Maccabi
Tripoli: gli albori
Gli
ebrei di Libia raccontati attraverso lo sport
di
Ariel Arbib
Non
appena il Piroscafo si staccò
dalla banchina del Porto di Tripoli, le note della HaTikvà (la
Speranza, Inno Nazionale Israeliano), si librarono lente nell’aria, intonate
in coro da una folla festosa di più di due mila persone. Erano arrivate
sul
molo fin dal primo mattino, per salutare gli Atleti della squadra del
Maccabi
che partivano alla volta di Israele, con un allegro sventolio di
bandiere
bianco-azzurre con la Stella di David ed il Tricolore italiano…
La
speranza di
un grande sogno si stava in quel momento realizzando davanti agli occhi
lucidi
di commozione di un’intera Comunità. Lasciatemi a questo
proposito parlare
un po’ di mio padre il quale, di quell’episodio fu in buona parte
artefice e
protagonista.
Roberto
Arbib, classe 1902, nato
a Tripoli, città nella quale si impegnò ardentemente fin dagli anni
della sua
adolescenza e poi in quelli della sua maturità, a realizzare un suo
grande
sogno, quello di creare e dar vita ad un Circolo sportivo
ebraico. Correva
l’anno 1920 quando, durante le vacanze estive, fantasticando di nuove
iniziative per se e per i giovani della sua Comunità,
prospettò ad
alcuni ex compagni di scuola l’idea di fondare assieme un Circolo
ricreativo
stabile, dove potersi riunire, praticare sport e promuovere attività
sociali e
culturali. L’entusiasmo di quel primo piccolo gruppo di 5
ragazzi era
orgogliosamente alimentato da un’idea assolutamente innovativa per una
Comunità
antica come quella tripolina, provata per secoli da una dominazione
sterile e
distratta, come era stata quella ottomana fino alla fine della Guerra
Italo-Turca del 1911. Un entusiasmo che veniva ulteriormente
alimentato
dai venti di rinnovamento sociale e culturale che il nuovo Governo
Italiano
aveva portato con se in Libia e che, di lì a poco vide l’adesione di
altri 15 giovani che andarono così a formare il nucleo di
quello che
stava per diventare a tutti gli effetti il primo Circolo
Sportivo-Culturale
ebraico dell’Africa Settentrionale.
A
questa prima compagine fu dato
il nome di Benei Sion, mentre
contestualmente si preparava un adeguato Statuto, che
immediatamente dopo,
venne sottoposto al vaglio e all’approvazione del Consiglio della
Comunità
Ebraica locale ed a quella dell’Autorità’ Affari Civili ’ del Governo
Italiano. Entrambi rilasciarono senza alcun tipo di problema,
il loro
parere favorevole. Fu quella del 20 Agosto 1920 una data
storica per tutti
gli Ebrei di Libia. Tale l’ardore e la passione al progetto dei primi
Soci del
nuovo Sodalizio, che all’inizio dell’anno dopo, gli iscritti erano già
più di
60.
Nei
locali al primo piano di una
vecchia Jeshivà (Scuola talmudica)
in
disuso, messi a disposizione della Comunità, nacquero le prime
iniziative
sportive, le prime squadre di calcio, di nuoto e di pallanuoto. Con
l’aiuto poi
di un Comitato composto da cinque Soci e dai loro genitori, fu creata
una
Sezione di Filodrammatica che più tardi si rivelò
fondamentale per il
sostentamento del Circolo stesso. Le recite che più avanti furono messe
in
scena, riscossero un tale successo di pubblico da risultare
determinanti per il
supporto economico e lo sviluppo del Circolo stesso. Questi
primi
entusiastici successi ebbero l’effetto di convogliare l’interesse e le
simpatie
di tutta la Comunità ebraica di Tripoli, ma soprattutto stimolarono
l’ingresso
di nuovi iscritti che, in alcuni casi divennero insostituibili
collaboratori
del progetto.
