Un sogno
italiano, la Libia
Capitolo Iii° |
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CAPITOLO TERZO
Prima
d’iniziare l’esposizione degli
avvenimenti bellici che
riguardano questo
terzo capitolo, vorrei
spiegare al lettore, che le
descrizioni delle battaglie che
si svolsero sul territorio
libico, egiziano e tunisino dal
1940 al 1943, non saranno così
particolareggiate, anche perché
sia
in passato e ancora oggi,
esse
sono state descritte da
illustri generali ed esperti
storici nei minimi particolari;
a beneficio di quanti sono
appassionati di Storia militare,
citerò le battaglie più
importanti, in effetti quelle
che determinarono situazioni
decisive da ambo i contendenti.
Nelle mie
intenzioni di novello storico,
ma soprattutto come appassionato
cultore di storia militare,
oltre a raccontare le vicende
belliche di Libia, porterò anche
a fare conoscere al lettore, in
questo capitolo, alcuni dei
tanti errori tattici e
strategici, non solo nel nostro
esercito ma anche in quello
avversario; vedi mancati
coordinamenti tra divisione e
divisione, addirittura tra
reparto e reparto, le inutili
sostituzioni di comandanti,
incompetenze negli alti comandi,
deficienze nella organizzazione
logistica, errate valutazioni di
ordini, ma non intaccherò
minimamente il valore dei nostri
ufficiali e soldati.
Descriverò
decorosamente le morti in
combattimento di comandanti e
dipendenti, meritevoli di
menzione.
Molte delle pecche della nostra
impreparazione e
disorganizzazione militare
soprattutto su cannoni, carri
armati, aerei e quanto poteva
servire in una guerra, le ho
enunciate nel precedente
capitolo.
La nostra
organizzazione militare in Libia
al 10 giugno 1940, consisteva in
2 Armate che comprendevano 5
Corpi d’armata; come aviazione
avevamo la 5^ Squadra Aerea, la Marina (denominata Marilibia)
era alquanto modesta come
consistenza.
Tutte le
forze dell’esercito,
dell’aeronautica e marina
dipendevano direttamente dal
Comando Superiore Forze Armate
Africa Settentrionale
(C.S.F.A.A.S.), il cui
comandante, alla data del
conflitto, era il maresciallo
dell’Aria Italo Balbo,
Governatore Generale della Libia,
il quale pur dipendendo dallo
Stamage, per la strategia
generale alla quale dovevano
uniformarsi tutte le FF.AA.,
aveva mano libera per quelle
azioni tattiche che la guerra in
Libia esigeva.
L’assetto
strategico militare, come sopra
detto, per tutto il territorio
libico era affidato, alla data
del 10 giugno 1940, alle due
Armate, la 5^ e la 10^ per
complessive 14 divisioni
di fanteria, di cui 2 divisioni
di fanteria libica e tre
divisioni di CC.NN. (Camicie
Nere della Milizia Volontaria
Sicurezza Nazionale); a questa
forza militare bisogna
aggiungere una forte aliquota di
richiamati nazionali locali, di
reparti del Regio Corpo Truppe
Libiche (R.C.T.L.) composti da
cavalleggeri (Spahis e Savari),
meharisti, che erano truppe
indigene a presidio dei nostri
confini a Sud del deserto nel
Sahara libico, in tal modo si
arrivava alla cifra di 221.530
uomini. ( FOTO N° 1-2 )
Tale forza di
soldati era così distribuita:
sul fronte occidentale
(Tripolitania) con la 5^ Armata:
127.871 uomini; sul fronte
orientale (Cirenaica) con la 10^
Armata: 87.627 soldati; su tutto
il territorio del Sahara libico
era tenuto da 6.032 soldati in
maggioranza libici. ( 1 )
Generalmente
i richiamati erano cittadini
italiani nati o residenti in
Libia da molti anni, i quali
avevano fatto il servizio di
leva sul posto e quando
iniziarono le ostilità, vennero
richiamati e assegnati come
guardie alla frontiera, nelle
città costiere di Bengasi, Derna,
Misurata, Tripoli, Zavia e Zuara
o nelle basi di Tobruch, Bardia
e Giarabub.
Per la verità
storica, alla cifra di 221.530
militari dislocati su tutto il
territorio della Libia, bisogna
aggiungere tutte le altre forze
di sostegno, come la Marina, l’Aeronautica, i
Carabinieri Reali,
la Polizia Africa
Italiana, la Guardia di Finanza e la M.V.S.N. della Libia, composta
in grande parte da anziani ex
militari, arrivando così a un
totale di 236.O13 uomini.
In
Tripolitania a difesa del
confine con la Tunisia era schierata la 5^Armata con 3 Corpi
d’armata; essa era quella
maggiormente organizzata, quasi
completa negli organici e anche
nell’armamento, questo perché lo
Stamage prevedeva che in caso di
conflitto con
la Francia, da
quel confine poteva venire il
maggiore pericolo, in quanto la Francia nel Nord Africa
disponeva di un esercito di
oltre 400.000 uomini ben armati
e con una aviazione che nel 1939
si presumeva fosse numerosa.
Solo in Tunisia erano state
individuate 8 divisioni di
fanteria e una di cavalleria,
più molti reparti leggeri e
ancora piccole bande di
irregolari indigeni. Inoltre
bisognava tenere presente che
oltre alle forze armate francesi
dislocate in Algeria, Marocco,
vi erano quelle di stanza in
Africa occidentale ed
equatoriale francese che in caso
di necessità, potevano essere
trasportate con facilità sul
confine tunisino.
Da non
sottovalutare anche la poderosa
flotta navale francese, parte
dislocata nelle basi in Oceano
Atlantico, a Dakar e a
Libreville e il resto nel
Mediterraneo, a Orano, Algeri e
Biserta. Solo agli inizi
del 1940 venne messa in dubbio,
come pericolosità per il nostro
schieramento sul confine
tunisino, la forza aerea
francese con basi in tutta
l’Africa del Nord, infatti le
informazioni del S.I.M. (Servizi
Informazioni Militari), davano
per certo la presenza di appena
un centinaio di apparecchi,
pochi da bombardamento, una
quarantina da caccia e alcune
squadriglie da ricognizione,
poiché allo scoppio delle
ostilità con la Germania, si seppe dopo che molte squadriglie di
base in Nord Africa, erano state
inviate di rinforzo a quelle
impegnate in patria. A proposito
della aviazione francese,
ricordo il pomeriggio del 10
giugno del 1940, quando tutta la
cittadinanza di Tripoli, sia
italiana che libica, si era
raccolta in Piazza Castello per
ascoltare il discorso del Duce,
che avrebbe annunciato l’entrata
in guerra dell’Italia a fianco
della Germania; durante quella
attesa Tripoli venne sorvolata
da due aerei, noi tutti
guardavamo le loro evoluzioni e
nel frattempo avevano iniziato a
lanciare manifestini, raccolti
ci accorgemmo, da quanto scritto
in essi, che non erano aerei
italiani, ci fu un momento di
tensione ma che subito scomparve
in quanto gli aerei francesi si
erano allontanati; non ci fu
nessuna reazione da parte della
nostra caccia, anche perché
l’apparizione degli aerei fu
così improvvisa, veloce e
inaspettata e i nostri aerei non
ebbero il tempo necessario per
alzarsi in volo. E’ bene
conoscere che quel sorvolo sulla
città di Tripoli, fu
provocatorio anche se non
paragonabile ad una vera azione
bellica, in quanto la
dichiarazione di guerra alla
Francia era stata già consegnata
allo ambasciatore francese a
Roma nella mattinata del 10
giugno 1940 e solo nel
pomeriggio Mussolini lo comunicò
al popolo italiano. Il giorno
15, tre aerei da bombardamento
francesi sorvolarono nuovamente
Tripoli, ma questa volta il
nostro avvistamento aereo, la
caccia e l’antiaerea
intervennero con prontezza, gli
aerei nemici sganciarono poche
bombe che non colpirono alcun
bersaglio militare ma
provocarono alcune vittime tra i
civili (due ebrei e un arabo che
abitavano nella zona del porto).
Comunque quei due episodi
francesi dopo qualche giorno,
erano già stati dimenticati
dalla stragrande maggioranza
della popolazione di Tripoli;
purtroppo non lo furono i
bombardamenti che seguirono dopo,
ad opera dell’aviazione inglese
che incominciò a seminare morte
tra i civili e a colpire
obiettivi militari soprattutto
nella zona portuale.
In Tunisia
i francesi sin dal 1935,
avevano approntato delle grandi
opere di difesa nella zona
confinaria del Mareth, dalla
costa sino ai monti Matmata
nell’interno, altra linea
difensiva era a Uadi Akarit e
una terza, per prevenire sbarchi
dal mare, iniziava da
Sousse(Susa)-Sfax e arrivava
sino a
Gabes, zona che per la
sua conformazione costiera
facilitava eventuali sbarchi.
Certamente i
francesi avevano previsto una
guerra contro gli italiani e di
conseguenza si erano preoccupati
di fortificare il confine
tunisino, non risulta che
avessero fatto delle
fortificazioni in Algeria o
Marocco, in quanto per loro non
era immaginabile che l’esercito
italiano avrebbe tentato un
attacco, ovviamente con relativo
sbarco, sulle coste algerine o
marocchine così lontane dalla
Libia, il ché avrebbe aperto due
fronti in Africa Settentrionale
certamente non sopportabili dal
nostro esercito.
Ironia del
caso, quelle opere difensive
vennero poi usate gli inizi del
1943 dalle truppe italo-tedesche
per contrastare l’avanzata degli
inglesi in Tunisia, quando fummo
costretti ad abbandonare la Libia.
Il
maresciallo dell’Aria Italo
Balbo essendo venuto a
conoscenza delle ingenti forze
francesi che avrebbe avuto
contro, rinforzò il settore
tunisino assegnato alla 5^Armata
con 3 Corpi d’armata, a
discapito della 10^Armata che ne
aveva solo 2. Onde ingannare la
ricognizione aerea nemica furono
usati degli stratagemmi; essendo
l’artiglieria una delle nostre
tante deficienze, si pensò di
guarnire il nostro confine anche
con falsi cannoni, costruiti in
legno, quasi tutti vennero
sistemati nelle postazioni della
zona di Nalut. E’ da sapere che
non furono solo gli italiani ad
usare certi inganni, lo fecero
anche gli inglesi a Tobruch
durante il nostro assedio,
guarnendo le loro postazioni
anche con cannoni di legno; lo
stesso generale Rommel usò carri
armati in legno montati su
autovetture che trascinavano
anche degli arbusti ramificati
per sollevare nuvole di sabbia
ingannando così gli inglesi,
facendo loro credere di avere di
fronte numerosi e potenti carri
armati.
Circa la
costruzione di cannoni e carri
armati in legno, posso
confermare la veridicità di tali
mascheramenti, in quanto il
laboratorio di mio padre a
Tripoli, che costruiva carrozze
e carri agricoli, essendo stato
allo inizio della guerra
militarizzato, ebbe dalla
Intendenza militare italiana con
la quale, prima della guerra,
aveva avuto
rapporti di lavoro, una
commessa per la costruzione di
cannoni in legno e anche di
carri armati.
La
disposizione difensiva sul
fronte tunisino della 5^,
comandata dal generale Italo
Gariboldi, comprendeva:
il X Corpo
d’armata, comandato inizialmente
dal generale Alberto Barbieri,
poi passato agli ordini del
generale Ettore Baldassarre, in
seguito ne prese il comando ad
El Alamein il generale Orsi
Ferrari. Facevano parte del X
C.A.,la divisione Bologna, al
comando del generale Roberto
Lerici, sostituito dal generale
Alessandro Gloria, a sua volta
sostituito dal generale Mario
Marghinotti, veniva poi la
divisione Sabratha con il
generale Guido Della Bona e
infine la divisione Savona,
comandata dal generale Pietro
Baggiani, sostituito dal
generale De Giorgis;
il XX Corpo
d’armata, inizialmente agli
ordini del generale Ferdinando
Cona, in seguito sostituito nel
comando dal generale Giuseppe De
Stefani, aveva sotto il suo
controllo: la divisione Pavia
prima al comando del generale
Pietro Zaglio,
poi dal generale
Franceschini, ancora la
divisione Brescia alle dirette
dipendenze del generale Giuseppe
Cremascoli, anch’esso
sostituito dal generale
Bartolo Zambon e questi dal
generale Giacomo Lombardo,
infine la divisione Sirte,
comandata dal generale Vincenzo
Della Mura;
il XXIII
Corpo d’armata guidato dal
generale Annibale Bergonzoli,
aveva alla sue dipendenze: la
1^divisione CC.NN. 23 Marzo,
comandata dal luogotenente
generale Francesco Antonelli, la
2^divisione CC.NN.28 Ottobre con
il luogotenente generale
Francesco Argentino e la
2^divisione libica al comando
del generale Armando Pescatori,
da poco passata alle dipendenze
di quel Corpo d’armata, ma ai
primi di luglio 1940 verrà
aggregata alla 10^Armata.
Prima dello
scoppio delle ostilità a Sud
della Tripolitania e nel Fezzan
erano dislocate due divisioni
libiche, che pur facendo parte
della 5^Armata, inizialmente non
appartenevano a nessuno Corpo
d’armata; le due divisioni erano
ad esclusivo comando del
generale Sebastiano Gallina, un
valoroso ufficiale, esperto del
deserto e con una lunga carriera
coloniale. La 1^divisione libica
era comandata dal
generale Luigi Sibille poi
sostituito dal generale Giovanni
Cerio, mentre la 2^ venne
affidata, come sopra detto, al
generale Armando Pescatori. Alla
data del 10 giugno la 1^ e
2^divisione libica erano ancora
agli ordini della 5^Armata, in
seguito, ad appena un mese dallo
inizio della guerra, esse
passarono alle dipendenze della
10^Armata.
Strutturalmente la divisione
libica era composta da 6 battaglioni
di
fanteria,
una compagnia cannoni da
47/32, 2 gruppi cannoni da
77/28 e 2 batterie
mitragliere da
20 mm.
più una compagnia servizi,
il tutto non superava i
6.000 uomini. Per la
precisione la 1^divisione
aveva una forza di 5.876
soldati, mentre la 2^ ne
aveva 5.800.
Dalla
5^Armata dipendeva tutto lo
scacchiere del Sahara
libico, il cui primo
comando era stato
dato al generale Sebastiano
Gallina sino a quando, con
le due divisioni libiche,
era passato alle dipendenze
della 10^Armata, in seguito
il comando di detto
scacchiere venne assegnato
al generale Umberto Piatti
del Pozzo e in un secondo
momento affidato a suo
fratello, generale Guido
Piatti del Pozzo. Il comando
generale del Sahara libico,
denominato raggruppamento
sahariano, era nella oasi di
Hon, che si trovava al
centro di altre due oasi,
quella di Socna e di Uaddan
nel Gebel el Giofra (
vedere a fine capitolo la MAPPA N°1, raffigurante la Libia ).
Tale
raggruppamento, inizialmente
aveva una forza di 6.032
uomini ed era formato da: 10
compagnie mitraglieri, 3
battaglioni di fanteria
indigena (libici), 4
compagnie meharisti, 3
compagnie mitraglieri
montate su camionette AS-37,
una batteria mitragliere
c.a. da
20 mm.,una
batteria camellata di
cannoni da 65/17, inoltre il
raggruppamento disponeva di
circa 40 piccoli aerei
Ca.309 da ricognizione per
il deserto, chiamati
familiarmente “Ghibli“.
I
“meharisti“ erano soldati
libici adibiti alla
sorveglianza del nostro
confine del Sud Sahara,
montavano il dromedario, una
razza di cammello veloce e
resistente, provenivano
tutti dalla tribù tuaregh
degli “Sciamba “; furono
fedelissimi combattenti. Tre
erano le tribù tuaregh che
vivevano nelle zone
desertiche del Fezzan,
allora sotto la nostra
giurisdizione, gli “Sciamba
“, gli Azger e gli Ahaggar,
ma i più combattivi e audaci
furono gli Sciamba, la cui
etnia fu scelta e preferita
dal comando italiano del
Sahara libico.
Sul
finire del 1939 al
raggruppamento vennero
assegnate altre 5 compagnie
mobili che presero la
denominazione di “Auto
pattuglie Sahariane“ perché
montate sulle nuove
camionette AS-39 (avevano
sostituito le AS.37), in
quanto modificate nella
carrozzeria e motore, create
per poter attraversare il
deserto velocemente; erano
automezzi con una autonomia
di 15 giorni e riserve di
carburante e viveri per un
equipaggio di 5 uomini. Nel
settembre del 1942 a conflitto in pieno
svolgimento, a queste 5
compagnie ne vennero
aggiunte altre 3 montate
sulla nuova camionetta SPA
AS.42.
Le 5
compagnie per la loro
mobilità e autonomia erano
state così smistate: la 1^ e
2^compagnia in Cirenaica nel
settore Marada-Gialo-Cufra,
rafforzando così questa
ultima guarnigione, la
2^compagnia fu per prima
comandata dal capitano
Mattioli, in seguito dal
capitano Caccialupi, quando
il Mattioli passò a
comandare la guarnigione di
Cufra. La 3^compagnia venne
dislocata nelle oasi di Hon
e di Murzuch, mentre la
4^e 5^compagnia avevano il
compito di perlustrare e
controllare oltre 1.000 Km del confine tunisino-algerino, in
effetti da Nalut a Gadames e
Gat sino ai limiti dei monti
Tassili-Tummo-Tibesti.
