La nascita di Gesù è
storicamente provata. La data
esatta dell’evento, però, è
stata per lungo tempo oggetto di
discussioni mai arrivate ad
unanime conclusione. Quella del
25 Dicembre, pertanto, si può
definire convenzionale.
Anche l’anno in cui si è
iniziato a celebrare la
Natività, non è certo. La festa
pare sia stata introdotta a Roma
intorno al 330, forse agli inizi
del IV secolo.
Fra le due grandi Chiese
d’Oriente e d’Occidente non ci
fu accordo su questa
importantissima festività.
Infatti, mentre la prima la
celebrava il 6 gennaio,
l’Occidente la onorava il 25
dicembre. Successivamente la
Chiesa d’Oriente iniziò ad
accettare la nascita di Gesù il
25 dicembre, ritenendo il 6
gennaio giorno del battesimo di
Gesù mentre l’Occidente ha
sempre festeggiato, in questa
data, l’adorazione dei Re Magi.
Attualmente, però, la Chiesa
ortodossa celebra il Natale il
sette gennaio ed il battesimo di
Gesù dodici giorni dopo.
L’introduzione nella liturgia
del 25 dicembre come festa della
Natività di Cristo, secondo
Dionisio Filocalo, sarebbe
avvenuta al fine di contrapporre
una festa cristiana, a quella
pagana della nascita di Mithra,
antica divinità indoeuropea, in
grande rivalità col
cristianesimo dei primi secoli e
che si celebrava appunto il 25
dicembre (Dies natalis solis
invicti). La festa pagana
vedeva, nel solstizio d’inverno,
il sorgere del nuovo sole. Da
qui il motivo di
contrapposizione: Gesù era il
nuovo sole, la nascita della
nuova religione.
La Pasqua e la Pentecoste,
ricalcano, con diversi concetti
cristiani, feste già celebrate
dal giudaismo, mentre, il
Natale, è di origine prettamente
cristiana, e, a differenza di
Pasqua, è una festa a data
fissa. Il Natale non è mai
citato nei testi prima del
secolo IV anche se Ippolito nel
suo Commentarium in Danielem
fissa la Natività al 24
dicembre dell’anno 42 di
Augusto. Tertulliano e Origene
(II e III sec.) ignorano
l’evento. Tuttavia la
Depositio Episcoporum,
documento romano del 336,
conferma già, per quell’anno, la
celebrazione del Natale al 25
dicembre.
Come su detto, la Santa
festività iniziò a Roma da dove
si diffuse rapidamente anche in
Oriente, con le sole divergenze
su citate. Tale diffusione
coincide con le lotte
dell’arianesimo che spinsero i
cattolici ad una più grande
venerazione verso il Figlio di
Dio. La liturgia cattolica
prevede, dal VI secolo, l’uso di
celebrare tre Messe, con tre
vangeli diversi, da parte di
ogni sacerdote, simbolo allusivo
della triplice nascita di Gesù
Cristo: nell’eternità dal Padre,
nel tempo da Maria Vergine,
nell’anima dai cristiani. I
riti: a mezzanotte, all’alba (ad
auroram) e al mattino. La Messa
di mezzanotte cominciò nelle
chiese di Gerusalemme, con l’uso
di celebrare il Natale, la
notte, a Betlemme, presso il
presepe. A Roma questa Messa si
celebrava in una grotta con
simbolico riferimento a quella
di Betlemme. La seconda
Messa, ad auroram, non
aveva, inizialmente, relazione
con il Natale, se non con certi
canti imitati da quelli
processionali che si facevano
nell’andar da Betlemme a
Gerusalemme, dopo aver celebrato
presso il presepio. Essa veniva
officiata in onore della martire
Anastasia di Sirmio, la cui
festa cadeva il 25 dicembre.
