L’avrebbero dimesso prima di
mezzogiorno. Mancava soltanto la
firma del chirurgo che prima lo
aveva operato e poi seguito il
decorso post-operatorio. Giuma,
se l’era vista proprio brutta!
Aveva creduto di morire. Tutte
le donne ritengono che gli
uomini, in particolar modo i
mariti, quando hanno problemi di
salute, esagerino un po’ troppo
sui loro mali e drammatizzino
così tanto da trasformare un
lieve malore in gravissima
malattia.
Ma potevano pensare, dire quello
che volevano ed anche ironizzare
perché a Giuma non importava
alcunché. Riteneva, infatti, di
essere nato una seconda volta e
lo aveva ripetuto continuamente
ai numerosi amici che gli
avevano fatto visita, ad
intervento avvenuto.
- “Ho sentito un dolore
terribile al fianco destro, la
testa mi girava, la vista si
annebbiava ... vedevo tutto nero
... poi sono caduto a terra e
per fortuna i miei vicini mi
hanno portato immediatamente in
ospedale, a Tripoli. Ma ...
dovete credermi ... non
pensavo di arrivarci vivo!” -
Il tutto recitato con una
drammaticità tale da fare
invidia ad un grande attore!
Gli amici lo guardavano attoniti
e, schioccando la lingua,
emettevano, secondo le
consuetudini, quei monosillabi
attestanti grande meraviglia,
che più o meno suonano così
Ntsù, Ntsù, Ntsù, Ntsù. E
Giuma, da protagonista, se ne
beava, aggiungendo, ogni volta
che riviveva la sua avventura,
altri particolari tragici che,
diceva, poteva raccontare per il
solo fatto che evidentemente
fino a quel momento non era
ancora giunta la “sua ora”.
In realtà, aveva avuto un banale
attacco di appendicite e neanche
tanto grave considerando che lo
avevano operato, in tutta calma,
tre giorni dopo il ricovero.
Appena passato l’intontimento
dovuto all’anestesia ed ai
farmaci, Giuma, aveva occupato
le ore vietate alle visite a
ricordare il passato: a rivedere
col pensiero quella vita che, al
momento dell’attacco, gli
era sembrata giunta al termine.
Una cosa lo assillava: aveva
avuto l’occasione della vita? La
fortuna, aveva bussato alla sua
porta? Ne aveva approfittato o
l’aveva ritenuta ingannevole e
falsa e non le aveva aperto?
Questa ossessione
“dell’occasione della vita” era,
per lui, un pallino fisso!
Tutti, andava dicendo, durante
la vita hanno avuto, hanno o
avranno almeno una grande
occasione! Il difficile semmai è
valutare se si tratti realmente
del classico colpo di fortuna da
prendere al volo o invece di
falsa opportunità piena di
insidie e quindi da respingere.
Quante volte aveva sentito dire
da parenti ed amici: se quel
tal giorno avessi accettato …
avessi rifiutato .. avessi fatto
questo … quello … a quest’ora io
… noi ecc. ecc.
Si riferiva a quando, secondo
lui, il “destino” si girava per
un momento da un’altra parte e
metteva davanti ad un bivio, ad
una decisione da prendere
velocemente, l’interessato di
turno dandogli libera
opportunità di scelta. In base
alla decisione che quest’ultimo
avrebbe preso o non preso, ne
avrebbe riscritto o riconfermato
il futuro.
Ma non era farina del suo sacco.
Era stato Am Alì ad
insegnarglielo. Quando Giuma era
giù di corda, Alì lo confortava
dicendogli che il destino gli
avrebbe fatto, come a tutti,
delle proposte. Perché il
destino ad un certo punto della
vita dava la possibilità a molti
di variare in meglio o in peggio
quanto per loro aveva già
stabilito. Sì certo, anche in
peggio e per questo motivo
bisognava saper scegliere bene:
accettare le buone alternative e
fuggire da quelle brutte.
Ricordare Am Alì fu inevitabile.
(“Zio Alì”, forma rispettosa
nei riguardi di persona
anziana.) Si era ripromesso
pertanto che, appena in forze,
sarebbe andato a trovarlo. Un
po’ per raccontargli la
“terribile” avventura, un po’
perché non lo vedeva da alcuni
anni. Considerava il vecchio
Alì, suo secondo padre e questi
ne ricambiava l’affetto e la
stima anche se il primo impatto,
fra i due, non fu certo dei
migliori.