Le
compagnie sahariane mobili
avevano un loro gagliardetto
nel quale spiccava la testa
di leone ricamata in oro su
fondo nero. Dette compagnie
con le loro camionette
AS.37, erano nate nel 1938
per volere di Italo Balbo;
Egli era venuto a
conoscenza, qualche anno
prima, che in Egitto era
stato creato dagli inglesi
un corpo speciale derivato
dal “Camel Corps”,
denominato “Long Range
Desert Group”; nel 1940
questo corpo venne a fare
parte della Western Desert
Force.
Gli uomini del
L.R.D.G. usavano particolari
camionette armate con il
preciso compito
d’infiltrarsi in pieno
deserto e attaccare di
sorpresa postazioni nemiche,
chiaro riferimento ai
capisaldi italiani. Gli
equipaggi erano addestrati a
sopravvivere nel deserto per
giorni e giorni,
naturalmente con assegnate
scorte di viveri e
carburante, dislocate su
itinerari prestabiliti e in
punti segreti. ( FOTO
N°3-4 )
Trovandomi in argomento,
vorrei fare conoscere al
lettore alcuni particolari,
forse per molti sconosciuti,
su questo corpo inglese; nel
corso delle battaglie in
Libia il L.R.D.G. causò
gravi danni, prima alla
10^Armata poi a quella
italo-tedesca, minando le
piste interne che
collegavano Cufra-Gialo e
Gialo-Agedabia, distruggendo
le colonne di rifornimento
che da Tripoli e Bengasi
portavano munizioni, viveri
e medicinali alle nostre
truppe al fronte. Le
camionette arrivavano
improvvise dal deserto e con
rapidi colpi di mano
colpivano le colonne di
automezzi che transitavano
sulla via Balbia e poi
velocemente si ritiravano
nel deserto, sfuggendo anche
alla nostra ricognizione
aerea in quanto percorrevano
piste solo a loro
conosciute. Ecco una notizia
alquanto sconcertante e
purtroppo vera: sin dal 1939
il comando del L.R.D.G.
aveva, a nostra insaputa,
perlustrato e fotografato il
deserto attorno a Cufra,
prendendo contatto con
elementi libici a noi ancora
ostili, avevano creato basi
di rifornimento sia di
carburante che di viveri,
naturalmente occultandole
con segnali particolari
riconoscibili solo ai
componenti di quei reparti,
questo in quasi tutto il
territorio del Sud Sahara
libico. Alcuni di questi
depositi furono casualmente
scoperti nella zona di
Gialo, abbiamo la
testimonianza dell’allora
tenente di artiglieria
Franco Mattavelli che operò
a Gialo; durante una
ispezione, osservando un
palo infisso in una zona
completamente deserta,
rimovendolo scoprì per caso
un deposito di benzina e
casse di viveri, sigarette
comprese, che naturalmente
per il suo reparto fu una
manna dal cielo. Vi é la
certezza che anche i
francesi sin dal 1939
avevano formato uno speciale
corpo di soldati veterani
del deserto, con molta
probabilità appartenenti
alla Legione Straniera, che
in caso di guerra contro
l’Italia, partendo
dall’Africa Equatoriale
francese avrebbero dovuto
occupare a sorpresa l’oasi
di Cufra; sorpresa questa
che in seguito avvenne da
parte francese ma in
collaborazione con il
L.R.D.G. Quelle basi
occulte, create da uno
spericolato maggiore
inglese, servirono
efficacemente agli uomini
del L.R.D.G.; qui di seguito
conoscerete il nome e
l’attività a nostro danno di
questo avventuroso maggiore.
Una nota
curiosa ma nello stesso
tempo triste e ironica: il
Long Range Desert Group
aveva carte topografiche di
tutto il territorio del
Sahara libico così precise
che segnalavano anche le
caratteristiche del terreno,
mentre il nostro comando del
Sahara non ne possedeva di
così precise e per alcune
zone del
sahara libico non
esistevano, nonostante la
nostra presenza in Libia da
quasi 30 anni.
Artefice
di quelle audaci imprese e
anche creatore del L.R.D.G.
fu un maggiore dell’esercito
inglese di nome Clayton, che
il 31 gennaio del 1941 venne
catturato da un reparto di
nostri meharisti, al comando
del capitano Mattioli, a sud
di Cufra, in località Maaten
Bisciara.
Un breve
cenno storico sulla vita
avventurosa di questo
ufficiale dei Servizi
Speciali dello esercito
inglese. Dal 1923 al 1932 il
maggiore Clayton aveva
operato a nostro danno
durante la riconquista della
Cirenaica, egli era
conosciuto da Graziani in
quanto si prodigò nello
organizzare quelle carovane,
guidate personalmente da lui,
che dal territorio egiziano
trasportavano armi e
munizioni ai ribelli
senussiti in Cirenaica,
attraverso piste solamente
conosciute dal maggiore
Clayton, poiché sin dal 1920
aveva esplorato in lungo e
largo il deserto della
Cirenaica, specie nella zona
di Cufra.
Nel 1931
venne decorato dal governo
inglese per l’opera che
aveva svolto in Cirenaica a
favore della ribellione,
considerando singolarmente
quel lavoro come opera
umanitaria
Per tutto il 1940 ritroviamo
il maggiore Clayton quale
nostro diretto avversario,
aspetto questo che ci
procurò non pochi guai;
infatti quando venne
catturato si preparava ad
attaccare il nostro presidio
di Uau el Chebir. Il
maggiore Clayton, catturato
fu portato in Italia e
rinchiuso nel campo di
concentramento di Sulmona,
ove venne trattato con molto
riguardo, tanto da seguire
gli eventi bellici di allora,
attraverso la radio e la
lettura di giornali, Clayton
parlava correttamente
l’arabo e l’italiano, in
prigionia scrisse le sue
memorie. Quando gli inglesi
arrivarono in Italia lo
liberarono; in seguito venne
mandato in Palestina, ove
con il grado di generale,
comandò le forze inglesi in
quel settore sino alla
creazione dello Stato di
Israele. Con la cattura di
questo spericolato
personaggio, il nostro
comando del Sahara libico
pensò che le incursioni del
Long Range Desert Group
avrebbero avuto fine, invece
a febbraio del 1941, un
reparto inglese del
L.R.D.G., composto anche con
soldati francesi
degollisti (Francia Libera)
e fuorusciti libici, attaccò,
per la seconda volta, i
nostri presidi di Murzuch,
Hon e Araneb. Fu un attacco
di sorpresa in quanto il
nemico, guidato da un altro
inglese profondo conoscitore
del deserto, il maggiore
Bagnold, arrivò dall’interno,
partendo da una base
francese del Ciad,
percorrendo oltre 1.000 Km. di deserto;
comunque la reazione dei
nostri presidi fu tempestiva
riuscendo a respingere gli
Alle
forze armate dislocate in
Tripolitania dobbiamo
aggiungere una nuova
specialità che nacque in
Libia e precisamente in
Tripolitania, in zona
denominata Fonduk Ben Gascir
a
24 Km.
da Tripoli, con sede, scuola
e comando nel nuovo
aeroporto di Castel Benito.
La
località ove venne costruito
l’aeroporto in origine si
chiamava Gasr Garabulli
(Gasr in arabo significa
castello, da quì il nome di
Castel Benito, Benito in
onore di Mussolini).
Per la
nuova specialità dei
paracadutisti libici venne
scelto l’aeroporto di Castel
Benito per due valide
ragioni, la prima che esso
era stato costruito nel 1934
come aeroporto civile,
quindi disponeva di grandi
spazi con attrezzature
moderne e ampi capannoni, la
seconda ragione era che
quella zona non risentiva di
perturbazioni atmosferiche;
scartato fu invece il
vecchio aeroporto militare
della Mellaha ad appena
12 Km.
da Tripoli, non
sufficientemente attrezzato
per accogliere una grande
massa di militari, ma il
problema più grave
consisteva nel fatto, che
quel aeroporto era spesso
investito da forti venti e
da correnti di aria calda
ascensionale che avrebbero
condizionato negativamente
l’attività lancistica. Nel
1938 il maresciallo
dell’Aria Italo Balbo,
vincendo ostacoli che gli
venivano dallo Stamage e
inizialmente anche da
Mussolinì, volle fermamente
che l’Italia avesse dei
reparti speciali di
paracadutisti, certo che
truppe speciali aviolanciate
avrebbero capovolto, in una
guerra moderna, le sorti di
battaglie. Infatti si recò a
Roma a sottoporre ai capi di
Stato Maggiore
dell’aeronautica,
dell’esercito e allo stesso
Mussolini il suo progetto
per creare reparti
paracadutisti, ne ebbe
risposte molto evasive; i
capi di allora non
valutarono l’importanza e
l’utilità di avere quella
specialità, anche se il vero
motivo era da ricercarsi in
innegabili gelosie con
prerogative di demagogica
volontà autonoma e di
assurdo potere istituzionale
a tutto danno dell’Italia.
Disilluso e certamente
contrariato Balbo rientrò a
Tripoli e facendosi forte
della autonomia militare di
cui godeva, quale capo
supremo delle forze armate
dislocate in Libia, dette
inizio nel marzo del 1938 al
reclutamento presso le
truppe libiche di volontari
per quella nascente
specialità. L’afflusso
inaspettatamente fu enorme,
il 22 marzo venne subito
iniziato l’addestramento
affidato al tenente
colonnello pilota Prospero
Freri, mentre il comando
della Scuola fu dato alla
M.O.V.M. maggiore Goffredo
Tonini, medaglia che si era
guadagnata durante la
riconquista della Libia nel
1928. Il 1°aprile del 1938
iniziavano i lanci, in testa
il maggiore Tonini, seguito
dagli istruttori ufficiali e
sottufficiali nazionali,
lanci effettuati con aerei
SM 81 da bombardamento del
15°Stormo BT. e con
paracadute D.37.
Il 16
aprile sempre del 1938, 300
volontari libici
effettuarono il loro primo
lancio nella zona di Suani
ben Aden, purtroppo con un
bilancio negativo di 8 morti
e 30 feriti certamente da
addebitare, oltre alla
imperizia e alla emotività
dell’allievo, anche al
paracadute D.37 che si
dimostrò subito non idoneo a
lanci di massa. Prospero
Freri cercò di porre rimedio
al difettoso D.37, noto come
paracadute di salvataggio
per aviatori, migliorandolo
con qualche accorgimento e
il 18 maggio ad appena un
mese dal primo lancio ne fu
eseguito un secondo sempre
nella stessa zona; altro
bilancio tragico, 7 morti e
42 feriti, allora si capì
che il D.37 non doveva
essere usato a lanci di
massa ; Freri modificò
ancora il D.37 nella
velatura e imbracatura e
così nacque il D.39.
Frattanto altri volontari
libici si erano brevettati e
il 25 maggio, in occasione
delle manovre delle Regie
Truppe Coloniali, alla
presenza di S.M.Vittorio
Emanuele III e di numerose
delegazioni straniere, nella
Piana di Bir Ghenem, 800
paracadutisti libici con i
loro istruttori effettuarono
un lancio, simulando
l’occupazione di un
aeroporto da tenere
saldamente sino all’arrivo
di reparti aviotrasportati.
Anche in questo lancio vi
furono dei morti, ma esso
destò enorme meraviglia e
ammirazione presso le
delegazioni straniere.
Sempre nel 1938 si ebbe
un’altro lancio di massa,
che venne effettuato nella
Gefara, zona di Zuara, alla
presenza di S.A.R. il
Principe di Piemonte; quel
lancio eseguito su un
terreno particolarmente
accidentato e pietroso ebbe
successo e con solo qualche
ferito; ormai i “Fanti
dell’aria“ libici avevano
raggiunto un grado di
addestramento ed esperienza
eccellenti; é da ricordare
che quei lanci di massa con
truppe indigene, furono i
primi ad essere fatti nel
mondo, l’Italia vanta anche
questo primato. Nel maggio
del 1940 in Libia, si erano
formati due battaglioni di
paracadutisti, uno di
libici, l’altro di
nazionali, che vennero
trasferiti a Barce in
Cirenaica
per completare
l’addestramento e i lanci.
Alla data
del 10 giugno 1940 si erano
brevettati alla scuola di
Castel Benito e Barce,
1.400 paracadutisti con
11.200 lanci complessivi.
Nota
storica -Il maresciallo
dell’Aria Italo Balbo, visto
l’ottimo comportamento dei
paracadutisti libici, in
data 1°luglio 1938, con
Regio Decreto Legge N°1327,
concedeva alle truppe
libiche di potersi fregiare
delle stellette. Il soldato
libico veniva così
equiparato giuridicamente e
livellato economicamente a
quello nazionale. Con quel
Regio Decreto venne anche
cambiata la denominazione di
Regio Corpo Truppe Coloniali
(R.C.T.C.) in Regio Corpo
Truppe Libiche (R.C.T.L ).
Vorrei
che il lettore venisse a
conoscenza del motto del
R.C.T.C., esso
era: “CON IL VALORE
SUPERO IL DESERTO, IL TEMPO
E IL NEMICO “
Il primo
caduto per mancata apertura
del paracadute, durante i
lanci di brevetto, fu il
Muntaz libico Mohamed Alì
Ugasci, seguirono poi il
Ten. Pelilli, lo Sciumkbasci
Mohamed ben Alì, il Muntaz
Anesc ben Asciur, il
Bulukbasci Bubaker ben
Kalifa, lo Sciumkbasci
Mansur ben Messaud, il
Muntaz Sufi ben Mohamed.
I gradi
nelle truppe libiche erano
così classificati: Muntaz =
Caporale, Bulukbasci =
Sergente, Sciumkbasci =
Sergente Maggiore. ( FOTO
N°5 )
Ritorno
con le mie note storiche:
pochi sanno, tra questi solo
anziani paracadutisti, che
verso la fine del 1941 e
inizio del 1942, venne
costituito un particolare e
insolito reparto, composto
da ex prigionieri
dell’8°Armata britannica,
erano indiani di varie
etnie: Rajputani, Siks,
Maharatti che si erano
offerti volontariamente per
combattere l’Inghilterra e
favorire l’indipendenza
dell’India con l’appoggio
dell’Asse. Il reparto prese
il nome di battaglione
“Hazad-Industan” al comando
del maggiore Luigi Vismara.
Una
compagnia venne inviata a
Tarquinia per brevettarsi
paracadutisti e affidata al
tenente istruttore Danilo
Pastorboni e al Capitano
Pippo Genovesi, quest’ultimo
dopo l’8 settembre aderì
alla R.S.I. fondando il
famoso battaglione
paracadutisti “Mazzarini”.
Ultimato l’addestramento
lancistico, gli indiani a
seguito del negativo
andamento della guerra
causato dalla perduta
battaglia di El Alamein,
rifiutarono la loro
collaborazione e preferirono
ritornare nei campi di
prigionia.
Un altro
reparto nacque a Tripoli
dopo pochi giorni dalla
dichiarazione di guerra, ne
traccio brevemente la storia
in quanto ne segui la
nascita anche perché cercai
di farne parte; l’idea venne
dalla mente di un Centurione
(capitano) della Milizia
Volontaria della Sicurezza
Nazionale (M.V.S.N.), il
nome di questo ufficiale era
Alberto Venturelli che fu
mio padrino di battesimo.
Egli riuscì a formare un
battaglione di giovanissimi,
tutti volontari, reclutati
dai reparti Avanguardisti e
Giovani Fascisti della
allora Gioventù Italiana del
Littorio (G.I.L.). Un numero
considerevole di giovani
tripolini cercò di essere
arruolato, ma molti vennero
rimandati a casa, io fui uno
di quelli, in quanto secondo
il Venturelli ero troppo
giovane, non avevo ancora
compiuto 17 anni (sono nato
nell’agosto del 1923); seppi
in seguito che come mio
padrino non voleva che
corressi rischi.
Formati i
quadri del battaglione,
questo prese il nome di “Battaglione
Volontari di Libia“ e
assegnato alla divisione
CC.NN.23 Marzo; non appena
iniziarono le operazioni di
guerra sul confine egiziano,
esso fu mandato a difendere
la piazzaforte di Tobruch e
durante l’assedio posto
dalle truppe inglesi, questi
giovanissimi ragazzi si
comportarono eroicamente,
dando fulgido esempio di che
stoffa erano i giovani
italiani di Libia, pochi
furono i superstiti.
Ed ora
diamo uno sguardo di come
era schierata la 5^Armata
sul confine tunisino (
vedere MAPPA N°2 ): il
primo schieramento era di
competenza del XX Corpo
d’armata che iniziava dalla
zona di Pisida scendendo a
sud del confine sino a Nalut
e come primo settore di
copertura aveva preso
posizione la divisione Pavia
che copriva la difesa dalla
costa di Zuara sino a Zavia
con l’entroterra, per la
seconda copertura erano
state schierate le divisioni
Brescia e Sirte.
Il
secondo schieramento che
partiva dalla zona di Nalut,
risalendo al Nord e toccando
Giado, Bir Gnem, Jefren,
Garian e arrivando sino
nella zona di Azizia, era
affidato al X Corpo d’armata
con le divisioni Bologna,
Sabratha, Savona e parte
della 2^divisione CC.NN. 28
Ottobre.
