Tripoli 1957 -
Roberto Longo "sub"
-
La
foto è un falso! |
Una
foto del 1957, mi ritrae in
perfetta tenuta di “sub”. È un
falso! Un falso colossale! Ad un
vero “sub” bastò una sola
occhiata per chiedermi
ironicamente da quale Veglione
di Carnevale stessi uscendo. Con
uno stratagemma ed in un momento
di sua disattenzione, feci in
tempo a cambiare la didascalia
sul retro, sostituendo, la bugia
“vecchia”, con un’altra più
credibile: “Scherzo ad un
amico”. Quindi gli chiesi cosa
avesse notato di tanto strano.
“Hai le pinne ai piedi, il mare
è a circa 50 metri. La prima
cosa che fa un “sub” è togliersi
le pinne, utilissime in acqua,
ingombranti e fastidiose sulla
sabbia. Se a fine pesca si sale
sulla barca o si guadagna la
riva a nuoto, la prima cosa da
fare, all’arrivo, è proprio
sfilarsi le pinne. Hai il fucile
con la fiocina in canna e
rivolto verso l’alto mentre di
norma, sulla “terraferma”, la
fiocina è fuori canna ed è
legata con la sagola allo stesso
fucile. Hai la maschera
sollevata sulla fronte e questo
può anche “starci”, ma trattieni
ancora il boccaglio in bocca.
Vesti una camicia ... inamidata,
sbottonata e con i due lembi
inferiori legati a fiocchetto,
roba da “figurino“ non certo da
“sub“. Se l’hai usata
impropriamente come ... muta,
dovrebbe essere bagnata ed
“appiccicata” al torace. Poi
trattieni il pesce per la coda.
Normalmente si tiene dalle
branchie. Appena pescato è
viscido. Impossibile tenerlo in
modo diverso”.
“Ma certo” risposi, “leggi qui
che cosa c’è scritto. Non vedi
che si tratta di uno scherzo
fatto ad un amico?”.
Ovvio che non era vera né la
prima né la seconda didascalia.
Ma almeno da quel momento,
siccome il discorso andò avanti
a lungo avendo io posto un
mucchio di domande, mi feci una
cultura sull’attività subacquea.
Dico “attività” subacquea perché
mi viene un po’ difficile
considerare la pesca uno sport,
una competizione.
Nel ciclismo, ad esempio, tutti
i corridori dispongono di una
bicicletta e muscoli per farla
andare. Tutti cioè partono “ad
armi pari”. Poi ovviamente ci
sono gli Armstrong, i Bonen, i
Bettini. Lo stesso nel calcio,
nella pallacanestro,
nell’atletica. Tutti hanno gli
stessi mezzi, tutti partono alla
pari. Poi c’è il campione e la
mezza calzetta.
Nella pesca con la canna,
invece, da una parte c’è
l’inganno, dall’altra: ingenuità
e fame. In quella subacquea: da
una parte un fucile, dall’altra:
guizzo veloce e speranza di
avere la tana molto vicina.
Stesso discorso per la caccia:
la sua pratica resiste dall’età
della pietra ma come si fa a
considerarla uno sport?
Non credo che la “donna
dell’età della pietra” dicesse:
“Pietro, (qui inteso come Uomo
... dell’età della pietra)
Pietro, vai a fare un po’ di
sport ché non c’é più carne e
stasera abbiamo ospiti: vengono
quelli che si portano appresso
anche il leone a guinzaglio”.
Tuttavia ho sempre ammirato
coloro che riuscivano a nuotare
e a scendere sott’acqua in
apnea. Non ci sono mai riuscito,
non ho mai imparato. Ammirato
sì, invidiato no. Non conosco né
l’invidia, né l’accidia.
Rimangono altri cinque peccati
capitali: per tre, quando sarò
chiamato a giustificarmi (il più
tarduccio possibile)
invocherò le attenuanti
generiche, per gli altri due mi
necessiterà un buon avvocato!
Pur essendo contrario alla pesca
ed alla caccia, non disdegno
affatto né il pesce né la
cacciagione. Non sono cioè come
quei “protettori degli animali”
nemici delle pellicce ma che al
ristorante non solo chiedono una
bella “fiorentina”ma si
raccomandano che sia ... “al
sangue”!
