Oggigiorno purtroppo, il furto,
non avendo le aggravanti
delittuose della rapina, non “fa
notizia”. I giornali,
giustamente, continuano a dar
risalto a questo reato contro il
patrimonio e, talvolta, su più
colonne. Ma la maggioranza dei
lettori, dopo aver letto il
titolo e qualche volta il
sottotitolo, si limita a muovere
il capo in segno di
disapprovazione ed a passare
velocemente alle pagine
sportive, alla Cronaca rosa, ed
alla Politica anche se, a detta
di alcuni, in quest’ultimo caso,
chi, saltando il primo argomento
si interessasse troppo ad essa,
peccherebbe di incoerenza.
Non era così in passato. A
Tripoli nel 1961 il furto ai
danni di un Istituto di credito
fece molto scalpore. In quei
luoghi ed a quei tempi non
accadevano spesso fatti di
cronaca nera e pochi erano anche
quelli di cronaca grigia.
Eccezion fatta per i gravissimi
disordini del 1945, del 1948 e
del 1967.
Quando accadde un fatto grave e
delittuoso che per fortuna
rimase unico, se ne parlò per un
decennio. Molti lo ricorderanno
come “il caso Zanuttini” anche
se a posteriori mi sembra di
ricordare che avrebbe dovuto
chiamarsi in un altro modo.
Per qualche tempo si parlò anche
di un’altra vicenda tutt’altro
che delittuosa. Un signore, tale
Papotto dichiarò ai giornalisti
che nel suo podere era atterrato
un disco volante. Purtroppo fu
accertato che l’emozione e la
paura impedirono al Sig.
Papotto di … invitare gli
Extraterrestri nel salotto buono
a bere un buon bicchiere di
scià-hi binnanà. La Terra, a
causa sua, non fece una bella
figura in fatto di ospitalità!
Ma, si dice, il tempo è
galantuomo. Infatti, il
proliferare dei dischi volanti
successivamente innalzati al
rango di Ufo, rese
giustizia al nostro Papotto che
fu, a posteriori ed a pieno
diritto, riabilitato e creduto:
i Marziani esistevano!
Gli Extraterrestri non potevano
venire da Venere perché troppo
brutte erano le loro hostess.
Poco gioviali gli uomini per
essere di Giove. Donne e uomini
senza anelli per cui veniva
esclusa la provenienza da
Saturno. La non radioattività li
escludeva dall’essere cittadini
di Urano. Non so se fu per
esclusione che si stabilì
fossero Marziani o perché
qualcuno riuscì a rilevare, nel
buio, la targa delle aeronavi:
MRT cioè Marte
inequivocabilmente!
Tuttavia da quando è caduto
il muro ed è finita la
contrapposizione dei “blocchi”,
i dischi volanti sono
improvvisamente scomparsi.
Forse, se si fosse prestata più
attenzione o più “orecchio”,
quel linguaggio incomprensibile
quale sembrava fosse il
“marziano classico” non era
altro che uno stretto dialetto
russo o un altrettanto stretto
slang americano. Ma sono
supposizioni. I marziani, per
esempio, potrebbero, ad un certo
momento, aver preferito tenersi
alla larga non avendo gradito
inquinamento e caos regnanti sul
Pianeta Terra. Non bisogna
dimenticare anche che, il
“mancato invito” di Papotto,
potrebbe averli convinti ad
evitare un Pianeta così
inospitale!
Nel 1961 lavoravo in una Banca.
Vi ero approdato il 1° Gennaio
del 1959 (non ero ancora
maggiorenne) rispondendo con un
garibaldino “Obbedisco” ad un
ordine di mia madre che mi
faceva lasciare sia la
Essolibya, dove mi trovavo
benissimo, sia uno stipendio più
alto, in cambio del “posto
sicuro”. Ho scritto primo
gennaio. Ebbene, è stato il mio
primo giorno di lavoro.