Dopo
un anno dalla nascita, ebbe
luogo la prima Assemblea generale dei Soci ed in quella occasione, papà
Roberto
fu nominato primo Presidente, conservando comunque l’incarico di
Direttore
sportivo che già ebbe fin dall’inizio. Lo Sport sempre
praticato e amato,
aveva portato papà a far parte di squadre di Calcio e Pallanuoto e ad
incrociare i guantoni sul ring, raggiungendo anche ottimi risultati
personali. Il sempre maggior numero di iscritti, rendevano i
locali della
vecchia Jeshivà ormai troppo piccoli e inadeguati, per tanto,
fu trovata
nel centro della città una nuova sede, in una traversa di Suk el Turk,
di
fianco al teatro Politeama. Questi nuovi spazi assai più ampi dei
primi,
comprendevano un vasto salone capace di 200 posti a sedere ed
un piccolo
palcoscenico. Vi trovava posto anche una biblioteca con sala lettura
ed un locale bar attiguo ed infine anche una stanza che fungeva da
segreteria e da
sala riunioni. Insomma, un’adeguata e moderna sede per il
nuovo Circolo, che
inoltre cambiò per l’occasione il nome, in Maccabei
e poi, definitivamente in Maccabi
Le
attività del Circolo si
susseguivano freneticamente, tra partite di calcio, pallanuoto e gare
di
atletica oltre che di nuoto nelle sue diverse specialità. Altrettanto
fervente
era anche l’attività culturale infatti, nel giro di due anni,
si
progettarono, prepararono e si misero in scena tre spettacoli teatrali
in
lingua araba : “Ester ed Assuero”, “Giuseppe e i suoi fratelli”,”
Giuditta e
Oloferne”. Con grandi sacrifici economici e con l’aiuto
benevolo di
amici e dei familiari benestanti di alcuni iscritti, si diede
freneticamente il
via alla organizzazione del primo spettacolo, che comportò la
preparazione dei
costosissimi costumi e degli allestimenti scenografici, alla cui
realizzazione
parteciparono mio zio Vittorio, fratello di papà e abilissimo pittore,
oltre ad
un certo Renato Pizzoli. Finalmente la rappresentazione di Ester ed
Assuero
vide la luce, con grandissimo successo di pubblico nel Grande Teatro
Politeama,
la cui proprietà era di un certo sig. Salinas, al quale fu versato il
35% degli
incassi.
Varie
Autorità furono
invitate quella prima serata, tra le quali il Vice
Governatore, comm.
Giuseppe Bruni, che seguì con sommo interesse la recita, aiutato dalla
traduzione
simultanea, dall’arabo all’italiano, di un interprete d’eccezione,
Halfalla
Nahum, l’allora Presidente della Comunità ebraica di Tripoli. Seguirono
a
questa altre due repliche, reclamate a grande richiesta dal pubblico e
che
furono rappresentate sempre il Sabato sera, dopo il
tramonto. Incoraggiati
dal successo, le altre due opere furono preparate con altrettanto zelo
e
rappresentate poi nel nuovissimo Teatro Miramare, capace di 1.200
posti, sempre
di proprietà del Salinas.
Nel
1926 i Soci iscritti erano
già più di 260 e questo anche divenne il motivo della nascita
all’interno del
Circolo di punti di contrasto e di discussioni, che delinearono di
conseguenza
due opposte fazioni, che pur rispettandosi, avevano
visioni diverse
sulla gestione e le finalità del Circolo. I Soci fondatori,
tra cui
mio padre, sostenevano la necessità di mantenere ferma la linea di
condotta
iniziale del Sodalizio, mentre l’altra fazione, a cui appartenevano
prevalentemente i nuovi iscritti, esigeva una trasformazione
dello Statuto
per ammettere il gioco d’azzardo e la progettazione e realizzazione di
grandi
serate danzanti, programmate con grande sfarzo e senza alcun
risparmio.
Era
chiaro il divario che si era
creato tra i due gruppi, l’uno volto verso attività culturali
e sportive,
l’altro più moderno ed evoluto e tendenzialmente più interessato ad
attività
più frivole. Si arrivò dunque a convocare un’Assemblea
straordinaria dei
Soci, che decise di stabilire con un referendum quale linea perseguire,
rimandando alle votazioni la decisione. Il risultato diede la vittoria
per 145
voti a 100 al gruppo di cui mio padre faceva parte.
