rischio che qualche
poliziotto zelante li vedesse lì vicino al porto a quell’ora
tarda e volesse fare…il salvatore della Patria.
Impaziente,
la sollecitò.
“Su,
cosa vuoi fare? Sali con me o me ne vado?”
“Te
taliano buono? “ chiese “Te giuvave non toccave me
quando in tua cameva?”
“ Ma
chi ti credi di essere? Greta Garbo? Sì.
Io giurare” rispose
Tony ridendo e aggiunse: “Tu non starai nella mia camera, ma in
quella della padrona di casa, va bene?”

Greta
Garbo
“ Sì.
Io venive”. disse e lo seguì per le fatiscenti scale.
“ Su
entra “- la incoraggiò Tony. “La Maltesa non tornerà
prima della fine del mese.” E dopo averle mostrato la stanza
con un gran letto antico nella quale avrebbe potuto trascorrere la
notte, Tony si ritirò nella sua camera a leggere “Via col
vento”. Non c’era allora la televisione a tener compagnia e a
far sciupare il tempo! Dopo un’ora circa la sentì bussare alla
porta e chiamare:
“Ahavfy
taliano. Signov‘taliano!”
“Che
c’è? Vieni avanti!”
Giulia
si affacciò sull’uscio ed espresse il parere che ormai per quella
notte gli inglesi non sarebbero venuti a bombardare; poi gli chiese
se poteva lavarsi per bene precisando che si sentiva veramente
sporca: “ Io voleve fave doccia come fatto te pvima di
andare a tvattovia ma acqua tvoppo fvedda. Te scaldata acqua
pev fave doccia?”
Come
sapeva che Tony era andato al ristorante e che aveva fatto la doccia
non lo spiegò.
“Ho
capito, sei molto furba, aspetta! Ti accendo lo scaldabagno”
rispose Tony.
Andò
nel bagno e accese, non senza fatica il prezioso Junker a legna.
Mostrò a Giulia come doveva dosare l’acqua calda-fredda e come
alimentare il fornello e la lasciò.
“Gvazie
‘taliano buono!” disse e si chiuse nel bagno.
Tony
sentì l’acqua scorrere i poi i gridolini della ragazza forse di
soddisfazione o perché l’acqua era troppo fredda o troppo calda…
“Tutto
bene Giulia?”
“Sì,
bene, gvazie ‘taliano buono!”rispose.
Tony
riprese la lettura del suo libro e per circa mezz’ora si dimenticò
di lei per considerare i problemi di Rossella;
poi, attraverso la
porta della stanza rimasta aperta, la vide venire a piedi nudi nel
breve corridoio:

“Adesso
te contento? Io no più spovca e così poteve fave pulizia tua
cameva!” urlò.
Non era più lei. Non era
più la mendicante di poco prima. La doccia
aveva operato un miracolo: la piccola stracciona insignificante aveva
subito una radicale trasformazione. Ora Tony aveva davanti una
ragazza “vera” e il vestitino liso aderente al corpo
ancora bagnato dopo la doccia evidenziava una silhouette delicata.
Si
sentì in soggezione e per dissimulare lo stupore si informò se lo
scaldabagno aveva funzionato a dovere; poi le chiese se aveva cenato
quella sera e quando ella rispose che no, non aveva mangiato niente
sin dalla mattina, si precipitò a tirar fuori dal piccolo
armadio-credenza marmellata e biscotti.
“Mangia
un po’ di biscotti, non ho altro stasera, io intanto preparo il
thè” le disse e andò in cucina ad accendere la spiritiera.
Quando
tornò con una bella tazza di thè fumante e la poggiò sul
tavolinetto falso stile rococò, lei aveva già fatto fuori un
barattolo di marmellata e un bel po’ di biscotti.
Poi
improvvisamente la luce si spense e mentre l’urlo agghiacciante
delle sirene d’allarme interrompeva il silenzio:
“Andave vifugio, fisa fisa! (=presto,
presto) Io pauva! B’l mahavhuf (=per favore) andave, fifahouse
stave vicino,”
Yallah" (=forza,
fai), urlava.