Il terzo
schieramento posto a difesa
della città di Tripoli, era
coperto dal XXIII Corpo
d’armata con la 1^divisione
CC.NN.23 Marzo e l’altra
parte della 2^divisione
Camicie Nere 28 Ottobre.
Il comando superiore A.S.,
aveva quale riserva per la
5^ Armata, il 1° e 2°
reggimento carri armati L.3,
pochissimi per l’eventuale
fabbisogno, disponeva
inoltre del 10°-22°e
25°raggruppamento
artiglieria;solo nello
ottobre del 1940, giunsero
in Libia i più pesanti carri
armati M 11, ma erano
appena 70.
La
5^Armata poteva contare
anche su alcune compagnie di
cavalleria coloniale formata
da soldati libici (Spahis e
Savari). Il settore del Sud
della Tripolitania
inizialmente era stato
affidato come difesa alla
1^e 2^ divisione libica al
Comando del Generale
Sebastiano Gallina, ma come
sopra già citato, le due
divisioni vennero poi
trasferite in Cirenaica.
Lo
schieramento difensivo sul
confine egiziano ( vedere
MAPPA N°3 ) era tenuto
dalla 10^Armata ancora con
gli organici non completi,
anche perché lo STAMAGE,
riteneva quel settore non
eccessivamente pericoloso
come invece era temuto
quello tunisino.
Questa sicurezza della non
pericolosità del fronte, era
dovuta alla convinzione, da
parte di chi a Roma aveva i
poteri di comando che il
generale Sir Archibald
Wavell, il quale alla data
del 2 agosto 1939 aveva
assunto il comando di tutte
le forze inglesi dislocate
in Palestina, Transgiordania,
Cipro, con giurisdizione
militare anche su Egitto,
Sudan e Africa Orientale,
disponeva di una forza
militare, come dichiarò
allora lo
stesso
Wavell, poco più di 36.000
uomini, dislocati tra
Egitto, Sudan e Africa
Orientale e poco meno di
30.000 in
Medio Oriente, quindi
secondo il nostro Stamage,
si trovava nella
impossibilità di sferrare
attacchi sul nostro confine.
Purtroppo queste cifre
risultarono poi non esatte
ma di gran lunga maggiori,
come riscontrò il nostro
Servizio Informazioni
Militari ( SIM ) alla data
del 10 giugno 1940, che
stimò le forze inglesi da 100.000 a 103.000
militari, non includendo
circa 40.000 tra militari e
civili egiziani che
collaboravano con l’esercito
inglese, facendo tutto il
servizio delle retrovie. In
realtà la cifra data da
Wavell era riferibile ai
soli reparti operativi ma
aveva omesso completamente
quelli di riserva, supporto
tattico e logistico.
Nota
storica: i soldati egiziani
non furono mai impiegati in
azioni di guerra, in quanto
il governo egiziano mai
dichiarò guerra sia
all’Italia che alla
Germania.
La
composizione della
10^Armata, comandata
inizialmente dal generale
Francesco Guidi, sostituito
allo scoppio delle ostilità,
per raggiunti limiti di età,
dal generale Mario Berti,
valido ufficiale che aveva
combattuto in Africa
Orientale e Spagna ma che
veniva in Libia per la prima
volta, aveva due Corpi
d’armata, il XXI e il XXII.
Il XXI era al comando del
generale Lorenzo Dalmazzo
poi sostituito, in data 28
agosto 1940, pare per
divergenze con il comandante
della 10^Armata, con il
generale Carlo Spatocco che
lasciava il comando della
divisione Cirene, ultimo
comandante del XXI C.A. fu
il generale Enea Navarrini.
Il
generale Lorenzo Dalmazzo
verrà poi inviato in
Jugoslavia al comando del VI
Corpo d’armata
Al XXI
C.A. erano aggregate: la
divisione Marmarica,
comandata dal generale
Ruggero Tracchia, la
divisione Cirene, del
generale Alessandro Di Guida
e la 1^divisione libica, che
nel 1940 era arrivata in
Cirenaica, comandata dal
generale luigi Sibille
Nel XXII
C.A.,comandato dal generale
Umberto Somma e in seguito
dal generale Enrico Pitassi
Mannella, aveva alle proprie
dipendenze la divisione
Catanzaro appena giunta in
Libia con il generale
Vincislao Spinelli, la
4^divisione CC.NN.3 Gennaio,
comandata dal generale Fabio
Merzari; a questo corpo
d’armata, verrà in seguito
aggregata la 2^divisione
libica proveniente dalla
Tripolitania, detta
divisione era ancora al
comando del generale Armando
Pescatori.
Alla data
del 10 giugno 194O, nostra
entrata in guerra, la
10^Armata aveva assunto sul
confine egiziano uno
schieramento difensivo a
ridosso delle zone di
Tobruch, Bardia, Ridotta
Capuzzo, Sidi Omar, Bir
Sceferzen, Ridotta
Maddalena, Giarabub, Cufra.
Queste località che erano
punti chiave contro una
eventuale offensiva inglese,
avevano una copertura in
armi e uomini alquanto
esigua e
debole.
A
Tobruch, poco prima dello
scoppio delle ostilità, il
presidio era formato da
2.500 soldati, in gran parte
richiamati e con scarso
addestramento militare, a
questi venivano aggiunti
alcune migliaia di marinai
addetti alla difesa costiera
e contraerei (pochissimi i
cannoni), l’unico punto di
forza era la presenza in
rada dell’incrociatore San
Giorgio adibito a difesa
contraerei; nel corso della
guerra la guarnigione di
Tobruch venne portata a
25.000 uomini.
Bardia
aveva lo stesso problema di
Tobruch, un presidio di
appena 2.000 uomini anche
qui molti richiamati, scarsa
l’artiglieria contraerei,
assente quella controcarro;
a seguito degli eventi
bellici il presidio fu
rinforzato a 20.000 uomini.
Ridotta
Capuzzo e Sidi Omar erano
state rinforzate con due
Compagnie mitraglieri
appiedate e una mobile,
l’artiglieria controcarro
non esisteva, vi erano
alcune batterie di cannoni
da 65/17, residuati della
Prima Guerra Mondiale.
Scendendo
verso sud vi erano i piccoli
presidi di Bir Sceferzen,
Ridotta Maddalena, Uescechet
el Neira, Garn el Grein,
difesi da una minuta
guarnigione, solo una
ventina di meharisti libici
al comando di un ufficiale e
un sottufficiale nazionale e
qualche mitragliatrice
antiquata quale era la Schwarzlose, preda
bellica della 1^Guerra
Mondiale, veniva poi il
grosso caposaldo di
Giarabub, anche qui il
presidio era stato
rinforzato con due compagnie
Guardia alla frontiera, due
compagnie di truppa indigena
camellata (meharisti), tre
compagnie mitraglieri, una
sezione cannoni da 65/17,
una batteria mitragliere da
20 mm.
e ancora un reparto
mitraglieri motorizzati;
Giarabub usufruiva di un
piccolo aeroporto, dislocato
nella zona di Garet El Barut
a pochi chilometri dal forte
ed era presidiato da una
ventina di avieri
Molto a
sud, quasi ai confini con
l’Africa Equatoriale
Francese, si trovava Cufra,
in arabo si pronuncia “Kafir”
che significa “infedele“;
questa vasta oasi, quasi 500
Kmq. era presidiata, a
inizio guerra, da due
compagnie mitraglieri, una
compagnia sahariana (meharisti),
con poca artiglieria, appena
una batteria di cannoni
65/17 e una batteria
mitragliere da 20 mm., aveva anche un
aeroporto, che sino alla sua
caduta era base di sosta
degli aerei del S.A.S.(Servizio
Aereo Speciale) che
portavano rifornimenti in
A.O.I.
Alle
spalle dei presidi di
Ridotta Capuzzo, Sidi Omar
era stata schierata la 10^
Armata, disposta, alla data
del 10 giugno 1940, con
questo schema difensivo:
XXI Corpo
d’armata formato, come sopra
detto, con le divisioni
Marmarica, Cirene e la
1^divisione libica, aveva
disposto come primo
schieramento le divisioni
Marmarica e 1^libica, a
protezione della zona
costiera da Bardia e
scendendo a Sud sino a Sidi
Azeiz e Bir el Gobì, mentre
il secondo schieramento
nella zona di El Adem era
affidato alla divisione
Cirene.
XXII
Corpo d’armata aveva
disposto la 4^divisione
CC.NN.3 Gennaio e la
divisione Catanzaro a difesa
di Tobruch, quindi poste
nella zona di Acroma - Bir
Hacheim - Bir el Gobi; da
notare che la divisione
Catanzaro (generale Spinelli)
non era completa, in quanto
sbarcata a Tripoli a fine
maggio, pur avendo subito
iniziato il trasferimento in
Cirenaica, alla data 10
giugno 1940 non riusciva
ancora a completare il suo
organico, addirittura a
quella data un gruppo
artiglieria si trovava
ancora accantonato a
Tripoli.
Nella zona di Derna, ad
oltre
150 Km.
dal confine, era stato
acquartierato il “Raggruppamento
Oasi Meridionali“, in
seguito comunemente
conosciuto come
Raggruppamento Maletti, era
fermo in quella zona in
attesa del completamento
della sua artiglieria ancora
a Tripoli. A Derna si
attendeva anche l’arrivo
dalla Tripolitania del resto
della 2^divisione libica.
Un cenno
storico su questo
leggendario raggruppamento:
esso venne costituito
per operare in zone
desertiche sul fronte
egiziano, il comando fu
affidato al generale Pietro
Maletti, esperto ufficiale
coloniale, in Libia sin dal
1928, conoscitore profondo
del deserto e con un forte
carisma tra la truppa
indigena.
Il
raggruppamento era composto
da sette battaglioni di
fanteria libica, un
battaglione sahariano di
meharisti, due gruppi di
artiglieria leggera, un
battaglione carri armati
leggeri L 3 (nel novembre
del 1940 ebbe una piccola
aliquota di carri armati
M.11, da poco giunti
dall’Italia), due compagnie
cannoni da 47/32, una
compagnia mortai da 81, due
batterie mitragliere da 20 mm., una compagnia Genio
trasmissioni e una compagnia
servizi, il tutto per un
totale di 8.500 uomini con
320 automezzi e 160 tra muli
e dromedari. Il
raggruppamento quando nacque
passò alle dipendenze del
gruppo sahariano al comando
del generale Sebastiano
Gallina, ma appena iniziata
la nostra offensiva nel
settembre 1940, venne
aggregato al XXII Corpo
d’armata.
Il
raggruppamento Maletti pur
non avendo la forza
effettiva di una divisione,
era uno dei pochi reparti
dell’esercito ad avere un
così alto numero di
automezzi, la ragione sta
nel fatto che era un
raggruppamento mobile e
doveva operare nel deserto,
velocemente e su lunghe
distanza, il ché avvenne
solo in parte.
Nota storica: dopo la caduta
della Francia e non
essendoci più pericolo sul
confine tunisino, nei primi
giorni del luglio 1940,
quando alla morte del
maresciallo dell’Aria Italo
Balbo subentrò nel comando
superiore A.S. il
maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani, questi decise di
rinforzare la 10^Armata con
l’inviare in Cirenaica la
divisione CC.NN.23 Marzo e
il resto delle due divisioni
libiche, in più inviò anche
tutta l’artiglieria della
divisione Savona.
Vedremo
in seguito che con l’inizio
della prima offensiva
inglese del dicembre 1940,
quasi tutte le divisioni
della 5^Armata vennero
assorbite dalla 10^ Armata.
AVIAZIONE
MILITARE
Allo
scoppio delle ostilità in
Libia, la forza aerea
denominata Aviazione
Presidio Coloniale (A.P.C.)
comandata dal generale Rino
Corso Fougier, solo alla
data del 15 luglio 1940,
quando il generale Fougier
lasciò quel comando per
assumere quello di
comandante del C.A.I.(Corpo
Aereo Italiano) che operò in
Belgio a fianco della
Luftwaffe negli attacchi
contro l’Inghilterra, il
comando venne preso dal
generale Felice Porro, che
cambiò la denominazione
di “Aviazione
Presidio Coloniale“ con
quella di “5^Squadra Aerea“.
Una
sezione dell’A.P.C. rimase
ed
era di base a Hon e
Sebba, comandata dal tenente
colonnello Michele Leo;
doveva assolvere con poche
decine di Ca.309,
l’importante e difficile
compito di controllare tutto
il Sud/Ovest e Sud/Est del
sahara libico.
La nostra
forza aerea in quel periodo
superava di poco i 300
veivoli da combattimento,
per l’esattezza secondo le
mie ricerche era di 306,
preciso questa cifra in
quanto consultando testi che
hanno descritto le vicende
belliche che si svolsero in
Libia dal 1940 al 1943, ho
appurato che due storici,
Nino Arena e il generale
Mario Montanari, si sono
trovati in accordo sul
numero degli aerei di base
in Africa Settentrionale,
cioé di 306, altri invece
hanno dato cifre molto
discordanti.
Comunque
questa modesta forza aerea
era composta da velivoli
antiquati e in buona parte
in continue riparazioni, se
in guerra dettero ottima
prova fu solamente alla
perizia e al valore dei
nostri piloti che, con il
loro coraggio, annullavano
la scarsa efficienza del
materiale, compiendo azioni
memorabili.
Mi
risulta che in Libia alla
data del 10 giugno 1940, nei
vari aeroporti della
Tripolitania e Cirenaica (
vedere MAPPA N°4 ) vi
erano: 4 Stormi da
bombardamento - 3 Gruppi da
caccia -1 Stormo caccia
d’assalto - in più un buon
numero di ricognitori
terrestri (RO 37 e Ghibli) e
marittimi (Cant Z.501 e
506), così suddivisi: 125
aerei da bombardamento, 88
da caccia, 34 caccia
d’assalto e 59 da
ricognizione, per un
complessivo di 306 aerei.
Tale
forza aerea era dislocata in
Tripolitania negli aeroporti
di:
MELLAHA
- 64° Gruppo da
ricognizione aerea RO.37
e 1°Gruppo aerei
Ghibli Ca.309 (A.P.C.)
CASTEL
BENITO
- 15° Stormo da
bombardamento
SM. 79 e SM.81
13° Gruppo da caccia
CR.32 - CR.42
SORMAN
- 50° Stormo
d’assalto Ca.310 e BA.65
BIR EL
BHERA
- 33° Stormo
bombardieri SM.79
HON
- 99° Squadriglia
Ghibli Ca.309 (A.P.C)
SEBBA
- 95° Squadriglia
Ghibli Ca.309 (A.P.C.)
Dislocazione negli aeroporti
della Cirenaica:
BENINA (
Bengasi )
-
10° Stormo
bombardieri SM.79
-
10° Gruppo caccia
CR.32
BERKA
( Bengasi )
-
Una Squadriglia del
50° Stormo d’assalto Ca.310
EL ADEM
-
14° Stormo
bombardamento SM.79 e SM.81
-
73 Gruppo
osservazione aerea terrestre
RO.37
-
2° Gruppo aerei
Ghibli Ca.309 (A.P.C.)
ACROMA(Tobruch T.2) -
8° Gruppo caccia
CR.32 e CR.42
(Tobruch T.3) -
159° Squadriglia
d’assalto Ca.310
L’aeroporto di El Adem era
considerato il più grande
aeroporto militare della
Cirenaica, infatti fu il
primo ad essere attaccato
dalla aviazione inglese
all’alba del 11 giugno 1940,
il giorno dopo la nostra
dichiarazione di guerra;
aerei bombardieri Bristol
Blenheim partiti dalle loro
basi di Fuka e Maaten
Baqqusc, bombardarono
l’aeroporto danneggiando
gravemente cinque SM.79,
cinque RO.37, sei SM.81 e
due Ca. 309
Altri
piccoli aeroporti militari
erano nel Fezzan: a Murzuch,
Uau El Chebir, Gadames e
Gat; nella Sirtica: solo a
Sirte; in Cirenaica: ad
Apollonia, Gambut, Giarabub,
Cufra, Gialo, Barce, Maraua,
Derna, Menastir, Ain El
Gazala, El Mechili, Martuba
a
50 Km.
da Derna; molti di questi
aeroporti erano in uso agli
aerei Ghibli per la
sorveglianza dei confini.
Nel corso
della guerra quando
arrivarono in Libia altri
velivoli e in seguito anche
la forza aerea tedesca, si
arrivò ad avere oltre 100
aeroporti di fortuna, questi
avevano le piste in terra
battuta e cosparse di olio
per renderle più compatte,
ma quando arrivavano gli
improvvisi acquazzoni,
quelle piste divenivano
inagibili. Il personale
addetto ai servizi non aveva
alloggi decenti come negli
altri aeroporti militari,
ove sia i piloti che il
personale di terra erano
alloggiati in confortevoli
fabbricati con rifugi almeno
in apparenza sicuri, la
protezione degli aerei aveva
barricate in cemento. Negli
aeroporti di fortuna nulla
di questi vantaggi, piloti e
personale vivevano sotto le
tende, in caso di attacchi
aerei il loro rifugio era
una buca protetta con sacchi
di sabbia, nessuna difesa
murale per gli aerei. Alcuni
di questi aeroporti di
fortuna ebbero un ruolo
importante nel corso della
guerra, come quelli di Sidi
El Machrem e Amseat
Il
comando del settore Est
(Cirenaica) della nostra
aviazione era di competenza
del generale Fernando
Silvestri. Nel corso della
guerra, vi furono delle
sostituzioni che hanno dato
adito in passato a molti
interrogativi, soprattutto
in Libia per la sostituzione
del generale Porro, con il
generale Mario Aimone Cat in
data 5 febbraio 1941; pare
per divergenze con il
generale Cavallero,
diventato capo di Stato
Maggiore Generale al posto
del maresciallo d’Italia
Pietro Badoglio, divergenza
dovuta, secondo l’accusa, al
poco apporto dato dalla
aviazione coloniale durante
la prima offensiva inglese
che distrusse la “10^Armata;
a mio avviso vi é poca
credibilità su questa tesi.