Inevitabile
fu la scissione e le
immediate dimissioni del gruppo perdente, che si ritirò in buon ordine,
andando
due mesi dopo a fondare un nuovo Circolo che fu denominato G.I.T.,
acronimo di
Gioventù Israelitica Tripolina. Come prevedibile il neonato
Sodalizio ebbe
carattere più che altro ricreativo e mondano. Venivano saltuariamente
allestite
recite in lingua italiana a cui spesso partecipavano anche attori non
Ebrei e
due volte al mese venivano organizzate serate danzanti con più di
un’orchestra,
eventi che durante le festività di Purim
o Hanukà, come pure alla fine di Pesah o Succot,
si protraevano fino a notte fonda.
Tutto
questo, ovviamente richiedeva
un notevole sforzo economico, che veniva in grossa parte fatto ricadere
sugli
iscritti, con l’aumento inevitabile delle rette e dei servizi, motivo
questo
per il quale, dopo un po’ di tempo, buona parte dei Soci cominciarono a
dimettersi o ad essere radiati per morosità. Le conseguenze di
tale
situazione portarono il G.I.T. alla deriva. Fu inevitabile
perciò
nominare un liquidatore designato nella persona di Nissim Raccah,
Consigliere
lui stesso del G.I.T., nonché figlio dell’allora Capo Rabbino di
Tripoli. Il
liquidatore propose al Consiglio del Maccabi per far fronte ai debiti,
di
rilevare tutti gli arredi ed i nuovissimi locali del G.I.T. ancora più
grandi e
moderni di quelli del Maccabi. La cosa fu presa in seria
considerazione
dal Consiglio che votò a favore, in quanto, la seconda sede di Suk el
Turk,
grazie al continuo aumento degli iscritti, stava diventando sempre
più
inadeguata e scomoda.
Fu
pagata così una somma che
consentì al G.I.T. di sanare tutti o in parte i suoi debiti ed al
Maccabi di
trasferirsi immediatamente nei locali del nuovo
Circolo. Questi nuovi
spazi, erano già stati adibiti a Scuola Asili d’infanzia prima
dell’arrivo
degli Italiani e in un secondo tempo a Tribunale Civile e Penale. Si
trattava
di vasti ambienti che comprendevano un salone di poco meno di 200
metri, capace
di contenere 240 posti a sedere e che veniva precedentemente utilizzato
prevalentemente come sala da ballo. C’era anche un profondo
palcoscenico, una
sala biliardo, una biblioteca più due altre sale tra loro comunicanti e
adiacenti ad una camera per le riunioni. I vecchi locali del
Maccabi
furono invece, per incoraggiamento e fraterna collaborazione, ceduti
gratuitamente e con tutti i loro arredi, al novello nascente Circolo
Culturale Ben Jeuda. Tutto
questo avveniva a
Tripoli nell’anno 1926.
Nell’Aprile
del 1931, gli atleti del
Circolo Maccabi, aveva raggiunto una tale preparazione agonistica da
essere
temuti dalle altre compagini sportive del paese, tanto che già in
quell’anno
facevano bella mostra in una vetrina del Circolo, 8 Coppe d’argento,12
Medaglie
d’oro, 6 d’argento e 10 di bronzo, oltre a 36 attestati di
benemerenza. Nel Settembre dello stesso anno il Circolo
Maccabi di
Tripoli venne affiliato all’Organizzazione Internazionale denominata Maccabi World Union, con sedi a Tel Aviv
e Londra. E’ questo una Organismo mondiale, tuttora
operante, che si
propone di diffondere lo Sport tra i giovani Ebrei dei vari
paesi,
organizzando, ogni quattro anni delle vere e proprie Olimpiadi.
Il
vento sionista arrivato ormai
impetuoso anche in Libia, ispirò a papà in quegli anni la trama di un
piccolo
lavoro teatrale che scrisse e che intitolò ’Viaggio in Israele’.