Rivolgendomi ai giovani nati
nell’era dei computer, spiego
che allora il calcolo degli
interessi sui c/c veniva fatto a
mano: un team li calcolava con
il metodo diretto, un altro con
il metodo indiretto. Al termine
il risultato doveva essere
identico. Nove volte su dieci
l’evento non si verificava, per
cui bisognava ricalcolare il
tutto. Oggi con i computer che
lavorano giorno e notte con una
velocità impressionante, gli
interessi vengono registrati in
c/c nella prima decade di
gennaio, se non nella seconda.
Allora, nell’era delle biro e
delle calcolatrici a manovella,
gli interessi dovevano, per
disposizioni superiori, essere
registrati o “calati”, come si
diceva in gergo, il primo giorno
non festivo dell’anno, per cui,
31 Dicembre e Capodanno erano
giorni di intenso lavoro per la
Ragioneria, reparto per il quale
ero stato assunto.
Il lavoro in banca non mi
piaceva affatto. Troppi capi,
sottocapi e capetti. Troppe
norme, troppe normative da
seguire tassativamente. Mi
sentivo ingessato e me ne volevo
andare. La retribuzione era
molto al di sotto della media ma
non potevo pretendere di più
essendo stato assunto e rimasto,
con il grado di “impiegato
burocratico di 2ª Categoria”.
Ad onor del vero in tre anni ho
imparato moltissimo e
quell’esperienza mi è servita
per tutta la mia carriera
lavorativa. In principio,
entrando in una qualsiasi
Banca, mi presentavo come
ex-collega. Successivamente non
più: lo capivano da soli.
Dalla Ragioneria passai
all’ufficio Posizioni. Sempre
“burocratico” e sempre di “2ª
Categoria” ma l’incarico era
molto più importante ed i miei
saltuari ritardi mattinieri
causavano qualche giusta
irritazione. Sempre per i
giovani nati nell’era dei
computer, chiarisco che, allora,
non esistevano gli sportelli
polifunzionali ed i cassieri
ricevevano e davano denaro e
basta. Cambiali in cambio di
denaro e basta. I clienti
presentavano assegni da
incassare o da versare al
Riscontro di cassa e facevano le
loro richieste di valuta estera,
di aperture di credito o
chiedevano di ritirare
documentate merci agli uffici
preposti. Tutte le contabili di
addebito nonché gli assegni
presentati per l’incasso
finivano sulla scrivania del
posizionista che, se la
capienza del conto lo
consentiva, addebitava gli
importi nei conti interessati,
ovviamente a mano, e passava gli
assegni all’ufficio cassa e, con
un cenno, dava il consenso agli
uffici Estero e Merci che
potevano così dare seguito alle
operazioni.
Quando arrivavo in ritardo,
trovavo sempre tre o quattro
clienti che si alternavano nello
sbuffare e nel protestare.
Purtroppo non avevo
giustificazioni né di traffico
né di parcheggio: abitavo vicino
al posto di lavoro, avevo una
Lambretta con la quale potevo
tranquillamente dribblare il
traffico e non avevo problemi di
parcheggio all’arrivo.
Infatti da Sciara Sidi Bahlùl,
dopo un centinaio di metri,
svoltavo a destra in Giaddat
Omar El Mukhtar. Altri trecento
metri ed ero già al semaforo che
regolava il flusso delle auto
che, provenendo da Sciara
Errashid, si immettevano in
Giaddat Omar El Mukhtar o si
avventuravano nel quartiere
Belkhèr attraverso Sciara El
Beida. Con la Lambretta
zigzagando tra le numerose auto,
raggiungevo la testa del
“corteo” e naso all’insù
aspettavo il verde perché era
scritto nel destino che trovassi
sempre il semaforo rosso. Al
verde, però, via subito, perché
una frazione di secondo dopo
iniziava il famoso concerto per
“Trombe ed insulti” di Anonimo
diretto dall’autista
immediatamente dietro di me. Se
nella concitazione perdevo la
sincronia tra il rilascio della
frizione e la concomitante
accelerazione con inevitabile
spegnimento del motore, il primo
della fila, sempre lui, dava
inizio allo “Schiaccianoci” di
Cajkovskij con Lambretta ed il
sottoscritto nella parte delle
“noci.”. Bisognava, in questa
pericolosa ipotesi, guadagnare
il marciapiede con la citata
Lambretta ed in tutta fretta.