Pochi mesi dopo, il
14 novembre 1941 altra
importante sostituzione,
quella del capo di Stato
Maggiore della Regia
Aeronautica, il generale
Francesco Pricolo, lo
sostituì il generale Rino
Corso Fougier; anche in
questo caso contrasti con lo
Stamage (generale
Cavallero), oggetto della
controversia l’invio di
aerei in Libia, pare che il
generale Pricolo si fosse
rifiutato di inviarne
altri,in quanto essendosi
recato a ispezionare il
fronte libico per verificare
la consistenza e l’efficacia
della nostra aviazione,
asseriva che i velivoli in
Libia per le operazioni di
quel settore, erano
sufficienti ma faceva anche
presente che molti compiti
della aviazione potevano
essere svolti dallo
esercito, il quale a sua
volta si giustificava che
mancava di mezzi idonei; in
brevi parole il solito
scaricabarile tra esercito e
aviazione. Il motivo vero
della sostituzione, fu il
ritardo con cui venne
inviato in Africa
Settentrionale il 4°Stormo
CT (caccia terrestre)
composto da Mc.202 ( quel
ritardo fu causato dalla
installazione dei filtri
antisabbia). Ma è anche vero
che la nostra flotta aerea
veniva dispersa su diversi
fronti e il generale Pricolo
doveva accontentare tutti. I
maligni dissero allora che
il generale Cavallero volle
togliere dagli alti comandi
tutti gli uomini fedeli a
Badoglio, vedi la
sostituzione del generale
Soddu, quella
dell’ammiraglio Domenico
Cavagnari capo di Stato
Maggiore della Marina
Comunque
é assodato che l’aviazione
italiana in Libia, sin dai
primi giorni del conflitto,
si prodigò senza risparmio
ad attaccare, con azioni di
mitragliamento e
spezzonamento tutti gli
obiettivi sia fissi che
mobili del nemico, come
concentramenti di truppe o
mezzi meccanici in
movimento, salvando spesso
da situazioni pericolose
nostri reparti di fanteria.
Molti gli
atti eroici compiuti dai
nostri piloti, molte le
ricompense al valore
militare concesse per
l’opera svolta durante la
prima offensiva inglese,
vedi la M.O.V.M alla memoria al
capitano Dell’Oro, le
M.A.V.M. al maggiore Ernesto
Botto, il famoso “gamba di
ferro“, menomazione avuta
durante la guerra di Spagna,
al capitano Duilio Fanali,
al maggiore Carlo Romagnoli,
al tenente Adriano Visconti,
al generale Guglielmo
Cassinelli, comandante della
famosa brigata aerea
d’assalto “Rex“, al capitano
Bruno Politi e ancora a
tantissimi sottufficiali
piloti nonché avieri di
bordo, come il maresciallo
Enio Sagliaschi, sergente
maggiore Paolo Perno,
sergente maggiore Pietro
Scaramucci, sergente
Giuseppe Zardini, Aviere
scelto M.O.V.M. Trevigni (tripolino).
L’elenco di valorosi piloti
potrebbe riempire molte
pagine di questo libro,
purtroppo il tempo e lo
spazio mi sono tiranni.
REGIA
MARINA
Sulla
consistenza di mezzi e di
forza della nostra Marina in
Libia (Marilibia), poco c’é
da dire in quanto poco c’era;
nei porti di Tobruch,
Tripoli, Sirte e Bengasi
erano ormeggiati: un vecchio
incrociatore, il San Giorgio
a Tobruch ma adibito a
batteria contraerei, mentre
quattro cacciatorpediniere,
otto cannoniere e otto
sommergibili, in più chiatte
e piccoli velieri
militarizzati allo
scoppio del conflitto, erano
di base negli altri porti.
Il comando era stato
affidato all’ammiraglio
Bruno Brivonesi con sede a
Tripoli, in sottordine
l’ammiraglio Vietina per
tutto il settore navale Est,
con
sede di comando a
Tobruch.
Questa piccola forza
per tutto il corso della
guerra non partecipò ad
alcun evento bellico di
rilievo,fece solo servizio
di scorta costiera ai
velieri e motozattere
che
trasportavano viveri e
munizioni a Bengasi e nei
primi mesi di guerra a
Tobruch e Bardia; si era
trovato questo sistema di
rifornimenti in quanto
offriva più probabilità di
consegna anche se più lento.
I rifornimenti al fronte
egiziano via terra erano
quotidianamente soggetti a
mitragliamenti e
spezzonamenti da parte della
aviazione inglese ma anche
da incursioni via deserto,
dalle famose camionette del
“Range Desert Group“ che
colpivano velocemente e
altrettanto velocemente
sparivano nell’immenso
deserto.
LE POSIZIONI DI DIFESA DEL
NEMICO
Ed ora
diamo uno sguardo agli
schieramenti avversari;
iniziamo con il conoscere le
forze francesi sul confine
tunisino, come già esposto
sopra, il nostro Servizio
Informazioni Militari
(S.I.M.) aveva calcolato una
forza armata di circa
410.000 uomini così
suddivisi: 137.000 in Marocco, 134.000 in Algeria e 139.000 in Tunisia, in
quest’ultimo settore erano
inquadrate 8 divisioni di
fanteria e una di cavalleria
algerina, così classificate
e disposte: la 64^ e la
66^divisione proprio sul
confine a Ben Gardane, a
ritroso di Ben Gardane una
divisione di cavalleria;
nella zona di Gabes, la
85^divisione; a Sfax e Gafsa,
la 65^,la 60^ e la 84^;
attorno a Tunisi, la 74^ e
parte della 54^ che si
allacciavano a Gabes con la
85^. Nello schieramento del
sahara tunisino vi erano
reparti di truppe coloniali,
i famosi montanari “Goums“,
bande irregolari indigene ed
elementi della Legione
straniera; tutti questi
reparti messi insieme
venivano certamente a
formare una divisione.
Prima della guerra le truppe
francesi in Tunisia erano
comandate del generale
Blanc, quelli in Algeria dal
generale Goudard e in
Marocco dal generale
Francois, ma appena iniziate
le operazioni in Africa
settentrionale, esse erano
passate sotto l’unico
Comando superiore Nord
Africa
del generale Charles Auguste
Nogués e in sottordine al
generale Alphonse Juin.
Alle truppe terrestri
bisogna aggiungere la flotta
aerea, questa in effetti,
alla nostra entrata in
guerra, si dimostrò scarsa
in quanto tra maggio e i
primi giorni di giugno,
molte squadriglie di
bombardieri e caccia erano
state trasferite in Francia
a colmare i vuoti degli
aerei che venivano abbattuti
dalla caccia tedesca. Alla
data del 10 giugno 1940
venne calcolato, sempre dal
nostro S.I.M.,che nel Nord
Africa francese erano
schierati in 1^linea circa
300 aerei, 120 dei quali in
Tunisia, fra cui una
quarantina di aerei da
caccia, pare che tra questi,
oltre ai superati Bloch
M.B. 152 C-1, vi fossero
alcuni Dewoitine 520, di
gran lunga superiori ai
nostri caccia CR 42, appena
6 bombardieri e
alcune squadriglie
di aerei da ricognizione con
i Potez 63-11.
In
seguito fu accertato che in
tutta l’Africa del Nord, tra
Marocco, Algeria, Tunisia e
Africa Occidentale ed
Equatoriale, all’atto dello
armistizio della Francia, vi
fossero circa 18O
bombardieri e 450 aerei da
caccia, comunque queste
cifre sono discutibili in
quanto le commissioni di
armistizio italo-tedesche,
quanto si recarono
nell’Africa francese, per
fare gli inventari di tutto
il materiale bellico, di
aerei sia da caccia che da
bombardamento trovarono solo
92 aerei in Tunisia,
207 in
Algeria e
183 in
Marocco; stando a quelle
cifre, le eventuali ipotesi
potrebbero essere: un errore
di calcolo, un rientro
clandestino in Francia o che
parte di quegli aerei si
siano volontariamente
consegnati, all’atto dello
armistizio, nello aeroporto
inglese di Gibilterra,
oppure nelle basi aeree
inglesi della Nigeria, Costa
d’Oro e Sierra Leone
.
La flotta
navale francese era quella
che destava maggiori
preoccupazioni allo STAMAGE
(Stato Maggiore Generale),
infatti nelle basi francesi
del Mediterraneo era
concentrata la maggiore
parte della flotta, ma
bisognava tenere in
considerazione anche quella
dislocata nei porti sulla
costa atlantica, che in caso
di necessità poteva
intervenire nel
Mediterraneo; infatti a
Casablanca (Marocco) vi si
trovava la corazzata Jean
Bart ma non ancora
completamente armata, era
giunta in Africa dal bacino
di carenaggio di Saint
Nazaire, vi erano anche
alcuni incrociatori leggeri,
mentre a Dakar (Africa
occidentale francese) erano
alla fonda la corazzata
Richelieu e diversi
incrociatori.
Le basi
navali nel Mediterraneo
erano a Mers el Chebir e
Orano (Algeria) con 2
corazzate un pò antiquate ma
affiancate da 2 incrociatori
corazzati ultra moderni,
allora vennero considerati
il fior fiore della flotta
francese, inoltre vi erano
presenti incrociatori
leggeri, torpediniere e
altro naviglio minore; ad
Algeri erano ormeggiati 6
incrociatori pesanti e
incrociatori leggeri, mentre
a Biserta (Tunisia) vi era
una base di sottomarini,
pare che tra questa base e
quella di Algeri vi si
trovassero numerosi
sommergibili.
A questo
considerevole numero di navi
bisogna aggiungere quelle
dislocate nella base inglese
di Alessandria d’Egitto di
cui una corazzata, 4
incrociatori pesanti più un
numero imprecisato di
cacciatorpediniere e
spazzamine.
Nota storica:
all’atto dell’armistizio
della Francia, tutte le navi
francesi in territorio
inglese furono disarmate e i
loro equipaggi vennero
internati come prigionieri
di guerra; inoltre gli
inglesi il 3 luglio 1940,
dopo lunghe e inutili
trattative con l’ammiraglio
francese Gensoul,
attaccarono con la loro
flotta, comandata
dall’ammiraglio Somerville,
la base di Mers el Kebir
(Algeria) per distruggere le
navi alla fonda. La prima ad
essere colpita fu la
corazzata Bretagne che
affondò e con essa perirono
977 marinai francesi,
vennero gravemente
danneggiati due incrociatori
pesanti corazzati, il
Dunkerque e il Mogador,
altri incrociatori leggeri
furono anch’essi colpiti.
Il 6
luglio la medesima flotta
attaccava la base navale di
Orano, per completare la
distruzione delle navi
francesi onde non farle
cadere in mani italiane o
tedesche; l’8 luglio sempre
del 1940, altro attacco
degli inglesi a Dakar e
venne colpita gravemente la
corazzata Richelieu che non
affondò per il basso
fondale.
Altra
nota : nei giorni 23-24-25,
sempre nel mese di luglio
del 1940, forze terrestri di
“Francia Libera” al comando
del generale Charles De
Gaulle, tentarono di
impadronirsi della base
navale di Dakar ma vennero
respinti dalle truppe
francesi fedeli al Governo
di Vichy.
Le forze
francesi di “Francia Libera”
erano inizialmente composte
da 30.000 soldati francesi,
quelli che durante la
ritirata di Dunkerque erano
riusciti ad imbarcarsi per
l’Inghilterra, a questi
vennero ad aggiungersi le
guarnigioni francesi del
Ciad, del Gabon, del Senegal
e alcuni reparti della
Legione straniera di stanza
a Gibuti, forze che non
avevano accettato il governo
di Petain, accogliendo
invece il proclama del
generale De Gaulle, che non
aveva accettato
l’armistizio, lanciato al
popolo francese mentre si
trovava in Inghilterra. Si
ebbero scontri fratricidi
fra legionari in Africa
Occidentale e in Siria.
Ed ora
passiamo allo schieramento
inglese sul fronte egiziano
al momento della
dichiarazione di guerra: Sir
Archibald Wavell, come sopra
già detto, era il comandante
supremo di tutte le forze
britanniche del Medio
Oriente, Egitto, Sudan e
Africa Orientale, il suo
comando si estendeva su un
area di oltre 2.700 chilometri
quadrati; Wavell, sempre
secondo sue dichiarazioni,
disponeva in Egitto di una
forza operante di circa
36.000 uomini, mentre
Winston Churchill, nelle sue
memorie sulla Seconda Guerra
Mondiale, la porta a circa
50.000. Tale forza aveva
come principale base tattica
e di resistenza il campo
trincerato di Marsa Matruch,
che prima del conflitto era
tenuto da 3 battaglioni
dello esercito egiziano,
sostituiti poi da
3 battaglioni inglesi che
vennero rinforzati durante
l’avanzata di Graziani su
Sidi el Barrani; Marsa
Matruch era la posizione più
avanzata e più importante
militarmente degli inglesi.
Lungo il confine il generale
Wavell aveva schierato poche
forze mobili come,
l’11°Ussari con autoblindo,
il 7°Ussari con carri armati
leggeri, la 60^ brigata
fucilieri e il 2°reggimento
meccanizzato della “Royal
Horse Artillery“; il compito
di questi reparti era quello
di disturbo sul nostro
confine. Alle spalle di tali
forze vi era la 7^divisione
corazzata, ancora non
completa negli organici,
solo nell’ottobre del 1940
essa ebbe la sua effettiva
consistenza come divisione,
poi la 4^divisione indiana e
la 2^divisione neozelandese,
ad esse si aggiungevano: 14
battaglioni di fanteria, un
battaglione mitraglieri, un
reggimento di artiglieria da
campagna e due reggimenti di
artiglieria di medio e
piccolo calibro; questa
forza secondo gli organici
di tre divisioni
regolamentari e i reparti di
supporto, così come
prescritto nell’ordinamento
del Royal Army, superava di
gran lunga i 50.000 uomini,
quindi è accettabile la
cifra di 50.000 attestata da
Winston Churchill nelle sue
“Memorie” e non quella di
36.000 come afferma Wavell
nel suo libro intitolato
“Come sconfissi l’Armata
italiana”.
Infatti
considerando che una
divisione di fanteria
britannica al completo degli
organici, sempre secondo
l’ordinamento del Royal
Army, veniva ad avere 16.000
soldati mentre quella
corazzata era di 13.000, il
battaglione si aggirava su
un effettivo potenziale di
800 uomini, ecco superate le
50.000 unità; ora ammesso
anche che Wavell non avesse
avuto le divisioni, i
reggimenti e i battaglioni
al completo, il ché a nostro
avviso invece lo erano, la
sua forza terrestre sarebbe
stata ugualmente di oltre
36.000 soldati. A questa
cifra bisogna aggiungere i
40.000 tra soldati e civili
egiziani che operavano nelle
retrovie non impegnate in
operazioni di guerra, ecco
che Wavell, pur dichiarando
divisioni e battaglioni non
completi, schierati in
Egitto, prima della
offensiva del maresciallo
Graziani, disponeva
certamente di oltre 76.000
uomini per l’esattezza
103.000 come
accertato dal S.I.M. (
nostro Servizio Informazioni
Militari). Ammesso che la
cifra di 36.000 uomini fosse
vera, Wavell
non accenna che la
sua forza militare aveva
l’appoggio di oltre 400
carri armati, con una
potenza superiore ai modesti
carri armati italiani M.11 e
L.3; inoltre disponeva di
artiglieria modernissima,
superiore alla nostra per
calibro e gittata e ancora
700 aerei; da segnalare
anche l’aiuto che gli fornì
la flotta navale,
bombardando i nostri
caposaldi sulla costa e le
piazzaforti di Bardia e
Tobruch. E’ vero che il
generale Wavell si circondò
di valenti e prestigiosi
generali, infatti affidò il
comando delle forze inglesi
in Egitto al generale
Maitland Wilson, poi chiamò
al Cairo il maggiore
generale Richard O’Connor
che comandava la truppa
inglese dislocata in
Palestina, dandogli il
compito di creare una nuova
formazione d’attacco che
prese il nome di “Western
Desert Force”, la quale
procurò non pochi danni agli
italiani. Quella nuova
formazione incorporò la
7^divisione corazzata al
comando del generale O’Moore
Greagh, la 2^divisione
neozelandese, comandata dal
maggiore generale
Bernard Freyberg, la
4^divisione indiana sotto il
comando del maggiore
generale Noel Beresford
Peirge. La 7^ divisione
corazzata del Western Desert
Force adottò quale emblema,
un distintivo che
raffigurava due topi del
deserto e che i soldati
inglesi applicavano sulla
manica
sinistra della
divisa.