Anche se nuoto e pesca non mi
hanno mai entusiasmato, la
scarsa dimestichezza con pinne e
maschere, mi ha impedito di
ammirare i fondali bellissimi
della Libia e quelli
incomparabili del Mar Rosso e
delle Maldive. Rimanendo a pelo
d’acqua con quelle maschere “di
una volta”, quelle che avevano
il boccaglio che terminava in
superficie con un galleggiante
pronto a chiudersi all’arrivo
dell’onda in modo da impedire
l’entrata dell’acqua, sono
riuscito, a suo tempo, a vedere
qualcosa. Quel tipo di boccaglio
anni cinquanta/sessanta non lo
fanno più. Tutto pertanto ha
congiurato contro di me e sono
stato sempre costretto a rifarmi
con i documentari televisivi
usando una poltrona al posto
della barca ed il telecomando al
posto di pinne, maschera e
sopratutto “fiato”.
Quando mi è stato chiesto di
scrivere qualcosa sulla pesca
subacquea in Libia, ho avuto un
attimo di panico. Poi ho
accettato sapendo che avrei
trovato collaborazione in due
miei ex-compagni di scuola ed
attuali amici: i signori Paolo
De Gennis e Franco Venza.
Da qui in poi non è farina del
mio sacco nel senso che io ci ho
messo solo il sacco, il
ghirbal (setaccio) e
qualche additivo. Loro la farina
di ... pesce!
Paolo De Gennis mi rispose
subito che non ricordava più
niente, che erano passati ormai
oltre cinquant’anni. Poi,
sfogliando vecchi album di
fotografie ed un articolo della
rivista “Mondo Sommerso” che lo
riguardava, ha improvvisamente
messo indietro l’orologio di
mezzo secolo e devo dire che,
negli occhi immalinconiti dalla
nostalgia, mi è sembrato vedere
cernie, saraghi e ombrine
guizzanti. Mi stava venendo il
mal di mare!
|
Paolo De Gennis |
“Passavo la maggior parte del
tempo disponibile, in acqua”,
esordisce Paolo. “A dodici
anni, mio padre mi fece il
regalo tanto atteso: un fucile.
Qualche anno prima, erano
arrivate in Libia le prime
attrezzature per i “sub”: pinne
e maschere della Superga e
fucili della Cressi. Il “siluro”
fu il mio primo fucile. Poiché
la pesca subacquea continuava a
fare “proseliti“, arrivarono in
seguito, il “Saetta” A e B, il
“Cernia” ed il “Cernia Sport”.
Tutti fucili a molla, sempre più
potenti. La pesca subacquea
diventava, ogni giorno di più,
l’obiettivo della mia giornata.
Il “conflitto d’interesse” con
lo studio era tranquillamente
superato quando mia madre,
pronta al “rimbrotto”
giornaliero, si vedeva
presentare il risultato della
caccia: il pesce da lei stessa
ordinatomi per il pranzo. Quel
meraviglioso, pescosissimo mare,
non mi ha mai fatto fare brutta
figura.
Abitavo a Giorgimpopoli, vicino
all’omonima spiaggia. A pochi
metri affiorava uno scoglio che,
con poca fantasia, chiamavamo
“il primo scoglio”. Quattrocento
metri più al largo, un secondo
scoglio. Ovvia la sua
denominazione.
In ambedue, una miriade di
cernie, saraghi, ombrine, lecce,
ricciole, orate, spigole,
dentici, murene, cefali e
cicale. Praticamente tutte le
specie viventi nel Mediterraneo.
I pesci, al nostro arrivo, non
erano assolutamente spaventati
anzi, erano addirittura curiosi
e si avvicinavano diventando,
purtroppo per essi, facili
prede. Le cernie di fondo
salivano a candela mentre
branchi di ricciole del peso
anche di 20 Kg. continuavano a
girarci intorno. Le mie prime
“uscite” le ho fatte con
Gasparino Gucciardi, bravissimo
“sub”.
Nuotando dai citati scogli verso
il Lido, ad una profondità di
circa 15 metri, vi era una
specie di molo. Si trattava, in
realtà, di massi quadrati di
grande dimensione che si
propagavano verso il largo per
circa 50 - 60 metri. La
chiamavamo la “strada Romana” ed
era il regno di grossi saraghi.
Con un colpo, se ne potevano
prendere due o tre. Una volta,
entrato in un branco, ne presi
cinque, in un sol colpo.
