Con i
vicini di casa ed i loro amici, abbiamo
creato un piccolo gruppo. Oltre a
scambiarci inviti a cena, organizziamo
gite sia culturali che gastronomiche con
ovvia preferenza per le seconde, almeno
dal mio punto di vista.
Il gruppo
è consolidato e da molto tempo non ci
sono nuovi “adepti” per cui ho
finalmente finito di spiegare e chiarire
abitudini, usanze e tradizioni,
soprattutto per quanto concerne il
matrimonio in Tripolitania.
Scherzosamente, infatti, mi si chiedeva
quanti “cammelli” mi fosse costata mia
moglie ed il perché ne avessi una sola
quando, beato io secondo loro, ne avrei
potuto avere, per esempio, una decina.
Scherzosamente ...mi si
chiedeva quanti
“cammelli” mi fosse
costata mia moglie... |
Ho detto
“scherzosamente” perché sapevano
benissimo che non ero musulmano, ma
fermamente convinti che tale religione
prevedesse sia “l’acquisto” della
moglie, come di un qualsiasi oggetto al
mercato, che un numero illimitato delle
stesse. Qualcuno, alle mie precisazioni
e quindi alle mie secche smentite, per
nulla convinto, mi ha detto stizzito:
“Ma anche la guida marocchina, l’anno
scorso, ci ha detto che sua moglie
l’aveva pagata 10 cammelli e che stava
rastrellando tutti i cammelli della zona
per crearsi un harem!”. Qualche altro si
è subito associato citando guide
tunisine, egiziane e turche.
In
effetti, al termine di un’escursione a
Saqqàra, in Egitto, chiesi alla guida,
in arabo, in modo che gli altri non
comprendessero, il motivo per cui avesse
detto tutte “quelle balle” parlando
delle tradizioni musulmane del suo
Paese. Mi rispose che ai turisti piaceva
la storia dei cammelli e mi ricordava il
divertimento che l’argomento aveva
generato.
Durante
il viaggio, infatti, il gioco era stato
il valutare il “costo” di tutte le
turiste presenti sul pullman, con grande
divertimento delle stesse soprattutto di
una signora anziana la quale era stata
valutata un cammello zoppo!
“Ed io
non ti sposo!”. Gridò fingendosi offesa.
“Sarà tuo padre a decidere, non tu”. “Ma
io non ce l’ho più”. “Allora deciderà il
tuo procuratore!”.
Ed era
seguita la spiegazione da parte della
guida. Non spettava alla donna
scegliersi il marito, disse, ma al padre
o al tutore trovargliene uno, a meno che
non si trattasse di vedova o divorziata.
Tutto ciò, precisò, accadeva solo nei
villaggi dell’interno.
Come in
tutte le “leggende metropolitane” anche
in questo caso c’è un fondamento di
verità. Sono stato invitato a molti
matrimoni tra musulmani in Tripolitania.
Ho sempre chiesto e mi sono interessato
sulle usanze, costumi e liturgie. Ma
soltanto dalla parte degli uomini perché
all’unico invito pervenutomi da sposato,
mia moglie (Ma non so parlare
arabo, non conosco le loro tradizioni,
non saprei come comportarmi …) non è
voluta intervenire per cui non sono in
grado di descrivere i festeggiamenti e
le tradizioni dalla parte delle donne. È
superfluo precisare che nella
preparazione al matrimonio e nei
successivi festeggiamenti, uomini e
donne formavano due gruppi nettamente
separati. Quanto segue, inoltre, si
riferisce agli anni ’50 ed inizi anni
’60 per cui, molto probabilmente, molte
usanze saranno nel frattempo cambiate e
la modernità avrà notevolmente offuscato
le antiche tradizioni e, per certi
versi, forse è un peccato. Già in
occasione dell’ultimo invito ho potuto
intravedere per qualche istante la
sposina in un bellissimo abito bianco
con relativo velo e lo sposo in abito
occidentale di ottima fattura.
In molti
Paesi, per disposizione di Legge, sono
anche scomparse, da qualche tempo, le
“spose adolescenti” perché l’età
matrimoniale è stata elevata ai
diciotto, vent’anni. In alcune famiglie,
attualmente, si tiene conto anche del
parere della ragazza mentre, in passato,
ogni decisione anche di natura economica
spettava al padre e le sue decisioni
impegnavano la … “volontà” della figlia.