Una nota
interessante: il comando
inglese in Egitto aveva
studiato un piano, da
applicare in caso di
ritirata, che predisponeva
delle drastiche opere
distruttive sul territorio
che eventualmente veniva
abbandonato; per primo la
distruzione di tutte
fortificazioni permanenti,
poi il sistema idrico con
l’inquinamento dei pozzi da
Sollum a Marsa Matruch e
sino ad Alessandria; in
parole povere infettando
quelle acque, esse avrebbero
senz’altro ritardato ogni
avanzata del nemico e ancora
il porre mine a scoppio
ritardato nelle strade
percorribili, rendere
impraticabile l’asfalto
delle strade, usando un
procedimento chimico atto a
scioglierlo, distruzione
della linea ferroviaria che
da Sidi el Barrani, toccando
Marsa Matruch arrivava ad
Alessandria, demolizione
della teleferica che da
Sollum bassa portava a
Sollum alta; parte di quelle
distruzioni le misero in
atto quando Graziani iniziò
l’offensiva che lo portò a
Sidi el Barrani, purtroppo
quelle distruzioni lo
costrinsero ad una sosta
forzata.,vedi la costruzione
di un acquedotto e della
strada da Sollum sino a Sidi
el Barrani. ( 2 )
Prima
d’iniziare la descrizione
delle altre forze armate
inglesi dislocate in Egitto
e nel Mediterraneo, quali
aviazione e marina, vorrei
che il lettore venisse a
conoscenza del rapporto di
forza tra una nostra
divisione di fanteria
impegnata in Libia e quella
inglese: la divisione
italiana numericamente era
composta da 10.978 uomini,
ma solo poche raggiungevano
quel numero di effettivi,
aveva il seguente armamento:
262 fucili mitragliatori,
111 mortai da 45, 12 mortai
da 81, 16 mitragliere
contraerei da
20 mm.,
8 pezzi controcarro da
47/32, 56 pezzi da campagna
di vario calibro, nessun
carro armato, né mezzi
blindati o cingolati, gli
autocarri sulla carta
risultavano 398, in effetti a stento superavano i 150,in
compenso era dotata con 249
motociclette e 180
biciclette.
La
divisione inglese, prevista
inizialmente in Egitto,
aveva un organico di 13.863
uomini, ma nel corso del
conflitto raggiunse i 16.000
componenti con 644 fucili
mitragliatori, 56
mitragliatrici, 118 mortai
da quattro pollici, 18
mortai da 81 mm., 361 fucili controcarro
Boys, 27 pezzi controcarro,
72 pezzi da campagna, 28
carri leggeri, 50 mezzi
blindati esploranti, 90
carri cingolati, 117
autovetture, 1528 autocarri
(effettivi e non sulla carta)
e ancora 24 autocarri
speciali, 156 trattori, 221
rimorchi, 670 motociclette e
330 biciclette. ( 3 )
Come il
lettore ha potuto notare,
oltre la superiorità
numerica vi era anche quella
nell’armamento, sia leggero
che di accompagnamento, il
quale era nettamente
superiore a quello di una
nostra divisione, spaventosa
la differenza nei mezzi di
trasporto.
La flotta
aerea inglese dislocata
nelle basi dello scacchiere
Mediterraneo, allo inizio
del conflitto, era modesta
con aerei alquanto vetusti e
di media autonomia, ma
sempre superiori ai nostri
come armamento.
Malta,
pur trovandosi in una zona
strategica del Mediterraneo
e con 3 aeroporti, aveva in
forza appena 4 aerei da
caccia
Gloster Gladiator, di
cui uno ancora imballato, la
sua difesa era affidata alla
contraerei delle poche navi
da guerra ancorate nel porto
di La Valletta e solo quando le
incursioni sull’isola, da
parte della aviazione
italiana, si fecero più
frequenti e pericolose,
l’ammiraglio Cunninghan
chiese a Londra l’invio
urgente di aerei. Alla fine
di agosto del 1940, giunsero
a Malta 15 aerei Hurricane
portati dalla portaerei
britannica “Argus“, la quale
usò un particolare
stratagemma: questa arrivava
in zona a Sud-Ovest della
Sardegna a circa 350 Km. da Malta, da quella
distanza di sicurezza faceva
decollare gli aerei che, con
quel breve percorso aereo,
atterravano senza
inconvenienti a Malta.
Questo tipo di operazione
venne ripetuta più volte con
successo e mai fu
contrastata dalla nostra
aviazione, così alla fine
del 1940 Malta poté contare
per la sua difesa su 33
caccia Hurricane, 16
bombardieri Wellington, 4
idrovolanti ricognitori di
altura Sunderland, 4
ricognitori Glenn Martin e
12 aerosiluranti Swordfish,
che vennero a costituire il
famoso 830°Squadron. Per la
verità alcuni di quei
trasferimenti, dalla
portaerei a Malta ebbero
degli inconvenienti: alcuni
Hurricane non giunsero mai a
destinazione in quanto i
piloti uscirono fuori rotta
e non riuscirono a
localizzare la posizione di
Malta, quindi girarono a
vuoto finché esaurita
l’autonomia di carburante
precipitarono in mare.
Gli
inglesi escogitarono un
altro stratagemma per fare
pervenire aerei anche in
Egitto, eliminando
l’attraversamento del
Mediterraneo e in seguito il
lungo percorso marittimo che
doppiava la punta estrema
dell’Africa, per poi entrare
nel Mare Rosso e arrivare
finalmente in Egitto,
applicarono il seguente
piano: gli aerei smontati e
imballati venivano imbarcati
in Inghilterra su navi da
carico che li sbarcavano nel
porto di Takoradi
(Lagos) sulla costa
Atlantica, da lì venivano
montati e collaudati,
riforniti di carburante e
partivano alla volta
dell’Egitto attraversando a
tappe i territori della
Nigeria, Ciad e Sudan,
facevano una sosta
prolungata a Kartum (Sudan)
per una ulteriore revisione
e infine decollavano per il
Cairo; il primo carico
realizzato nel mese di
novembre 1940, fu di 33
aerei “Hurricane“.
Certamente non era un
impresa facile, volare per
oltre 3.700 miglia su
territori desertici, ma la
bravura dei piloti e la
perfetta organizzazione,
riuscirono a fine
1940 a
fare arrivare al Cairo ben
107 aerei da caccia e
bombardamento.
Continua
la serie delle mie note
storiche: l’11 giugno 1940,
il giorno dopo la nostra
entrata in guerra, Malta fu
bombardata dalla aviazione
italiana, parteciparono a
quella operazione 73 aerei
SM.79, scortati da caccia
CR.42 e Macchi 200, tutti i
nostri aerei rientrarono
alle loro basi di Tripoli e
Pantelleria.
Come
contropartita lo stesso
giorno, aerei Bristol
Blenheim, bombardarono
l’aeroporto italiano di El
Adem.
La flotta
aerea inglese del
Mediterraneo, oltre che a
Malta aveva basi a Creta, in
Alessandria e Marsa Matruch;
le basi aeree del Medio
Oriente non influenzarono le
azioni inglesi in Libia o
nell’Italia meridionale.
Ecco le
caratteristiche di aerei
inglesi che ebbero rilevanza
bellica in Africa
Settentrionale:
GLOSTER GLADIATOR - Aereo
biplano da caccia monoposto,
velocità che variava dai 395
ai 407 Kmh, a quota
5.000 metri
raggiungeva una velocità di
362 Kmh.,armato con 4
mitragliatrici Browning da 7,7 mm.,poste due sotto le
ali e due ai lati della
fusoliera.
BRISTOL
BLENHEIM - Aereo monoplano
bimotore, interamente
metallico, velocità 455
Kmh., armato con 4
mitragliatrici Vichers e
Browning da 7,7 mm., portava un carico di
450 Kg.
di bombe, la sua autonomia
era di circa 1.500 Km.
SPITFIRE
V.B. - Aereo da caccia,
armato con due cannoncini da 20 mm. e 4 mitragliatrici da 7,7 mm., era velocissimo 600
Kmh. con una autonomia di
1.825 Km.
VIKHERS WELLINGTON - Aereo
da bombardamento medio,
bimotore, adatto a voli
notturni, armato con 6
mitragliatrici poste una in
torretta girevole, due
davanti alla fusoliera, una
in coda e due laterali.
Portava un carico di 2.700 Kg. di bombe,
autonomia di volo di
1.000 Km.
.
HAWKER
HURRICANE - Monoplano da
caccia con carrello
retrattile, era monoposto
con tettuccio scorrevole.
Inizialmente armato con 8
mitragliatrici Browning da 7,7 mm. installate nell’ala,
nel 1941 le mitragliatrici
vennero sostituite con 4
cannoncini Oerlikon-Hispano
da
20 mm.,in
seguito quando divenne aereo
assaltatore i 4 cannoncini
furono sostituiti con 2
cannoni Vickers da
40 mm.
con l’aggiunta di 2
mitragliatrici da 7,7 mm., poteva portare anche 2 bombe da 227 Kg., in velocità superava
i 500 Kmh.
FAIREY
SWORDFISH - Aerosilurante,
biplano, armato con
due mitragliatrice da
7,62 mm.
poteva portare un siluro da 730 Kg. o una mina da 680 Kg. oppure 8 bombe da 50 Kg.,aveva un equipaggio da
due a tre uomini, la sua
autonomia era di 1.240 Km.
WESTLAND
LYSANDER
-
Aereo monoposto usato
per il controllo del deserto
e spostamenti di truppe
avversarie, venne utilizzato
anche come bombardiere, non
portava bombe di grosso
calibro ma spezzoni.
Questi
furono gli aerei inglesi
protagonisti allo inizio
delle operazioni in Africa
Settentrionale e Orientale,
in seguito arrivarono i
potenti aerei americani come
il bimotore da bombardamento
“MARTIN MARYLAND“ e il
caccia “CURTISS P.40”. (
FOTO N°6 )
Veniamo
ora a conoscere la
consistenza della flotta
navale inglese nel
Mediterraneo; allo scoppio
delle ostilità
era comandata
dall’ammiraglio Andrew
Cunningham distribuita nelle
basi di Alessandria e
Gibilterra, in seguito anche
nella potenziata
base di Malta.
Una breve introduzione
storica: qualche mese prima
della nostra entrata nel
conflitto,l’ammiragliato
inglese ritenendo pericolosa
la superiorità della nostra
flotta navale nel
Mediterraneo, aveva
progettato l’idea di
trasferire nella base di
Gibilterra tutta la sua
flotta Mediterranea,
lasciando quella di
Alessandria; questo, secondo
l’ammiragliato, faceva sì
che invece di avere due basi
deboli se ne creava una
fortissima in una sola base,
Gibilterra veniva ritenuta
la più sicura per la sua
posizione strategica. Quella
proposta venne avversata da
Winston Churchill, allora
Primo Ministro del governo
inglese; bocciata l’idea
dell’ammiragliato si
addivenne
al concetto di rinforzare le
due basi. Quel timore
inglese della superiorità
della nostra flotta era
dovuto alla efficace e abile
propaganda che la nostra
diplomazia aveva saputo
divulgare, facendo conoscere
che la marina italiana
possedeva, già dal 1939 ben
7 corazzate, un gran numero
di incrociatori pesanti ma
soprattutto oltre 100
sommergibili, per
l’esattezza 115. In effetti alla data
del 10 giugno 1940 la nostra
flotta aveva pronte nella
base di Taranto appena 2
corazzate,
la Cavour
e
la G.Cesare,
solo a fine luglio del 1940
entrarono in linea la Duilio, la Vittorio Veneto e la Littorio, mentre il
28 ottobre, sempre del 1940,
entrò in servizio la Andrea Doria e nello
agosto del 1943 anche la
corazzata Roma.
Ancor
prima delle ostilità con
l’Italia la flotta inglese
nel Mediterraneo, nelle basi
di Gibilterra, Malta e
Alessandria non era poi
tanto debole; a Gibilterra
erano alla fonda una
corazzata, un incrociatore e
9 cacciatorpediniere, a
Malta appena una
torpediniera e 6
sommergibili, quella che
aveva una maggiore
consistenza era la base di
Alessandria con 4 corazzate,
una portaerei, 6
incrociatori pesanti, 21
cacciatorpediniere e 6
sommergibili, poi vi erano
due piccole basi quella di
Porto Said con un
incrociatore medio e di
Porto Sudan con 3
incrociatori, 4
cacciatorpediniere, un
incrociatore contraerei;
basi che pur trovandosi nel
Mare Rosso, potevano
permettere in qualunque
momento alle navi di entrare
nel Mediterraneo attraverso
il Canale di Suez.
Solo da
luglio a settembre del 1940,
l’ammiraglio Andrew
Cunningham, comandante
supremo di tutte le forze
navali inglesi nel
Mediterraneo e Mare Rosso,
poté rafforzare la base di
Gibilterra così da avere in
essa 3 corazzate ( la Hood, la Resolution e la Valiant ), la portaerei Ark
Royal, ancora 2 incrociatori
leggeri ( lo Sheffield e lo
Enterprise ), un
incrociatore pesante ( il
Renown ) e 11
cacciatorpediniere; questa
consistente forza navale
prese il nome di “Forza H“
il cui comando fu affidato
al Vice ammiraglio James
Somerville, ma come comando
operativo dipendeva
dall’ammiraglio Cunningham.
La base
di Malta venne rinforzata
successivamente con gli
incrociatori Aurora e
Penelope e con i
cacciatorpediniere Lance e
Lively, tale forza venne
denominata “Forza K“, una
formazione che purtroppo
dette molto filo da torcere
alla nostra marina.
Nella
base di Alessandria, sede
della Mediterraneam Fleet,
si trovavano, come sopra
detto 4 corazzate (
Warspite, Ramillies, Malaya
e Barham ), oltre alla
portaerei Eagle entrò in
linea anche la portaerei
Illustrious, quest’ultima
aveva un particolare che
allora nessuna altra nave
possedeva: il ponte
blindato. Fece parte di
quella base anche
l’incrociatore pesante Kent
che si aggiunse ai 6
incrociatori pesanti (
l’Orion, il Sidney, il
Gloucester, il Liverpool, il
Neptune e il Calipso che
venne affondato dal nostro
sommergibile Bagnolini,
appena due giorni dopo la
nostra entrata in guerra );
nella base vi erano anche
dodici sommergibili.
Una
particolare tattica
divergente venne adottata
dalla marina inglese
sfruttando la divisione
delle due flotte; infatti
quando un convoglio entrava
nel Mediterraneo dallo
Stretto di Gibilterra,
dirigendosi verso Malta per
rifornirla e rinforzarla,
convoglio che veniva
scortato dalla Forza H del
vice ammiraglio Somerville,
contemporaneamente da
Alessandria usciva in mare
la flotta dell’ammiraglio
Cunningham quasi al
completo, questo stratagemma
presupponeva anche la
suddivisione in due gruppi
delle Forze aereo-navali
italiane mettendole nel
dubbio su chi attaccare,
conclusione il convoglio
poteva teoricamente
giungere quasi
indisturbato a Malta. (
FOTO N°7 )
La
ventilata occupazione di
Pantelleria da parte
inglese, divenne importante
nel settembre del 1940,
quando il Primo Ministro
Winston Churchill propose ai
capi di Stato Maggiore dello
esercito e della marina
l’occupazione di Pantelleria
che egli riteneva
munitissima e con un
importante aeroporto
militare, dal quale
partivano i nostri aerei per
bombardare Malta, che
distava appena 200 Km. da Pantelleria;
inoltre i nostri aerei
decollando da quella base
attaccavano i convogli
inglesi che dovevano
attraversare il passaggio
obbligato del Canale di
Sicilia.
Il
progetto d’invasione venne
studiato personalmente
dall’ammiraglio Keyes, il
piano prese il nome
convenzionale di “Workshop“.
L’ammiraglio nel giro di
appena un mese lo presentò
nei suoi dettagli a
Churchill che a sua volta lo
trasmise al generale Ismay
quale capo del comitato
degli Stati Maggiori,
accompagnandolo con una sua
nota con la quale
sottolineava l’importanza
strategica di Pantelleria.
La sua occupazione avrebbe
dato alla marina inglese il
controllo di tutto il
Mediterraneo Occidentale,
aprendo così un sicuro
transito ai convogli inglesi,
non obbligandoli più a
doppiare il Capo di Buona
Speranza per portare
rifornimenti in Egitto,
inoltre si veniva così a
togliere all’Italia una
forte base che proteggeva
anche i suoi convogli
diretti in Libia.
Churchill
insistette molto affinché
quel progetto venisse
attuato, poichè era certo
che nel corso della guerra,
l’aviazione italo-tedesca
avrebbe usato la base di
Pantelleria, il ché in
effetti avvenne e furono
guai per i convogli inglesi
e per Malta.
Il
progetto venne approvato e
fu anche stabilita la data e
le modalità della
occupazione, ma frattanto
erano sopraggiunte
particolari situazioni che
ne ritardarono l’attuazione;
in Inghilterra sussisteva
sempre la minaccia tedesca
di una invasione, in Estremo
Oriente spuntava il pericolo
giapponese; in quel periodo
si era anche prospettata
l’entrata in guerra della
Spagna a fianco di Germania
e Italia e per ultimo
l’offensiva italiana in
Africa Settentrionale che
portò Graziani a Sidi el
Barrani, ad oltre 100 Km. entro il confine
egiziano; vi fu un altro
inconveniente nella
preparazione dell’attacco, i
“commandos“ inglesi non
avevano ancora raggiunto
quel grado di addestramento
necessario alla buona
riuscita dell’azione.
