“Dalle cantine alle soffitte”
non è un’irriverente parodia
di”Dagli Appennini alle Ande”
il toccante racconto di Edmondo
De Amicis.
È semplicemente l’ invito a
rovistare nei solai, nelle
cantine, in fondo a vecchi bauli
e polverosi cartoni che
Presidente e Consiglieri hanno
calorosamente rivolto a tutti,
durante il Raduno di Torino.
Invito alla ricerca di foto,
ritagli di giornali, filmini.
Si tratta di quelle foto
scattate molto tempo fa con
tanto entusiasmo e probabilmente
viste soltanto una volta, appena
sviluppate, poi relegate dentro
scatole ed album e condannate
all’oblio. L’esortazione è:
andare a ripescarle, salire
sulla macchina del tempo,
innestare la marcia indietro a
molti decenni fa e scendere in
prossimità degli anni più
belli. Più belli senza timore di
smentita perché appartenenti
alla gioventù.
Sicuramente con una foto tra le
mani e con gli occhi fissi sulle
immagini, i primi sentimenti che
affioreranno saranno tristezza e
grande malinconia ma si
risolverà tutto in pochi minuti.
Poi si chiamano i familiari, gli
amici presenti ed iniziano i “ti
ricordi … qui eravamo a … c’era
anche …”
Ed allora perché anziché
ricordare il passato con un
ristretto numero di persone, non
mandare il tutto, ovviamente in
fotocopia o duplicato, a “
l’oasi” per rendere partecipi
tutti i lettori che forse si
riconosceranno in esse?
È questo lo scopo dell’invito a
rovistare in cantine e solai.
Ricordare il passato vuol dire
ricordare la giovinezza quindi
tempi meravigliosi. Ed erano
tempi migliori di quelli
attuali, se non dal punto di
vista economico, senz’altro da
quello morale.
In questa prima puntata,
pubblichiamo il risultato di
quattro“Safari”effettuati da tre
“ cacciatori” (di Roberto
Longo)
… Due foto … due ricordi … tante
risate
…
Ho accolto l’invito di
“rovistare” in soffitta. È stata
una buona occasione per fare
quanto programmato più volte:
riordinare un po’ il tutto. Mi
riferisco ovviamente alle
fotografie perché non è
necessario “riordinare” i
ricordi che sono ancora
vivissimi nonostante siano
trascorsi ormai più di
cinquant’anni!
Ivana Borghi Venza
… Quando la Balilla diventò … la
diligenza del Far West!
Era l’estate del 1954, stavamo
ritornando a Tripoli, insieme
alla famiglia Pugliese, dal
villaggio Corradini dove ci
eravamo recati a far visita alla
stessa sig.ra Pugliese che in
quel villaggio aveva una
concessione. Naturalmente oltre
l’eccezionale ospitalità, avemmo
modo di apprezzare anche la
splendida spiaggia che
fronteggiava un isolotto immerso
in un mare bellissimo.
Il mezzo di locomozione di
entrambe le famiglie era
costituito da auto Balilla: una
blu ed una verde.
 |
Tripoli - Una
balilla |
Auto
eccellenti che non ci avevano
mai dato problemi
nell’affrontare chilometri e
chilometri d’asfalto ma che da
li a poco avrebbero dovuto
dimostrare stesse qualità anche
sulle piste di sabbia.
A metà strada infatti, noi
Borghi in testa, intravedemmo in
lontananza un anziano libico
vestito con i costumi locali che
ci veniva incontro correndo,
urlando e, sbracciando, faceva
segno di fermarci.
Mio padre accostò l’auto a bordo
strada e chiese in che modo
avrebbe potuto rendersi utile
preoccupato dal viso del libico
alquanto stravolto. Rispose che
i suoi cammelli erano scappati e
che lui era troppo vecchio per
rincorrerli.