A quattro anni era rimasto
orfano di padre. Aveva anche una
sorellina. La madre non si era
risposata o meglio, nessuno
l’aveva chiesta al padre cui
spettava ogni decisione. Giuma,
ex-diavoletto, non
conosceva con esattezza la sua
data di nascita perché la
famiglia, semi-nomade, non aveva
provveduto alla registrazione
all’anagrafe e quando si rese
necessario farlo, al
capo-cabila, la madre disse che
era nato circa 15 giorni dopo lo
scoppio della guerra. Non fu
chiaro se intendesse il 1°
settembre del 1939, invasione
della Polonia o il 10 giugno del
1940, entrata dell’Italia in
guerra. Siccome era necessario
che Giuma risultasse più grande,
fu scelta la data del 16
settembre 1939. Ma bastava solo
1939 perché su tutti i documenti
veniva riportato soltanto
l’anno, ignorando mese e giorno.
Alla morte del marito, la madre
di Giuma ritornò nella casa
paterna e, dopo qualche anno, la
famiglia decise di mettere fine
alla vita nomade e di coltivare
il bel terreno agricolo che già
possedeva. All’età di dieci
anni, Giuma aiutava gli
Ah-wal (zii materni) ad
arare il terreno con un attrezzo
fatto interamente in legno e
trascinato da un dromedario.
Tutte le mattine si alzava alle
cinque e, insieme ad uno degli
zii, raccoglieva frutta ed
ortaggi destinati al mercato in
centro città dove un altro zio
aveva un “banco”. Si chiedeva,
ma non osava dirlo, il perché la
mattina alle cinque e non la
sera prima. Quindi, con
disappunto, aiutava a caricare
un carro in legno senza sponde
trainato da un somarello. Solo
un asse e solo due ruote che
andavano di sbieco, un po’ come
accade a quelle dei moderni
carrelli dei supermarket.
Arrivati al mercato, Giuma
aiutava lo zio a scaricare e
sistemare sul banco, verdure,
frutta ed ortaggi, quindi girava
fra le varie bancarelle facendo
di tutto. Poi arrivavano le
signore che lo chiamavano
diavoletto e si facevano
portare a casa le borse piene,
quasi sempre molto pesanti. La
cliente migliore era la signora
Maria. “diavoletto vieni
qui” gli gridava. Diavoletto
non era un’offesa ma lo
storpiamento della parola araba
“Ya uledi” (figliolo, ragazzo).
Giuma, storpiando a sua volta,
inconsciamente le rendeva la
“pariglia” chiamandola “Saniura
Marria”. Quando la intravedeva,
lasciava perdere tutto. Saniura
Marria significava almeno dieci
M.a.l. e quasi
sicuramente una decina di
caramelle. Ma l’esperienza che
aveva accumulato girando fra i
banchi del mercato, gli suggerì
di tentare la via del commercio.
Chiese ed ottenne dagli zii di
poter disporre di un paio di
cassette di ortaggi e verdure
varie da vendere “in proprio”.
Ovviamente non dentro il
mercato, ma appena al di fuori
dove si accalcava una miriade di
piccoli rivenditori.
|
Suk |
Aveva
intravisto un piccolo spazio fra
il citato Alì, uomo molto
influente e che incuteva un
certo rispetto, ed un altro più
anziano, un certo Omar, un po’
burbero. Il primo vendeva
spezie, l’altro legumi secchi.
La mattina si era presentato con
le sue cassette ed aveva
esordito: - “Ammi Alì, posso
mettermi tra voi due a vendere
un po’ di verdure?”-
- “Vattene via! Non vedi che non
c’è spazio nemmeno per noi?” -
Giuma riprese le sue cassette,
le caricò sul carretto e se ne
andò. Ma dopo una mezz’ora
ritornò con un signore ben
vestito.
- “Ancora qua sei? Ti ho detto
d’andartene!” -
- “Ammi Alì, questo signore mi
ha chiesto dove avrebbe potuto
trovare del felfel. Gli
ho detto che in tutto il mercato
... ma che dico ... in tutto il
mondo il miglior felfel
lo vendi tu!”-
Alì lo guardò con sufficienza.
Ma il cliente acquistò anche un
po’ di bzar, korkob, keruwia,
kherfa andandosene senza
neanche trattare sui prezzi.
- “Sai Ammi Alì, tutti quelli
che hanno acquistato dal mio
carretto qualche zucchina,
qualche fijel, qualche
melanzana, mi chiedevano dove
avrebbero potuto trovare gli
hararat (spezie) ... Che
siano prodotti “complementari?”.