Evitato il pericolo dovevo
percorrere circa trecento metri,
girare intorno alla meravigliosa
Fontana dei cavalli marini
dell’ex Piazza Italia,
semiattraversare Piazza Castello
ed ero arrivato. Si e no una
decina di minuti.
Quel sabato mattina, però, il
ritardo doveva essere più grave
del solito perché parcheggiando
la Lambretta e sbirciando
attraverso la vetrata, avevo
visto nel salone non i soliti
tre/quattro clienti sbuffanti ma
molte persone e sembrava ci
fosse molta agitazione. Pensai
che oltre al solito rimbrotto
del mio Capo-ufficio avrei
preso, forse, anche legnate da
parte dei clienti.
Appena entrato, però, mi accorsi
che c’erano anche alcuni agenti
di polizia. Chiesi ad un
funzionario che cosa fosse
successo e la risposta fu: “Si
pigghiarunu 20.000
stellini du u caveau giovedì
notti” (Ovviamente al posto del
verbo pigghiare ne usò un
altro molto più colorito). Mi
venne spontaneo chiedergli (ma
era solo una battuta) come
facesse a sapere che erano
proprio 20.000 sterline libiche
e che erano state rubate la
notte tra il giovedì ed il
venerdì. Ebbe una reazione che,
sul momento, mi sembrò
sproporzionata perché gridò: “Ma
che mizzica vai
ricennu!”. (Ma che cosa stai
dicendo!). Ovviamente sempre
usando un vocabolo del colorito
dialetto siciliano.
Seppi così che la notte tra il
giovedì ed il venerdì erano
state rubate 20.000 sterline
libiche dal caveau della Banca.
Per avere un’idea del valore, si
tenga presente che il mio
stipendio era di 47 sterline
lorde e che l’importo rubato
corrispondeva a 35 milioni di
lire italiane del 1961. Nel 1964
comprai un appartamento nuovo di
75 metri a Roma quartiere
Torpignattara pagandolo 8
milioni e mezzo.
Non c’erano segni di scasso né
forzature alla cassaforte. La
cassaforte del caveau si apriva
con il concorso di due chiavi di
cui una in possesso del capo
cassiere, l’altra di un
funzionario di cassa. Tutte le
sere, chiusa la cassaforte, i
due responsabili dovevano
custodire le chiavi portandosele
a casa. Ma era abitudine del
capo cassiere lasciare la
propria chiave nel cassetto
della sua scrivania
contravvenendo alle severe e
giuste norme stabilite dalla
Banca. Il funzionario di cassa,
invece, le norme le seguiva ma
dal giorno in cui si era
dimenticato la chiave a casa,
aveva preso l’abitudine di
lasciarla in un cassetto anche
lui. Chi aveva commesso il furto
doveva necessariamente essere al
corrente di questi non certo
insignificanti particolari. Le
20.000 sterline erano in una
sacca in regolamentari mazzette
pronte dal giovedì pomeriggio
per essere depositate il sabato
mattina alla Banca di Libia
perché stimate “eccedenze di
cassa”. Ovviamente in cassa
c’era anche altro denaro cioè il
fabbisogno per il normale
funzionamento della Banca ma
questo denaro era in un’apposita
cassetta che, sebbene fosse
chiusa con chiave non di
sicurezza, era piuttosto
ingombrante da trasportare. La
circostanza delle eccedenze, si
verificava saltuariamente per
cui il ladro doveva essere a
conoscenza anche di questo
particolare.
