Credo di poter dire in
tutta serenità che la scuola dei
“Fratelli” a Tripoli era una
scuola di buona marca. Se poi
cedo un po’ al trionfalismo e mi
adeguo al linguaggio dei tempi
moderni, potrei persino
definirla una “scuola griffata”,
nel senso che aveva un suo stile
e delle caratteristiche bene
individuabili e apprezzate.
Proverò naturalmente a
dimostrarlo.
Intanto il sistema
educativo dei Fratelli non si
basava sul maggiore o minore
talento di singoli insegnanti.
Questo se mai costituiva un
valore aggiunto. Era invece
rappresentato da una
preparazione “media” di notevole
livello.
Per portare avanti il discorso
in modo più comprensibile, farò
riferimento alla situazione di
Tripoli in quanto nota a tutti
noi. I Fratelli che vi
giungevano appartenevano alla
“Provincia” di Torino (Il
termine “Provincia” comprendeva
le regioni dell’Italia
Settentrionale). Prima di
mettere piede in cattedra,
i…Fratellini dovevano
naturalmente aver compiuto gli
studi che, agli occhi dello
Stato, abilitavano ad insegnare.
I Superiori si facevano scrupolo
di scegliere per loro i migliori
docenti al fine di garantire una
preparazione adeguata. Questi
“Fratelli maggiori” erano in
gran parte usciti
dall’Università di Torino che,
nella prima metà del secolo
scorso, era luogo di serio
impegno e di prestigioso
livello culturale.
Caratteristica che li accomunava
era, oltre alla competenza,
anche l’entusiasmo contagioso
con cui presentavano la loro
materia e, per come li ho
conosciuti io, con visioni della
vita e della società molto
aperte. Nel progetto
educativo/formativo trovavano il
giusto spazio, e questo in
anticipo sui tempi e sulle
abitudini ecclesiastiche, anche
le attività sportive ed
artistiche.
Date queste premesse, succedeva
che, quando i giovani “Fratelli”
si presentavano come privatisti
nelle scuole magistrali di
Torino per l’Esame di
Abilitazione, ottenessero
risultati sempre molto positivi,
quando non addirittura
eccezionali. Ed erano i tempi in
cui tutte le materie
costituivano oggetto di esame e
non si era per nulla propensi a
largheggiare nei voti,
soprattutto nei confronti dei
privatisti.
Ma questo, tutto
sommato, poteva anche costituire
il bagaglio culturale comune a
tutti i maestri e le maestre che
lo Stato abilitava
all’insegnamento.
L’ordinamento dei Fratelli
prevedeva però che al normale
percorso formativo si
accompagnassero studi di
Filosofia (la Logica, in
particolare), di Teologia, di
Sacra Scrittura. E soprattutto
di Didattica, la scienza che
insegna… ad insegnare.
Qui, ad evidenza, siamo
giunti al nocciolo della
questione. Non basta infatti
sapere: bisogna saper
trasmettere agli alunni quello
che si sa, anzi quello che serve
agli alunni in quella precisa
età e nel rispetto delle loro
possibilità mentali. Nel mondo
della scuola ci si imbatte
spesso in personaggi che sono
pozzi di scienza, ma che non
sanno insegnare. Che si
abbandonano allo sfoggio del
loro sapere, al travaso di
prodotti mentali di alta
qualità… dentro a bicchieri (le
menti degli alunni) ancora
troppo piccoli e del tutto
inadatti a contenerli: va tutto
disperso.
Tre secoli fa, San
Giovanni Battista De La Salle,
con incredibile preveggenza, si
è preoccupato di consegnare ai
Fratelli delle Scuole Cristiane
che aveva “inventato” un manuale
di uso pratico per affrontare il
lavoro scolastico. Si chiama “La
conduite des écoles”, ossia “Il
modo di gestire la scuola”. A
questo per secoli hanno fatto
riferimento i Fratelli; da
questo hanno “copiato” in molti,
a partire da San Giovanni Bosco
che a Torino era anche
confessore nelle scuole
lasalliane. Il libro contiene
capolavori di saggezza didattica
che, con qualche opportuno
adattamento, conservano tuttora
molti caratteri di validità.