Tony
tentò di calmarla. Andare al rifugio “fisa
fisa” (=presto,
presto) era
impossibile: lui in pigiama perché, come lei, pensava che la RAF per
quella notte ormai non sarebbe venuta a bombardare, e lei con quel
misero vestitino bagnato addosso avrebbe rischiato una polmonite se
fosse uscita per raggiungere il più vicino rifugio del Castello
Turco, a circa due-trecento metri di distanza; era proprio come una
bambina terrorizzata e non voleva sentire ragione; le sue braccia
non lo lasciavano, si stringeva sempre di più a lui mentre le
esplosioni delle prime bombe nel Porto si sovrapponevano in un
crescendo tremendo alla reazione delle batterie contraeree; e la sua
tunica bagnata non era affatto profumata. Infastidito gliela strappò
di dosso .
“ Meglio
nuda che con questa tunica sporca e bagnata; sentirai meno freddo!”
disse e, al riverbero intermittente delle esplosioni dei cannoni
della difesa antiaerea appostati sul lungomare, la prese in braccio e
la portò sul proprio lettino; era scossa da brividi di freddo e di
paura ed egli la depose sotto le coperte e si stese accanto a lei per
riscaldarla sussurrandole all’orecchio parole di conforto.
L’accarezzò
delicatamente e quando le sue mani si fermarono sull’erto e gelido
seno adolescenziale ella si quietò mormorando:
“Taliano
buono. Io paughra, io no ghabusha (=puttana), ti giuvo!”
“Lo
so , lo so cara, non temere…!” la rassicurò Tony e lei si
rannicchiò ancor di più fra le sue braccia e il suo alito era
profumato e la sua bocca sapeva di thè e di biscotti al cioccolato.
Quando,
dopo almeno due ore, le campane della Cattedrale suonarono il cessato
allarme e la luce si riaccese, Giulia scivolò dal letto e andò nel
bagno.

La Cattedrale di Tripoli
Tony sentì l’acqua
diguazzare a lungo nella vasca e…si
addormentò.
Al
secondo allarme di quella notte si svegliò ma non la sentì vicino;
si alzò, accese la torcia elettrica e la cercò: era sdraiata con
una coperta addosso sul divano, nella stanza della padrona di casa.
“Giulia”
la chiamò “non hai più freddo?”
“No,
no fveddo adesso. Te fatto passave fveddo! Io ova pauva te
buttave fuovi !” rispose.
“Ma
che dici…io non ti lascerò più andar via da qui!”. La prese
in braccio e la riportò sul lettino e non sentirono il successivo
urlo delle sirene per la seconda incursione di quella notte.
***********
All’importuno
trillo della sveglia, alle sei, Tony saltò giù dal letto. Si rase
rapidamente, si vestì e preparò il caffè; ne portò una tazza a
Giulia ancora semi-addormentata e le sussurrò:
“Giulia,
devo andare. Tu puoi restare finché vuoi, nessuno ti disturberà e
in cucina troverai qualcosa da mangiare; poi stasera, se mi vorrai
aspettare, faremo un esame della situazione.”
Gli
gettò le braccia al collo mormorando: “Taliano buono, taliano
buono…non mi lasciare mai mai!”egli la baciò dolcemente e
ancora una volta accarezzò le sue delicate nudità…poi corse via
per non cadere di nuovo in tentazione e per non far tardi per
l’orario di lavoro.
Arrivò
appena in tempo e si precipitò a salire sul vecchio rimorchiatore
che portava gli scaricatori sulle navi in rada, sotto lo sguardo
perplesso del collega Bucchieri meravigliato per quell’insolito
ritardo.
Nei
giorni che seguirono il tempo di Tony si svolse con il solito
tran-tran: pranzava col Commissario di Bordo, racimolava qualche
pacchetto di sigarette, della cioccolata…ma non vedeva l’ora di
tornare a casa, da Giulia, che ormai era entrata nella sua vita e lo
aspettava appoggiata alla rugginosa ringhiera. Quando scoccavano le
sei, adempiuti gli obblighi da rispettare, senza neppure salutare i
colleghi con i quali di solito si soffermava a commentare gli
avvenimenti della giornata, si precipitava a prendere la bicicletta
lasciata sulla banchina.
Un
giorno non trovò la bicicletta al posto dove l’aveva lasciata,
forse qualcuno l’aveva spostata, non rubata, perché lì nessuno
rubava niente e dovette tornare a casa a piedi perché temeva che
arrivando in ritardo Giulia non fosse lì, al solito posto.