Per caso, non sarà che ... un
articolo ... tiri ... l’altro?”
-
Alì non poté trattenere una
risata. - “Amma enta sheitan,
sheitan kebir!”, (tu sei un
diavolo, un grande diavolo qui
nel significato di “furbo,
grande furbo”) - “E va bene,
mettiti qui, ma provvisoriamente
... hai capito?” -
Non aveva finito di dire le
ultime parole che Giuma aveva
già scaricato il tutto e si era
accovacciato a ridosso del muro
pronto a ricevere i clienti.
Arrivarono le proteste di
quell’altro, Omar, che vendeva
ceci, lenticchie, fave, fagioli.
Ma bastò un’occhiata di Alì a
farlo desistere. Giuma col tempo
si era conquistato anche la
simpatia di Omar. Non potendo
dare consigli, secondo costume,
ad un uomo che aveva almeno il
quadruplo della sua età, in due
occasioni ricorse ad uno
stratagemma:
- “Lo sai Ammi Omar che forse
avevi ragione tu quando mi
dicesti che era il caso di
aggiungere ai tuoi articoli
anche della semola da kus-ksì e
della farina d’orzo per il
basin?”-
Non era vero: ad Omar non era
passata neanche per l’anticamera
del cervello l’idea di
aggiungere quei prodotti ai
suoi. Alì, che lo sapeva
benissimo, tentennava la testa e
quasi parlando a sé stesso
ripeteva: - “Sheitan, sheitan
kebir”-
Omar aggiunse semola e farina
d’orzo ai suoi legumi e ne
vendeva almeno un sacco al
giorno.
Spesso, un signore ben vestito
si fermava davanti a Giuma,
scambiava qualche parola, poi
acquistava qualcosa ed andava
via. Alì si rivolgeva
immediatamente a Giuma e gli
ripeteva: - “quell’uomo non mi
piace”-.
Negli intervalli tra un cliente
e l’altro purtroppo spesso molto
lunghi, Giuma non si poteva dar
pace. - “Ammi Alì ma perché la
maggioranza preferisce
acquistare dai “banchi” del
mercato anziché da me. Ti giuro
che, di nascosto di mio zio, la
mattina, scelgo gli ortaggi
migliori e li vendo a metà
prezzo. Tutti i signori entrano
nel mercato grande ed escono con
le “goffe” piene pagando il
doppio, prodotti che valgono la
metà!”-
- “E tu alza i prezzi! Ricordati
che la maggioranza non è in
grado di valutare la qualità ma,
stupidamente, la ritiene
proporzionale al prezzo”-.
Ma a Giuma non dispiacevano i
periodi di pausa perché poteva
ascoltare i racconti ed i
consigli di Alì.
- “Tutti, diceva spesso Alì,
hanno avuto o avranno almeno una
possibilità di cambiare in
meglio la loro vita. Tutti:
ricchi e poveri. Ma non tutti ne
approfittano. Alcuni per
incapacità altri per varie
circostanze. Quando sarai più
grande e ti troverai a
conversare con i tuoi amici,
ciascuno di loro ti dirà ... “se
avessi accettato ... a quest’ora
... e fossi partito invece di
... se avessi preso quella
strada invece di quell’altra ...
”. Involontariamente essi ti
diranno che hanno avuto la
possibilità, l’occasione della
vita, ma non l’hanno sfruttata.
Attenzione, però: qualche volta,
anziché la fortuna, alla porta
si presenta l’inganno sotto le
sembianze della migliore
occasione della vita”.-
- “A me non succederà. Capirò
subito se chi busserà alla mia
porta sarà vera fortuna o
fortuna ingannevole”- disse
Giuma con la baldanza e
l’arroganza proprie della sua
giovane età.
-“Non è così semplice, Giuma.
Devi sapere che diversi anni fa,
ad un mio parente accadde una
cosa molto strana. Un vicino,
che doveva trasferirsi in città,
lo andò a trovare e gli chiese
se avesse voluto acquistare la
sua hawaza (azienda
agricola). - “Ma non posseggo
denaro”- rispose il mio
parente. - “Non ti preoccupare,
pagherai quando li avrai”-.
- Era una terra fertilissima
senza problemi di acqua. Ecco la
grande occasione della vita,
pensò, il mio parente.” -
- “Certo che lo era! Perché, non
fu così?”-.