La scuola era dichiaratamente
cattolica, ma, forse proprio per
questo, era accogliente e
rispettosa nei confronti di ogni
altra fede. In tempi in cui, a
volte pretestuosamente, le
religioni vengono additate come
la causa prima degli scontri tra
civiltà e la miccia stessa degli
attentati, è emozionante e
significativo leggere, in
proposito, interventi come
quelli degli exlali Raffaello
Fellah e Nanni Gritli (“l’oasi”,
n°2, anno 2006, pag 27). Nella
scuola dei Fratelli si stava uno
accanto all’altro, sotto l’ala
protettrice dell’Unico Grande
Dio, ispirandosi a concetti e
comportamenti di bontà e di
amore verso tutti.
Le famose “buonenote”, così come
le medaglie al merito scolastico
e quelle per la religione,
costituivano uno strumento
efficace nelle mani
dell’insegnante che le sapesse
usare con la dovuta discrezione
e leggerezza. Garantivano
comportamenti e rese scolastiche
con gradazione più alta del
normale. (Qui devo ammettere che
al tempo non esistevano
“ammortizzatori” capaci di
garantire un congruo incremento
di “buonenote” a chi era
costretto a disertare la scuola
per malattia: il mio exalunno
Nicola Vischi, consigliere
dell’Associazione, non si dà
ancora pace, dopo 40 e più anni,
per aver perso un possibile
primato a causa di una
malaugurata influenza!!..).
Poi, in Occidente, sono arrivati
certi venditori di chiacchiere e
di fumo a declassare ogni forma
di sana emulazione, “buonenote”
comprese. In cambio hanno
portato nella scuola
appiattimento, qualunquismo e
disimpegno.
Sono gli stessi che predicavano
la supremazia del metodo sui
contenuti, della capacità di
saper trovare notizie e
informazioni piuttosto che
saperle. Come se le due
posizioni fossero opposte e
incompatibili. Come se, nelle
situazioni ordinarie del vivere,
uno si dovesse impegnare, lì per
strada magari, nella ricerca di
informazioni in qualche
dizionario, in un’enciclopedia,
in un atlante piuttosto che
chiederle alla propria mente
dove ce ne stanno tante, ma
tante: basta collocarvele in
ordine, soprattutto nella felice
età della memoria… Era per
questo che nella scuola dei
Fratelli si imparavano anche
tante “nozioni”, di storia e di
geografia in particolare,
ricorrendo a ripassi frequenti e
a trucchi mnemonici. Molti
Exlali si portano appresso
questo bagaglio prezioso,
stupiti a volte di impattare
nell’ignoranza pesante in
materia che si riscontra oggi
anche a livello di diplomati e
laureati.
Altro aspetto
caratteristico della didattica
lasalliana era quello di creare
un approccio attraente alla
lezione: un aneddoto, uno
schema, un disegno significativo
dovevano da subito ipnotizzare
l’attenzione e, fin che questa
era viva, bisognava porgere in
modo chiaro le nozioni
programmate. Si sa, o si
dovrebbe sapere, che
l’attenzione dei ragazzi ha dei
limiti ben precisi, oltrepassati
i quali diventa praticamente
impermeabile e quindi puro
perditempo il continuare a farle
piovere addosso il sapere.
Indirettamente ho
accennato a un altro impegno che
ogni “Fratello” riteneva
ineludibile: la preparazione
immediata alla lezione e cioè
l’adattamento degli argomenti da
affrontare al livello mentale
degli alunni e la scelta delle
strategie per essere efficaci
nel comunicare.
L’improvvisazione a volte è
colpo di genio, più spesso
perdita di tempo.
