Come
disse
un poeta, saggista e religioso inglese, John Donne*,
qualche tempo fa (nel1624)
durante un sermone: "Nessun uomo è
un'isola, intero in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del
continente, una parte della terra. Se una zolla viene portata via
dall'onda del
mare, la terra ne è diminuita, come se un promontorio fosse stato al
suo posto,
o una magione amica o la tua stessa casa. Ogni morte d'uomo mi
diminuisce,
perché io partecipo all'umanità. E così non mandare mai a chiedere per
chi
suona la campana: essa suona per te."
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John
Donne
Le guerre,
ironia della sorte, hanno avuto l’esito di riunire le persone e, da
quando gli
Stati Uniti sono diventati più potenti, abbiamo inviato i nostri
militari con le
loro famiglie in tutto il mondo. Ricordo che fu sorprendente scoprire
che molte
di queste persone che abbiamo incontrato e che vivevano in questi paesi
stranieri, molto diversi da noi, sapessero molte cose sugli americani e
sull'America,
sia guardando i nostri film sia interessandosi agli eventi sportivi
americani.
Un mio
conoscente, Pete Remmert, che ha vissuto a Tripoli dal 1958-1962, mi ha
raccontato
una storia affascinante sul suo incontro e sulla sua amicizia con un
ragazzo
libico, mentre con la sua famiglia viveva in una bella zona vicino alla
spiaggia di Giorginpopoli, situata ad ovest a pochi chilometri del
centro-città. È bello narrare una storia positiva sul Medio Oriente,
specialmente in momenti tragici come questi.
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Una strada di
Giorginpopoli
Ecco le sue
parole:
"Nel
1958 avevo otto anni. All’inizio abitavo
con la mia famiglia in una casa della Base Aerea (Wheelus), poi siamo andati a vivere a
Giorginpopoli.
Qualche volta mi addentravo nelle strade del quartiere, dove trovavo
sempre un
gruppo di ragazzi libici, un po’ più grandi di me, che giocavano in una
maniera
un po’ turbolenta. Uno di questi, a cui non piaceva il comportamento un
pò rude
dei suoi compagni, mi tirò da parte e mi propose, in un inglese
perfetto,
un’offerta che non mi sentii di rifiutare. Mi disse che raccoglieva le
figurine
dei giocatori di baseball americano, quelle figurine rettangolari che
si
trovano nelle confezioni di gomma da masticare".
Per
quelli che non sono abbastanza vecchi da ricordare, mi sono informata
su quali
erano i giocatori di baseball più conosciuti in quel periodo, che
venivano
ritratti su quelle figurine. Anche se io non sono mai stata una vera
tifosa di
baseball, ricordo ancora qualche loro nome. Per esempio, alcuni
giocatori famosi come Don
Drysdale (l’ho visto giocare nel Los Angeles Dodgers), Mickey Mantle
(un grande
del New York Yankees), Whitey Ford, John Roseboro e Carl Yastrzemski.
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Le
figurine dei giocatori americani di baseball
Anche se Pete
non si ricordava il nome di quel ragazzo libico, ha
così continuato:
"Credo che
avesse qualche anno più di me, era
di corporatura snella e molto magro. Vestiva nella maniera tradizionale
libica:
indossava vesti bianche e durante i mesi più freddi portava al
collo
una sciarpa multicolore. Di solito si copriva il capo con un cappuccio
di
colore marrone rossiccio ma in qualche occasione anche un fez*.
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Un
ragazzo arabo con il fez
Tra l’altro ero
tanto stupito della sua padronanza della lingua inglese. La sua
conoscenza dei
giocatori di baseball americano di quel periodo era decisamente
superiore a
quella di un qualsiasi ragazzo americano che io conoscevo. Inoltre mi
fece gustare
dei deliziosi datteri appena raccolti dalle palme, che mangiammo
avidamente come
fossero state caramelle. Gli dissi poi che a proposito dei miei
pacchetti di
gomme da masticare, a me interessava solo la mastica, mentre lui poteva
tenersi
tutte le figurine dei giocatori di baseball. Da quel momento giurò che sarebbe diventato la mia
guardia del corpo
personale. Beh! Un pomeriggio mantenne sua promessa. Un
gruppo
di ragazzi libici più grandi di me decisero che mi volevano picchiare;
allora
immediatamente il mio giovane amico si tolse il berretto, piegò il
busto in
avanti e, come un ariete, si scaraventò contro uno di quei ragazzi.
Questi,
intimoriti dalla quella reazione, scapparono via e da allora non mi
diedero più
alcun fastidio”.
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Datteri
NOTE da
Wikipedia
*John
Donne (Londra, 1572 – Londra, 31
marzo 1631)
è stato un poeta, religioso e saggista inglese,
nonché avvocato e chierico della Chiesa
d'Inghilterra.
Scrisse sermoni e poemi di
carattere
religioso, traduzioni latine, epigrammi, elegie, canzoni, sonetti e satire.
Può essere
considerato come il rappresentante inglese del concettismo durante
il Siglo
de Oro.
La
sua poetica fu nuova e vibrante per quanto riguarda il linguaggio e
l'invettiva
delle metafore, specie se paragonato ai suoi contemporanei. Lo stile di
Donne è
caratterizzato da sequenze iniziali ex
abrupto e
vari paradossi,
dislocazioni e significati ironici. La sua frequente drammaticità e i
discorsi
da ritmi giornalieri, la sua tesa sintassi e la sua eloquenza di
pensiero
furono sia una struggente reazione nei confronti dell'uniformità
convenzionale
della poetica elisabettiana sia un adattamento in inglese delle tecniche barocche e manieriste europee.