In
base a questi fatti
l’operazione “Workshop“
venne accantonata con grande
disillusione del Primo
Ministro inglese e dello
stesso ammiraglio Keyes. Il
piano di sbarco inglese a
Pantelleria era stato
concepito soprattutto sulla
sorpresa; due o tre navi
cariche di esperti
“commandos” venivano ad
essere accodati a un
convoglio fortemente
scortato, detto convoglio
doveva attraversare il
Canale di Sicilia
sull’imbrunire attirando
l’attenzione della nostra
ricognizione e quindi
l’intervento della av
aviazione da
bombardamento,impegnandola
sino a che si facesse buio,
con l’oscurità le due o tre
navi si sarebbero staccate
dal convoglio puntando
direttamente su Pantelleria;
sbarcando sulla costa, in
piena notte, i “commandos”
avrebbero preso di sorpresa
la nostra guarnigione che
certamente mai si sarebbe
aspettato una simile e
audace impresa. Certamente
il piano era ben congegnato
e fu nostra fortuna che esso
non poté essere eseguito.
Conquistata Pantelleria, i
nostri convogli non
avrebbero avuto alcuna
possibilità di portare
rifornimenti e soldati in
Libia, a meno di rischiare
la totale distruzione nello
attraversare un mare ormai
sotto completo controllo
inglese. ( 4 )
Descritte
le posizioni strategiche dei
vari eserciti contrapposti
nello scenario libico e
prima di descrivere le
battaglie che essi
affrontarono, vorrei fare
conoscere quella che fu la
psicosi della guerra degli
italiani di Libia che per
primi affrontarono i disagi,
le paure e le distruzioni
delle loro case, negli oltre
due anni di dura lotta che
si svolse nel loro
territorio.
La
vigilia di guerra e la
guerra stessa, noi italiani
della Quarta Sponda la
sentimmo e la vivemmo più
intensamente che la
popolazione della
Madrepatria.
Le
ragioni erano ovvie, fu
subito cosciente in noi che
la guerra avrebbe avuto un
corso più cruento proprio in
Libia, in quanto sapevamo di
avere due fronti da
controbattere, quello
tunisino e quello egiziano,
poi vi era la visione del
continuo arrivo a Tripoli di
soldati e materiale bellico,
le affrettate opere di
difesa, la militarizzazione
di imprese civili, il
richiamo alle armi di nostri
concittadini che avevano in
passato già adempiuto il
servizio militare, tutto
questo apparato di forze e
di mobilitazione, destava
apprensione tra le persone
anziane, ma su noi giovani,
quel frenetico movimento ci
dava un senso di potenza e
di sicura vittoria.
Certamente la massa del
popolo e dei soldati era
allora all’oscuro della
nostra impreparazione alla
guerra, fu una fortuna
quella mancanza di verità e
ancora oggi mi domando se
fossimo venuti a conoscenza
di quella impreparazione, la
gioventù e il popolo con che
animo avrebbero affrontato
la guerra? La mia risposta?!
Avremmo combattuto con lo
stesso slancio e onore come
in effetti si comportò la
quasi totalità degli
italiani nel corso del
conflitto.
.
Il 10 giugno
1940, a
guerra dichiarata a Francia
e Inghilterra, iniziarono
subito in Libia le prime
avvisaglie di guerra; sul
fronte tunisino movimenti di
pattuglie e qualche sorvolo
di aerei francesi sulla
città di Tripoli con lanci
sporadici di bombe che
provocarono due vittime tra
i civili, però questo solo
nei primi giorni di guerra,
dopo tutto tacque su quel
fronte causa l’imminente
armistizio della Francia.
Più sentita per le nostre
truppe, fu la guerra sul
fronte egiziano, infatti
mentre noi ci mantenevamo
sulla difensiva, come aveva
stabilito Mussolini e
Badoglio, gl’inglesi
iniziarono subito operazioni
offensive sui nostri presidi
militari di confine; il 12 giugno
1940 occuparono Sidi Omar,
Bir Sceferzen e Ridotta
Maddalena, il 14 é la volta
di Ridotta Capuzzo, tra il
16 e 17 vennero occupati i
piccoli presidi di Carn El
Grein e Uescechet El Neira,
i superstiti di questi due
ultimi presidi riuscirono a
raggiungere Giarabub che già
dal 14 era stata attaccata e
anche se la sua forza
militare era alquanto
modesta, essa riuscì sempre
a respingere ogni attacco
nemico.
Quelle
iniziali vittorie dello
esercito inglese, furono
facilitate dalla nostra
cattiva organizzazione e
impreparazione
logistica-militare in quel
settore, pochi uomini e male
armati; un breve esempio, i
presidi di Ridotta
Maddalena, Carn El Grein e
Uescechet El Neira, come
sopra detto, avevano pochi
uomini e mezzi, nessun
collegamento via radio, solo
telefonico che gli inglesi
subito isolarono tagliando i
fili di collegamento con il
comando della 10^Armata
anche Sidi Omar e Ridotta
Capuzzo, subirono la stessa
sorte.
Le
incursioni degli inglesi
continuarono anche con
missioni in profondità sul
nostro territorio. Nella
giornata del 14, autoblindo
inglesi dello 11°Ussari,
oltrepassarono il confine
per oltre 20 Km tanto da arrivare sino a Sidi Azeiz, in
quel raid attaccarono un
reparto della 1^divisione
libica, il quale sotto la
pressione del nemico e
sottoposto a bombardamento
aereo, dovette ripiegare su
Bardia; purtroppo, per mala
sorte, in quel frangente il
nostro reparto fu anche
mitragliato e bombardato
dalla nostra aviazione, che
intervenuta nello scontro,
ignara della dislocazione
dei nostri soldati, in
quanto non gli era stata
segnalata, iniziò a
mitragliare tutto ciò che si
muoveva sul terreno, nemici
e amici. Un chiaro esempio
di mancati collegamenti,
collaborazione tattica e
assenza di accordi
terra-cielo.
Comunque
se avessimo avuto reparti
mobili come li avevano gli
inglesi e averli potuto
impiegare in analoghe
azioni, certamente non
avremmo subito tanti
smacchi. Le forze inglesi
che attaccavano i nostri
presidi, erano di modesta
entità ma dotate di elevata
autonomia, avevano il
vantaggio di muoversi
velocemente su autoblindo
Daimler MK., sui famosi
Bren-Carrier e su autocarri
Dodge e Ford. modificati per
il deserto, mezzi armati con
mitraglie pesanti e alcuni
anche con cannoni.
Ad onore
della verità, durante quelle
azioni di incursori inglesi,
il generale Dalmazzo, allora
comandante del XXI corpo
d’armata, cercò di reagire
ed ordinò, nella giornata
del 15, al comandante della
divisione Marmarica di
formare una colonna mobile
per cercare di respingere il
nemico oltre frontiera; la
colonna che era partita da
Bardia, arrivò sino a
Ridotta Capuzzo che trovò
abbandonata dagli inglesi e
non avendo potuto prendere
contatto con il nemico
rientrò a Bardia, lasciando
un piccolo presidio in quel
modesto fortilizio, presidio
che venne successivamente
distrutto.
Frattanto
altra colonna mobile al
comando del colonnello
D’Avanzo, tratta dalla
1^divisione libica, composta
da un battaglione
autocarrato, due compagnie
carri leggeri e una batteria
cannoni, partiva da Gabr
Saleh nella notte del 16,
portandosi nella zona di
Sidi Omar ove ebbe uno
scontro con un forte reparto
della 7^divisione corazzata
inglese, ma la superiorità
dei mezzi blindati nemici
produsse nella nostra
colonna gravi perdite;
caddero sul campo il
colonnello D’Avanzo,il
tenente Raffaele Bonanno
(tripolino) e 200 soldati
libici, perdemmo
30 automezzi, 12 carri
leggeri e 4 cannoni; i
superstiti ripiegarono su
Tobruch.
Quando il
maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani, iniziò la sua
offensiva che lo portò a
Sidi Barrani, venne ripresa
Ridotta Capuzzo e i piccoli
presidi del circondario e
venne liberata dallo assedio
Giarabub.
Se Benito
Mussolini e lo Stamage
avessero dato ascolto al
maresciallo dell’Aria Italo
Balbo, che sino dal 1939
aveva proposto di
trasformare le divisioni di
fanteria dislocate in Libia,
in 2 divisioni corazzate e 5
motorizzate, naturalmente
con l’adeguato armamento,
molte vicende belliche che
si svolsero su quel
territorio avrebbero preso
altra piega certamente a noi
favorevole, visto le poche
forze che in quel momento il
generale Wavell disponeva in
Egitto, inoltre non avremmo
avuto in seguito bisogno
dello aiuto tedesco in
Libia. Purtroppo Balbo ebbe
contro ai suoi progetti
innovativi l’ostinata
avversione dello Stamage e
per esso dal maresciallo
Pietro Badoglio, capo
indiscusso dello Stato
Maggiore Generale, il quale
sosteneva che in Libia
avevamo un esercito così
numeroso, capace di
affrontare e respingere ogni
velleità del nemico, anche
se quello esercito era
composto solo da divisioni
di fanteria appiedate e male
armate.
Valenti
generali quali Baistrocchi,
Grazioli, Zoppi, Canevari
sostennero allora la
tesi di Balbo che ritenevano
valida per una guerra
moderna sviluppata su un
vasto territorio quale era
quello della Libia.
Agli
inizi delle ostilità, la
vita in tutte le città e
cittadine della Libia si
svolgeva tranquilla e
normale come ai tempi di
pace, poi incominciarono i
giorni di ansie, di
preoccupazioni e ovviamente
di paure per i continui
massicci bombardamenti della
aviazione inglese specie su
Tripoli e Bengasi. Con i
primi morti civili e gravi
danni alla città, veniva
così ad essere impegnata
anche la popolazione che
nonostante quelle
difficoltà, seppe tenere
alto il morale e non si
scoraggiò nello affrontare
la dura lotta.
La
gioventù italiana di Libia
che sentiva giusta la
guerra, fu quella che
accorse subito al richiamo
della Patria e si comportò
sul campo con onore, dando
un fulgido esempio di dovere
e sacrificio. Molti furono i
combattenti volontari ma
anche molti i caduti. Gli
italiani di Libia dettero
alla Patria ben 4 Medaglie
d’Oro al Valore Militare e
numerose Medaglie d’Argento
e di Bronzo.
E’
doveroso da parte mia
segnalare al lettore i nomi
e le gesta di questi Eroi,
mi dispiace di non poterli
elencare tutti, purtroppo
devo limitare, anche per
questioni di spazio grafico,
a fare conoscere quelli di
cui mi é pervenuta la
documentazione e di coloro
che ebbi la fortuna di
conoscere personalmente.
Inizio
con la più prestigiosa
M.O.V.M.(vivente) concessa
al tenente di Vascello Luigi
Ferraro, di cui ho descritto
le gesta nel precedente
capitolo, poi la M.O.V.M. (alla memoria)
all’aviere scelto Trevigni,
medaglia che si meritò,
appena iniziata la guerra,
durante una incursione sui
cieli di Malta, fu la prima
che venne data a un
componente della nostra
Aviazione; altra M.O.V.M.(alla
memoria) al tenente Raffaele
Bonanno, della 1^divisione
libica, anche qui con
orgoglio posso affermare che
fu la prima Medaglia d’Oro
concessa a un soldato ad
appena sei giorni dallo
inizio del conflitto.
Altri
Eroi: maggiore pilota
Adriano Visconti di
Lampugnano, Asso
dell’Aviazione italiana - 6
Medaglie d’Argento al Valore
Militare, 2 di Bronzo e una
promozione per meriti di
guerra, ucciso a tradimento
a fine guerra dai partigiani
comunisti italiani.
Capitano
Giorgio Pistoni, caduto in
Africa Settentrionale,
proposto per la M.O.V.M..
Continua
il mio elenco di giovani
italiani di Libia che
sacrificarono la loro vita
per la grandezza della
nostra Patria, quali:
Sergente
maggiore Luigi Trizzi,
caduto in Russia il
25 dicembre 1941, mentre il
tenente Rolando Sanna, con
Nunzio Corso, Michele Banci,
Antonio La Vecchia, Pietro Sacco,
Giuseppe Cavoli, Romeo
Cardona, Gaetano Napoletano,
Mario Jacampo, Baldassarre
Glaviano, Alessandro Strati,
Luigi Perrone, Rocco
Mercurio, sergente
universitario Luigi Ghione,
tutti caduti in
combattimento in Africa
Settentrionale; Nunzio Corso
apparteneva al 62°reggimento
Fanteria della divisione
Trento, morì durante la
prima battaglia di El
Alamein il 14 luglio 1942.
Sul
fronte russo oltre al Trizzi
perse gloriosamente la vita
anche il capitano Achille
Cusinati, mentre su quello
greco moriva il tenente
Bruno Bertoni.
Combattendo con
la Repubblica Sociale
Italiana e per l’Onore
d’Italia perirono i fratelli
Giuseppe e Carlo Biaghetti,
Giuseppe che fu mio compagno
di scuola, era allievo
ufficiale nel battaglione
Barbarigo, morì in località
Ozegna ( Torino ) in un
agguato partigiano, venne
decorato con
la M.O.V.M.
alla memoria, altro
combattente con
la R.S.I.
fu Giancarlo Strobino
anch’egli ucciso in una
imboscata di partigiani .
Dopo
l’armistizio soldati
italiani vennero catturati
dai tedeschi, molti furono
uccisi o deportati in
Germania, tra questi due
miei concittadini,
l’artigliere Italo Spinelli,
massacrato dalle SS nel 1943
e Franco Pini morto nel
Lager di Sandsbostel
(Germania) nel 1944
Nel corso
della guerra di Liberazione,
Armando Calenda altro
italiano di Libia cadde in
combattimento sul fronte
italiano.
Ancora
altre tre Medaglie d’Argento
concesse: al tenente Vella
Natale, ai
tenenti piloti
Zaccaria Raimondo e Mario
Mazzocca, tutti e tre
“tripolini“, nel dopoguerra
ho avuto l’onore di
conoscerli a Tripoli .
Non
dimentico altri valorosi
come l’amico Alfredo Sicari
decorato di tre Croci al
Merito di Guerra, purtroppo
scomparso prematuramente
qualche anno fa a Desenzano
del Garda, Alfredo Clivio e
Gaspare Gucciardi, grandi
invalidi di guerra scomparsi
ambedue nel dopoguerra,
altro grande invalido Catino
Luigi, penso sia ancora in
vita e tra i viventi che
combatterono in Africa
Settentrionale cito:
Francesco Finocchiaro, Renzo
Azzurrini, Arnaldo D’Ascoli,
Erminio Marchino, Pietro
Napolitano, Piero Pavanello,
Paolo Prandstraller e ancora
altri compagni di gioventù
come Ugo Golisciani, Piero
Lanzon e Roberto
Paratore.
Tanti
ancora sarebbero i ragazzi
di Libia da menzionare,
ragazzi che donarono il loro
sangue per le glorie
d’Italia. ( FOTO N°8
)
Prima
ancora dell’inizio le
ostilità, noi giovani
italiani di Libia guardavamo
fiduciosi la preparazione
militare che si svolgeva sul
territorio, con la
costruzione di casamatte, di
postazioni di
mitragliatrici, di bunker
per la difesa costiera,
purtroppo venimmo in seguito
a constatare, che dette
fortificazioni, sino a
diversi mesi dallo inizio
della guerra, non erano
state armate. Il Governatore
Generale della Libia,
maresciallo dell’Aria Italo
Balbo, che era anche il
comandante supremo di tutte
le forze armate dislocate in
Africa Settentrionale, aveva
già notato quelle nostre
pecche difensive, tanto che
scrisse direttamente a
Benito Mussolini, in data
11 maggio 1940 con lettera
protocollo 01-200-741, nella
quale faceva presente, oltre
la scarsa preparazione delle
difese di Tripoli, Bengasi,
Tobruch e Bardia, anche la
disastrosa situazione
militare in Libia, la
impreparazione delle truppe
che aveva ai suoi ordini e
se pure avendone a
disposizione un
ragguardevole numero, queste
mancavano di un adeguato
armamento moderno; metteva
ancora in evidenza la
scarsezza di automezzi,
della artiglieria
controcarro e antiaerei,
faceva notare, in vista
delle incursioni aeree
nemiche, la mancanza di reti
di avvistamento, sia di
vicinanza che in lontananza,
le difficoltà dei
collegamenti telefonici tra
comandi e reparti e tante
altre necessità.
Balbo
richiedeva come materiale
quello strettamente
necessario, purtroppo molte
delle sue richieste non
furono esaudite perché non
disponibili in quanto ancora
in produzione, poco gli fu
inviato e con il contagocce,
soprattutto
l’approvvigionamento di
viveri, alla data del
10 giugno 1040, in Libia vi erano
scorte di viveri per appena
6 mesi e le risorse locali
non garantivano la
possibilità di alimentare la
popolazione civile e la
massa di soldati che
frattanto arrivavano.