La santa era molto venerata a
Costantinopoli, da dove il
culto, sotto la dominazione
bizantina, passò anche a Roma
nella chiesa al Palatino:
l’attuale chiesa di
Sant’Anastasia. Successivamente
l’uso delle tre Messe si propagò
in tutto l’universo cristiano.
L’importanza del Santo Natale,
dell’Adorazione dei Re Magi,
della Sacra Famiglia riunita
nella grotta della Nascita, non
poteva non essere oggetto di
grande risalto nell’iconografia
di tutti i tempi. I più antichi
esempi, risalgono al IV secolo,
e tra i più antichi, quelli
delle Catacombe di San
Sebastiano in Roma, purtroppo
quasi cancellati dal tempo e,
forse, anche dall’incuria.
Risalenti al XII secolo i
mosaici di San Marco in Venezia,
quelli siciliani di Monreale,
della Cappella Palatina e della
Martorana, a Palermo. Nel XII
secolo, il timpano di un portale
di Nôtre-Dame a Parigi ed il
mosaico absidale con il Presepe
in Santa Maria in Trastevere a
Roma, opera di Pietro Cavallini
nel 1291. In seguito sino a
tutto il Seicento, il Natale fu
il grande tema d’impegno in cui
si cimentarono molti dei
maggiori pittori europei.
Giotto, con l’affresco nella
cappella degli Scrovegni a
Padova e la Natività sulla
facciata interna di Santa Maria
Novella a Firenze. Quindi
Filippo Lippi, Piero della
Francesca, Botticelli, Perugino,
Ghirlandaio, l’Angelico,
Giorgione, Antoine Le Nain, Rijn
Rembrandt, Esteban Murillo e
tanti altri.
|
|
Padova - Cappella
Scrovegni |
Firenze - Santa
Maria Novella |
Anche nella scultura, molti
artisti si cimentarono per
rappresentare il Natale.
Giovanni Pisano, nel pulpito di
Sant’Andrea a Pistoia e nel
pulpito del Duomo di Pisa. Di
anonimi le sculture nel San
Bassiano a Pizzighettone
(Cremona) e di parte dei rilievi
sulla facciata del Duomo di
Orvieto. Di Ghiberti nella porta
nord del Battistero di Firenze;
di Jacopo della Quercia nel
portale di San Petronio a
Bologna; di Amadeo nella
Cappella Colleoni a Bergamo; di
Andrea Sansovino nella Santa
Casa di Loreto e di Jacopo
Sansovino nella porta bronzea
della sacrestia di San Marco.
Insieme all’importante liturgia
natalizia, si sono sempre più
consolidate alcune tradizioni
popolari e manifestazioni
folkloristiche. Il ciocco o
ceppo di Natale, ad esempio, che
si collega alle importanti feste
del fuoco del solstizio
d’inverno, usanza, a fine
propiziatorio, largamente
diffusa in Europa, sopratutto
nelle campagne. Nell’antica Roma
il 17 dicembre si festeggiavano
i Saturnali, con addobbi di rami
sempreverdi e scambio di doni.
Anche popolazioni definite
barbare del Nord Europa,
celebravano riti analoghi alla
luce di candele nel calore delle
case e delle famiglie. Ancora,
ai giorni nostri, in Umbria, si
fa ardere un grosso ceppo di
olivo fino al giorno degli
Innocenti, e se ne sparge poi la
cenere nei campi e nelle vigne.
I contadini romagnoli, la
vigilia di Natale, danno fuoco
ad un grosso tronco, che deve
ardere fino all’Epifania. La
mattina di Natale, poi, si
spargono i carboni spenti per
scongiurare la grandine e i
temporali. Così nelle valli del
Sieg e del Lahn in
Germania ed in Provenza. In
molte altre parti della Francia
e dell’Inghilterra tuttora il
ceppo carbonizzato protegge la
casa, non solo dai fulmini, ma
anche dalle stregonerie. Nei
Balcani il ceppo è ritenuto
protettore dei raccolti in
quanto avrebbe il potere di
tener lontana la grandine; in
Albania, che le ceneri di quel
fuoco rendano i campi più
fertili. Forse a seguito di tali
tradizioni, anche sulle nostre
tavole, accanto al famoso
panettone, spesso c’è il famoso
“tronchetto” che … tutti si
guardano bene dal … bruciare!