Altre zone vicine e molto
pescose erano: Gargàresh, la
“Punta Nera” e tutta la
scogliera di fronte alla
tonnara. Ma il piacere
dell’esplorazione oltre a quella
più concreta della cattura del
pesce mi spingeva sempre più
lontano. Così, insieme a Duccio
Menghi, un grande della pesca
subacquea, pescavo a Zuara,
Marsa Zuagha, Sabratha, Sorman,
Zavia ed anche ad est verso
Garabulli, Homs, Leptis Magna,
Zliten e Misurata.
Una volta, all’Isola Corradini,
insieme a Franco Venza e Bruno
De Marchi,
|
|
Franco Venza |
Bruno De Marchi |
pescammo molte cernie. Infilate
nella sagola, le stavamo
portando a nuoto a riva certi
che, l’indomani, ci sarebbe
stato haraimi per tutti.
Improvvisamente il nodo, che
chiudeva la sagola a cerchio, si
sciolse e tutte le cernie ne
uscirono. Quando ce ne
accorgemmo, tornammo indietro
per recuperarle. Giacevano,
infatti, sul fondo. Ne presi una
tra le mani ma questa mi scappò
via a razzo perché... era viva!
Si trovava sul fondale per caso
e si stava riposando vicino alle
altre. Non era affatto una
delle cernie catturate in
precedenza.
La pesca subacquea, con il
passar degli anni, affascinava
un sempre più crescente numero
di appassionati. Iniziarono le
prime gare. La gara durava sei
ore ed ogni sub disponeva di una
barca e di un rematore. La zona
di pesca veniva scelta dalla
giuria il mattino della gara
(Possibilmente il giorno di
chiusura delle pescherie N.d.R.).
Al termine delle sei ore
concesse, si rientrava a
rimorchio. Vinceva il peso, non
la qualità del pescato. Tra i
migliori, Gigi Sartori, Duccio
Menghi, Vito Calia, Gaspare
Gucciardi, Renzo Corradi. Se ho
dimenticato qualcuno, la colpa è
del troppo tempo trascorso, non
si tratta di … dolo.
Ricordo molto bene, invece,
un’immersione nei fondali di
Gargàresh. Avevo arpionato una
grossa cernia e tentavo di
tirala fuori dall’anfratto in
cui si era infilata. Dopo un
certo numero di emersioni ed
immersioni ed altrettanti
tentativi per recuperare cernia
e fucile, di colpo, mi trovai di
fronte uno squalo. Era il primo
che vedevo a così poca distanza.
Rimasi pietrificato per qualche
istante poi, velocemente,
riemersi. Non seppi mai se quel
tipo di squalo fosse pericoloso
o innocuo per l’uomo. Ma,
anziché pormi tale dilemma,
optai per l’immediata emersione.
Lo squalo non cambiò la sua
rotta. Passò tranquillamente
sotto di me, avrei potuto
toccarlo. Non so dove lo squalo
se ne andò, ma ricordo dove
andai io: velocemente a riva
senza né cernia né fucile.
Questo simpatico episodio,
affiorato tra i ricordi, ha
stemperato un po’ la nostalgia.
Per i luoghi ricordati, per il
rivivere quegli anni
meravigliosi. Ma Paolo De Gennis
|
Paolo De Gennis |
non ha ancora appeso al classico
chiodo pinne, maschera e fucile.
Infatti, più volte all’anno, con
l’ausilio di bombole, insieme
alle figlie, si immerge negli
altrettanto limpidi e pescosi
fondali di Lampedusa. Il
bottino: non sempre abbondante,
ma di qualità.
Paolo viene
premiato da una
sorridente
signorina - Alle
sua sinistra
Alì Zentuti |
L’intervista, per usare un
termine che sa di iperbole, era
terminata ma, nel congedarmi,
vidi che Paolo aveva tra le mani
alcune pagine di una rivista.
Era incerto se mostrarmele o
meno.
|
Paolo de Gennis
nelle acque di
Giorginpopoli |
Si trattava di un articolo a
firma di Roberto Dei, scritto
per la rivista “Mondo Sommerso”
nel 1964, che descriveva un
viaggio in Libia provenendo via
terra dalla Tunisia ed esaltava
la bellezza dei fondali libici.
Ne trascrivo alcuni stralci:
“A Zuara,
scrive l’articolista, ho
lasciato la guida a Paolo De
Gennis e mi sono addormentato.
All’alba eravamo già di fronte
la villetta di Renzo Corradi,
uno dei migliori subacquei
conosciuti in Libia e che fa da
guida ai turisti che vogliono
essere accompagnati nelle zone
migliori di pesca o caccia ...