Poiché tutte le porte erano
chiuse e senza segni di scasso
ad eccezione di una laterale che
risultava essere stata aperta
dall’interno cioè era servita al
ladro per uscire e non per
entrare dopo averla forzata e
successivamente uscire, la
polizia stabilì, con
condivisibile logica, che uno
degli ultimi clienti o uno dei
circa 30 dipendenti della Banca,
si fosse nascosto, in uno dei
bagni, per uscire a notte fonda,
prendere le due chiavi dai
cassetti, scendere nel caveau,
aprire la cassaforte prendere il
malloppo ed uscire dalla citata
porta laterale che al mattino
del sabato era stata trovata,
ripeto, aperta ma dall’interno.
L’ipotesi del cliente cadde
appena formulata. Come avrebbe
potuto sapere un cliente, anche
se assiduo, il particolare delle
chiavi? Quindi non poteva essere
stato che uno dei dipendenti.
Compresi subito la veemente e
nervosa risposta che mi aveva
dato il funzionario, alla mia
battuta, appena entrato in
Banca: eravamo tutti potenziali
colpevoli.
La polizia aveva ragione a
sospettare di tutti ma tutti noi
avevamo subito individuato il
possibile colpevole ed anche
l’eventuale complice che con
molta probabilità, quella notte,
aveva atteso al di fuori, con
auto pronta, ladro e malloppo.
Il ladro, infatti, uscendo, non
poteva rischiare di imbattersi
in un passante o peggio in un
poliziotto per cui
necessariamente doveva aver
avuto un complice che ad un
certo momento della notte gli
aveva dato il via libera: il
famoso palo presente in ogni
furto o rapina che si rispetti.
Ovviamente ognuno si teneva per
sé ogni congettura anche perché
la certezza sarebbe stata un
grave caso di presunzione.
Certo che il “lavoro” era stato
tanto “pulito” da essere degno
di Arsenio Lupin però il non
aver scassinato a colpo fatto le
porte o la cassaforte in un
tentativo di sviare le
indagini, hanno reso piuttosto
Fantozziana l’esecuzione
del “piano”.
Venimmo convocati a turno per
dimostrare con fatti e non con
chiacchiere che eravamo usciti
regolarmente all’orario di
chiusura e fornire eventuali
alibi validi e soprattutto
credibili.
Quando fu il mio turno, fui
convocato insieme ad altri due
colleghi. Ad ognuno fu chiesto
di dimostrare che fosse uscito.
Io dissi che dieci minuti dopo
la chiusura, mi ero incontrato
con la mia ragazza A.N. con la
quale avevo un appuntamento.
Quindi un’ora dopo ero stato
presso una famiglia proprietaria
di un famoso negozio di
materiali ed attrezzature per
l’idraulica. A casa loro, tenevo
la contabilità non essendoci
spazio in negozio. Uscito dopo
un’ora e mezza, ero andato
presso i negozi dei Fratelli
Darrat dove anche da loro curavo
la contabilità per poi rincasare
definitivamente alle ore 22.00
circa.
Vedemmo partire tre
investigatori mentre fummo
invitati ad attendere in un
salotto attiguo. Nonostante
fossi stato il primo ad essere
interrogato, i miei due colleghi
avevano ottenuto, dopo appena
un’ora, il desiderato e
liberatorio “potete andare”.
Siccome a quell’invito avevo
aderito anch’io, stavo già
guadagnando l’uscita quando un
“No, lei stia qui” mi fece
raggelare. Rimasto solo,
compresi il significato di chi
diceva o scriveva “Trascorsero
così due lunghissime ed
interminabili ore … ” Mi ero
sempre detto: ma le ore sono
sempre di sessanta minuti quindi
non esistono né ore lunghissime
né ore cortissime. Ma in
quel frangente, avevo capito il
concetto!