Scrivo al
presente ma, per i mutamenti
avvenuti nel frattempo, sarebbe più
giusto usare il passato.
Innanzi
tutto, il matrimonio in età giovanile è
quasi un obbligo, in modo da evitare
libertinaggio e malcostume. Normalmente
è il padre che decide quando il figlio
debba sposarsi ma ove non dovesse
provvedere, al giovane desideroso di
formare una famiglia resterebbe o
l’attesa o confidare il suo desiderio ad
un parente o alla madre. I figli, anche
raggiunta la maggiore età, non si
permettono di fumare in presenza del
padre, non alzano mai la voce, non
pranzano con lui anche perché il capo
famiglia mangia sempre da solo o con
eventuali ospiti. Assolutamente evitano
frasi scabrose e quindi anche di
manifestare la volontà di sposarsi,
desiderio che, in un certo senso,
potrebbe sottintendere il sesso.
La Sciaria permette di avere
quattro mogli contemporaneamente. In
teoria, un musulmano può contrarre un
numero illimitato di matrimoni ma per
sposarsi la quinta volta, dovrà prima
divorziare da una delle quattro in modo
da essere marito di un massimo di
quattro mogli. Due sono le possibili
motivazioni che molti secoli fa
suggerirono tali permissioni. Una di
ordine religioso: la procreazione e
quindi una maggior diffusione della
religione, l’altra, lo squilibrio, tra
popolazione femminile e popolazione
maschile, creato dalle numerose e
sanguinose guerre, al tempo delle
conquiste dell’Islam. Un modo quindi per
“maritare” tutte le donne in caso
fossero in superiorità numerica rispetto
agli uomini. Non bisogna dimenticare che
per le donne arabe, non trovare marito,
è quasi una sciagura per le stesse e per
le loro famiglie. Negli anni sessanta il
proliferare di matrimoni con donne
straniere, fece intervenire il Governo
che pur non imponendolo per Legge,
raccomandò ai libici di sposare donne
libiche. Ma in Tripolitania la
maggioranza degli uomini, aveva una sola
moglie, al massimo due. La Sciaria
pur consentendo i quattro matrimoni,
ritiene sia opportuno avere una moglie
sola. E la Legge prescrive anche che a
ciascuna moglie sia riservato lo stesso
trattamento sia economico che affettivo.
Ciascuna riceverà gli stessi regali,
condurrà lo stesso tenore di vita, avrà
una propria stanza nella casa del marito
cui è fatto anche obbligo di giacere
alternativamente con tutte le mogli.
Falso quindi il termine di “favorita”
che deve riferirsi eventualmente a
concubine ed al tempo in cui queste
riempivano i palazzi dei Sultani e non
certo le modeste abitazioni dei comuni
mortali.
La stessa
domanda che, come detto sopra, hanno
fatto spesso scherzosamente a me, la
proposi, ma seriamente, ad alcuni amici
libici. Tutti mi risposero, alcuni
probabilmente per celia, che avevano una
sola moglie e che … non ne potevano
più, figuriamoci se pensavano di averne
altre! In effetti non credo sia facile
per il marito obbedire ai dettami della
Legge circa l’uguaglianza negli affetti
e nel trattamento. Così come lo è
altrettanto per le mogli, anche se
musulmane ferventi, accettare di
dividere il marito con le altre.
Gelosie, invidie e discordia tra le
mogli, finiscono per creare un clima
difficile e le tristi conseguenze
vengono trasmesse ai figli. Essi sono i
cosiddetti “Akhuan min bu”
fratelli per parte di padre. In Libia,
inoltre, erano molto comuni i matrimoni
tra cugini con alcune limitazioni.
Pertanto, un divorzio o un nuovo
matrimonio, potevano essere considerati
un torto, uno sgarbo, che coinvolgeva
non solo la sposa ma anche i parenti
della stessa che ovviamente lo erano
altrettanto dello sposo. Un motivo
ritenuto più che giustificato era la
sterilità della prima moglie. Diventava
quasi un obbligo per l’uomo sposarne
un’altra. Ma la nascita di bambini,
creava grande frustrazione alla prima
tanto da consigliarne il divorzio.
Quando
alla ricerca della sposa non provvedono
la madre o le donne adulte della
famiglia e ciò si verifica spesso nel
caso di matrimonio al di fuori dello
stretto ambito familiare, si usa dare
incarico alle Khuttabat. Costoro
sono donne conosciute e ritenute adatte
allo scopo dai genitori del giovane.