... Ma non solo per la varietà
ed abbondanza di pesce ...
nei fondali antistanti gli
scavi di Sabratha, è facile
trovare interessanti reperti
archeologici ... Al contrario
del mare tunisino, così avaro
per i subacquei, quello libico
non potrebbe essere più generoso
ed eccitante ... Fa caldo a
Zuara, quando arriviamo, Duccio
Menghi e Gigi Sartori mi hanno
convinto ad andare con loro ...
nomi famosi tra i subacquei di
Libia ... ambedue hanno fatto
parte della nazionale libica ai
campionati mondiali ... il primo
è l’attuale campione di Libia,
il secondo lo è stato per vari
anni …”
Segue un’ampia descrizione dei
fondali visitati dalla quale
emergono sorpresa, meraviglia,
entusiasmo da parte di un
attonito Roberto Dei. Nelle foto
presenti nell’articolo, Duccio
Menghi con due cernie ... più
grosse di lui, una foto che
ritrae Renzo Corradi e Paolo De
Gennis davanti alla famosa
edicola di Cesare Filacchioni.
Un’altra, mostra un’asta a cui
sono sospese un numero
incredibile di cernie, ombrine,
spigole con la seguente
didascalia: “Il carniere della
foto qui sotto, è stato
realizzato in apnea, in neanche
un’ora”. La frase rafforza
incredulità e meraviglia
dell’articolista.
La Libia subacquea, ha attirato
per anni anche Walter Chiari. Ho
avuto la fortuna di conoscerlo.
|
Walter Chiari |
Quando era il momento di
partire, consultava la sua
agenda. Tra gli impegni per film
in lavorazione, teatro, radio e
televisione, cercava
sempre due/tre giorni liberi per
ritornare ad immergersi nel mare
di Libia.
L’altro intervistato è Franco
Venza che “Visto che ti ha
detto tutto Paolo ... ti
racconto alcuni episodi.
|
Tripoli 1962 -
Franco Venza |
La mia zona usuale di caccia,
era quella antistante i Bagni
sulfurei e quella nota come “il
settimo“. Nome dovuto al
chilometro della Litoranea. Ero
all’inizio della mia attività
hobbistica di “sub”, quando una
mattina decidemmo di fare una
battuta di pesca partendo
appunto dai “Bagni sulfurei”
dove mio suocero Dante Borghi
aveva una cabina in legno
nell’alveo dell’Uadi Megenin .
(Questo Uadi, ogni tre/quattro
anni, decideva che era ora di
rinnovare tutte le cabine in
legno che si trovavano sul “suo
letto”. Quindi con una bella
“piena” obbligava i proprietari
alla ricostruzione la primavera
successiva. Le cabine erano
tutte in legno. Tutte pitturate
di verde e con una bella
veranda. I proprietari le
avevano posizionate su pali.
Sembravano palafitte. Speravano
che l’acqua passando sotto le
avrebbe risparmiate. Ma l’Uadi
ogni tanto …
N.d.R.)
“Con la barca di Giorgio Lo
Negro -
continua Franco - in
compagnia di mio suocero ed
altri appassionati, salpammo di
buon mattino. Quindici minuti
dopo eravamo già sulla secca di
5 - 8 metri a metà strada tra la
spiaggia e lo scoglio centrale.
Ansioso di collaudare il mio
nuovo “Cernia Sport” a doppia
molla, dopo una profonda
inspirazione giù sul fondo tra
le rocce. Neanche avessi fissato
un appuntamento: davanti a me,
ma fuori portata del mio fucile
una grossa cernia. Mi avvicinai
lentamente, il fucile puntato.
Stavo per tirare il grilletto
quando la cernia (che non
aveva alcuna intenzione di fare
da “portaspilli”), con una
fulminea virata si infilò in un
anfratto non più largo di un
palmo.
Ripreso fiato in superficie,
nuova immersione. Attraverso la
fessura, vidi la sagoma scura
della cernia. Tirai il
grilletto, grande assordante
rimbombo nella tana mentre un
nuvolone di sabbia oscurò la
vista. Afferrai la sagola ed
iniziai a tirare ma inutilmente.
Emersioni ed immersioni
continue, strattoni sempre più
forti, ma nessun risultato.
Oramai era una sfida.
