Questa volta l’ottimo
Roberto Longo (che ha sempre
un’Oasi in gestazione e solo per
questo appare un po’ su di peso)
mi ha proposto un tema simpatico
perché simpatico mi è sempre
risultato San Marco, il
personaggio da presentare.
Non è per una
questione…di Serenissima
Repubblica, con debiti e
indebiti annessi di ordine
politico. Non è neppure una
scelta ricollegabile alle
letture domenicali: l’anno
liturgico 2005-06 prevedeva
infatti che i vangeli fossero
presi da San Marco. Dipende
invece dal ricordo tutto
personale di una lezione seguita
in gioventù nella quale Marco mi
è stato proposto come
l’Evangelista “fotografo”, colui
cioè che annota particolari
sfuggiti agli altri perché
“vede” con occhi attenti,
curiosi, concreti e
appassionati: gli occhi di
S.Pietro, il suo referente.
A questa motivazione devo
aggiungerne un’altra, quella,
credo, che ha dettato a Roberto
Longo la scelta definitiva: San
Marco è nato in Libia,
esattamente a Cirene, per cui
nell’Oasi ci sta bene, come noi.
Il mio discorso si
muoverà seguendo
un’articolazione praticamente
obbligata: la vita di San Marco,
il simbolo del leone, San Marco
nell’arte e quindi il Vangelo di
Marco.
Beato Angelico: San
Marco Evangelista
La vita
Marco, figlio di Paolo
e Maria, sarebbe nato all'inizio
dell'era volgare, sotto l'impero
di Augusto, nell'odierna Cirene,
allora capitale della
Cirenaica,. La città si
presentava come centro d’arte e
di cultura e la discreta
agiatezza economica dei suoi gli
permise lo studio dell'ebraico,
del greco e del latino.
Prima della morte di Augusto, la
Cirenaica venne invasa da tribù
barbare, che depredarono le
terre e i beni degli abitanti,
compresi quelli della famiglia
di Marco. Costretto alla fuga
con i genitori, si rifugiò a
Gerusalemme dove incontrò gli
apostoli e i discepoli di Gesù.
Negli
Atti degli Apostoli,
testo fondamentale per la storia
delle origini del cristianesimo,
troviamo il primo riferimento
preciso su Marco quando Pietro
viene miracolosamente liberato
dalla prigione: “Dopo aver
riflettuto, si recò alla casa di
Maria, madre di Giovanni detto
anche Marco, dove si trovava un
buon numero di persone raccolte
in preghiera” (Atti 12.12).
Marco, come del resto Paolo (Paolo-Saulo),
aveva due nomi: Marco (da
Marte) di tradizione romana e
Giovanni di derivazione ebraica.
Negli Atti viene chiamato o con
il nome di Giovanni o con quello
di Marco o con entrambi.
Non si sa se conobbe
direttamente Gesù poiché questa
informazione non ci è pervenuta
da nessuna fonte. Lo si potrebbe
forse supporre riconoscendo
Marco nel personaggio di cui
solo il suo Vangelo parla nel
descrivere i momenti della
cattura di Gesù: “Un
giovanetto però lo seguiva,
rivestito soltanto di un
lenzuolo, e lo fermarono. Ma
egli, lasciato il lenzuolo,
fuggì via nudo”. In tutti i
casi, se abitava a quel tempo a
Gerusalemme, deve aver perlomeno
sentito parlare di Lui. Di
sicuro sappiamo, come già detto,
che pochi anni dopo la morte del
Maestro, gli apostoli e i
discepoli si riunivano a casa di
sua madre.
Venendo io da
esperienze di ragazzo vissuto sì
vivacemente, ma in un mondo
piccolo e ben circoscritto, per
lunghi anni ho coltivato l’idea
che il mondo antico fosse
statico: dove si nasceva, lì si
viveva e si moriva. Non era
assolutamente così; basta dare
un’occhiata alle scorribande
delle legioni romane, alle
migliaia di navi da guerra o da
carico che solcavano i mari o,
in forma più pertinente al caso
nostro, all’estrema mobilità di
personaggi come San Paolo, San
Pietro e lo stesso Marco. Nella
sua prima lettera, Pietro
scrive: “Vi saluta la
comunità che è stata eletta come
voi e dimora in Babilonia; e
anche Marco, mio figlio”.
(Questa figliolanza, di
carattere spirituale, fa
supporre che Marco sia stato
battezzato da Pietro.)