Erano
trascorse solo due settimane da quando quella figurina gli era
piombata addosso all’improvviso e temeva di perderla. Invece lei
era là, un po’ oltre la vecchia balaustra e quando lo scorse si
mosse e svoltò in Zenghet Madrasaat. Tony affrettò il passo e nel
portone essa gli andò incontro. La evitò:
“Non
mi toccare” le disse
“sono sudato e
sporco.” E
mentre lei, fingendosi offesa, si defilava nel portone, raggiunse
rapidamente il terzo piano. Entrò nel bagno, accese il prezioso
Junker, si spogliò e si abbandonò alle carezze della bell’acqua
calda della doccia perché il mese di gennaio è veramente freddo a
Tripoli e lui in quel tempo non usava cappotti o maglie, neppure la
canottiera; portava semplicemente la camiciola a maniche corte.
Ma
Giulia l’aveva seguito e, la furbona, quando lo sentì sotto la
doccia, spinse la porticina del bagno e gli fu addosso, con tutto il
vestito, non la sudicia tunica della prima sera ma un altro
vestitino, che frettolosamente Tony aveva comprato da un rigattiere
di Suk el Turk. Tony glielo tolse e restarono così sotto la doccia
fino a quando la legna nello scaldabagno non si consumò.
Seguirono
giorni e giorni di felicità piena. Tony non andava più la sera a
trascorrere qualche ora con gli amici in trattoria. Oltre al suo
lavoro non pensava che a Giulia e, alla fine della giornata, ansioso
e felice quando la scorgeva in attesa nel portone, soddisfatto e
spiritoso, godeva a farsi inseguire su per le scale ripide fino
all’amica stanza da bagno.
Giulia
stava diventando una droga e Tony viveva la notte in un’estasi
senza fine.
Le
sirene d’allarme non gli attanagliavano più lo stomaco come
qualche mese prima: tutte le sue paure si dissolvevano quando ella si
stringeva a lui mormorando : “Taliano buono, taliano buono!”
Comprò
una nuova bicicletta per guadagnare tempo la mattina nell’uscire e
la sera per ritornare; poteva così restare mezz’ora in più con
Giulia che lasciava a letto quando si recava ad assumere servizio.
Dove
ella andasse durante il giorno non lo scoprì mai. Tanti aspetti
della sua giovane esistenza gli sembravano oscuri ma non se ne
curava. Voleva credere a tutto ciò che lei diceva: per lui era
importante soltanto che la sera ella fosse lì ad aspettarlo ansiosa
e attenta ai suoi progetti…campati in aria.
Non
gli interessava sapere a chi dava la pasta, la conserva di pomodoro,
il riso, la marmellata o il caffè che le portava; così come non
andò a fondo sulla storia del padre il quale, diceva, morta la
moglie, cioè sua madre, l’aveva abbandonata per andare a vivere
con un’altra donna a Garian, lontano dai bombardamenti, correggendo
quanto aveva detto prima e cioè che padre e madre erano andati
insieme a Garian.
***********
La
notte del 21 aprile stavano sul terrazzo ad aspettare la solita
incursione della R.A.F. quando, prima ancora che le sirene d’allarme
cominciassero a urlare, il cielo sul Porto fu illuminato da decine di
razzi “bengala” con paracadute e contemporaneamente
l’orizzonte sul mare fu rischiarato da lampi diffusi come per un
incipiente temporale, seguiti dopo un minuto, un minuto e mezzo, da
un rumore rotolante come di treno in arrivo che copriva ogni altro
rumore.
Non
faticarono molto a capire che si trattava di un’incursione
aereo-navale e restarono per quasi un’ora addossati l’uno
all’altra, consapevoli che solo la fortuna poteva salvarli; nessun
rifugio del tempo poteva dare sicurezza in caso di bombardamenti
navali. Infatti (lo seppero il giorno dopo) persino il rifugio
costruito nel giardino della Banca d’Italia per i V.I.P. era stato
distrutto da un proiettile da 305 millimetri di una nave di Sua
Maestà Britannica.
I
danni alle cose e anche alle persone, se si escludono i morti nel
rifugio della Banca d’Italia, quella notte non furono gravi, perché
la maggior parte dei proiettili dei cannoni navali non scoppiarono o
scoppiarono lontano, oltre la periferia della città, mentre gli
spezzoni incendiari al fosforo lanciati dagli aerei si conficcarono
nell’asfalto o nella sabbia senza causare alcun incendio grave. Fu
colpita e sventrata da un proiettile, che però non esplose, anche la
bella Chiesa di Corso Sicilia, quella delle “Suore Bianche” che
da quel giorno si chiamò “Chiesa della Madonna della Guardia”.