La
trama della commedia era la storia di un immaginario viaggio di giovani
atleti
Ebrei, che prima di realizzare il grande salto così tanto sognato in
Erez
Israel, propagandavano l’idea del Sodalizio con quella Terra,
attraverso la
diffusione del bossolo per la raccolta di fondi del Keren
Kaiemet. Una
volta ritornati nel loro paese descrivevano la loro felicità e la
fraterna
ospitalità ricevuta dagli altri correligionari che già abitavano in
quella
Terra. Tra i tanti attori che parteciparono a tale lavoro vi furono
anche ,
Roberto Nunes-Vais, Vittorio Arbib, Chicco Halfon, Mino Habib,
Shalom-Mino
Arbib (fratello più giovane di papà) e Tonina Frati.
La
cosa strana è che tutto quello
che mio padre aveva immaginato e scritto nel suo racconto, si
realizzò
come per incanto solo tre anni dopo, con la partecipazione effettiva
degli
Atleti del Circolo Maccabi di Tripoli ai Giochi Olimpici
della seconda
Maccabihà nel 1935 a Tel Aviv. L’anno precedente 1934, arrivò
infatti
dalla sede centrale di Londra dell’Unione Mondiale Maccabi, l’invito a
partecipare alla seconda Maccabiade, che si sarebbe dovuta
inaugurata ad
Aprile dell’anno seguente a Tel Aviv, nello Stadio di Ramat Gan.
Mio
padre, in qualità di
Direttore sportivo, cominciò ad organizzare gli atleti da destinare ai
Giochi,
facendo una difficile selezione tra i migliori del momento. Furono così
pertanto preparate una squadra di calcio, una di pallanuoto,
selezionati tre
nuotatori per le varie specialità, tre podisti e una Squadra di
Ping-Pong,
composta dai due finalisti, selezionati durante un Torneo organizzato
nella
sede del Circolo. Così alla partenza, il 23 Marzo 1935,
facevano parte del
gruppo 20 Atleti, 30 persone tra accompagnatori e
simpatizzanti, mia
madre e mio fratello Lillo, di appena due anni, oltre ai due
Consiglieri,
Roberto Nunes-Vais, e Alfonso Braha. Atleti e
dirigenti sfoggiavano
la loro bianchissima divisa: pantalone lungo e maglietta ed un
fazzoletto
triangolare di seta azzurra annodato sul davanti, in testa
una bustina,
anch’essa azzurra, profilata di bianco. Sul lato sinistro del petto di
tutta la
squadra, uno scudetto con la Stella di David, simbolo del
Maccabi. Il
Portabandiera reggeva uno stendardo di seta bianca ricamato con filo
d’oro, con
su scritto in Ebraico ed in italiano: “Associazione Maccabi-Tripoli" e
sulla
punta d’argento dell’asta era stato annodato un nastro Tricolore. Dono
tutto
questo, delle donne della Sezione Femminile del Circolo.
La
notizia della partenza degli
atleti si diffuse come il vento a Tripoli ed il sincero entusiasmo
della
Comunità si manifestò al porto, quando vennero a salutarli più di
duemila
persone. Non appena il piroscafo si staccò dalla banchina, quella
festosa e
commossa marea di gente, intonò la HaTikvà,
l’inno di Israele e poi quello di Mameli, tra lo sventolio di bandiere
bianche
azzurre con la Stella di Davide ed i Tricolori italiani. Si
allontanava
così all’orizzonte portando con se l’orgoglio di una nuova
Gioventù
nascente ed i sospiri di una Comunità antichissima, che nel sogno della
Terra
Promessa aveva conservato gelosamente per secoli, tutte le proprie
tradizioni,
i canti e le preghiere, tutti così carichi di sapore atavico e sublime
misticismo. Quella prima nave che muoveva alla volta di Erez Israel,
materializzava il desiderio di una intera Comunità e diveniva
simbolo di
una speranza antica che sotto i propri occhi si stava tramutando in una
meravigliosa realtà.
