LA
MIA LIBIA
Aerosilurante Savoia Marchetti
La
Bengasi che ho conosciuto, senza averla mai vista
di Francesco Caronia
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Un ultimo tragico episodio, che ho
appreso dalla lettura dei giornali, va
ricordato per la coincidenza di tempi e di luoghi con la vicenda che ho
raccontato. La casa dei miei distava qualche chilometro dall’aeroporto
e tutte
le volte
che passava in cielo un aereo, mia sorella e la cuginetta, che erano
solite
giocare nel cortile di casa, correvano subito dentro per avvertire i
genitori.
La mattina del
21 Aprile, al Comando della quinta squadra
aerosiluranti di stanza all’aeroporto militare di Berka, viene
segnalata la
presenza di un convoglio nemico, composto da una trentina di piroscafi,
in
navigazione a sud-ovest dell’isola di Creta. Si decide di attaccare il
convoglio
con l’impiego di due aerei trimotori aerosiluranti Savoia Marchetti SM
79 e
l’operazione viene affidata agli equipaggi comandati dal Capitano
pilota di
complemento Oscar Cimolini e dal Tenente
pilota Guido Robone.
Per primo, alle
ore 16,40, decolla il ten. Robone il quale
avvista il convoglio nemico dopo un’ora e un quarto di volo, sgancia il
suo
siluro e affonda un piroscafo da 800 tonnellate. Compiuta la missione,
il
pilota si dirige verso la base di partenza, atterrando regolarmente all’aeroporto di
Berka alle ore 21,30.
Il secondo
trimotore S.79MM, matricola. 23881, decolla alle
17,45, sempre dall’aeroporto di Berka, al comando del
Cap. Oscar
Cimolini, con
l’equipaggio composto da ten. vascello oss. Franco Franchi, il
maresciallo
pilota Cesare Barro, il serg. magg. marconista Amorino De Luca, 1°
aviere
motorista Quintilio Bozzelli e il 1° aviere armiere Giovanni Romanini.
Questo aereo non
fa più ritorno alla base. Le ricerche
effettuate tempestivamente nella zona, non forniscono alcun elemento
che possa
spiegare quanto accaduto e nessun messaggio radio era stato ricevuto.
Fra le
varie ipotesi si è pensato ad un eventuale abbattimento perché colpito
dalla
contraerea nemica e quindi inghiottito dalle acque del Mediterraneo, ma
nessuna
rivendicazione in tal senso era pervenuta dallo Stato Maggiore inglese.
Sia l’aereo che
l’intero equipaggio vengono dati per
dispersi.
Il 21 luglio
1960, una squadra di tecnici italiani che
effettuavano ricerche petrolifere in una zona desertica della Libia,
circa 300
km a sud di Tobruk,
in prossimità della pista Gialo-Giarabub,
rinviene
alcuni
resti umani, una bussola, un binocolo, due orologi, una borraccia, una
pistola
da segnalazione Very, una chiave con una targhetta sulla quale era
incisa la
sigla S.79 MM. 23881 e un
giubbotto nella
cui fodera era nascosta una piastrina di riconoscimento con scritto il
nome del
primo
aviere Romanini Giovanni. Indizi importanti che hanno
permesso di
identificare il soldato italiano facente parte dell’equipaggio
dell’aereo
scomparso nel 1941.
Ovviamente si
sono chiesti come mai il corpo di quel soldato
si trovasse in quella zona, a pochissimi km da una pista transitata da
carovane, senza che vi fossero tracce di aereo o altri mezzi di
locomozione.
La risposta
arrivò cinque mesi dopo quando un gruppo di
tecnici italiani del Politecnico di Milano, che esploravano una zona
desertica
a 90 km a sud dal punto di ritrovamento del corpo del soldato, trovò
l’aereo
Savoia Marchetti SM 23881, parzialmente insabbiato, ma ancora in buono
stato.
Accertamenti
successivi, da parte dell’Aeronautica Militare
Italiana e del Console italiano a Tripoli, hanno consentito di
ricostruire la
vicenda dell’aereo scomparso nel 1941 e di identificare tutti i membri
dell’equipaggio.
L’indagine
dell’Aeronautica concluse che il trimotore S.M.,
tornando dalla missione nelle vicinanze dell’isola di Creta, si sarebbe
spostato verso sud-est per evitare Tobruk, che era sotto il controllo
degli
Inglesi. A causa
poi dei fortissimi
venti provenienti da nord-ovest, avrebbe perso la rotta e vagato per
circa due
ore nel deserto fino a quando, per mancanza di carburante, è stato
costretto a
tentare l’atterraggio sulla sabbia del deserto.
L’aviere
Romanini si sarebbe staccato dal gruppo e avventurato
nel deserto per chiedere aiuto, camminando per 90 km, ma
sfortunatamente, quando
era a poca distanza dalla salvezza, sfinito per la lunga marcia e senza
acqua
né viveri, muore nel deserto.
Il mistero della
scomparsa del trimotore S.M. e del suo
equipaggio, dopo vent’anni, è stato quasi completamente chiarito.
Foto
d'epoca - aerosiluranti Savoia Marchetti
Trimotore aerosilurante Savoia
Marchetti S79 MM. 23881 rinvenuto nel deserto
Rimanga
indelebile nella
nostra memoria il sacrificio di tante vite umane, militari e civili,
vittime
delle atrocità della guerra, affinchè sia di monito per l’attuale e le
future
generazioni.
Francesco Caronia
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