Un ricordo di Fabrizio Zampa
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Fabrizio Zampa |
In
un ambiente che nonostante le apparenze ha sempre avuto poche idee ma
confuse, Alberico Crocetta era una specie di mosca bianca. Era un uomo
pieno di difetti che lo costringevano a viverci, in questo ambiente,
quasi da abusivo: difetti come l'intelligenza, la cultura, l'ironìa, la
capacità di guardare avanti invece che indietro, la fantasia, l'humour,
l'educazione. Crocetta era una di quelle persone che pensano più
velocemente degli altri, alle quali bastano dieci parole per esprimere
un concetto che normalmente ne richiede cinquanta.
Così con lui, come con quei rari individui che si ha ogni tanto la
fortuna di incontrare, non c'era bisogno di tante chiacchiere: se eri
in sintonia ti bastavano quelle dieci parole per afferrare il senso di
tutto, e il discorso poteva tranquillamente cambiare strada, perché poi
conversare con lui era cosa amabile e stimolante.
Questa velocità di pensiero era una delle ragioni per cui gli addetti
ai lavori, coi quali Crocetta aveva a che fare troppo spesso per la sua
pazienza, lo tediavano enormemente. Per lui discutere con cantanti e
discografici era quasi una tortura, perché avrebbe voluto da loro una
cosa impossibile: la sua stessa lucidità, quella lucidità che gli
consentiva di guardare alla canzone con occhio critico e con signorile
distacco ma anche, quando era il caso, con appassionata partecipazione.
Alberico Crocetta è noto come l'uomo che ha inventato il Piper Club,
come lo scopritore di Patty Pravo e di Mal, come colui che negli anni
sessanta capì per primo l'esigenza e la voglia che avevano i ragazzi di
un posto tutto loro e creò il locale dove diventarono famosi l'Equipe
84, i Giganti, i Dik Dik e i Rokes, e dove suonarono i Who, i Pink
Floyd e persino, una domenica a mezzogiorno, Duke Ellington con la sua
big band al gran completo. Tutto questo è vero, ma è vero soprattutto
perché Crocetta, a differenza di tanti altri manager, era un uomo che
amava capire il prossimo, e non uno che se ne stava seduto in poltrona
a guardare il mondo da lontano per stabilire di che cosa avesse bisogno.
La vita la viveva a contatto con la gente, respirando la stessa aria
dei ragazzini che si affollavano in via Tagliamento, dei cantanti che
portava al successo, dei gruppi che diedero negli anni sessanta una
svolta decisiva alla pop-music e al costume italiano. Sembra strano che
quell'uomo così civile, così di gusto, sempre inappuntabile anche in
jeans, abbia fatto parte del mondo dello show-business. Eppure ne ha
fatto parte, e se ce ne fossero stati altri venti come lui forse oggi
saremmo a posto.
Roma, 12 novembre 1986