Cari amici tripolini
sono anch’io della comunità anche se per pochissimo. Sono
nato a Tripoli nel 1938 e due anni dopo, allo scoppio della
guerra, mia mamma ha portato mio fratello e me in Italia
mentre mio papà, che era ufficiale dell’Aeronautica, è
rimasto in Libia ed è tra i pochissimi suoi colleghi
sopravvissuti alla guerra. Da allora non sono più tornato
perché il mio status nei riguardi del governo di Gheddafi
non era chiaro - e figuriamoci adesso!
Gli eventi della mia famiglia nel dopoguerra sono stati
complicati e non è questa l’occasione per parlarne. Da
bambino sono cresciuto a Nocera Umbra, un piccolo paese da
cui provenivano i miei nonni materni mentre la famiglia di
papà era di Napoli; poi a Roma; poi a Milano dove mi sono
laureato in ingegneria elettronica e ho cominciato a
occuparmi di calcolatori. Così sono finito negli Stati Uniti
come ricercatore, poi come professore universitario, e sono
tornato dopo parecchi anni in Italia quando cominciava a
farsi strada l’informatica partendo proprio da Pisa. E a
Pisa, nell’università, ho insegnato per quarant’anni e ora
sono in pensione come professore emerito. Se qualcuno di voi
avesse l’insana curiosità di conoscere il mio curriculum
scientifico può cliccare su
Luccio
CV.
In sostanza, come vedete, non ho una patria precisa in
Italia anche se sono molto affezionato alle storie
napoletane della famiglia paterna. E in realtà sentivo solo
un vago legame con la Libia fino a che un fatto inaspettato,
nell’Aprile dell’86, mi colpì come un pugno nello stomaco:
venimmo a sapere una mattina che nella notte aerei americani
avevano bombardato Tripoli e mi sembrò una ferita fatta a me
stesso. Non che Gheddafi fosse una mammola, è ovvio; non che
non avesse usato lui stesso le bombe; ma una nazione civile
non risponde così, e poi proprio su quella che
improvvisamente mi sembrò la mia vera città. Fino allora ero
stato completamente assorbito dalla mia famiglia (ho due
figli e ora due nipotini) e dalla mia professione, ma da
quel momento cominciai a ripensare a Tripoli. Ma come?
I miei ricordi della Libia (interni della casa dove
abitavamo – sprazzi del lungomare) potrebbero essere
autentici o più probabilmente ricostruiti nella mia testa
dai racconti dei miei genitori e da qualche rara fotografia
di famiglia. In questa, del 1939, appaio con mio
fratello maggiore.
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Tripoli 15 Aprile 1939 - Seduto
nella mia carrozzella con accanto mio fratello
Alfredo |
Ma non ho mai dimenticato che nei
racconti dei miei genitori, forse anche perché giovani sposi
e con una posizione sociale localmente buona, il periodo
passato a Tripoli è stato il più felice della loro vita.
Ecco mio padre con un’aria decisamente allegra nella
zona dove abitavamo: qualcuno può riconoscerla?
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Tripoli
1939 - ...Ecco
mio padre con
un’aria
decisamente
allegra
nella
zona dove
abitavamo:
qualcuno
può
riconoscerla?
... |
Tante cose
che avete scritto in queste pagine che vado via via leggendo
mi riportano ai loro racconti e sono veramente grato a
Domenico Ernandes per questa bellissima iniziativa.
In realtà, paradossalmente, della Libia mi è rimasta addosso
un’eredità inaspettata. Pur avendo insegnato per molti anni
nelle loro università e aver ricevuto da loro un certo
numero di riconoscimenti pubblici, improvvisamente gli
americani mi hanno catalogato come nato in un “paese
canaglia” e hanno cominciato a frapporre molte difficoltà
per farmi rientrare nel loro paese negandomi i visti
d’ingresso. Da un lato questo mi seccava molto perché nel
mio mestiere gli USA sono il paese di riferimento
scientifico; dall’altro la faccenda mi faceva ridere,
soprattutto ogni volta che tentavo di convincere burocrati e
poliziotti che non sono un terrorista. A un certo punto li
ho mandati tutti a quel paese. Ma un altro fatto mi è pesato
di più. Accanto alla mia carriera accademica in Italia ho
svolto un’intensa attività per l’UNESCO che mi ha incaricato
di organizzare scuole di aggiornamento per professori
universitari d’informatica nei paesi in via di sviluppo. Ho
lavorato su questo per più di trent’anni nell’Africa sub-sahariana,
in America latina e molto spesso in paesi arabi ove ora ho
tanti amici. Ma mai in Libia, appunto per la mia nascita:
che rabbia!
Infine se qualcuno volesse sapere qualcosa di più sul mio
conto dirò che sono un appassionato di corsa di fondo che ho
praticato intensamente fino a un anno fa quando un problema
di salute mi ha costretto a interrompere - ma spero di poter
ricominciare presto; mi rifugio a suonare la chitarra
classica quando ho bisogno di tranquillità - ma da ragazzo
suonavo dixieland in un piccolo complesso piuttosto rumoroso;
mi diverto un mondo con i bambini di pochi anni per cui
disegno mostri buoni - un tempo per i miei figli, adesso per
i nipotini.
Per concludere ho letto che alcuni di voi pensano che,
terminati gli attuali gravi trambusti, la Libia si possa
presto pacificare e proseguire nella sua millenaria civiltà
come paese democratico, anche se forse divisa in tre parti.
Lo spero ardentemente anch’io. La stragrande maggioranza dei
nostri fratelli libici, gli arabi intendo, meritano una vita
serena.
Pisa, 4 Dicembre 2013