Le ore intanto corte o lunghe
passavano e nessuno mi diceva
niente. Cominciai quindi a pormi
delle domande. Innanzi tutto se
la vicinanza della mia scrivania
di posizionista con le
due incriminate nei cui cassetti
i cassieri allegramente
lasciavano le chiavi, avesse
generato “cattive supposizioni”
negli inquirenti. Poi rimuginavo
sul mio alibi. Della mia
frequentazione con A.N. ne era a
conoscenza la madre alla quale
non ero poi tanto antipatico ma
il padre, a detta della figlia,
continuava a dirle con voce
alterata “Pensa a studiare e
lascia perdere “quello” della
Lambretta!”. Rimproverata più
volte, l’aveva minacciata di non
farla uscire più di casa. Se
l’investigatore fosse andato
proprio a casa di A.N. e, vista
l’ora, ci fosse stato anche il
padre, ero sicuro che A.N.
avrebbe negato di avermi visto e
forse avrebbe negato anche la
mia esistenza. E se per caso il
“controllore di alibi” si fosse
poi recato a casa della famosa
famiglia e costoro,
interpretando male la Legge
Libica che prevedeva il permesso
di lavoro per impiegati ed
operai non libici, nel timore di
incorrere in infrazioni,
avessero detto: “Longo? Mai
visto e perché dovrebbe venire a
casa nostra? Longo? E chi era
costui?”. (Don Abbondio docet).
Ma poteva anche darsi che
l’investigatore non conoscendo
bene la lingua italiana avesse
optato per la verifica presso i
fratelli Darrat. Ma, pensai, i
fratelli erano quattro. Io ero
in contatto con Hag Ahmed, che
mi aveva assunto mentre con gli
altri tre i rapporti di lavoro
erano scarsi e saltuari. I
fratelli si alternavano nella
conduzione dei negozi. A parte
Hag Ahmed, gli altri,
conoscevano il mio nome? Se a
Mohamed avessero chiesto: “È
stato qui Roberto Longo giovedì
sera?”. Probabilmente
conoscendomi solo di vista,
avrebbe risposto. “No. E chi lo
conosce”.
Certo che adesso ritengo
eccessive le mie preoccupazioni
perché ad una contestazione di
alibi fasullo, avrei chiesto
all’investigatore il vis-à-vis e
i tre su menzionati non potevano
negare di avermi visto perché,
se l’avessero fatto, sarei
passato da “presunto” ladro a
“certo” … omicida!
In quel momento invece ero
seriamente preoccupato. Come
quando si hanno problemi di una
certa importanza: pensandoci di
notte sembrano irrisolvibili,
poi, il mattino dopo, pur
ritenendoli comunque gravi, se
ne trova sempre la soluzione.
Non passò inosservato il balzo
di gioia che feci quando mi
dissero: “Te ne puoi andare!”.
Inforcata la fedele Lambretta,
mi recai subito da A.N. e le
chiesi se per caso fosse venuto
un poliziotto a chiedere
informazioni su di me. Ovvia la
logica femminile: “Perché, che
cosa hai combinato!”. Le spiegai
il tutto e finalmente
un’affermazione giusta: “Certo
che avrei confermato che ci
eravamo visti e poi sai, mio
padre non è vero che non ti può
vedere. Solo che vorrebbe che il
permesso di uscire lo chiedessi
anche a lui”.
Dalla padella alla brace. Avevo
rischiato qualche giorno di
carcere cioè per il solo tempo
necessario a dimostrare che con
quel furto non avevo nulla a che
fare e rischiavo un, anche se
dolce, incarceramento
pre-matrimoniale.
Ringraziando, andai subito da
Darrat. Trovai Abdalla al quale
chiesi se sapesse come mi
chiamavo. “Giunieri” disse
“Sanior Giunieri” rinforzò come
avesse risposto ad un quiz da
mille sterline. “Si d’accordo
sono il vostro ragioniere ma il
mio nome è Roberto Longo. Ti
raccomando e lo raccomando anche
ai tuoi fratelli se per caso
qualcuno chiedesse di Roberto
Longo, quel tale sono io anche
se la mia professione è quella
del ragioniere o “giunieri” come
voi mi identificate. Comunque
dopo aver spiegato il motivo di
quelle precisazioni mi assicurò
che si trovava in negozio dalla
mattina ma che non era venuto
nessun poliziotto. Intanto mi
guardava in modo strano e
sembrava assente, come se
pensasse ad altro: per esempio,
cambiare in tutta fretta la
combinazione della cassaforte
conoscendo, io, quella in
essere!