Dopo
una notte e due giorni
di navigazione, il piroscafo attraccò nel porto di Alessandria
d’Egitto. Era la prima sera della festa di Purim
ed una delegazione del Circolo Maccabi locale, venne a dare
il benvenuto all’intera Compagine, accompagnandola nella loro
Sede in
città. Lì era stato allestito un rinfresco in occasione
dell’incontro ed
al quale parteciparono il Capo Rabbino Rav David Prato ed il Presidente
del
Maccabi di Alessandria Jack Gohar, intimo amico, tra l’altro,
dell’allora
Re Fuad. All’indomani, accompagnati alla Stazione ferroviaria,
il gruppo
ripartì in treno alla volta di Tel Aviv, dove, dopo un interminabile
viaggio
arrivarono alla Stazione di Jaffa il 26 Marzo.
La
cerimonia d’apertura dei
giochi fu per tutti una giornata memorabile. Le rappresentanze di 36
Nazioni,
sfilarono gagliarde nelle loro divise multicolori, nello Stadio di Tel
Aviv,
con alla testa i loro alfieri. Il festoso entusiasmo della folla
gremita sugli
spalti, gli applausi, i canti ebraici, dava a tutti i partecipanti a
quella
giornata, la sensazione che l’orgoglio ebraico si
era definitivamente
risvegliato e che una nuova era di benessere e spensieratezza fosse
finalmente
iniziata. Ora purtroppo sappiamo che la storia non andò
così. Gli
atleti Libici, non ebbero fortuna nelle gare sportive, che si svolsero,
per la
parte acquatica, anche a Haifa e, malgrado la loro preparazione
atletica li
avesse resi famosi in casa propria, non vinsero alcuna
medaglia. Il soggiorno
in Israele durò circa un mese, durante il quale mio padre con mia madre
ed il
piccolo Lillo, ebbero modo di visitare Gerusalemme e altri luoghi sacri.
Si
avvicinava la vigilia di Pesah
e più della metà dei partecipanti aveva già fatto ritorno a
Tripoli. Papà,
rimase e trascorse lì tutti gli otto giorni della festa, anche perché
nel
frattempo, si era creato un caso diplomatico serio. Tre dei
suoi atleti si
erano di fatto resi irreperibili, intenzionati a rimanere in quel paese
per
ricominciare una nuova vita. Ma per disposizione della Autorità
mandataria del
Governo britannico, i visti di ingresso per la Palestina
erano stati
rilasciati con la garanzia e la responsabilità dei Dirigenti
accompagnatori e
quindi anche di mio padre, il quale si era impegnato
personalmente a
riportare tutti i partecipanti della compagine libica, a
Giochi finiti,
nel loro paese di provenienza. La latitanza dei tre fuggitivi,
durò circa
quindici giorni e suo malgrado papà dovette, con amarezza, far
intervenire la
Polizia inglese, che li rintracciò e li fece rimpatriare
d’ufficio. Uno
dei tre atleti aveva addirittura lasciato la moglie a Tripoli.
Ancora
una volta, attraverso
questo piccolo episodio, è facile comprendere quale fosse lo spirito e
l’ardore
sionista che pervadeva e animava la gioventù ebraica in Libia in quegli
anni e
quali fossero le motivazioni che poi spinsero, dopo la seconda Guerra
Mondiale,
e dopo i Pogrom (Moraot) del ’45 e del ‘48, circa 35.000 Ebrei a
lasciare la
Libia per sempre alla volta di Israele. Nel Marzo del 1937,
Tripoli, fu
meta della visita di Benito Mussolini, il quale passando in rassegna il
quartiere ebraico (Hara) di quella città, si trovò davanti ad una
trionfale
accoglienza da parte della Comunità israelita. Un cronista dell’epoca,
Paolo
Manelli, così titolava e scriveva sulla Gazzetta del Popolo il 17 Marzo
1937:
”MOSAICO DI UNA SOLA GRANDE FAMIGLIA”. Questo il
testo: ‘La
strada non era più una strada, ma un’ombrosa galleria, tante erano le
file di
bandiere, di stendardi e di zelanti barracani di seta stesi da muro a
muro, con
rami di palma e rami di fiori d’arancio intrecciati, tra i
ritratti del
Re e del Duce. Hanno disteso per tutta la via, i loro tappeti migliori,
sicchè
la strada era una sola soffice corsia. Poi nell’aria hanno
soffiato
essenze preziose e sparso sui tappeti rose e garofani freschi ‘.