Grande preoccupazione di mio
padre quando l’anziano libico
puntò l’indice non verso il
comodo caro nastro d’asfalto ma
verso l’inospitale pista di
sabbia. Non ci fu tempo per
ribattere perché il nostro amico
era già saltato sul predellino
della Balilla e mentre con la
mano destra si manteneva in
precario equilibrio, con la
sinistra indicava inesorabile la
strada verso il deserto. Dopo
una buona mezz’ora a forte
andatura per evitare
insabbiamenti, con sbalzi,
sbandamenti e qualche secondo di
guida alla cieca per la sabbia
sollevata, riuscimmo ad
avvistarli, raggiungerli e
metterci davanti a loro. Per
nostra fortuna si fermarono di
colpo. Il libico non la finiva
con i ringraziamenti e
benedizioni mentre fu grande il
divertimento di noi bambini
nonostante l’involontaria
“sabbiatura”. Era il periodo dei
film “Western” e noi immaginammo
di essere sopra una diligenza
rincorsi da una turba di
indiani.
Ho la foto della cara Balilla ma
non quella dei cammelli di cui
però conservo nella memoria
l’espressione severa. Sembrava
volesse dire: ”Ma non
potevate farvi gli affari vostri
e lasciarci godere la libertà”?
******
… Miss Bagni Sulfurei … anzi no
… Miss Virtù!
Delle numerose spiagge di
Tripoli e dintorni, forse quella
“dei sulfurei” era la meno
bella. Ma senz’altro la più
amata dai Tripolini del ceto
medio. Ci si conosceva tutti, da
sempre, perché nessuno
rinunciava alla cabina e si
affrettava a rinnovarne il
canone con forte anticipo.
Praticamente c’era tutto:
campagna, perché in alcune zone
c’era più terra che sabbia, mare
che non aveva nulla da invidiare
alle spiagge “più titolate” …
fiume, l’Uadi Megenin, e tanta
bella gioventù. Nella parte
“moderna” ampie cabine in
muratura con veranda ed un Bar
Ristorante gestito dalla
famiglia Cardellicchio mentre
nel “centro storico” (lato
sinistro guardando il mare) le
cabine erano tutte in legno,
alcune su palafitte per non
disturbare il passaggio
saltuario delle acque del
Megenin in piena. Precauzione
inutile perché quando faceva sul
serio, il Megenin faceva piazza
pulita e per qualche giorno le
cabine diventavano “case
galleggianti”.
Posso dire di esserci nata e
cresciuta. Dalla fine della
scuola fino all’inizio del nuovo
anno scolastico ero la prima ad
arrivare e l’ultima a venir via.
Mio padre ci avrebbe abitato
tutto l’anno.
Nell’estate del 1958, a papà
venne l’idea di organizzare un
concorso per l’elezione della
più bella: Miss Bagni Sulfurei.
Grande entusiasmo per le
numerose bellezze in Jantzen
ma, allestita la pedana con
materiali di fortuna e formata
la giuria con qualche difficoltà
per calmare l’euforia dei molti
maschietti desiderosi di
farne parte, al momento di
iniziare la gara, tutte le
candidate diedero forfait
per probabile intervento di
gelosissimi fidanzati.
Ma, come si dice, The show
must go on!
Mio padre emise l’ordine di
“precettazione” nei riguardi di
tutti i maschietti che
avevano tanto insistito per far
parte della giuria. Accettarono
di partecipare, di vestirsi con
abiti femminili e di truccarsi
al meglio onde sembrare dolci
sirenette. Ma c’era il
problema dei peli sulle gambe!
(alias moquette)!
Nel raggio di un chilometro
nessuno disponeva di almeno 100
chili di crema depilatoria,
nessuno aveva un erpice o un
taglia-erba e la faccenda andava
complicandosi.
Quando tutto sembrava andasse
“a monte”, qualcuno disse: “Ma …
un vecchio adagio recita: Donna
pelosa, donna virtuosa!”.
Bastò cambiare: non più Miss
Sulfurei ma “Miss Virtù”. Lascio
immaginare, a chi legge,
l’andatura ancheggiante dei
partecipanti e le risate che ne
derivarono. Ma non dai
partecipanti che avevano preso
la cosa … a cuore!
Vinse Miss Aida alias Ricci, il
grande campione di nuoto di
fondo che tutti gli anni si
aggiudicava la “traversata del
porto di Tripoli”. Ricci è il
secondo da sinistra con quello
strano copricapo per cui venne
soprannominato Miss Aida.
Allego foto: Qualcuno si
riconosce? |
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Ivana Borghi Venza