Celebre
il suo sermone Nessun
uomo è
un'isola (meditazione
XVII)
citato da Ernest
Hemingway in
epigrafe a Per
chi suona la campana,
e da cui trae ispirazione un omonimo
libro di Thomas
Merton.
John
Donne nacque a Londra nel 1572 in una famiglia di credo
cattolico romano.
Le
radici del prestigioso
lignaggio da parte materna affondavano sia pur indirettamente a Tommaso
Moro:
la madre,
Elizabeth, era infatti figlia di John
Heywood,
poeta inglese che
aveva sposato una nipote del grande pensatore cattolico.
Il padre, la cui
famiglia era di origine gallese, era un ricco mercante londinese che
morì
quando Donne aveva soltanto quattro anni; presto la madre si risposò
con John
Syminges, che si prese cura della famiglia e dei figli.
Dopo
aver studiato presso i gesuiti,
a dodici anni John
Donne entrò all'università di Oxford, che frequentò per tre
anni
passando poi a
Cambridge, dove completò l'educazione senza però poter ottenere la
laurea a
causa dei principi religiosi che professava e che non gli permisero
l'atto di
fede protestante alla regina Elisabetta
I.
Nel 1593 il fratello
Henry morì in carcere dove era stato rinchiuso per motivi religiosi, e
l'episodio incrinò le convinzioni di Donne[1].
Tre anni dopo si
associò alla corte del conte
di Essex,
e partecipò alle spedizioni del nobile
inglese a Cadice e l'anno successivo alle Azzorre, impresa quest'ultima
condotta alla ricerca di un tesoro spagnolo e a cui prese parte anche Walter
Raleigh.
Le due operazioni furono
celebrate dal poeta nei versi di The
Storm e The
Calm.
Ritornato
a Londra nel 1597, si impiegò come segretario del
dignitario di corte Thomas
Egerton con
cui strinse amicizia e che servì
fino al 1602, e durante il quinquennio probabilmente John Donne abiurò
il
cattolicesimo abbracciando il credo protestante[3].
L'esperienza si interruppe bruscamente a causa del suo matrimonio
clandestino
con la sedicenne Anne More, nipote di Egerton e figlia di un agiato
possidente
del Surrey e alto dignitario di corte, George More; evento che causò il
licenziamento di Donne, la sua carcerazione temporanea e la fine delle
sue
prospettive
di carriera[5].
Dopo essere stato per alcune settimane nella prigione
di Fleet,
per dieci anni fu costretto a vivere di elemosina e di aiuti per
mantenere la
famiglia che si andava ingrandendo. Si rifugiò a Pyrford, nel Surrey,
sotto la protezione di un cugino della moglie; ricevette sussidi da
Lady
Magdalen Herbert e dalla contessa di Bedford. Furono anni duri per
Donne, che
si accostò al vescovo anglicano Thomas Morton (con il quale scrisse
alcuni
pamphlet) e che solo nel 1609 si riappacificò con il suocero].
L'anno dopo rese pubblica la sconfessione della sua fede con la
diffusione di
un libello anticattolico, guadagnandosi le simpatie del sovrano Giacomo
I[5].
Nel frattempo cominciarono i disturbi dovuti a una nevralgia di origine
reumatica che si acuì col passare del tempo. Infine Giacomo I riconobbe
le doti
di Donne, la preparazione culturale e le sue capacità oratorie, e per
questo lo
spronò a intraprendere la carriera ecclesiastica; Donne prese gli
ordini
all'inizio del 1615 e venne ben presto scelto a ricoprire la carica di
cappellano di corte[6].
Anne
More morì a 33 anni nel 1617 nel dare alla luce il dodicesimo figlio.
Nel 1621 Donne
ricevette la nomina a decano della cattedrale
di Saint Paul,
raggiungendo una posizione di grande
prestigio che, nonostante le sue ambizioni, gli era stata preclusa come
membro
di corte – attraverso imprese eroiche o incarichi pubblici – e che poté
conseguire invece come uomo di Chiesa.
La sua salute si
aggravò seriamente, compromessa per aver contratto il tifo, e il
momento
delicato lo portò a considerare con gravità le fragilità del fisico e
la
prospettiva della morte, soggetto che Donne, ormai irrimediabilmente
rovinato
dall'insorgere di un cancro allo stomaco, riprese in quello che viene
ritenuto
il suo sermone funebre, Death
Duell, composto nel 1631. Gli ultimi momenti lo videro
autoritrarsi in un
sudario, e dal disegno fu ricavata da parte di Nicholas Stone una
scultura
marmorea, che restò indenne nell'incendio
di Londra che
distrusse la
città nel 1666 e che è conservata nella cattedrale di St. Paul[3].
John
Donne morì a Londra il 31 marzo del 1631;
fu sepolto nella vecchia
cattedrale
di Saint Paul,
dove è stata eretta una statua in suo onore portante un'epigrafe in
latino,
probabilmente composta dallo stesso Donne poco prima di morire. Il
monumento
rimase integro anche dopo l'incendio del 1666 e
venne spostato
nella cattedrale di San Paolo, gestita da Donne quando era in vita.
NOTE
*Il fez è un copricapo maschile
di lana,
spesso rosso, che prende il nome dalla città di Fez (o
Fès, Fas), in Marocco,
da cui sembra che
sia originario, anche se la sua maggiore diffusione si è avuta in
Oriente, in
particolar modo nella Turchia degli Ottomani.
In Nordafrica viene
invece chiamato ṭarbūsh (dal persiano sarpūsh)
o shashia
(i)stanbuli.
Benché
il fez venga spesso confuso con la shashia,
i due copricapi sono alquanto differenti: il fez è rigido, conico e di
forma
sollevata, mentre la shashia è
morbida e la sua forma aderisce alla
sommità della testa, alla maniera di una berretta a calotta.