- “Le cose andarono molto bene
per soli tre anni durante i
quali parte del denaro pattuito
fu versata al venditore. Poi,
purtroppo, il pozzo si
prosciugò. Il mio parente chiamò
un’impresa che invano perforò
dappertutto, ma acqua, neppure
una goccia! Il terreno dovette
essere svenduto. Per saldare il
debito con il venditore e
pagare l’impresa di
perforazione, il mio parente sta
ancora facendo grandi
sacrifici!”-.
Ritornando con la memoria a
quegl’anni, Giuma, dal suo letto
d’ospedale, pensava che molto
probabilmente Alì gli aveva
raccontato la storia
dell’occasione della vita, per
tirargli su il morale nei
momenti in cui la scarsa
clientela lo demoralizzava e gli
rendeva incerto il futuro. E
forse per rendere sicura la
scelta fra fortuna e inganno, lo
aveva convinto ad andare a
scuola di pomeriggio. Doveva
tuttavia ammettere che,
discorrendo con gli amici, gli
era capitato spesso di sentir
dire che avevano perso delle
opportunità favolose, per non
aver afferrato l’occasione
propizia. Altri stavano zitti,
ma se si assentavano,
immediatamente, c’era sempre chi
diceva: -“Quello sì che è stato
fortunato!”-, oppure - “Quello
ha fatto una scelta molto
stupida ed adesso è ridotto
molto male!”.
Un giorno, tornando a casa,
Giuma raccontò alla madre di
quel signore elegante che spesso
acquistava da lui verdure ed
ortaggi e lo descrisse. La madre
disse: - “Quell’uomo, che adesso
è molto ricco, un tempo mi
chiese in sposa. Mio padre gli
rispose che ero già impegnata
con colui che dopo sarebbe
diventato tuo padre. Non era
vero, ma quel signore aveva già
due mogli che non gli avevano
dato figli e ne cercava pertanto
una terza. Questa situazione non
piaceva a mio padre per cui,
rifiutò”-.
- “Anche tu allora hai avuto
l’occasione della tua vita e le
circostanze ti hanno impedito di
approfittarne!”-.
La madre che era a conoscenza
della “teoria” di Alì, per
averla sentita ripetere più
volte da Giuma, prontamente
rispose: - “Ma era fortuna
ingannevole! A quest’ora non
avrei un brutto khanzir
come te!”- E lo abbracciò. (khanzir,
letteralmente maiale, in questo
caso, detto da una madre
affettuosa, ha significato di
birbantello).
Un giorno, il signore elegante,
disse a Giuma di caricare tutto
quanto aveva sul carretto e di
raggiungerlo a casa. Avrebbe
comprato tutto quello che aveva.
“Quell’uomo non mi piace”,
continuava a ripetere tra i
denti Alì. Ma non si oppose anzi
incoraggiò il timoroso Giuma,
che, con il suo carretto
sbilenco, si presentò al
cancello della villa. Finalmente
poteva vedere cosa c’era oltre
quelle alte mura, appena fuori
dalla città. Quando un servitore
aprì, Giuma restò immobile e
meravigliato dalla bellezza dei
giardini. Solo l’invito
imperioso del proprietario lo
convinse ad attraversare il
vialetto con il più volte citato
carretto. I servitori
scaricarono le tre cassette, il
signore, come al solito, pagò
senza mercanteggiare. La villa
aveva un corpo centrale con ai
due lati due appartamenti
perfettamente uguali, arredati
allo stesso modo con tappeti e
mobili che il povero Giuma non
aveva mai visto prima, neppure
in sogno. È la rigida regola che
impone uguali diritti per ogni
moglie. Nel primo appartamento
gli furono offerti dolci e
bibite. Poco dopo entrò una
donna. Iniziò a conversare con
lui guardandolo affascinata. Ma
quasi subito disse: Hua weld
ghnein lakin kibir, kibir
giddan” (È un ragazzo carino, ma
è grande, troppo grande). La
stessa scena si ripeté subito
dopo nell’altro appartamento con
un’altra donna, molto più
giovane della precedente. Giuma
fu così congedato e mentre se ne
andava sentì le urla di
disapprovazione del signore
verso le sue due mogli.
Ritornò al mercato col suo
carretto per riprendere lo zio
ed ebbe il tempo di raccontare
il tutto ad Alì.
- “Sì, probabilmente ti volevano
adottare. Quello non ha figli.