La Chiesa della Madonna della Guardia in Corso Sicilia
Quando il silenzio abituale della notte si ricompose, Giulia e Tony
restarono a chiacchierare perché il primo ghibli della stagione
aveva alzato di colpo la temperatura e si stava bene all’aperto a
respirare la brezza marina e a fare progetti per il futuro.
“Tony,
quando finive guevva te voleve ancova tua Giulia?” ora
lo chiamava Tony, non più “taliano
buono !”
“Cevto
che voleve mia Giulia”, (imitava il suo accento per prenderla
in giro) “Io voleve sposave Giulia, capito?”
“No”
disse seria “Sposave no! Io yudia (=ebrea) e Vabbino dive peccato
sposave cvistiano!”
“Ma
chi se ne frega del Rabbino…Tony vuole Giulia, Giulia vuole
Tony…dunque? Il Rabbino puo’ andare a farsi fottere; comunque,
non pensare ora; quando la guerra sarà finita ne parleremo. Intanto
domani, se la nave che dico io non sarà stata nel frattempo
affondata, ti comprerò un pò di biancheria intima e qualche vestito
e anche un paio di scarpette nuove. Io voglio la mia Giulia sempre
vestita bene, anche se mi piace di più senza alcun vestito…nuda!
Intanto, per non sbagliare misura, fammi vedere ancora una volta il
tuo piedino e il giro vita e nel caso trovassi anche un reggiseno,
fammi sentire…Oh…ma lo sai che non me ne ero accorto? Non hai
bisogno di reggiseno!”
e ridevano come due bambini e si amarono a lungo, sotto il cielo
pulito di primavera, testimoni le stelle.
Dieci
giorni dopo il bombardamento aereo-navale, come tutte le mattine i
colleghi Bucchieri e Lombardo aspettavano Tony sulla banchina.
Ammirarono ancora una volta la bicicletta nuova e Lombardo da buon
genovese volle sapere tutti i particolari dell’acquisto: quanto era
costata, se contanti o a rate, da chi l’aveva comprata…Lombardo
aveva il senso degli affari e del baratto: sigari contro sigarette,
pennine usate contro matite e persino lamette da barba, cinque usate
per una nuova marca “Signorina”.
Bucchieri
invece gli chiese se era disposto ad andare in rada in sua vece:
l’anziano collega odiava il servizio sulle navi ancorate in rada:
“Non per paura , ché io sono un o di quelli del Grappa!”
– diceva (si voleva riferire agli Alpini sul Monte Grappa) e non
aveva torto perché con il grappa o anche con la buhka andava
veramente d’accordo tanto da meritare il soprannome di “Nuvoletta”.
Tony
si dichiarò disposto a sostituirlo qualora fosse stato possibile ed
egli lo abbracciò contento e lo chiamò, come al solito, figlio suo.
In
attesa del rimorchiatore chiacchierarono un po' del più e del meno,
commentando le scarse notizie della guerra in Cirenaica con
l’esercito italo-tedesco impegnato nella prima controffensiva e del
traffico navale che intasava il Porto…
“Vedi
la Birmania?” disse Bucchieri “Quella motonave è carica
di fusti di benzina e di bombe a grappolo tedesche sensibilissime,
l'ho saputo da un capitano amico mio!
E vedi quell’altra, la “Città
di Bari”? Sono così affiancate al molo principale mica per
caso…Il carico della “Birmania” dev’essere trasbordato sulla
“Città di Bari” che lo porterà a Bengasi…

La Città di Bari
“ E
allora? Che importanza ha questa notizia?” chiese Tony.
“L’importanza
consiste che il lavoro su quelle due navi è a rischio…”
spiegò Lombardo.
“ E
se ti chiamano per quel servizio , cerca di squagliarti con ogni
mezzo!” concluse Bucchieri.
La
sera Tony raccontò tutto a Giulia per dimostrarle quanto era
“fifona” certa gente e come, invece, era…coraggioso lui!
“No
tesoghro mio!” esclamò Giulia .” Tuoi amici fifoni
aveghre ghragione, te invece essere molto scemo. Peghr Dio Santo, non
voleghre più bene a tua Giulia? Se voleghre ancoghra poco bene te
malato fino a quando navi con bombe non andaghre via, capito?”
“ Non
posso, cara. Non posso fingere di essere malato…e poi non ti
ricordi che devo comprare vestitini per te?”