Non era rimasta che la casa
della famiglia dei titolari del
negozio di idraulica. “Signora
per caso …”
“Ma certo! È venuto un
poliziotto in borghese a
chiedermi se eri stato qui. Gli
ho risposto affermativamente.
Poi mi ha anche chiesto che tipo
eri. Gli ho risposto che ti
abbiamo dato anche le chiavi di
casa, tanta è la fiducia che
riponiamo in te!”.
Mi tranquillizzai ma si stava
avvicinando la partenza per le
ferie. Stavo valutando se era il
caso di lasciar perdere. Se
fossi partito, gli inquirenti,
non potevano pensare ad una mia
fuga? Ed il licenziamento? Da
tempo pensavo di dare le
dimissioni per fare il
burocratico di 2ª categoria
altrove purché con stipendio
adeguato! Si fa presto a dare
giudizi ma consiglio a chi
leggendo, a questo punto,
accenni ad un sorrisino, di
pensarci su, un momentino, prima
di dare giudizi. Bisogna
trovarsi in certe situazioni!
Anche perché, intanto, era
iniziato il processo. Si
concluse circa un anno dopo.
Un grande avvocato, la posizione
dell’Istituto che nel frattempo
aveva ritirato la denuncia,
l’eccezionale benevolenza del
Giudice, avevano fatto assolvere
i due unici imputati. La
Pubblica Accusa non ricorse in
appello. Restava comunque aperto
un processo “contro ignoti”
quindi ancora contro noi tutti!
Mi, anzi ci, dispiacque che se
la fossero cavata. Purtroppo,
oltre a non essersi trovata la
refurtiva, avevano presentato un
alibi probabilmente fasullo ma
“di ferro”. Eravamo affezionati
alla nostra Banca e quel denaro
era come se lo avessero rubato a
tutti noi.
Tuttavia dovevo partire. Le
ferie venivano stabilite dalla
Direzione ad inizio anno e il
periodo non era modificabile.
Ricordo che ogni anno si aveva
diritto ad un’assegnazione di
valuta estera pari al
controvalore di Sterline Libiche
250 successivamente aumentata a
300. Tale importo poteva essere
aumentato di ulteriori 90
sterline (successivamente
incrementato a 110) se ci si
recava all’estero per cura. Chi
era titolare di licenza
commerciale, artigianale o
industriale aveva invece diritto
ad un’assegnazione di 25
sterline per ogni giorno di
soggiorno all’estero.
Al momento di andare in ferie,
era logico che chiunque sperasse
di essere in buona salute e di
avere il morale alto, ma
stranamente, ci si ammalava
ed anche gravemente. Ora
siccome per ottenere le 110
sterline bisognava dimostrare
che le cure erano particolari e
quindi non disponibili in Libia,
le malattie di cui ognuno era
afflitto erano tanto gravi che,
se la prescrizione fosse stata
letta all’arrivo in Europa o in
America da un dottore, costui,
per aver soltanto preso in mano
il foglio, dopo aver ordinato
una quarantena, sarebbe corso
subito a farsi la doccia con
l’alcool puro dopo aver fatto il
bagno in un disinfettante ad
alto potenziale.
Accadde una volta che si
presentò allo sportello una
famiglia di cinque persone:
genitori e tre figli. Tutti
ammalati e non a causa di
una pandemia. Ognuno infatti
aveva una malattia diversa. Anzi
ci doveva essere anche il nonno
al seguito ma lui era ammalato
veramente e non poté partire.
Il certificato medico doveva
essere allegato al modulo di
concessione valuta da inviare
alla Banca di Libia. Per un
errore, per fortuna evitato dal
funzionario che appose l’ultima
firma, si stava inviando il
modulo del bambino di due anni
con allegato il certificato
medico che attestava “gravi
disfunzioni dovute a menopausa
precoce” mentre il certificato
relativo al bambino che era
affetto da problemi di minzione
“per cui si richiedeva un
intervento al pisellino”, era
stato allegato alla richiesta
della madre.