Il
maresciallo Balbo, chiedeva
che tutto il materiale
richiesto gli venisse
inviato subito in quanto
giustamente prevedeva, che
con l’inizio della guerra
sarebbe stato difficile
approvvigionare la Libia, sia come armamento che viveri, poichè la
nostra marina si sarebbe
trovata in difficoltà
nel fare giungere
regolarmente gli aiuti,
causa la massiccia presenza
della marina francese
e inglese che avevano basi a
Biserta, Algeri, Malta e
quindi capaci di bloccare il
canale di Sicilia.
Purtroppo
le sue richieste trovarono
subito intoppi presso lo
Stamage, anche perché il
generale Soddu, Sottocapo
dello Stamage, aveva fatto
presente a Mussolini, con un
promemoria del 13 maggio
1940, che non considerava
così disastrosa la
situazione militare in
Libia, avendola constatata
di persona e che le
eventuali operazioni
belliche in Africa
Settentrionale non dovevano
essere prese come azioni
esclusive e preponderanti,
quindi secondo il generale
Soddu, le richieste di Balbo
dovevano essere esaminate
nel globale di tutte le
altre richieste che
sarebbero pervenute con la
nostra entrata in guerra, da
altri fronti.
Da questa
poca considerazione della
gravosa situazione in Libia
da parte dello Stamage,
desidero fare conoscere al
lettore, una strana
contraddizione: nel 1939, il
maresciallo Badoglio, allora
capo dello Stamage, si recò
in Libia per una ispezione
di carattere militare, al
suo rientro in Italia, nello
esporre a Mussolini il
risultato di quella visita e
di quanto aveva osservato,
così si espresse.......”
in caso di guerra è
opportuno predisporre
laggiù, l’invio di maggiori
armamenti......”
Il
comandante superiore Africa
Settentrionale, con la sua
richiesta aveva inviato
anche una nota del materiale
che urgentemente necessitava
onde potere iniziare la
guerra in Libia, ecco in
breve ciò che Balbo
richiedeva e quanto invece
venne inviato:
Per la
sistemazione difensiva delle
frontiere, l’armamento
richiesto fu:
1788
mitragliatrici Fiat 35,
inviate solo 500, altre 900
arriveranno nel mese di
luglio, quindi a guerra già
iniziata.
390 pezzi
anticarro da 47/32 , giunti
in Libia
solo 120.
Delle 23
Batterie da 77/28 chieste,
gli venne risposto che
potevano essere inviate nel
giro di 6-8 mesi.
Munizionamento:
Richiesti
880.000 colpi per cannoni
anticarro, inviati solo
13.000, pare che la
produzione mensile di detti
proiettili fosse di appena
40.000 al mese.
Chiesti
437.000 colpi per pezzi da
77/28, altra risposta
negativa: nessuno invio per
il momento
Balbo
aveva anche chiesto un
fabbisogno di 3 milioni di
quintali di cemento, per le
opere murarie delle
fortificazioni: arrivarono
in Libia solo 1.275.000
quintali.
Per la
difesa contraerei:
Richiesti
5 gruppi mobili contraerei
(15 batterie), più 23
batterie da posizione fissa
e 50 batterie con
mitragliere da 20 mm. risultato: nessuno
invio in quanto
scarseggiavano anche sul
territorio nazionale.
Automezzi:
Chiesti
1.000 automezzi per le
grandi Unità, inviati solo
170 e all’inizio delle
ostilità altri 500.
Servizio
sanitario:
Su una
richiesta di 255
autoambulanze, arrivate a
Tripoli: solo 20.
Per farsi
un idea di quanto fosse
scarsa la difesa contraerei,
questa era allora la
situazione:
in tutto
il territorio libico vi
erano solo due reggimenti di
artiglieria contraerei che
dipendevano dal comando
Difesa Territoriale, a
questi reggimenti era
affidato il compito di
difendere le città di
Tripoli, Sirte, Bengasi,
Derna e la piazzaforte di
Bardia, per Tobruch
provvedeva l’incrociatore
S.Giorgio e le mitragliere
poste a difesa degli
aeroporti T.2-T.5-T.3
disposti nel circondario di
quella piazzaforte.
Nel corso
della guerra spesso capitava
che batterie di mitragliere
da 20 mm. contraerei, venissero
richieste ai comandi
divisionali per essere usate
come difesa terrestre, la
mitragliera da 20, si
dimostrò molto efficace
anche come arma controcarro
per veicoli blindati.
Solo
nell‘ottobre
1940, a
quasi 5 mesi dallo inizio
della guerra, giunsero in
Libia il XVIII e il XXIX
gruppi artiglieria
contraerei che avevano in
dotazione i famosi cannoni
tedeschi 88 Krupp.
Il XXIX gruppo venne
destinato alla difesa di
Tripoli che quasi
quotidianamente subiva le
incursioni della aviazione
inglese, mentre il XVIII fu
smistato parte alla
divisione Brescia e parte
alla divisione Sabratha. Nel
febbraio 1941 arrivò in
Libia un reparto
della
Milizia contraerei con
cannoni da 88/56.
Alla
difesa contraerei delle
città libiche, inizialmente
vi erano poche batterie
fotoelettriche con
riflettori da
75 cm.,
affidate al personale
tecnico delle divisioni
Sabratha e Pavia; dette
batterie erano comandate dal
maggiore di artiglieria
Napolitano e dal tenente del
Genio Menaldi Marchini. Con
l’arrivo in Libia dei due
gruppi sucitati, la città di
Tripoli ebbe anche
15 sezioni fotoelettriche
con riflettori da
120 cm.,
mentre Bengasi usufruì di 8
sezioni.
Ovviamente questo scarso
invio di materiale bellico,
fu contestato da Balbo ma da
vero soldato il maresciallo
ubbidì agli ordini superiori
e cercò, con i mezzi del
posto, di porre riparo alla
deficienza di armamenti.
Il primo
piano di Balbo fu quello di
dichiarare tutto il
territorio libico quale
“zona di operazioni“,
dividendolo in zone di
“guerra“ e di “retrovie“;
Tripoli e il suo entroterra
per la vicinanza del fronte
tunisino, vennero dichiarati
zona di “guerra“, mentre per
la Cirenaica
solo la città di Derna e
tutto il Sahara libico,
vennero considerate zone di
“guerra“. Come “retrovie”,
vennero definite per la Tripolitania la
provincia di Misurata e per
la Cirenaica
la provincia di Bengasi;
solo in un secondo momento
tutta
la Libia
venne dichiarata “zona di
guerra“.
Nel mese
di maggio
1940, a
un mese prima dalla nostra
entrata in guerra, Italo
Balbo che certamente
immaginava in quali pericoli
veniva a trovarsi la
popolazione civile, attuò un
piano per salvaguardare dal
disastro della guerra, la
vita dei figli dei cittadini
italiani della Libia, con il
mandarli in Italia ospiti
delle colonie della G.I.L.
A pochi
giorni dallo inizio della
guerra, migliaia di piccoli
italiani in età dai 5 ai 12
anni vennero imbarcati su
piroscafi e portati in
collegi dell’Italia
Settentrionale, mio fratello
fu uno di loro. Molti di
questi ragazzi riuscirono a
ricongiungersi con i
familiari soltanto dopo 5
anni di lontananza.
Per
assolvere alla impostazione
di una linea difensiva
strategica, il comando
FF.AA. della Libia, iniziò
con il coprire alcune lacune
difensive, come già
descritto allo inizio di
questo capitolo, con un più
tattico schieramento delle
sue divisioni, sia sul
confine tunisino che su
quello egiziano; spostò dal
Sud della Tripolitania la
1^divisione libica
trasferendola, via terra, in
Cirenaica alle dipendenze
della 10°Armata, quel
trasferimento venne
completato nel mese di
luglio del 1940; requisì
tutti gli automezzi civili
disponibili in Libia e
militarizzò anche le imprese
civili; Balbo studiò con il
suo capo di Stato Maggiore
generale Giuseppe Tellera un
colpo di mano su Sollum, con
i due battaglioni
paracadutisti libici e
l’apporto della 1^divisione
libica. Sottoposto il
progetto allo Stamage anche
questa volta Roma trovò
ostacoli, il piano venne
respinto da Badoglio, in
quanto costui voleva che per
il momento le nostre truppe,
sul confine egiziano, si
mantenessero sulla difensiva
e Balbo concentrasse la sua
attenzione sul fronte
tunisino.
Pare che
Italo Balbo avesse in mente
un altro piano sorprendente,
si suppone che Egli pensava
di attaccare gl’inglesi dal
profondo Sud della Cirenaica,
partendo da Cufra con una
forte colonna motorizzata,
composta dalla 1^ e
2^divisione libica, poichè i
soldati libici erano i più
allenati a sopportare il
torrido clima del deserto;
da quella base di partenza
attraversando il deserto
egiziano, al disotto della
depressione di El Qattara,
si doveva raggiungere prima
l’Oasi di El Kharga e poi
risalendo verso il Nord,
toccare l’Oasi di Maushah,
puntare quindi su il Cairo e
infine Porto Said, mentre
dalla costa il nostro
esercito avrebbe dovuto
sferrare un attacco per
impegnare il grosso dello
esercito inglese che così
doveva preoccuparsi della
difesa di Alessandria. Ho
premesso che quel piano fu
ed é ancora un punto
interrogativo, in quanto
esso scomparve con la
prematura morte di Balbo,
pare..... e dico ancora
“pare“, che Egli ne avesse
accennato vagamente a uno
dei suoi più intimi
collaboratori e da qui si
sia sparsa la voce. Poche e
dubbie sono le fonti che
permettono di dare forma e
verità a quel pensiero di
Balbo e se si riuscisse a
documentarlo, confermerebbe
che Italo Balbo, oltre ad
essere stato un grande
aviatore, avrebbe superato
in audacia e strategia
militare lo stesso Rommel.
Comunque a mio modesto
giudizio, credo che quel “presunto”
piano, non era tanto
presunto, in quanto vi é un
accenno nella Relazione
denominata “Organizzazione
economica e militare della
Libia“ che Italo Balbo, come
Governatore Generale della
Libia, presentò alla
“Commissione
Suprema di Difesa - XIV
Sessione“, il 9 febbraio
1937, nella quale enunciava
che in caso di guerra contro
l’Inghilterra, avrebbe
iniziato le operazioni
militari sul confine
egiziano in due fasi, una
lungo la costa con obiettivo
Alessandria e
l’appoggio di truppe
mobili dall’interno, che
avrebbero dovuto partire da
Giarabub occupare Siwah e
Marsa Matruch; l’altra dalle
Oasi di Cufra e Auenat, con
obiettivo il corso inferiore
del Nilo, prima a Uadi Halfa
che era un porto fluviale
del Nilo poi a Delgo e
scendendo il fiume puntare
su Kartum e incontrarsi in
quel punto con l’esercito
del Duca d’Aosta che
contemporaneamente avrebbe
attaccato dalla Eritrea con
obiettivo Kassala - Kartum e
avanzare insieme sino al
Cairo.
Come si può notare l’idea di
un attacco da Cufra era
stato già enunciato da
Balbo, con la differenza che
l’azione, descritta nella
relazione del 1937, non
puntava direttamente al
Cairo ma ad un eventuale
incontro a Kartum tra le
truppe della Libia con
quelle della Eritrea. A mio
avviso quel piano, che a
prima lettura sa del
fantasioso, poteva benissimo
essere realizzato avendo
potuto avere i necessari
mezzi a disposizione, che
Balbo nel 1937 pensava ci
fossero. Gl’inglesi, durante
la loro prima offensiva nel
dicembre 1940, attuarono, ma
in senso contrario, un piano
così fantasioso; infatti una
colonna del Long Range
Desert Group (L.R.D.G.), i
famosi incursori del deserto,
formata in prevalenza da
soldati neozelandesi, che
meglio sopportavano il clima
sahariano, partì dal Cairo
il 26 dicembre
1940 a
bordo di camionette Dodge
attrezzate per quel raid e
scendendo verso il Sud del
deserto egiziano,
oltrepassando il nostro
confine tra Giarabub e Cufra,
percorrendo tutto il deserto
della Cirenaica, evitando
l’intercettazione del
presidio di Gialo, puntando
decisamente su l’Oasi di
Murzuch nel Fezzan che
attaccò l’11 gennaio 1941;
il nostro presidio, pur
preso dalla sorpresa, reagì
con prontezza ma non poté
impedire che il nemico
distruggesse 3 aerei Ghibli
e il piccolo aeroporto. In
quello attacco a Murzuch,
partecipò anche una colonna
di francesi degollisti
provenienti dal Ciad; nel
combattimento che ne seguì
venne colpito a morte il
comandante della loro
colonna, il colonnello
D’Ornano. Mai il nostro
comando del Sud libico
poteva immaginare un attacco
a un presidio distante dal
fronte oltre 1.300 Km.. Ora
viene spontanea la domanda:
come mai una
colonna
nemica che aveva
attraversato il deserto per
oltre 2.500 Km. e più della
metà sul nostro territorio,
non fosse stata avvistata
dalla ricognizione aerea?
Anche la colonna francese,
partita da Faya nel Ciad,
pure percorrendo ben 500 Km. nel nostro territorio
del Fezzan non fu
intercettata!
D’accordo
che in ambedue le azioni
parteciparono una decina di
automezzi con un centinaio
di soldati, ma è pur vero
che furono penetrazioni
molto profonde e a scopo
offensivo entro il nostro
territorio e la nostra
ricognizione aerea avrebbe
dovuto segnalare quelle
colonne nemiche anche se in
piccole forze; io penso che
la segnalazioni venne fatta
ma i responsabili militari
del comando italiano del
Sahara libico, non ne
tennero conto per l’esiguità
del numero di mezzi e uomini
nemici, mai immaginando che
una così piccola forza
avrebbe attaccato una nostra
base a migliaia di
chilometri entro i nostri
confini; certamente nella
mentalità di certi comandi
italiani, per intervenire e
correre ai ripari, le forze
nemiche, che penetravano
così profondamente oltre i
nostri confini, dovevano
avere una consistenza di
almeno 5-6 mila uomini con
400 automezzi, seguiti da
altrettanti veicoli
logistici, forse contro
queste numerose forze si
sarebbe chiesto l’intervento
della nostra aviazione, così
da bloccarle o disperderle
in pieno deserto con un
bombardamento aereo.
Dopo
quelle incursioni il
generale Graziani fece
rinforzare tutti quei
piccoli presidi del Fezzan
ma tali precauzioni non
scoraggiarono né inglesi né
francesi, i quali dopo pochi
giorni, a fine gennaio 1941,
ritentarono un attacco a
Murzuch e addirittura alla
base di Hon, che era sede
del comando Sud Libico.
Il
lettore si domanderà ancora,
come il nemico abbia potuto
attraversare il deserto per
circa 2.500 Km. di andata e
altrettanto per il ritorno e
come e dove si sia potuto
rifornire di carburante e
viveri dopo una permanenza
di oltre 40 giorni in esso;
infatti la colonna inglese
rientrò al Cairo il
9 febbraio. In questo
capitolo ho già dato una
esauriente risposta che
riporto: sino dal 1939
gl’inglesi avevano
perlustrato tutto il Sud del
Sahara libico, creando dei
depositi occulti di
carburanti, viveri e anche
di munizioni, i luoghi dello
occultamento erano
conosciuti dagli ufficiali
del L.R.D.G., che
naturalmente in quella
occasione ed in altre
scorribande ne usufruirono
abbondantemente.
Ritornando ancora agli inizi
del conflitto, veniamo a
conoscere cosa cambiò sul
fronte tunisino, dopo la
firma dell’armistizio
francese alla data del 25
giugno 1940; non molto
poiché non essendoci più
alcun pericolo su quel
fronte, Balbo pensò subito
al rafforzamento della
10^Armata, con inviare in
Cirenaica anche la
2^divisione libica, parte
dell’artiglieria della
divisione Savona, un
battaglione di carri leggeri
L.3 e ancora 8 batterie di
cannoni da 65/17; inoltre
tolse al XX Corpo d’armata,
3 batterie mitragliere da 20 mm., 100 automezzi, 2
compagnie telegrafisti,
24 autoambulanze,
munizionament vario e sempre
in quei giorni, inviò in
Cirenaica anche il XXIII
Corpo d’armata del generale
Bergonzoli, tranne due
legioni della divisione
CC.NN.28 Ottobre che
rimasero a difesa della
città di Tripoli. Questi
repentini spostamenti a
discapito della 5^Armata,
vennero attuati in quanto il
maresciallo dell’Aria Italo
Balbo, era convinto che la
posizione difensiva sul
fronte egiziano non poteva
essere tenuta per molto
tempo, Egli era certo che il
generale Wavell, comandante
supremo di tutte le forze
inglesi del Medio Oriente ed
Egitto, certamente a
conoscenza dei nostri
modesti mezzi militari,
avrebbe per primo sferrato
l’attacco.
E’
risaputo che un altro piano
di guerra scaturì dalla
vulcanica e dinamica mente
di Italo Balbo; il quale
mentre erano in corso le
trattative di armistizio con la Francia, chiese a Badoglio,
a mezzo telegramma N° 01-205602 in data 20/6/1940,
di occupare
la Tunisia
così da impadronirsi di
tutto quel materiale
bellico, in particolare
autocarri, carri armati e
artiglieria, che sapeva di
essere ancora in abbondanza
su quel territorio; infatti
con quel recupero avrebbe
risolto l’assillante
problema di
approvvigionamento della 5^e
10^Armata.