Ti ho sempre detto che non mi
piace. Un decennio fa vendeva
rottami di ferro, poi di colpo,
soldi a palate. Con il lavoro
del ferro vecchio, i soldi non
si fanno, caro Giuma!-
-“Quindi anch’io ho avuto la mia
buona occasione! ... Comunque
non è dipeso da me; altri hanno
deciso”.
-“Zitto, che sei stato
fortunato! E non dire a tua
madre che hai perso
un’occasione! Vorrebbe
significare che ti vuoi
allontanare da lei!”-.
Passarono gli anni, Giuma aveva
finito il primo ciclo di studi.
Non era diventato un professore
ma aveva avuto una buona
istruzione. Pronto, quindi, a
distinguere le occasioni buone
da quelle ingannevoli.
Da quel letto d’ospedale,
tornando con la memoria a
quegl’anni era sempre più sicuro
che Alì con la sua “teoria” lo
aveva convinto ad andare a
scuola. A ventuno anni, la
patente di camionista, sempre su
consiglio di Alì che, qualche
tempo prima gli aveva confidato,
con amarezza, di aver sentito
dire che il mercato sarebbe
stato demolito e trasferito
altrove. Ai titolari di “banco”
sarebbe stato dato un nuovo
spazio ma, ai piccoli
rivenditori dell’esterno, non
sarebbe stata più permessa
alcuna attività. Giuma, ormai
autista, gli aveva chiesto che
cosa avrebbero fatto tutti quei
poveretti senza lavoro. - “Siamo
ormai tutti anziani, Dio, nella
Sua grande bontà e misericordia
provvederà a noi”-.
-“Beh, però adesso il Paese ha
il petrolio, c’è benessere per
tutti!”-.
-“Il petrolio? Che cosa ha avuto
il popolo dal petrolio! Che il
costo di una marta di
orzo è raddoppiato come tutti
gli altri prezzi! ... il
petrolio … bah!”-.
|
Petrolio :
stazione di
pompaggio |
Giuma non condivideva ma non
poteva contraddire una persona
che aveva il triplo della sua
età. “Andek el hagh, am Alì’,
andek el hagh” (hai ragione, hai
ragione)
Il boom petrolifero suggerì a
Giuma l’acquisto di una grande
autobotte per fornire acqua ad
alcuni pozzi petroliferi nel
deserto. Adesso ne aveva tre ed
il ricovero in ospedale gli
aveva fatto perdere un contratto
ma non era un problema, ne
avrebbe ottenuti tanti altri.
Quando si presentò dal
concessionario per l’acquisto
del primo automezzo, disponendo
di una piccola somma e non
potendo dare alcuna garanzia se
non l’iscrizione di “privilegio”
sul libretto di circolazione,
ebbe come risposta un netto
rifiuto. Sconsolato raccontò il
tutto ad Alì. -“Domani andiamo
insieme, mi sembra di conoscere
il Direttore”-. Andarono e dopo
la lunga cerimonia dei
convenevoli ed un paio di
bicchieri di tè, Alì entrò in
argomento. -“Giuma è onesto, un
gran lavoratore e ... shitan,
shitan kebir. Vi pagherà
senz’altro, caso contrario
garantisco io”.-
In un Paese dove amicizia e
conoscenze contavano moltissimo,
Giuma non si pose neppure la
domanda: “e con che cosa
garantisce? Con un paio di
sacchi di felfel e di
korkob?”.
Mentre era assorto in tali
ricordi, entrò il medico
curante, gli fece una visita
veloce e firmò il documento di
dismissione. Come si era
riproposto, andò subito a casa
e, nel primo pomeriggio si recò
a trovare Alì. Conosceva molto
bene la casa. All’uscita della
scuola passava sempre da lì. La
moglie di Alì gli voleva bene
come ad un figlio ed egli la
chiamava rispettosamente Ummi
(mamma).
Alì era accovacciato sul tappeto
e accennò appena ad alzarsi.
-“Ammi Alì come stai?”- Dopo i
lunghi convenevoli Giuma,
dimenticando la fenomenale
memoria propria degli analfabeti
che, non potendo prendere
appunti, esercitano la memoria
all’estremo, disse:- “ti trovo
bene, meglio dello scorso
anno”-.
-“Sono quattro anni che non
vieni più ... era il mese di
Ramadan ... non ti ricordi?”-.
Giuma farfugliò qualcosa poi:
-“Sai il lavoro è tanto … arrivo
e riparto ... scusami ... ma
veramente ti trovo bene”-.
Mentiva, Alì era il fantasma di
quell’uomo a cui doveva
praticamente tutto.