Nella tradizione sono entrati
anche Babbo Natale e l’albero
di Natale. Il simpatico vecchio
dall’aria bonaria, la veste
rossa, la lunga barba bianca, è
di origine celtica o comunque
del Nord Europa come è
confermato dal fatto che è
sempre rappresentato insieme a
renne e slitta. Insieme
all’albero, che da noi ha avuto
la maggior divulgazione nel
dopoguerra, Babbo Natale, il
Sancta Claus dei popoli di
lingua tedesca, si è imposto in
Italia, rubacchiando un po’ di
popolarità al Presepe, a cui la
tradizione italiana lascia
comunque il ruolo più
importante. Ma non sempre il
compito di portare i doni è
affidato all’idolo dei più
piccoli.
O meglio, in questo amabile
compito, è coadiuvato anche
dall’albero, sotto i cui rami
lascia i doni più consistenti,
mentre i più piccoli li appende
fra le luci e gli addobbi.
L’origine dell’albero natalizio,
è relativamente più recente di
quanto si creda. Sembra sia
“nato” in Alsazia o a Strasburgo
agli inizi del 1600 sempre per
fini propiziatori. Da qui passò
a Parigi nell’800 negli ambienti
aristocratici, quindi nei Paesi
Scandinavi poi in Russia, per
arrivare infine anche in Italia.
Ma Natale vuol dire Presepe
almeno per L’Europa meridionale
e comunque per tutti i Paesi a
vocazione Cattolica. Nel 1223
San Francesco costruì il primo
Presepe. Considerando la natura
del Santo, doveva essere molto
semplice e spoglio. Oggi, in
alcune regioni, allestirlo è
diventata una vera e propria
arte.
Al fascino del Natale, non
potevano restare indifferenti i
musicisti ed i cantastorie.
Numerosi i canti popolari sul
Natale (Weihnachtslieder
tedeschi, i noels
francesi, le carols
inglesi). Chi non conosce
Adeste fideles , il tedesco
Stille Nacht o Jingle bells?
In Sicilia, i celebri
cantastorie, narrano agli angoli
delle vie principali, episodi
relativi alla nascita e infanzia
di Gesù, affascinando anche il
pubblico adulto. I cantastorie
sono coadiuvati nel rendere più
allegro il Natale, dagli
zampognari, che, in tutta
Italia, per tradizione, vestono
i costumi dei pastori sardi,
diffondendo nenie che
contribuiscono a rendere più
festosa questa importante
ricorrenza.
La tradizione poi si sposta al
celebre pranzo natalizio, per la
realizzazione del quale, si è
portati a non tener conto dei
costi. Oggi, per i Paesi più
fortunati, il benessere
sembrerebbe aver svalutato il
“rito”. Ma Natale oltre che
importante festa religiosa, è
anche la grande festa della
famiglia. E per le nostre
famiglie, riunite a tavola,
quasi sempre con (mi si perdoni
l’irriverenza) i nostri cari
Giuseppe e Maria, mentre si
rincorrono vocianti nostri
piccoli Gesù, credo sia
quanto di più bello si possa
desiderare.
La
"cocca" di nonno
Roberto |
L’atmosfera creata dalla
Ricorrenza, rende più buoni. Nei
giorni precedenti il Natale,
dicevo a mia madre di essere
pentito delle marachelle
commesse nell’anno. Mi
rispondeva sempre che il
pentimento era tardivo e
“interessato” visto
l’approssimarsi della Festa. Non
era vero! Non mi pentivo per
ottenere regali ma proprio
perché suggestionato
dall’evento. Non trovai mai
“carbone”… forse perché al
mercato nero costava di più di
altri oggettini.