Esse si recano presso le famiglie di
ceto sociale e di livello economico pari
a quello dello sposo e dove sanno
esserci giovanette da maritare. La
ricerca comunque viene fatta quasi
sempre nell’ambito della stessa cabila e
quindi in famiglie legate da lontana
parentela. E qui inizia un cerimoniale
tendente a salvare soprattutto le
apparenze. Le Khuttabat giunte
senza preavviso iniziano a conversare
del più e del meno facendo velatamente
capire il motivo della loro visita. Le
parenti della sposa fanno altrettanto e
con una scusa fanno vedere la ragazza ma
con nonchalance. Durante la
visita, far capire l’interesse alla
ragazza per eventuale matrimonio e le
mosse successive della famiglia che,
capendo benissimo, fa in modo di
mostrare la sua congiunta, devono
scivolare come se nulla fosse. Perché se
le Khuttabat non faranno sapere
più nulla in quanto non particolarmente
soddisfatte della ragazza, per la
famiglia di quest’ultima non sarà
un’offesa perché non sarà successo nulla
e le apparenze e la forma sono state
salvate. “Le donne sono venute per
chiedere la ragazza? E chi l’ha detto,
abbiamo bevuto il tè insieme e basta,
una visita di cortesia e buon vicinato”.
Le Khuttabat dimenticheranno
l’incontro e non potranno mai dire i
motivi per cui la ragazza non sia loro
piaciuta. Se invece la visita ha esito
soddisfacente, il padre dello sposo
chiederà al padre della ragazza se
intende sposare la figlia. Anche questo
primo approccio è fatto con discrezione,
come se nulla fosse, in quanto il padre
potrebbe rifiutare il consenso e far
sposare la figlia ad un altro
pretendente. Il primo non si riterrà
offeso perché anche in questo caso si
sono rispettate riservatezza ed
apparenze (… ho scherzato …
non dicevo sul serio … ).
Se come
accade nella maggioranza dei casi, la
risposta è affermativa, allora seguirà
una richiesta ufficiale da parte del
padre dello sposo cui seguirà
un’altrettanto ufficiale accettazione da
parte del padre della futura sposa che
così diventa Makh-tuba
(richiesta in sposa, impegnata). Ed
è questa seconda richiesta che conta, in
quanto, come su detto, la prima è un
giro di parole per tastare il terreno e
per salvare le apparenze in caso di
rifiuto. Finisce così la parte più
laboriosa.
Mi viene
in mente un vecchio proverbio arabo
molto schietto ma altrettanto crudo e
cattivo. Proverbio che ha credenziali in
tutto il mondo e non solo in Libia. È un
rimprovero verso chi non è riconoscente
ed è un monito verso coloro che si
aspettano riconoscenza. Sostanzialmente
dice che quando si ha bisogno di
qualcosa si fa di tutto per ottenerla
usando modi gentili, offrendo doni ed
elogiando chi può concederla. Ma quando
si ottiene il favore o la cosa tanto
ambita, si ignora completamente chi l’ha
data, dimenticando quanto si era detto e
fatto; anzi, si accoglierà un’eventuale
cattiva notizia non solo con
indifferenza, ma augurando il peggio.
Il proverbio è questo:
Lamma giù
iekhtubu fi-ha
Giabu el
asel bir-ruani
Wa lamma
mat abu-ha
Galu: ia
ret ummu-ha i mut tani!
Letteralmente: “Quando sono andati a
chiederla in sposa, hanno portato miele
in grossi recipienti (in abbondanza).
(Si sottintende che l’abbiano ottenuta
perché, continua il proverbio … ) Quando
morì suo padre, dissero: magari morisse
anche sua madre!”.
*****
Raggiunto
l’accordo fra i due genitori, si dovrà
stabilire l’ammontare della dote
anticipata. Questa può essere in
denaro, in tessuti, in abiti ed in
oggetti di varia natura. Bisogna tenere
presente che le donne non lavorando, non
posseggono nulla e lasciano la casa
paterna praticamente col solo vestito
addosso. Necessitano quindi di tutto ed
a tutto deve provvedere lo sposo a cui
spetta anche l’onere dell’abitazione e
del relativo arredamento. L’eventuale
denaro versato in alternativa, servirà
pertanto ad acquistare quanto
necessario. Forse queste motivazioni
hanno indotto a pensare che la sposa
venga “comprata”. E poiché le
popolazioni dell’interno, i Bawadin
(Beduini), quantificano la dote
in marte d’orzo, olio, tende
e capi di bestiame soprattutto cammelli
(leggi sempre dromedari. I cammelli
esistono soltanto in Asia e nei giardini
zoologici), ecco l’erronea credenza
che chi … non disponga di cammelli non
possa contrarre … matrimonio!