-“Ti ricordi quando ti raccontai
di quel mio parente ... che
aveva acquistato quella
hawaza ... che poi il pozzo
si esaurì ... che credeva di
essere stato baciato dalla
fortuna invece fu l’inizio della
sua disgrazia e che soltanto
qualche anno fa ha terminato di
pagare i suoi debiti?”-.
-“Sì, ricordo. Fu incauto: non
si accorse che si trattava di
un’occasione sfavorevole! Altro
che occasione della vita!
Avrebbe dovuto far controllare
la riserva d’acqua del pozzo! È
stato veramente sciocco!”-.
-“Bene, non era un mio parente:
quell’incauto e quello sciocco
sono io!”-.
Giuma si morse la lingua e, per
la prima volta, si accorse di
aver davanti un uomo avvilito,
sfiduciato, vinto e sopratutto
molto stanco.
-“Senti, tu sai che ho rilevato
la terra dai miei zii e dai miei
cugini. Nessuno la voleva
lavorare, così ho assunto due
tunisini. Sono molto bravi ma io
non posso seguirli. Accetteresti
di sorvegliarli in mia vece?”-.
Alì non rispose e l’imbarazzo
che gli argomenti avevano
generato, fu fortunatamente
interrotto dall’irrompere nella
sala di due bambini. Uno di
circa sei anni l’altro di
quattro. Subito assalirono il
nonno che li rimproverò:
-“Salutate vostro “zio” Giuma”.-
Il grande si limitò ad un serio
saluto, il piccolo invece gli
si arrampicò addosso, lo
tempestò di domande.
-“Questo è Mohammed, un ragazzo
tranquillo, bravo. Il piccolo
invece è Salah: “Sheitan,
sheitan come eri tu!”-. Lo disse
con orgoglio rinnovando
inconsciamente l’affetto e
l’ammirazione che aveva per
Giuma.
Questi, poco dopo, si alzò
avviandosi all’uscita. Gli venne
incontro la moglie di Alì che
davanti a lui si presentava a
volto scoperto avendolo
praticamente cresciuto. Salutò
entrambi.
Alì, che a fatica si era alzato,
gli disse: -“Ti ringrazio per
quell’incarico che mi hai
offerto”- e con atteggiamento
ironico proseguì: - “forse era
l’occasione della mia vita, ma
arriva troppo tardi. Sono troppo
stanco e non mi sento tanto
bene”-.
Giuma si era sentito un verme.
Ma come aveva potuto osare di
far diventare suo dipendente un
uomo come Alì, non fosse altro
per il rispetto verso la persona
e la sua veneranda età? Per sua
fortuna, un vigile urbano
armeggiava vicino la sua
Volskwagen “maggiolino” in
divieto di sosta, per cui ebbe
buon motivo per scappare in
fretta.
******************************
Quando gli giunse la notizia
della morte di Alì, si trovava
in pieno deserto, non sarebbe
mai potuto arrivare in tempo per
il funerale che le regole
islamiche prevedono entro 24 ore
dalla morte. Andò a trovare la
vedova qualche giorno dopo.
-“Sai Giuma, Alì poco prima di
morire mi ha detto di dirti che
la buona occasione della sua
vita è stata conoscere te”-.
-“Ma è vero il contrario, sono
io ad avere avuto la grande
fortuna di averlo incontrato”-.
-“Esattamente quello che gli ho
detto anch’io .... mi è sembrato
ne fosse orgoglioso”-.
-“Ummi, mi è molto dispiaciuto,
ti faccio le mie condoglianze”-.
-“È stata fatta la volontà di
Dio”-.
Tornando verso casa, Giuma involontariamente si era trovato
nella piazza su cui un tempo
si “affacciava” il vecchio
mercato. Adesso c’era un grande
palazzo la cui porta centrale
occupava lo spazio dove si
accovacciava davanti ai suoi
ortaggi a fianco delle spezie
di Alì.
Vide, non visto, due anziani la
cui fisionomia gli ricordavano
il venditore di pignatte
dell’angolo e quello che vendeva
le stoffe. Ebbe un momento di
esitazione: fermarsi a parlare
con loro o andare via.
|
Le spezie, gli
articoli più
richiesti e più
caratteristici del
suk |
Andò via. Il fermarsi era
ritornare al passato ed il
passato era stato seppellito
insieme ad Alì.
Roberto Longo
(Pubblicato sulla rivista
“l’oasi” n° 3/2003 - Settembre -
Dicembre 2003)