Ovviamente
tra quella folla
festosa c’erano anche i nostri Maccabim con i loro gagliardetti al
vento e le
loro divise candide. Tutto sembrava volgere per il meglio, peccato
però, che da
lì a pochi mesi, un colpo nello stomaco di tutti quegli astanti
festosi, arrivò
improvviso e tremendo, con la promulgazione delle Leggi razziali,
votate
all’unanimità dal Parlamento italiano a metà del Dicembre 1938. Leggi
inique e
nefande che portarono lutti e desolazione lì dove poterono colpire e
che,
ancora oggi, dopo più di settanta anni, adombrano ed imbarazzano le
coscienze
di tanti Italiani. Con le assurde disposizioni di queste
leggi, anche il
Maccabi di Tripoli dovette sospendere ogni sua attività, mentre i venti
di
Guerra cominciavano a soffiare sui destini di tanta povera gente.
Le
fasi alterne del conflitto,
che vedevano coinvolti in quell’area le truppe tedesche di Rommel,
assieme agli
Alleati italiani, entrambe contrapposte alle Forze inglesi del Generale
Montgomery,
finirono definitivamente per gli abitanti di Tripoli all’alba di un
Sabato del
Gennaio 1943, dopo tre anni di guerra, l’Ottava Armata inglese entrava
ordinatamente in città, senza colpo ferire. Con gli effetti
che ogni
conflitto porta dopo la sua fine, anche a Tripoli, tempo dopo
l’ingresso degli Inglesi,
si respirava un’aria frenetica di ripresa e le attività artigianali e
commerciali ricominciarono a funzionare a pieno ritmo. Riaprirono anche
le
Scuole e corsi di lingua inglese, frequentati assiduamente da
un gran
numero di giovani Ebrei. Alla carica di Sindaco, venne insediato dagli
Alleati,
un certo Col. Mercer, e a Delegato il Mag. Arkin, un Ebreo osservante,
già
Sindaco di Natania in Palestina, durante il Mandato
britannico. A lui si
rivolse il Consiglio del Maccabi, dopo essersi riunitosi
nuovamente in
seduta straordinaria, per la prima volta dopo cinque anni di
inattività,
per la richiesta di un nulla osta per la riapertura del
Circolo. Il
parere fu ovviamente favorevole e non solo; il Maggiore Arkin, affiancò
ai
Consiglieri un Capitano, anch’esso Ebreo palestinese (all’
epoca si
diceva ancora così), responsabile di un organismo militare la SAVAGE,
che si
occupava della vendita di residuati bellici a privati
cittadini. Tale
aiuto si rivelò prezioso oltre ogni immaginazione per rimettere in
sesto il
Circolo e le sue attrezzature che, nel frattempo, erano state
in gran
parte requisite dai Fascisti.
Acquistato
quindi per suo
tramite, un notevole lotto di residuati, tra cui, niente di meno
che, una
locomotiva con tre vagoni, due rulli compressori giganti
ancora
funzionanti, una stadera per la pesatura dei Camion, putrelle
e tanto
altro materiale ferroso e legnoso. tutto quanto fu rivenduto per un
milione e
mezzo di MAL, la valuta che gli Inglesi avevano imposto,
svalutando così enormemente
il valore delle Lire che comunque rimanevano ancora in
uso. Vennero
opzionati e poi presi in affitto dei vastissimi locali situati nel
centro
città, in Corso Vittorio Emanuele, già adibiti a sede del Municipio
italiano e
del Tribunale fascista, oltre ad un vastissimo terreno di circa 30.000
metri
quadri, con un’annessa area costiera di 400 metri, sulla quale erano
già
esistenti diversi manufatti in muratura di cui uno di due
piani. La
SAVAGE, per tutto questo richiese il versamento di 130.000 MAL, che mio
padre,
pagò di tasca propria a titolo gratuito, lasciando così intonso il
capitale di
un milione e mezzo di MAL, che fu così versato interamente nelle vuote
casse
del Circolo Maccabi.