Dagli Atti apprendiamo
poi che parte assieme a Paolo e
a suo cugino
Barnaba
(Col.4.10)
per
Antiochia. Viene
successivamente indicato (Atti
13.5) come aiutante di Paolo
quando egli predicava e
diffondeva la parola del Signore
a
Cipro. In seguito gli
Atti ci riferiscono che
abbandona Paolo, forse
spaventato dalle tremende
fatiche degli spostamenti
dell'apostolo o dalla crescente
ostilità che lo stesso
incontrava. Sta scritto negli
Atti (13.13): “Salpati da
Pafo, Paolo e i suoi
compagni giunsero a
Perge di
Panfilia. Giovanni si
separò da loro e ritornò a
Gerusalemme”. Ciò accadde
nel
52 d.C.
Negli Atti queste sono le ultime
indicazioni che troviamo
sull'evangelista. Altri dati
sono desumibili dalle Lettere
degli Apostoli.
Così, dopo che i
dissidi tra Paolo e Marco erano
stati superati, abbiamo notizia
da una lettera di Paolo che
Marco si trovava con lui a Roma
negli anni 62-64: “Vi saluta
Aristarco, il mio compagno di
prigione, e Marco, il cugino di
Barnaba, intorno al quale avete
ricevuto ordini; qualora venisse
da voi, ricevetelo..”
Forse era poi rientrato in
oriente prima della persecuzione
scatenata da
Nerone nel
64, ma Paolo nel
66 lo rivuole con sé,
come indicato nella lettera a
Timoteo che contiene
queste raccomandazioni: “Affrettati
a venire da me al più presto...
Solo Luca è con me. Prendi Marco
e conducilo con te, perché mi è
utile per il ministero” (2
Tim. 4. 9-11). A Roma in quel
periodo era presente anche
Pietro al quale, secondo
tradizione, Marco faceva da
interprete
Dopo la morte di San
Pietro a Roma, non vi sono più
notizie documentate su Marco. La
tradizione lo vuole
evangelizzatore dell’Egitto
e fondatore della chiesa di
Alessandria che lo
scelse come suo primo
vescovo. Anche sui
tempi e le circostanze della sua
morte non vi sono notizie certe.
Eusebio, un “Padre”
della Chiesa, sostiene che la
sua morte sia avvenuta ad
Alessandria; dopo l’esecuzione,
il suo corpo sarebbe stato
trascinato per le vie della
città. Questa versione dei fatti
viene raccolta anche dalla
Legenda Aurea.
Le sue spoglie vennero
scaltramente trafugate da
mercanti veneziani nell'828
e trasferite a
Venezia dove pochi
anni dopo verrà dato inizio alla
costruzione della
Basilica che ancora
oggi ospita le sue reliquie.
San Marco, oltre che
dalla Chiesa cattolica, viene
venerato da altre chiese
cristiane come quella ortodossa
e quella copta. Quest’ultima lo
considera come proprio patriarca
e fonda la sua dottrina sul suo
insegnamento. Ancora oggi i capi
spirituali copti vengono
considerati "successori di San
Marco".
Il simbolo del leone
Tutti e quattro gli
Evangelisti hanno un simbolo che
generalmente viene raffigurato
vicino al Santo nelle pitture e
nelle sculture. Il simbolo di
San Marco è il leone alato,
perché inizia il suo Vangelo con
la voce di San Giovanni Battista
che, nel deserto, si eleva
simile a un ruggito,
preannunciando agli uomini la
venuta del Cristo.
Il leone di San Marco viene
rappresentato in più modi:
"andante", cioè in piedi sulle
quattro zampe, come se
camminasse, e con un libro
aperto sotto una zampa con su
scritto "Pax Tibi Marce
Evangelista Meus" (“Pace a te, o
Marco, mio evangelista”); oppure
in "moleca", cioè rannicchiato.
Dato che San Marco Evangelista è
Patrono di Venezia, la
Serenissima ha assunto il leone
come proprio simbolo. Per
Venezia, anche il libro
diventava un simbolo: di pace,
quando era rappresentato aperto
o di guerra, quando era
rappresentato chiuso.
San Marco nell'arte sacra
La raffigurazione di
San Marco compare sin dalla
prima arte cristiana assieme a
quella degli altri Evangelisti.
San Girolamo (IV
sec.) sottolineò una connessione
stretta tra i simboli degli
evangelisti e quelli delle
profezie di
Ezechiele, ripresi
poi nelle visioni dell’Apocalisse:
“Il primo vivente era simile
a un leone, il secondo essere
vivente aveva l'aspetto di un
vitello, il terzo vivente aveva
aspetto d'uomo, il quarto
vivente era simile a un'aquila
mentre vola….”
