Paderno del Grappa -
5 settembre 2004 -
Giuseppe Segalla
e Mario Anan si
sono riconciliati
dopo 35 anni |
Fratel Eligio e Mario Anan si
sono riconciliati dopo 35 anni e
la foto qui riprodotta ne è la
prova inconfutabile. Sarà perché
il tempo affievolisce i rancori,
sarà perché a tavola si smussano
molti angoli, sarà perché
aleggiava quel generale spirito
di fratellanza sempre presente
nei Raduni di Paderno del
Grappa, fatto sta che ne è
derivata una calorosa stretta di
mano e la posa di una pietra
anzi di un macigno sul passato.
Pur avendo frequentato spesso il
luogo del fattaccio, non ero
presente alla partita in
questione per cui ho chiesto
“lumi” ai diretti interessati.
Ricordo perfettamente il campo
di calcio della Mellaha, luogo
in cui si disputavano
contemporaneamente due “lotte”.
Una in campo dove le forze bene
o male si equivalevano, l’altra
impari sugli spalti tra un
centinaio di spettatori ed
alcuni ... milioni di zanzare.
Correva l’anno 1969, tarda
primavera. Allora i giocatori
erano ancora portiere, terzini,
mediani, mezze ali, ali,
centromediano e centrattacco.
Non c’erano ancora i
“difendenti”, gli “incontristi”,
il “cursore offensivo”, il
“fluidificante di destra”, il
“tornante di sinistra”, il
“giocatore di fascia”, punta,
mezza punta, seconda punta.
Nessuno si sognava di “entrare
in cabina di regia” né di
“prendere per mano la squadra”.
A centro campo non c’era “nessun
filtro” ma semmai delle belle
buche. Sulle maglie c’erano
sempre i numeri da 1 a 11 e ogni numero corrispondeva ad un
giocatore con compiti ben
precisi. Non esisteva il numero
35, 63, 80, 91 ecc. ecc.
Nessun allenatore “disponeva” la
squadra con il 4-4-2 o con il
4-3-3 ecc. ecc. anche perché, la
maggioranza di detti allenatori,
aveva poca dimestichezza con la
scienza di Archimede per cui
pensando al 5-4-3 o 6-4-2
rischiava di mandare in campo
tredici/quindici giocatori
invece dei regolamentari undici.
L’allenatore era semplicemente
colui che stabiliva chi doveva giocare. Scelta che
avveniva all’inizio del
campionato e non cambiava se non
per infortunio o serio
impedimento del “titolare”.
Nella maggioranza dei casi,
l’allenamento consisteva in
alcuni giri di campo (esercizio
detestato da tutti) e poi via
col pallone. Normalmente
“attacco” contro “difesa”.
Quando un attaccante calciava
con forza il pallone verso la
porta avversaria, non “provava
il destro” né lasciava “partire
il sinistro” ma semplicemente
tirava “una sventola” o “una
sleppa”. Chi giocava ...
"energicamente" non era certamente da
biasimare perché il “calcio” non
era né è certo sport per
signorine. Ma chi esagerava era
un “Caino” (in questo caso
bastava ... non esserne il
fratello!). Chi “entrava ai
limiti del regolamento” era
considerato un mulo. Mulazzaro o
mulazzone era invece colui il
cui scopo principale era mirare
direttamente alle caviglie, agli
stinchi, al bersaglio grosso;
mai al pallone!
Mario Anan non apparteneva a
nessuna delle categorie citate.
Per lui fu coniato (per sua
stessa ammissione) un nuovo
epiteto: Macellaio (senza
offesa per questa categoria di
onesti quanto necessari
lavoratori). Mario rincorreva il
suo avversario e mirava subito a
stinchi, ginocchi, caviglie,
senza badare al pallone.
“Tanto”, diceva, “dietro c’è il
mio compagno. Ci penserà lui”.
Tornando al “fattaccio”, Fratel
Eligio e Mario Annan mi hanno
raccontato, ovviamente ciascuno
dal suo punto di vista, quanto
successo nel lontano 1969 e
oggetto di una guerra terminata
appunto con il citato armistizio
dopo trentacinque anni.
Si disputava l’ultima partita
del torneo. San Francesco e La
Salle erano a pari punti. Nulla
di strano perché quest’ultima
formazione non era più la grande
La Salle (quella del pareggio
con l’Ittihad, per intenderci)
ma era una La Sallina priva
ormai del supercontrollo di
Fratel Arnaldo. Ovvio che chi
avesse vinto, si sarebbe
aggiudicato il torneo. Il
pareggio non serviva a nessuno.
Nelle file del San Francesco,
Mario Anan. In quelle de La
Salle, Fratel Eligio.
Fratel Eligio era il pericolo
numero uno per le difese
avversarie. Era molto veloce e
sapeva “trattare” bene il
pallone. A Mario Anan il compito
di fermarlo. I compagni,
infatti, gli avevano detto di
marcare l’uomo. Si dice che Anan
abbia interpretato male la cosa,
cioè marcare, nel senso di
apporre il marchio dei suoi
tacchetti al “titanio”
sull’uomo. Fratel Eligio
asserisce che Mario gli aveva
fatto “il ponte” facendolo
cadere pesantemente con
conseguente lussazione della
clavicola. Molto contrariato da
simile affermazione, Mario si
difese dicendo che è sempre
stato specialista in caviglie e
stinchi. Fare ruzzolare
l’avversario facendogli “il
ponte” non era la sua
specialità.
Tornando alla partita, fuori
Fratel Eligio, il San Francesco
dilagò vincendo per 3 - 0.
Ma, incontrandosi dopo 35 anni,
e ricordare quei bei tempi in
gioventù, aveva rallegrato
entrambi che, senza rancore, si
sono scambiati calorose strette
di mano.
P.S. La “voce” che un impiegato
di una nota Compagnia di
Assicurazione, fosse stato
licenziato in tronco per aver
emesso un certificato a
copertura di infortuni in una
partita dove era certa la
presenza di Mario Anan,
sembrerebbe priva di fondamento.
La notizia che per molto tempo
Mario Anan, girasse con il burka
per non farsi riconoscere da un
imbufalito “Fratel Eligio”, non
ha mai trovato riscontro.
Il “si dice” che Fratel Eligio,
fosse tornato in abiti“civili”
ritornando ad essere Giuseppe
Segalla per non aver obblighi
morali di “porre l’altra
guancia”, ma “menare di brutto”
il Macellaio, è solo fantasia di
maldicenti.
Roberto Longo
(In margine al Raduno di Paderno
del Grappa del 5 Settembre 2004)