Fu
così possibile realizzare su
quei terreni circa 120 cabine balneari, date poi in affitto
esclusivamente ad altrettante famiglie di Soci per la
stagione estiva.
Furono anche allestite una zona docce e servizi, un bar, un ristorante
e nella
parte interna, subito dietro le cabine, prese forma un Campo sportivo
con
tribuna in muratura capace di 2000 posti a sedere, dietro la quale
vennero
innalzati tre altissimi pennoni che svettavano da lontano.
Dentro uno dei
manufatti, si riuscì a ricavare anche un altro campo di pallacanestro
al
coperto.
Il
giorno dell’inaugurazione, l’
8 Settembre 1944, vennero invitate le autorità Militari e locali, tra
le quali,
il Governatore militare Gen. Lucke, il sindaco Col. Mercer, l’amico
Mag. Arkin,
il presidente della Comunità ebraica con tutti i Consiglieri e i
rappresentati
del Circolo Italia e del Circolo arabo, Ittihad. Inoltre erano presenti
anche
un altro centinaio di invitati tra ufficiali della Brigata Ebraica,
ufficiali
inglesi e americani e naturalmente numerosissimi componenti della
Comunità
stessa. Sul pennone centrale dello Stadio sventolava la
bandiera
bianco-azzurra con al centro la stella di David stilizzata , simbolo
del
Maccabi, su quello di destra la bandiera inglese e a sinistra quella
americana.
La
manifestazione cominciò con un
discorso d’apertura, pronunciato da mio padre in italiano, tradotto
prima in
inglese e poi in ebraico, dal maestro Rav Behor Sabban. Seguì
poi un
saggio ginnico presentato da 120 ragazzi che, simmetricamente davano
sfoggio
della loro preparazione atletica, al ritmo dello stesso canto che aveva
dato inizio
ai Giochi della Maccabiade del ’35. Il fischio di un arbitro
segnò poi
l’inizio di una partita di Football tra la squadra del Maccabi e quella
inglese
degli Inglanders.
L’incontro
sportivamente
corretto, terminò con un 1 a 0 per il
Maccabi-Tripoli, per la gioia
incontenibile di tutto il pubblico che assistette ad uno spettacolo
davvero
entusiasmante, che ridava fiato e corpo ad una iniziativa che, ben
lungi dal
voler finire, confermava invece la propria voglia di esistere
e di
vivere.
Il
Circolo raggiunse in quegli
anni il massimo del suo apice ed i giornali locali spesso
descrivevano
ogni sua manifestazione con grande enfasi e simpatia. Tutto sembrava
essere
ritornato alla normalità, i rapporti con le Autorità alleate, con gli
Italiani
e gli Arabi residenti erano ottimi. Ancora una volta però, sulla testa
degli
Ebrei di Libia stava per precipitare un’altra pesante e dolorosa
tegola. Ignari di quanto stessero tramando alle loro spalle
gli Inglesi
occupanti e i capi arabi della regione, gli Ebrei di Libia si resero
conto solo
troppo tardi di quanto stava loro per accadere.
Domenica
4 Novembre 1945, si
svolse allo Stadio Municipale una partita di Calcio tra le
squadre del
Maccabi e dell’Ittihad araba. Alla fine dell’incontro, che fu
di una
totale scorrettezza e brutalità da parte dei giocatori arabi, tanto che
papà
dovette accompagnare al pronto soccorso 4 giocatori della sua squadra,
una
fitta sassaiola cominciò a piovere da una e dall’altra parte dello
Stadio
creando il caos. Quei primi banali ma feroci tafferugli tra
tifosi,
furono il segnale prestabilito di quanto stava per
succedere. L’ora X
scoppiò infatti alle 19 di quella stessa sera, le prime
manifestazioni
antisemite da parte della popolazione araba, che nei giorni seguenti
infiammarono tutta la Libia, cominciarono con brutali saccheggi dei
negozi
degli Ebrei, che erano stati prima contrassegnati da mani infami ed
ignote, per
poi essere dati alle fiamme. I militari inglesi, consegnati nelle
caserme,
rimasero ad osservare quegli scempi per tre giorni, senza minimamente
intervenire ad arginare e fermare quella brutale orda assassina, che
così fu
lasciata libera di scatenarsi fino alla sera di Martedì 6 Novembre.