“ Non
voleghre vestiti! Cosa faghre io con vestito senza Tony? E non detto
che te piaci Giulia pughre senza vestito? Io sbagliato dighre te
“taliano buono”…te “taliano mahabul” (=matto)
protestò piangendo.
***********
La
“Birmania” e la “Città di Bari” erano quasi
affiancate, a destra e a sinistra del molo principale. Al lavoro di
scarico e carico da una nave all’altra erano addette due squadre
che si alternavano ogni tre ore; a controllare i facchini e ad
annotare i colli erano stati chiamati, senza nessun preavviso, Tony e
Lombardo; Bucchieri invece andò malgrado i suoi tentativi di restare
nei magazzini, a terra. E si salvò il caro Nuvoletta.
Le
squadre dei facchini lavoravano attentamente ed ogni tanto si udiva
l’avvertimento del Capo:” Rud balek, bi -sciuhia, bi-sciuhia”
(=attenzione, piano,piano), mentre i fusti di benzina e bombe volavano
imbracate sui verricelli da una nave all’altra.
Lombardo, seduto su un rotolo di gomena sulla “Città di Bari”,
richiamava l’attenzione del collega mostrando il suo orologio, un
cipollone che teneva legato ai pantaloni con un pezzo di spago, per
informarlo del tempo che mancava al sospirato riposo di mezzogiorno.
Tony, a dir la verità, non era eccessivamente preoccupato. Era allora,
come anche adesso, del resto, piuttosto…incosciente in certe situazioni
ma si chiedeva: “Perché cavolo non hanno fatto proseguire direttamente
la “Birmania” per Bengasi anziché perdere tempo e fatica a scaricare e
a caricare?”
Egli, ovviamente, non sapeva nulla di navi, di tattiche e di strategie
di guerra; non poteva certo entrare nelle considerazioni dei grandi
cervelli che dirigevano tutto…ma restava lo stesso piuttosto perplesso.
“Tony!” qualcuno dal molo chiamava. Tony si affacciò alla murata della
nave: il Capitan Bobani gli fece cenno di scendere e lo incaricò di
andare a cercare Corrado, un giovane commesso siculo-tunisino che,
secondo le sue informazioni, si sarebbe dovuto trovare a bordo di una
di quelle navi attraccate alla banchina centrale.
“Sono un po’ stanco oggi” spiegò “tu sei giovane e certo non ti pesa
salire e scendere dalle navi. Qui sulla Birmania starò io finché tu non
torni con Corrado.”
Povero Capitano Bobani, genovese puro sangue, sulla cinquantina,
energico e cortese e competente. Era praticamente il responsabile della
Capitaneria di Porto, di quel Porto che improvvisamente era divenuto
prima linea. Ma a che cosa è valso il suo sacrificio? Chi lo ricorda
più? Chi ricorda le centinaia di vittime di quel terribile giorno? Solo
poche righe, a guerra finita, su qualche pubblicazione specializzata:
“…e Rommel restò senza benzina perché la nave che doveva portarla in
Cirenaica era stata sabotata nel porto di Tripoli.
A vent’anni Tony non difettava come ora di elasticità di gambe. Salì
rapidamente su una prima nave attraccata alla banchina e seppe che
Corrado era andato sulla motonave “Vulcania”
ancorata in rada. Là si recò approfittando di un rimorchiatore che
faceva la spola trainando le bettoline dalle navi alle banchine e
viceversa, si arrampicò sulla scala di corda e andò direttamente alla
cambusa; conosceva le abitudini di Corrado ; diciamo che conosceva…i
suoi polli.
Infatti
Corrado era lì a far colazione con un amico marinaio e a cercare
qualcosa da portare a casa, ché la “Vulcania” era fornita di ogni ben
di Dio.
Approfittarono del motoscafo della stessa nave e ritornarono
rapidamente a terra. Erano circa le undici; un aeroplano della nostra
ricognizione volteggiava nel cielo limpido …tutto era tranquillo.
Sulla banchina venne loro incontro un altro collega, Bernardo, e chiese
se avevano comprato le sigarette per lui, le Philips Morris di cui la
“Vulcania”che fino a qualche mese prima faceva servizio di linea per
gli Stati Uniti d’America non ancora entrati in guerra, era provvista.
Chiacchierarono per quei cinque-dieci minuti che bastarono a salvarli.