(Nulla a che fare con quella tra
il capitano Achab e la sua Moby
Dick e soprattutto ... N.d.R.)
nulla di personale ma, a quel
punto, volevo almeno ricuperare
fucile e fiocina.
I miei compagni, nel frattempo,
avendo catturato numerosi
saraghi e corvine, erano già a
riva per il pranzo. Memorizzato
il posto della mia tenace
cernia, raggiunsi anch’io la
comitiva. Nel pomeriggio, non
senza difficoltà, ritrovai tana,
cernia e fucile. Altri
strattoni, tutto inutile.
Aggirai la tana e vidi la testa
della cernia incastrata tra le
rocce. Iniziai a colpire la
roccia per allargare il foro,
raggiunsi così la testa del
pesce che indietreggiò.
Finalmente con un ulteriore
strattone, allo stremo ormai
delle mie forze, riuscii a
stanare la cernia.
|
Tripoli 1962 -
Franco Venza
|
Il giorno dopo, nel giardino di
Giorgio, insieme a molti amici
gustammo uno dei piatti più
gustosi della cucina tripolina:
il kus-ksì con la cernia.
Non dissi ad alcuno che, da
pescatore ancora inesperto,
avevo commesso un grosso errore:
arpionare la cernia sulla coda.
Un’altra volta, mi immersi con
Giorgio nelle acque antistanti
il settimo chilometro. Ognuno
andò nei propri luoghi segreti.
Quando dopo alcune ore decisi di
ritornare, non vidi più né
Giorgio né purtroppo la barca!
Probabilmente il mio amico, non
vedendomi, aveva pensato che
fossi rientrato da solo. Era già
sera. Dopo qualche attimo di
panico, iniziai a nuotare verso
i Bagni Sulfurei da dove, molte
ore prima, eravamo salpati.
Arrivai completamente distrutto!
(Dopo alcune ore, quando il buio
fitto e l’inspiegabile ritardo,
avevano giustamente preoccupato
parenti e amici, una grossa
sagoma nera agitava le acque.
Poteva essere un grosso pesce
con in bocca lo sfortunato
Franco o lo stesso Franco con
una sagola piena di cernie e
spigole. Fortunatamente si
verificò la seconda
alternativa.
N.d.R.)
“Con Duccio Menghi, un’altra
brutta avventura, anche se a
lieto fine. Decidemmo di pescare
di notte con le torce.
Improvvisamente qualcosa mi
colpì. Mi trovai una fiocina
infilzata in un fianco. Solo per
fortuna aveva trapassato la muta
da parte a parte sfiorando
appena la pelle.”
“Adesso continuo ancora ad
immergermi. È sempre magnifico
il farlo, ma le cernie, i
saraghi, le spigole del mare
libico non le ho più viste”.
*****
A sentir parlare di quelle
meraviglie, mi ricordai della
mia pescheria preferita di
Tripoli. Quella gestita da un
ebreo, quasi di fronte al Cinema
Metropol da me citata sull’Oasi
di genn/aprile 2002.
Sopratutto mi era venuta una
gran voglia di mangiar pesce.
Anzi haraimi con la
cernia! Entrai quindi in una
pescheria di Milano. Il
commesso, si accorse che stavo
osservando da un po’ il banco
espositivo.
“Quelle sono orate allevate in
Italia. Queste altre invece sono
di allevamento greco. Se
preferisce quelle allevate in
Spagna ... poi ci sono i
branzini, le consiglio quelle di
allevamento nazionale ... quella
è piovra decongelata, come quei
moscardini lì in basso ...”.
“Veramente avrei desiderato
acquistare una cernia”.
“Eccole lì, pescate in
Atlantico, arrivate oggi”
Mi disse.
Vidi alcuni pesci scuri che non
mi ricordavano affatto le cernie
che intendevo acquistare e gli
chiesi: “Non avete le cernie
di scoglio ... quelle che hanno
il sottopancia dorato?”.
Mi rispose di no, un po’
imbarazzato. Forse non le aveva
mai viste.
“Mi dia un chilo di sarde, per
favore”.
Presi il cartoccio e me ne
andai. Per l’haraimi, il
prossimo anno ... ho qualche
probabilità ... sono ... ultra
sessantacinquenne! Potrei
ottenere il visto d’ingresso in
Libia.
Roberto Longo
(Pubblicato sulla rivista
“l’oasi” nel Numero 3/2005 –
Settembre - Dicembre 2005)