Gli
Ebrei terrorizzati
vivevano in quei giorni barricati nelle case, sbirciando continuamente
dalle
terrazze o dalle fessure delle persiane chiuse, la loro città che
bruciava. Papà, anch’esso in quei giorni asserragliato con la
famiglia nel
suo appartamento, avendo visto da un terrazzo
che un incendio era
scoppiato nei
pressi dalla casa di una mia zia, nel folle gesto di metterne in salvo
almeno
gli arredi uscì in strada, ma, sulla via di ritorno, si trovò di fronte
un
gruppo di scellerati male intenzionati che lo inseguì con spranghe e
coltelli
fin sotto il portone e solo per un vero miracolo riuscì a sfuggire ad
un sicuro
linciaggio.
Il
triste bilancio di quei
furiosi avvenimenti fu di 145 Ebrei assassinati, tra i quali anziani,
bambini e
donne, una di queste nonostante fosse incinta, fu orrendamente
assassinata e
infilzata sulle lance di un cancello. Si contarono inoltre
centinaia di
feriti e incalcolabili danni ad attività commerciali e abitazioni che
furono
derubate, devastate ed incendiate. Quella orribile teppaglia, come una
feroce
canizza liberata dagli Inglesi, si avventò anche su numerose Sinagoghe
sparse
in tutto il Paese; ad Amrus, Tajiura, Zanzur, profanandole e
depredandole dei
preziosi arredi e infine dandole alle fiamme assieme ai libri sacri che
vi
contenuti. Non passarono da allora nemmeno tre anni che la
belva, questa
volta accecata dal nazionalismo arabo, rialzò di nuovo la testa. Un
altro
Pogrom orrendo e assurdo seguì a questo, a metà Maggio del
1948. Era
il primo giorno di Shavuot (Pentecoste)
ed il pretesto questa volta fu trovato nella nascita dello Stato
d’Israele che finalmente veniva proclamato a Tel Aviv, in
quello storico
14 Maggio di quell’ anno da David Ben Gurion.
Gli
Ebrei di Libia, con
l’esperienza di quanto già accaduto meno di tre anni prima, non si
fecero
trovare impreparati, respinsero ogni attacco ai loro quartieri,
limitando i
danni e infliggendo, questa volta loro, pesanti perdite agli
assalitori. L’equilibrio che in Libia aveva mantenuto per
secoli, se pure
tra alti e bassi, la convivenza possibile tra Ebrei e Arabi, si era
definitivamente rotto. L’odio, il sospetto ed il sopruso diventarono da
allora
gli immancabili mediatori dei rapporti tra le due etnie, situazione
questa, che
portò poi nel 1967 al forzato e definitivo esodo da quella terra di
ogni
singolo Ebreo.
Questa
dunque è la storia del
Circolo Maccabi di Tripoli, dai suoi albori e fintanto che mio padre
risiedette
in quella città, una storia piena di entusiasmi e delusioni, di onori e
di
viltà, di gioie e di tragedie. Lui, con tutta la sua famiglia,
assieme
a 35.000 correligionari partì in quegli
anni, alla volta di
nuovi, più ampi e accoglienti orizzonti, staccandosi da una
terra nella
quale era nato e vissuto, una terra che aveva intensamente amato, ma
dalla
quale fu più volte impietosamente tradito e battuto. Il di lui
ricordo e
quello di mia madre siano di benedizione. Ad entrambi va la mia
commossa
riconoscenza ed a mio padre l’immensa gratitudine per avermi permesso,
con le
sue ’Memorie‘ di rendere possibile questo racconto.
18
novembre 2015