Il ricordo adesso mi porta agli
anni del dopoguerra. Un Natale,
di cui conservo un bel ricordo,
è quello ormai lontano del 1946.
Era il primo Natale della mia
famiglia finalmente riunita dopo
gli eventi bellici, che
l’avevano divisa. Eravamo a
Nalùt. Insieme alla figlia del
Comandante Irlandese della
guarnigione, io e mio fratello
eravamo gli unici ragazzetti di
religione cattolica. Fu proprio
a casa del Comandante
Littledale, che ci aveva
invitati, che vidi il primo
albero di Natale. C’erano appese
figurine di carta ritagliata,
nastri colorati, fiocchetti di
cotone e delle arance, appena
arrivate da Tripoli con
l’autocarro che ogni quindici
giorni riforniva il villaggio.
Nessuna luce, né fili argentati
ma, sotto, tra i numerosi doni,
due pacchettini anche per noi:
in uno, un camion di latta,
nell’altro caramelle e dolciumi.
Ci disse che li aveva portati
Babbo Natale. Avevo otto anni
quindi piuttosto grandino, avevo
visto una guerra e stavo vivendo
in un altrettanto brutto
dopoguerra ma ricordo che mi
piacque credere che fosse tutto
vero.
...nessuna luce, nè
fili argentati.. |
In quegli anni, il Natale, non
aveva l’importanza commerciale
di oggi e Babbo Natale non
viveva a Rovaniemi in Finlandia
con tanto di casella postale ed
ufficio smistamento lettere. Era
vivo solo nel nostro immaginario
infantile così che, ognuno, se
lo plasmava come voleva. Ricordo
che la moglie del Comandante,
cattolicissima, ci raccontò
tante storielle, cantò alcune
filastrocche natalizie, ci parlò
del Natale nella sua Irlanda,
non riuscendo a nascondere
nostalgia e commozione. Io e mio
fratello non sapevamo una parola
né di inglese né di irlandese e
mio padre ci tradusse soltanto
alcune frasi. Sembrerebbe
assurdo, ma ricordo che capimmo
tutto. Forse perché la signora
era di una dolcezza e di una
espressività incomparabili.
Prima di quel Natale, i doni
(molto modesti: qualche
caramella, qualche dolcetto) li
avevamo avuti “dai morti”.
Eravamo a Catania e penso che
tale tradizione resista ancora.
Il due novembre, giorno di
dolore, per non rattristare
ulteriormente i bambini ed anche
per dimostrare che chi non c’era
più si ricordava ancora di
loro, si diceva che i cari
defunti portavano i doni. Poi a
Verona, dove a tali incombenze
provvedeva il 13 dicembre, Santa
Lucia. Ma non ci è mai stato un
vero Natale, una vera festa, e
non ci sono stati mai doni
graditi perché la nostra
famiglia, come su detto, era
divisa.
Gli anni successivi, trascorsi a
Ghariàn, sono stati un po’ più
“ricchi”. Mia mamma faceva
l’albero che di anno in anno
diventava sempre più bello e la
base sempre più “affollata” di
doni. Io, da tradizionalista, il
Presepe. Certo non avevo né i
mezzi né la competenza dei
napoletani, che hanno il culto
del Presepe tanto che, nel
periodo natalizio, il capoluogo
campano merita un viaggio
apposito.
Si producevano, allora,
spaghetti lunghi e con
gobbetta, impacchettati a mano
in una carta azzurra. Il loro
imballo, era il cielo del mio
Presepio. Le casette di cartone
erano oggetto di scherno da
parte dei miei denigratori
perché non “proporzionate”
all’altezza delle mie statuette
di terracotta e ...”ma figurati
se a quei tempi le case erano
fatte così!”.
Mia mamma, poi, non era da meno.