Ovvio che le Autorità erano
perfettamente a conoscenza di
queste false attestazioni, anzi
ci scherzavano su. Conoscevo un
funzionario della Banca di Libia
il quale mi chiedeva: “Quando ti
ammali quest’anno?” per
chiedermi quando sarei andato in
ferie.
Mi diceva che le Autorità
avrebbero voluto innalzare
l’ammontare dell’assegnazione
annuale ma temevano comunque di
non riuscire ad eliminare il
fenomeno perché, non potendo
abolire la concessione speciale
per chi si recava all’estero per
cure, ritenevano che, dopo breve
tempo, il malcostume si sarebbe
ripetuto con le nuove cifre
aumentate. Inoltre con il
considerevole aumento delle
disponibilità valutarie
derivante dagli introiti del
petrolio, le restrizioni
valutarie non erano poi tanto
necessarie. Era anche in
progetto un allentamento dei
vincoli valutari e si pensava
addirittura di svincolare la
sterlina libica da quella
inglese, renderla convertibile,
di lasciare al libero mercato la
sua valutazione e rendere
completamente libera la sua
circolazione nei mercati
mondiali. L’intento era fare di
Tripoli e Benghàzi due piazze
finanziariamente valide e
all’altezza di Beyrùt.
Passò così ancora qualche mese.
Alla fine, vinti gli indugi, mi
“ammalai” anche quell’anno nella
data … stabilita dalla Direzione
e passai le mie ferie a Roma. Il
primo febbraio del 1962 venni
assunto dai Fratelli Darrat.
Passavo da burocratico di 2ª
categoria a capo contabile con
relativo risvolto economico non
indifferente. Ero sempre
“Giunieri” ma a tempo pieno e
non a mezzo servizio. Alla fine
di quell’anno redassi il mio
primo Bilancio con relativi
allegati e relazioni. Finalmente
avevo potuto mettere in pratica
i preziosissimi insegnamenti del
Prof. Martini. Una grande
emozione. Come quella del
chirurgo al suo primo
intervento.
E … il furto? Come ogni giallo
che si rispetti, presento la
soluzione qui alla fine.
Uno dei dipendenti della Banca
si ammalò gravemente: era colui
che aveva fatto da “palo”. In
punto di morte disse alla
moglie: “Vai da Tizio e fatti
dare 10.000 sterline. Sono la
mia
parte del furto. Quella
notte, subito dopo il “colpo”,
sotterrammo il malloppo nel
deserto in un posto che
lui sa!”.
Furono le sue ultime parole. La
moglie, non potendo provvedere
personalmente in base agli usi e
costumi locali, si rivolse ad un
parente maschio della famiglia
il quale, pur non conoscendo il
sig. Tizio, non se lo fece dire
due volte e si recò da Tizio,
autore materiale del furto ed
anch’egli dipendente della
Banca. Tizio, non credendo alla
versione data dallo sconosciuto
e credendo invece si trattasse
di un tranello della polizia
investigativa, negò tutto ed
asserì che nel deserto ci andava
soltanto a caccia. Il parente
della vedova, infuriato ed
indispettito, andò alla Polizia
cui non mancarono i mezzi per
far confessare il tutto al sig.
Tizio. Recuperata anche la
refurtiva, l’Istituto, che aveva
già ritirato la denuncia, ne
chiese l’archiviazione.
L’ottenne, perché “Palo e
Tizio” erano i due
imputati nel primo processo, già
assolti con sentenza passata in
giudicato perché non appellata.
Mi sembra che nessuno possa
essere giudicato una seconda
volta per il medesimo reato se
già assolto la prima. Almeno
così mi sembra di ricordare.
P.S. Un solo momento, per
favore, prima di girare pagina.
Avvicinatevi, vi devo dire una
cosa all’orecchio … solo poche
parole ancora:
tutti noi dipendenti avevamo
intuito chi fossero i colpevoli
sin da quel sabato mattina e non
c’eravamo sbagliati.
Roberto Longo
Pubblicato sul
notiziario “l’Oasi”nel Numero 1/2006 -
Gennaio - Aprile 2006