Tony scorse Capitan Bobani apprestarsi a scendere ed era forse a
dieci-venti metri da lui quando dalla “Birmania” vide levarsi il sole!
Lo vide levarsi e poi scoppiare e un’immensa sfera di fuoco e un
infinito rombo esplosivo gli colpirono simultaneamente occhi e orecchie
mentre un’enorme colonna d’acqua salata lo travolgeva scaraventandolo
contro la parete di una rimessa. Sanguinante da varie escoriazioni al
viso e con una larga ferita al polpaccio della gamba destra,
inzuppato,terrorizzato si trascinò sotto un grosso autocarro per
ripararsi dalle innumerevoli schegge e lamiere infuocate pioventi
dall’alto e attese di capire cosa stava succedendo: scorgeva esplosioni
e fuoco là dove prima c’erano la “Birmania” e la “Città di Bari ”e poi
un automezzo dei pompieri che si posizionava sulla banchina e lanciava
ridicoli schizzi d’acqua e veniva sepolto dall’intera prua della
“Birmania” volata in aria come un fuscello.
Contemporaneamente si erano scatenati i cannoni della difesa antiaerea
e non capiva a chi sparavano…perché nel cielo limpido c’era soltanto
l’idrovolante di prima…

Tripoli bombardata dal mare
Raggiunse
carponi un rifugio oltre i capannoni e fu aiutato a tamponare la ferita
che sanguinava ancora ma che si rivelò, fortunatamente, meno grave di
quanto la paura gli aveva fatto credere. E poi attese con gli altri
rifugiati da sapere chi aveva potuto provocare quel caos. Tanti feriti,
anche gravi, furono portati in quel rifugio di fortuna e fra questi
anche Lombardo che, come disse poi, era stato lanciato in mare e si era
salvato, anche se con un femore fratturato, grazie alla sua abilità di
nuotatore.
Del Capitano Bobani, invece, non si seppe più nulla. Di lui come di
altre, si disse, centinaia di lavoratori arabi e italiani, si trovarono
nei giorni seguenti solo resti irriconoscibili sparsi nelle acque del
Porto.
Quando
le esplosioni diminuirono d’intensità e anche le cacciatorpediniere che
erano in Porto cessarono di sparare sulle due navi esplose per
provocarne l’affondamento e limitare il danno alle infrastrutture sulle
banchine, Tony andò a cercare la bicicletta ma non trovò né bicicletta
né capannone: c’erano solo rovine fumanti.
Si avviò allora zoppicante e inzuppato di acqua sporca verso casa nella
speranza che Giulia fosse là ad attenderlo al solito posto.
Ma Giulia non c’era.
La rugginosa ringhiera fra l’ingresso del Porto e l’albergo Perugina
era contorta e i dintorni cosparsi di schegge metalliche e di frammenti
di lamiere, fra pozze di sangue e detriti d’ogni genere.
Salì in camera ma di Giulia neppure l’ombra. Scese nel portone e seduto
sugli gli scalini l’aspettò invano tutta la sera e tutta la notte.
Giulia non venne e non venne neppure l’indomani.
Tony vagò per giorni e giorni, disperato, nei vicoli della Città Vecchia, fra Suk el Turk

Suk el Turk
e
Suk el Muscir, chiedendo ad ebrei, arabi, maltesi se conoscevano
un’ebrea giovane, biondina che qualche volta andava al Porto a chiedere
l’elemosina …Lo guardavano curiosi e ascoltavano increduli e attenti le
sue descrizioni; qualcuno suggerì di cercare fra le mendicanti
superstiti che si trovavano all’ingresso del porto e che erano state
investite dalla pioggia di fuoco in seguito all’esplosione delle navi
ma lui non volle prendere in considerazione l’atroce possibilità che
Giulia fosse fra le vittime innocenti di quel disastro.
Continuò la ricerca interessando anche alcuni amici agenti della P.A.I. (Polizia Africa Italiana)
e, infine, per non lasciar nulla di intentato si rivolse persino al
Rabbino della Sinagoga nella Città Vecchia. Fu tutto inutile e col
trascorrere delle settimane, esaurita la speranza di ritrovarla, si
costrinse a concludere che Giulia non era mai esistita e che l’amore
che per quasi cinque mesi li aveva avvinti, trasgredendone le regole
imposte dalla razza, dalla religione, dalle condizioni sociali era
stato soltanto il frutto virtuale di un sogno cancellato di colpo dalla
realtà in un tragico mattino assolato