“Quella stella cometa”, mi
ripeteva ogni anno, “sembra un
gatto giallo arruffato ed
ingobbito”..
La statuetta che non ho mai
voluto rinnovare era quella del
pescatore. Era la più bella. Il
pescatore allungava, sul
laghetto fatto con un pezzo di
specchio rotto, una canna al cui
amo aveva abboccato un pesce.
Purtroppo un Natale, nel
prenderla, mi accorsi che aveva
la testa mozzata. Da allora, non
disponendo dei supercollanti
moderni, impastavo farina ed
acqua. Quando però l’impasto si
seccava, la testa cadeva nel
laghetto. Al che, altra presa in
giro: “Hai un pescatore che
pesca la sua testa!”.
Abbiamo sempre festeggiato la
ricorrenza, il giorno
ventiquattro. Si iniziava con la
cena e si andava avanti fino
alle tre/quattro del mattino per
cui, il giorno del Santo Natale,
era giorno di riposo. Mia madre
era bravissima a preparare la
cena nel rispetto della
tradizione che la voleva
rigorosamente di magro: a
Ghariàn il pesce non c’era!
Spesso alcuni amici con le loro
famiglie, erano nostri ospiti.
Poi la grande emozione per
l’apertura dei doni, grandi
giocate a tombola e a carte. A
mezzanotte tutti alla Messa e
solito rimbrotto di Padre
Antonio accompagnato da più
sentite cordonate sulle
gambe! Ero chierichetto e
toccava a me suonare le campane
... ma arrivavo sempre tardi!
Dopo la Messa, si riprendeva a
giocare. Così fino all’alba.
A Tripoli, con il benessere
derivante dallo sfruttamento del
petrolio, il Natale diventò
ancora più ricco. Ma solo dal
punto di vista materiale.
Spiritualmente, per la nostra
famiglia, lo è stato sempre. Il
24 Dicembre ricorreva anche
l’anniversario dell’Indipendenza
della Libia per cui tutto il
Paese era in festa.
Una volta, ricordo, stavo
tornando a casa in anticipo per
gli ultimi ritocchi agli addobbi
ed alla cucina. Era la
Vigilia del Natale 1962.
Incontrai un “importato” (così
erano chiamati operai
specializzati, funzionari e
tecnici che venivano dall’Italia
con contratto di lavoro
temporaneo e quindi non
residenti). Era un amico di mio
fratello. Gli chiesi il perché
fosse così cupo e soprattutto
come mai non fosse partito,
visto che, da oltre un mese, non
faceva altro che parlare con
enfasi delle usanze e tradizioni
Natalizie del suo paese
nell’Alto Lazio. Mi rispose che
non aveva trovato posto in aereo
e vani erano stati i tentativi
del “via Tunisi” e “via Cairo“.
Era al suo primo anno e non
sapeva che bisognava prenotare
entro i ... quindici minuti
dall’apertura delle
prenotazioni. Lo invitai a casa
nostra ed accettò. Prima di far
ritorno a casa, in tutta fretta,
comprai un regalino anche per
lui. Un piccolo accendino.
“Aggiungemmo un posto a
tavola”, come nella celebre
commedia, e la festa fu ancora
più lieta. Si commosse quando si
accorse che sotto l’albero c’era
un pacchettino anche per lui e,
molto imbarazzato, si disperò
perché per noi non aveva portato
alcun dono.
Quando, a festa finita, se ne
andò, nel ringraziarci, ci
disse, raggiante, che aveva
passato un bel Natale. Che gli
era sembrato di essere stato a
casa sua, con la sua famiglia.
Non si rese conto che, con
quelle affermazioni, ci aveva
fatto il regalo più bello.
Roberto Longo
Fonte consultata per i cenni
storici: Enciclopedia Universale
Fabbri.
(Pubblicato sulla rivista
“l’oasi” nel Numero 3/2005 –
Settembre - Dicembre 2005)