La
dote anticipata resterà di proprietà
della moglie anche in caso di divorzio.
Ma appena concluso l’accordo sul suo
ammontare, lo sposo invierà a casa della
sposa un primo regalo (bà-ina).
Normalmente un prezioso monile, un
barracano di seta, profumi, cosmetici
vari. È l’ultima possibilità per
improbabili ripensamenti. Se la
bà-ina è accettata, la sposa è
definitivamente impegnata e non può
sposare altri che non il promesso sposo.
Infatti qualora dovesse successivamente
rifiutare, lo sposo mancato potrà
ricorrere al Qadi (giudice) o al
suo incaricato (Mukhtar) il quale
inviterà il padre della sposa o chi ne
abbia la tutela, a ripensarci ed in caso
di altro rifiuto ella non potrà più
contrarre altre nozze. Si procede
quindi, sempre dinnanzi al Qadi o
al Mukhtar, alla stipula del
contratto di matrimonio: l’aked.
Esso è redatto dai rappresentanti degli
sposi e contiene le generalità di
quest’ultimi, stato civile e soprattutto
l’entità della dote posticipata
che il marito dovrà corrispondere alla
donna solo in caso di divorzio.
(Nessuna meraviglia: in America nei
moderni miliardari matrimoni tra
star o vip, da un po’ di tempo si usa
far precedere il fatidico“sì” da un
contrattino che prevede sostanziose
“doti posticipate” in caso di divorzio).
Mentre la dote anticipata è
il risultato di trattative, la seconda
segue normalmente regole precise e
varia, come valore, da cabila a cabila È
comunque notevole perché serve sia a
rendere costosi i divorzi e quindi a
limitarli, sia alla donna per un primo
suo sostentamento. Il ritorno in
famiglia, da divorziata, non è ben
accetto perché del ripudio è ritenuta
spesso responsabile e difficilmente
troverà un nuovo marito che non sia
molto anziano, quasi sempre vedovo, ed a
cui finirà per fare più da badante
che da moglie. Nessuno festeggerà
queste nuove nozze perché le feste dell’ares
hanno luogo soltanto in caso di
nozze di nubili.
Siccome
prima della lettura dell’aked per
la firma definitiva, si usa leggere
alcuni versi del Corano, in particolare
la prima sura che si chiama
Fatah, la cerimonia della lettura
dell’aked si chiama anche “Qira-a
el Fatah”.
Ha inizio
quindi una grande festa: l’ares,
che si protrarrà per una settimana: da
giovedì a giovedì. Parenti ed amici
dello sposo non hanno bisogno di essere
invitati mentre per quelli della
famiglia della sposa l’invito è
opportuno. Ultimamente venivano spediti
costosi cartoncini di partecipazione ma
in passato gruppi di donne passavano di
casa in casa, si fermavano davanti alla
porta dei potenziali invitati, ed
iniziavano ad emettere i caratteristici
trilli chiamati zagarit. Le donne
dall’interno rispondevano con
altrettanti trilli di gioia a
significare che l’invito era stato
accettato. Ma anche in questo caso,
usanze, usi e costumi variano da cabila
a cabila, da zona a zona. In alcune
parti del Paese, infatti, i parenti
della sposa ignorano completamente i
festeggiamenti ed il padre rivedrà la
figlia soltanto dopo un anno. Altre
tradizioni, sconsigliano se non vietano
addirittura i matrimoni tra Berberi ed
Arabi. Sempre e dappertutto la madre
vedrà la figlia soltanto dopo sette
giorni dalle nozze. I Tuaregh, poi,
fanno storia a sé. Mi dispiace
moltissimo non aver assistito ad un
matrimonio secondo le usanze di questi
mitici abitanti del deserto vero.