Nell’iconografia dell'inizio del
V secolo – come si
osserva ad esempio nei mosaici
della Basilica di Santa
Pudenziana a
Roma – al posto degli
evangelisti furono rappresentati
i loro simboli e San Marco vi
appare come leone alato. Già
nell'arte bizantina, tuttavia,
alcuni mosaici – ad esempio
quelli di San Vitale a
Ravenna -
raffiguravano i quattro
Evangelisti in forma umana, con
in mano il Vangelo e con a
fianco i loro simboli. Tale
iconografia divenne diffusissima
nell'arte romanica, poi in
quella gotica. Nelle chiese di
tale periodo i quattro santi
vennero molto spesso raffigurati
allo scrittoio, intenti alla
stesura dei vangeli. Nel
Battistero di
Parma i quattro santi
sono invece riprodotti in forma
mostruosa: su un corpo umano
alato si erge la testa del loro
simbolo.
Le figure degli
Evangelisti – e tra esse quella
di San Marco – compaiono poi
nelle rappresentazioni degli
Apostoli che troviamo numerose
in ogni espressione dell’arte
sacra. Alcune pale d’altare
esprimono una speciale devozione
per San Marco, come la celebre
tela di
Tiziano raffigurante
San Marco in Trono
nella chiesa di Santa Maria
della Salute a
Venezia.
La narrazione della
vita dei santi costituì un
impegno costante dell’arte
sacra, basti pensare al ciclo di
Giotto su San Francesco. Per
quanto riguarda San Marco,
patrono di Venezia, troviamo già
raffigurate scene della sua vita
nei mosaici della Basilica di
San Marco (sec.XIII).
Nel periodo rinascimentale, gli
episodi narrati nella "Legenda
Aurea" divennero soggetto per
numerosi capolavori eseguiti da
artisti della scuola veneta. Non
si può non ricordare almeno la
grande tela di
Gentile e
Giovanni Bellini
raffigurante
La predica di San Marco ad
Alessandria, ed
anche le quattro tele di
Tintoretto eseguite
per la Scuola di San Marco a
Venezia ed aventi per soggetto
Il Miracolo di San Marco che
libera uno schiavo,
San Marco che salva un saraceno
da un naufragio,
Il trafugamento del corpo di San
Marco,
Il ritrovamento del corpo di San
Marco.
Il Vangelo di San Marco
Nell’affrontare questo
discorso, mi rifaccio a un
esemplare articolo
sull’argomento scritto da Fr
Anselmo Balocco, plurilaureato
(Lettere, Filosofia, Sacra
Scrittura), per anni conduttore
di una rubrica catechistica alla
Televisione, già insegnante di
Fuad Kabasi in sciara Espagnol…
Persona che aveva il dono raro
di saper esporre i concetti
difficili con una semplicità
straordinaria e che resta molto
viva nei miei ricordi.
Nel suo scritto Fr
Anselmo si pone anzitutto questo
interrogativo: “Per chi
scrisse San Marco?”
Con lucide argomentazioni ci
convince che non scrisse per gli
ebrei. Se avesse scritto per
loro, non si sarebbe sentito in
obbligo di tradurre le molte
locuzioni aramaiche che ha usato
(Boanerghès, cioè figli
del tuono; Talithà kum,
subito tradotta in “Fanciulla,
alzati!”; Bartimeo, cioè
figlio di Timeo…). Allo stesso
modo non avrebbe precisato le
indicazioni geografiche (che il
Giordano fosse un fiume, che il
Monte degli Ulivi si trovasse
dirimpetto al Tempio...). Di
più, non avrebbe avuto bisogno
di precisare il senso di
concetti ed usanze che gli ebrei
ben conoscevano (parasceve,
giorno che precede il sabato;
pani della proposizione “che
i soli sacerdoti potevano
mangiare”…).
Scrive dunque per gente che, nei
confronti degli ebrei, risulta
“straniera”. E gli stranieri (le
“genti”, i “gentili” di Paolo)
potevano essere i greci, nella
cui lingua Marco ha scritto il
suo Vangelo, e i romani.
Travestite in forme greche, si
notano alcune parole tipicamente
latine: denarion, chenturion,
kenson, leghion, spekulator..
Marco inoltre traduce,
chiaramente a beneficio dei
romani, alcuni termini: l’obolo
della vedova è di “due leptà”,
cioè di un quadrante;
Gesù viene portato fuori dall’aula,
cioè dal pretorio.. E,
nel nominare vasi e bicchieri,
Marco tira fuori un
sexstarius, che altro non
era che il mezzolitro dei
romani.