Tutto doveva muoversi
in un ambiente adatto: sereno ma
serio, attento ad alternare
momenti di intelligente
rilassamento ad altri di impegno
totale. E per l’impegno totale
bisognava creare la magia del
silenzio. Come? Col silenzio
prima di tutto. Con lo sguardo,
stupito e dispiaciuto insieme,
rivolto ai pochi che ancora non
prestavano attenzione. Con quel
piccolo arnese di legno (lo
“vedo” in mano a Fratel Amedeo)
che produceva un rumore secco e
definitivo! Questi i “trucchi”
della saggezza scolastica
lasalliana, applicati in classi
che raggiungevano spesso le
quaranta unità! Altri tempi? No,
funzionano ancora. Chi pensa che
il silenzio si ottenga gridando,
non fa altro che innescare una
involontaria concorrenza con gli
alunni a livello di volumi
sonori nella quale risulterà
perdente…
Un sicuro vantaggio, rispetto
alla scuola attuale, era
costituito dall’insegnante unico
che “sentiva il polso” della
classe e poteva di conseguenza
alternare momenti di lavoro più
intensi o più leggeri. Oggi
invece ogni insegnante che entra
in classe è preoccupato di
realizzare il suo programma e,
spesso involontariamente, si
butta sui poveri alunni già
spremuti da chi lo aveva
preceduto senza poter più
ricavare una sola goccia di
succo. I ragazzi ti danno
l’illusione di essere attenti,
in realtà “sono via”, esauriti.
Altro momento
significativo della giornata
scolastica era costituito dalla
“riflessione”. Pur essendo
prevista per l’inizio della
giornata, spesso i Fratelli la
proponevano in qualche spazio
strategico dell’orario
scolastico per non darne un’idea
di monotonia e pesantezza.
Doveva essere breve, precisa,
tesa a sottolineare o a
illuminare qualche aspetto
educativo e morale capace di
guidare i comportamenti. Aveva
anche il pregio di abituare i
ragazzi alla “riflessione”,
appunto, su quanto accadeva
intorno. Consiglio didattico
fondamentale era quello di
muovere da spunti e situazioni
reali e di procedere ad
approfondimenti per domande e
risposte, al modo di Socrate
(metodo consigliato anche per le
altre materie in quanto
permetteva sia di tenere
agganciata l’attenzione che di
verificare le conoscenze già in
possesso degli alunni).
Ottima l’intenzione di
creare buone abitudini e
comportamenti corretti, ma la
carne – si sa – è debole e per
le teste dei ragazzi a volte
corre la sventatezza,
soprattutto nei momenti di
maggior libertà, per esempio in
cortile (il magico cortile dei
Fratelli!). Qui la carta
vincente si chiamava
prevenzione. L’occhio del
Fratello doveva tenere sotto
controllo la situazione della
classe (e Fratel Amedeo, vicino
alla campanella, controllava
anche i controllori!), per
bloccare giochi pericolosi,
devitalizzare gli screzi,
anticipare le risse…
Tanti i compiti in
classe, come necessario
allenamento per farsi dei buoni
muscoli. Compiti corretti con
meticolosità per cogliere errori
o incertezze ricorrenti e porvi
rimedio. Ma anche per giungere a
valutazioni equilibrate. Come si
fa – e succede spesso nelle
scuole superiori – ad esprimere
un’equa valutazione
quadrimestrale facendo
riferimento a due soli compiti
in quattro mesi?!
Dovrei ancora scrivere
delle gite, delle
rappresentazioni teatrali e
musicali, delle cerimonie per la
consegna delle medaglie, di
tutto quel mondo che nel
pomeriggio gravitava – esso
stesso “scuola” – nel cortile
dei Fratelli e nelle sedi dell’
Associazione “La Salle” e degli
Exalunni: qualcosa di vivo e di
bene organizzato: semplicemente
indimenticabile!
Sento doveroso
accomunare nel serio progetto
scolastico che ha caratterizzato
la scuola dei Fratelli a Tripoli
anche gli insegnanti che non
erano “Fratelli”. La loro
cultura e sensibilità li
trasportava naturalmente dentro
al circolo virtuoso in cui
prendeva forma e vita una forte
tensione educativa, ricca di
cultura e di umanità: quella di
cui gli Exlali continuano a
rendere ogni giorno
testimonianza.