*****
Il
giovedì pomeriggio la sposina, preceduta
da un corteo recante anche tutti i doni
ricevuti da amici e conoscenti, si reca
a casa dello sposo dove è accolta dai
parenti di quest’ultimo ed è oggetto di
riti ben augurali e di benvenuto, come
ad esempio il versare acqua limpida al
suo passaggio per indicarne la purezza,
e di riti propiziatori per ottenere ogni
bene, per rendere il più duraturo
possibile il matrimonio, per avere tanti
figli, soprattutto maschi, e per godere
sempre di ottima salute. I Libici sono
molto scaramantici. Credono potente, e
quindi temono moltissimo, il malocchio
(Ain Assu-i) e gli spiritelli
maligni: i Ginn. Lo sposo,
soprattutto, ritiene, quasi sempre, che
un eventuale altro pretendente gli abbia
fatto il malocchio per l’invidia e la
rabbia di non essere al suo posto. E
questa fissazione lo potrà condizionare
psicologicamente al punto da creargli …
brutti scherzi al momento della
consumazione del matrimonio..
La sposa,
ben truccata, ornata con gioielli e con
mani e caviglie tinte con la henna,
viene condotta da due ancelle di sua
fiducia nella stanza nuziale e verrà
preparata per la notte. Lo sposo, dopo
la preghiera serale in moschea, giunge
con un corteo di auto strombazzanti,
insieme ad una moltitudine di amici con
i quali si intratterrà in banchetti e
divertimenti per tutta la settimana.
Entra nella nuova casa il giovedì sera (Lail
ed-dokhla) dove riceverà insieme
alla sua sposa, che vede per la prima
volta, un dolce. Questo è preparato da
una fattucchiera, sempre per i
citati motivi scaramantici. Molto più
spettacolare la cerimonia dei Bawadin.
La sposa arriva alla tenda del
marito, su di un dromedario ben
addobbato sulla cui gobba viene
costruita una specie di capannina (Géh-fa
o Caramud) ricoperta da preziose
sete non necessariamente chiusa alla
vista di terzi perché i Beduini non
nascondono le loro donne.
La capannina della
sposa - Gèh-fa o Caramud |
Fa ali al
corteo della sposa, una squadra di
cavalieri che si lanciano in corse
spericolate sparando in aria o
volteggiando scimitarre. Corrono fra due
ali di donne che emettono i famosi
zagarit e sono allietati da
un’orchestra di flauti e tamburi. È
veramente uno spettacolo da vedere per
la corsa, i superbi costumi, i fucili
quasi sempre antichi e soprattutto per
l’abilità dei cavalieri alcuni dei quali
riescono a sparare in piedi sulle staffe
dei cavalli lanciati a folle corsa.
...cavalieri alcuni
dei quali riescono a
sparare in piedi sulle
staffe dei cavalli... |
Sebbene
mi dissero fosse una prassi comune,
soltanto in occasione del primo invito
mi capitò di vedere quel lenzuolo
che viene esposto con malcelato orgoglio
affinché tutti possano accertare che il
matrimonio sia stato consumato in
maniera tale da fugare ogni dubbio o
maldicenza. A questa operazione
provvedeva una donna anziana normalmente
nera. (Sciusciana).
Mi
dissero anche che lo sposo, intimidito
da quel primo incontro, in trepidazione
per le sollecitazioni che gli pervengono
dal vociare degli amici che lo invitano
con schiamazzi a sbrigarsi perché
vogliono correre a festeggiare,
psicologicamente condizionato dal timore
che qualcuno gli abbia fatto il
malocchio rendendolo ma-a-iun, in
casi rarissimi poteva incorrere in
temporanea debacle. Aggiunsero
anche che era quasi impossibile che la
sposina avesse qualche cosa da farsi
perdonare. Ma, conclusero, qualora si
fossero verificati uno dei due
sfortunati casi, era impossibile barare
ed inutile ricorrere a sotterfugi. La
terribile Sciusciana era tanto
abile che oggi potrebbe tranquillamente
essere assunta a pieno diritto dai
N.A.S. (Nuclei Anti Sofisticazioni).
L’ultima
volta feci ironie e supposizioni. Non so
se le ritennero sconvenienti offese o se
fui additato come lanciatore di
malocchio. Certo che, sarà stato un
caso, ma da allora, non mi invitò più
nessuno.
Roberto
Longo
(In
tutto il testo, leggere sempre “
dromedari”. Non esistono cammelli in
Libia. Ma il termine dromedario, proprio
dei camelidi con una sola gobba, è poco
usato in quanto tutti chiamano cammelli
quelli che in realtà sono dromedari).
(Pubblicato sulla rivista “l’oasi” al n°
3/2006 – Settembre/Dicembre 2006) |