Ce n’è abbastanza per affermare
che i destinatari del suo
scritto erano appunto i Romani.
Risolto questo primo
quesito, Fr. Anselmo si pone il
problema delle “fonti” da
cui Marco avrebbe tratto le sue
informazioni. Di sicuro si è
rifatto a quanto era già stato
scritto prima di lui, ma la
fonte primaria delle sue notizie
risulta l’apostolo Pietro.
Unanime, in tal senso, è la voce
della tradizione espressa dai
Padri della Chiesa. Alcune
testimonianze meritano la
citazione. Così Clemente di
Alessandria: Marco “il quale
sapeva a memoria quanto Pietro
aveva detto, fu pregato di
mettere tali cose per iscritto”.
Ireneo e Tertulliano lo
definiscono “interprete” di
Pietro, nel senso letterale del
termine in quanto traduceva agli
ascoltatori, romani, i discorsi
dell’apostolo.
Molti passi presentano
un’origine autobiografica che
Marco raccoglie: “Pietro si
ricordò..”, “Copertosi il
capo…”.
Negli “Atti” viene ricordato che
la predicazione di Pietro
prendeva le mosse “A cominciare
dal Battesimo di Giovanni”.
Stessa cosa per il Vangelo di
Marco.
Fr. Anselmo passa poi
al tema del “linguaggio”
per affermare che Marco ha
scritto in un greco popolare,
quello parlato dal volgo, usando
moltissimo (150 volte) il
presente storico, come fa chi
immagina di essere presente a
quanto sta accadendo. I periodi
si susseguono agganciati da
molte “e” e da 42 “e subito”;
sono farciti di ripetizioni
popolaresche: “Quando venne
sera, al tramonto..”, “Fu in
necessità ed ebbe fame…”, “Non
intendete, né capite…”.
La “forma” del
suo racconto è drammatica. “Ogni
episodio – scrive Fr. Anselmo –
cessa di essere ricordo e
diventa scena”.
Il tono è emotivo e partecipato,
mosso da frequenti discorsi
diretti. Per rendersene conto,
basterebbe rileggere, nella
versione sobria di Matteo e poi
in quella teatrale di Marco, gli
episodi della moltiplicazione
dei pani, della tempesta sedata
e, più ancora, della guarigione
del paralitico.
Altro elemento drammatico, in
Marco, è costituito dalla
presenza della folla. Gli
infiniti accenni ben
rappresentano lo stupore di
Pietro di fronte a queste
situazioni. Qualche assaggio:
“Tutta la città era assiepata
alla porta (1,33)”, Gesù sale su
una barca “per non essere
schiacciato dalla folla (3,9)”,
“C’era tal ressa che manco c’era
più modo di mangiare (3,20)”… E
siamo solo al terzo capitolo!
Ma quale “fine”
si prefiggeva Marco, quale
progetto perseguiva? Lo si
comprende fin dal primo
versetto: diffondere la buona
novella di Gesù nel modo più
diretto possibile, cioè
raccontando. Marco è un
narratore. Non commenta i fatti,
li propone con vivacità e
concretezza, sicuro che abbiano
in se stessi le ragioni per
convincere i lettori. Li espone
con ricchezza di particolari,
con vivacità, con molto colore.
E’ attento ai sentimenti di
Gesù: “Mosso a pietà..”, “Era
stupito della loro incredulità”,
“Lo guardò con simpatia”,
“S’indignò e disse…”.
Molto difficile,
decisamente da specialisti, il
discorso sullo “schema”
del Vangelo di Marco. Fr.
Anselmo cita alcune proposte
sull’argomento. Il biblista
Hauck suggerisce una
suddivisione secondo criteri
geografici: il tempo galilaico,
quello delle peregrinazioni e,
ultimo, quello gerosolimitano.
Un altro biblista, Lagrange, lo
vede sotto un’ottica teologica:
l’Evangelo del Regno nelle sue
articolazioni di preparazione,
proposta, realizzazione. Altra,
e forse più convincente
interpretazione, è quella di
Geslin che ha individuato nel
Vangelo di Marco quindici
catechesi, come a dire quindici
temi, quindici argomenti.
Questa, al termine del
suo convincente e documentato
articolo, la conclusione di Fr.
Anselmo: “Cosa si attende da noi
il Vangelo di Marco? D’essere
letto con simpatia per gustarne
l’indole tutta particolare e
lasciarsi pervadere dal benefico
stupore che pervade ogni
episodio. Da questo stupore
nascerà poi l’intima urgenza di
approfondire il messaggio di
salvezza”. Vale come un augurio
tipicamente lasalliano.
Giuseppe
Segalla