Purtroppo
Badoglio rispose che le
condizioni di armistizio,
volute e dettate da Hitler
non permettevano
l’occupazione di tutti quei
territori francesi ancora
liberi, Tunisia compresa.
Balbo fu
tentato di entrare in
Tunisia e procedere alla
requisizione di tutto
l’armamento colà esistente,
anche perché l’armistizio
con l’Italia, pur essendo in
atto da alcuni giorni non
era ancora stato firmato, ma
da leale Soldato anche
questa volta ubbidì; per
inciso l’armistizio con
l’Italia venne suggellato
alle ore 1,35 del 25 giugno
1940.
Altra
nota di rilievo, quando la
nostra commissione di
controllo armistizio si recò
in Tunisia per redigere e
inventariare tutto il
materiale bellico francese
ivi accantonato, gran parte
di questo era
misteriosamente sparito, non
tanto misteriosamente in
quanto subito si seppe che
quel materiale, appena
firmato l’armistizio era
stato dirottato a Dakar e in
posti sicuri dell’Africa
occidentale francese, ne
usufruì con abbondanza
l’esercito di “Francia
libera” al comando del
generale De Gaulle, che non
aveva voluto accettare né le
condizioni di resa, né
riconoscere il governo del
maresciallo Petain.
Appena
dopo l’armistizio con
la Francia,
Italo Balbo lasciò la sede
del comando superiore Forze
Armate A.S. che si trovava
nel castello di Tripoli,
affidando il controllo della
Tripolitania al generale
Gariboldi, comandante della
5°Armata e si portò a Cirene
con tutto il suo Stato
Maggiore, onde seguire da
vicino la situazione sul
confine egiziano. Giornalmente
ispezionava il fronte sia su
autoblindo che in aereo,
purtroppo durante una di
queste ispezioni, il suo
aereo venne abbattuto per
errore dalla nostra
contraerei alle ore 17,30
del 28 giugno 1940.
La tragica morte del
maresciallo dell’Aria fu una
grave perdita che certamente
arrecò ripercussioni
negative nell’andamento
della guerra in Libia, in
quanto abbassò il morale
della popolazione civile ma
soprattutto dei militari;
Balbo aveva un grande
ascendente presso le genti
di Libia,
in particolare tra i libici.
Un cenno
alle cause che determinarono
quel fatale errore, che come
detto causò la morte del
comandante di tutte le Forze
Armate di Libia: Italo Balbo
come ormai era diventata sua
consuetudine, ispezionava
spesso la frontiera egiziana
onde avere una chiara
visione della situazione
militare, così nelle prime
ore del pomeriggio di quel
fatidico 28 giugno 1940, due
aerei SM.79 decollarono
dallo aeroporto di Derna
diretti verso il confine
egiziano e Tobruch. Nel
primo aereo aveva preso
posto Italo Balbo, con un
equipaggio formato dal
maggiore pilota Ottavio
Frailich, capitano motorista
Gino Capannini, maresciallo
radiotelegrafista Giuseppe
Berti e come passeggeri, ma
in servizio d’ispezione, il
federale del partito
fascista di Tripoli Enrico
Caretti, il maggiore di
fanteria Claudio Brunelli,
già direttore generale
dell’ETAL (Ente Turistico
Alberghiero della Libia), il
capitano di artiglieria
Nello Quilici, il tenente
degli alpini Lino Balbo e il
capitano dell‘aviazione
ausiliaria Gino Florio. Nel
secondo apparecchio
viaggiavano il generale
Felice Porro, comandante
dell‘aviazione di Libia con
il suo Stato Maggiore.
Breve
“curriculum“ di due
componenti l’equipaggio
dello aereo abbattuto: uno
del capitano Nello Quilici,
padre del famoso esploratore
Folco Quilici, Balbo lo
aveva voluto in Libia quale
capo dello ufficio stampa
del suo governo, il Quilici
era stato direttore del
“Resto del Carlino“, vice
direttore del “Giornale
d’Italia“ e direttore del
“Corriere Padano“ fondato da
Balbo, Nello Quillici era
nato a Livorno nel 1890;
l’altro quello del tenente
Lino Balbo, figlio del
fratello di Italo Balbo,
aveva seguito lo zio in
Libia e ne era diventato
anche uno dei suoi
consiglieri, era laureato in
Scienze Economiche, quando
morì aveva appena
31 anni.
I due
aerei dopo un giro
d’ispezione sulle nostre
linee di difesa, ritornavano
per atterrare nello
aeroporto di Tobruch T.2;
l’aereo di Balbo aveva già
iniziato la fase di
atterraggio e si trovava a
una quota di circa 200 metri quasi al limite
del campo, quando venne
investito da raffiche di
mitragliera, sparate da una
postazione che si trovava
piazzata fuori dal campo, il
pilota cercò di forzare
l’atterraggio facendo una
brusca virata ma offrì così
il fianco alle altre
postazioni antiaerei che
centrarono un motore
dell’aereo il quale prese
fuoco sviluppando una grossa
fiammata che avvolse tutto
l’apparecchio, facendolo
precipitare appena fuori il
campo di aviazione. Per
l’aereo del generale Porro,
la fortuna volle che esso si
trovava ancora a grande
distanza in attesa del suo
turno di atterraggio, in
quanto l’aeroporto T.2 aveva
una sola pista agibile.
Il
tragico errore avvenne per
una serie di circostanze, il
contatto radio tra gli aerei
e la base di Tobruch non
funzionò e non é stato mai
appurato, se per guasto o
perché ritenuto non
necessario da parte dei
piloti in volo, in quanto
gli aerei volavano su
Tobruch a bassa quota quindi
riconoscibili; l’altra
circostanza fu dovuta al
fatto che pochi minuti prima
che gli aerei di Balbo e
Porro apparissero nel cielo
di Tobruch, quella nostra
base era stata attaccata da
aerei inglesi, i quali come
loro metodo, bombardavano
gli obiettivi a passaggi
intervallati, così quando
sopraggiunsero i due aerei,
questi furono scambiati per
nemici e naturalmente
attaccati. Circolò a quel
tempo la voce, che l’aereo
di Balbo fosse stato
abbattuto dalla contraerei
dell’incrociatore S.Giorgio
e ancora oggi alcuni storici
confermano quella voce, ma
vi é la testimonianza del
tenente pilota Livio Vittori
del 50°Stormo d’assalto, che
era di base proprio in quel
aeroporto al momento
dell’incidente, il quale ha
confermato, nel libro di
Giulio Bedeschi “In Africa
c’ero anch’io“, che l’aereo
di Balbo venne abbattuto
dalla difesa contraerei
dell’aeroporto T.2.
La morte
del maresciallo dell’Aria
destò dolorosa impressione
in tutto il mondo,
soprattutto in America ove
Italo Balbo era leggendario;
tutta la stampa americana,
specie quella di Chicago e
New York, commentando la sua
morte ne descrissero le
imprese aviatorie. Anche in
Grecia e in Giappone vollero
ricordarlo, ma quelli che
maggiormente ne esaltarono
lo spirito eroico furono i
giornali inglesi, il “Press
Association” vi dedicò una
pagina intera.
Balbo era
molto conosciuto in
Inghilterra ove si era più
volte recato, prima della
guerra, in occasione delle
famose gare della Coppa
Schneider.
Un
particolare interessante e
commovente, durante i
funerali che si svolsero a
Tripoli, ai quali partecipai,
un aereo inglese sorvolò la
città e lanciò un bossolo
d’artiglieria avvolto nel “Tricolore“
con dentro un messaggio del
comandante del‘aviazione
inglese in tutto il Medio
Oriente, il vice maresciallo
dell’Aria Arthur Longmore,
che esprimeva il suo sentito
cordoglio, poi per i 3
giorni decretati dalle
nostre autorità in segno di
lutto, l’aviazione inglese
non bombardò Tripoli. Da
sapere che i bombardamenti
sulla città erano all’ordine
del giorno e che Tripoli,
dallo inizio del conflitto,
giugno 1940 al tutto il 1941
subì ben 159 bombardamenti
aerei e uno navale.
Italo Balbo fu
comandante e soldato,
governatore ed esecutore,
animato da un entusiasmo con
il quale sapeva trascinare i
subalterni. Balbo con le sue
quattro grandi crociere
aveva fatto conoscere
l’aviazione italiana nel
mondo con il costruirne una
immagine positiva.
Balbo
concepiva un disprezzo
assoluto per il rischio,
quando fu abbattuto aveva
solo 44 anni. Ironia della
sorte, lasciò la vita su
quella terra di Libia che
volle grande e feconda.
Vorrei fare conoscere al
lettore un fatto che
dimostra quanto la
popolarità di Italo Balbo
fosse ancora sentita in
America anche dopo la guerra;
nel
1945
l’ambasciatore italiano a
Washington Alfredo
Tarchiani, ovviamente di
sentimenti antifascisti, in
visita a Chicago chiese al
Sindaco di quella città, di
togliere il nome di Balbo
dalla via che gli era stata
intestata nel 1933, in ricordo della
seconda trasvolata atlantica
che toccò Chicago e New York
e abbattere anche il
monumento che venne eretto
sempre nel 1933 in onore di quella crociera, ebbene
Tarchiani ricevette un netto
rifiuto da parte delle
autorità di Chicago, targa e
monumento sono ancora lì a
testimonianza della
popolarità di Italo Balbo. (
5 )
Altra
ironia del caso: qualche ora
prima dello abbattimento di
Balbo, il maresciallo
Badoglio gli inviava un
messaggio cifrato che
conteneva queste
parole.......”
Concentrate tutte le vostre
forze in Cirenaica e
preparatevi a sferrare
l’offensiva entro il 15
luglio. Obiettivo
Alessandria.” ( FOTO
N°9 )
Ad appena
un giorno dalla morte di
Italo Balbo, lo Stamage,
dietro sollecitudine di
Mussolini, decise di mandare
in Libia, il maresciallo
d’Italia Rodolfo Graziani,
come comandante di tutte le
forze armate colà dislocate
e anche con la carica di
Governatore Generale della
Libia.
Si sà che
Graziani non ebbe a
gradimento quella carica,
poiché pur essendo stato
tenuto all’oscuro di molti
piani che erano in avanzato
studio da parte dello
Stamage, nonostante
che fosse il capo di Stato
Maggiore dello esercito, era
al corrente della nostra
impreparazione, soprattutto
dei pochi mezzi offensivi
che disponeva il nostro
esercito in Libia. Così
stando le cose, egli chiese
un colloquio con Mussolini e
con Badoglio, per avere
maggiori ragguagli sulla
situazione in Libia, gli
venne risposto di partire
immediatamente poichè sul
posto avrebbe trovato tutte
le disposizioni. Da grande
soldato quale era, ubbidì e
la mattina del 30 giugno
partì in aereo dallo
aeroporto di Centocelle
(Roma) e nella tarda
mattinata arrivava allo
aeroporto di Castel Benito
(Tripoli); da lì
immediatamente raggiunse
Bengasi, giusto in tempo per
assistere in serata alla
funzione religiosa di Italo
Balbo e degli otto
componenti del suo
equipaggio. Le salme dei
nove caduti partirono da
Bengasi la mattina del
1°luglio dirette a Tripoli
ove il giorno seguente si
svolsero solenni funerali.
Il primo
luglio, Graziani che
frattanto aveva stabilito il
suo quartiere generale in
Cirene, prese contatto con
il generale Tellera, capo di
Stato Maggiore di Balbo, che
gli mostrò il telegramma di
Badoglio con il quale
confermava a Balbo di
iniziare per il 15 luglio
l’offensiva contro
gl’inglesi in Egitto.
Graziani
che era stato tenuto
all’oscuro di quella
decisione dello Stamage,
fece subito presente a Roma
che non condivideva iniziare
l’offensiva per quella data
per due ragioni importanti,
uno che le forze che aveva a
sua disposizione in quel
momento, non gli
permettevano dare battaglia;
due che quale profondo
conoscitore del clima e
terreno della Cirenaica e di
quello similare egiziano,
non poteva dare corso ad una
offensiva in piena estate,
ove il clima oscillava dai
40 ai 50 gradi ed esporre la
sua truppa a marciare nel
deserto, sotto un sole
accecante, non sopportabile
e per giunta a piedi, con
scarso vettovagliamento
idrico e con pochi
automezzi, come poi avvenne.
Ovviamente quella presa di
posizione, non fu gradita né
a Badoglio né a Mussolini e
Graziani verrà convocato a
Roma per il 5 agosto.
Il 4
luglio Egli convocò a Cirene
tutti i componenti del suo
comando, comprendendo fra i
presenti:
generale
Gariboldi - comandante la
5^Armata
generale
Berti - comandante la
10^Armata
generale
Porro - comandante la
5^ Squadra Aerea
ammiraglio Brivonesi -
comandante Marilibia
generale
Tellera -capo di Stato
Maggiore - comando superiore
FF.AA. della Libia
In quella
riunione, il nuovo
comandante le forze armate
in Africa Settentrionale,
volle rendersi conto della
effettiva situazione
militare presente in quel
momento in Libia, chiese ai
responsabili della
5^e 10^Armata, di quanta
forza terrestre disponevano
e in quali condizioni essa
si trovava; per l’aviazione,
volle sapere quale era la
vera disponibilità
d’intervento, inoltre
chiedeva di essere messo a
conoscenza del reale numero
di aerei efficienti e non
efficienti; alla marina,
chiese precisazioni sulla
cooperazione che avrebbe
potuto dare nel corso di una
eventuale offensiva.
Certamente le risposte avute
non convinsero il
maresciallo che riconfermò a
Roma, le sue perplessità e
riserve come aveva già detto
qualche giorno prima.
Sempre
nella stessa riunione
Graziani, dopo avere preso
visione delle relazioni dei
quattro comandanti, espose,
in linea di massima, un suo
piano da adottare in casi di
imminente offensiva, cioé
attacco solo sulla
direttrice costiera,
obiettivo Sollum, quindi
sosta in attesa dell’arrivo
dei rinforzi.
Graziani appena insediatosi,
chiese a Roma, l’invio di
almeno 2.500 automezzi, poi
ridotti dallo Stamage a
1.000, secondo la richiesta
fatta da Italo Balbo, quegli
automezzi necessitavano al
trasporto in linea della
enorme massa di fanti e dei
relativi rifornimenti; altre
richieste, già a suo tempo
sollecitate da Balbo, furono
carri armati, non i soliti
L.3, ma gli M.11 che sapeva
in produzione, batterie
contraerei che in Libia
erano quasi inesistenti,
cannoni controcarro, ma
soprattutto autocisterne per
il trasporto dell’acqua e
possibilmente una nave
cisterna. Questa mai arrivò
in Libia, pare che in tutta
la nostra marina ve ne fosse
soltanto una per il
trasporto dell’acqua
potabile. Il 5 agosto 1940,
Graziani venne convocato a
Roma, dove ancora una volta
espose
le sue perplessità
nello effettuare una
offensiva nei mesi caldi di
luglio e agosto; dopo vivace
discussione, si giunse ad un
accordo, con un compromesso,
quello d’iniziare
l’offensiva sul fronte
egiziano entro il 3
settembre con primo
obiettivo Sidi El Barrani.
Era
convinzione di Graziani ma
anche di Mussolini, che un
offensiva doveva essere
assolutamente fatta, in
quanto in Libia, tra la
truppa, il morale
incominciava a dare segni di
abbassamento per due ragioni:
gli attacchi inglesi sul
nostro confine e nessuna
vera reazione da parte
italiana, poi la inerzia in
cui era caduta la truppa
nell’attesa di attaccare il
nemico; la preoccupazione
maggiore veniva dalla
1^divisione libica che era
quella che a pochi giorni
dall’inizio del conflitto,
aveva subito gravi perdite
in uomini e mezzi tanto che
i soldati libici
incominciavano a dare segni
di insubordinazione e vi fu
anche qualche diserzione.
Altro
malcontento della truppa,
era la impossibilità di
avere un regolare cambio
della biancheria, la scarsa
razione di acqua, il rancio
insufficiente e spesso anche
avariato, la mancanza di
buste e fogli lettera per la
normale corrispondenza con
le famiglie, ma quello che
maggiormente assillava il
nostro fante era l’assedio
quotidiano di ripugnanti
insetti quali mosche,
pidocchi e zecche, per i
quali non esisteva nessuna
disinfestazione al fronte,
qualcosa veniva fatta nelle
retrovie; tutti questi
fattori determinavano il
malcontento e un
preoccupante basso livello
del morale.
Rientrato
a Cirene, Graziani pur non
essendo soddisfatto della
situazione, in quanto vedeva
che la concentrazione delle
truppe avveniva con grande
lentezza e difficoltà data
la scarsezza dei mezzi
motorizzati, che le scorte
di munizioni e viveri erano
insufficienti per affrontare
una offensiva la quale
presumeva lunga e
impegnativa, inoltre da
profondo conoscitore del
deserto sapeva che nei
700 Km.,
tra il nostro confine e
Alessandria, sarebbe stato
difficile trovare pozzi ai
quali attingere per
approvvigionarsi di acqua
potabile. Graziani
nonostante queste difficoltà,
ubbidì agli ordini ricevuti
e dette subito impulso alla
preparazione dell’offensiva.
La data del 3 settembre
venne rinviata al 9 e ancora
al 12 ma solo nella
mattinata del 13 settembre,
Graziani ordinò l’inizio di
avanzata in territorio
egiziano, che portò nel giro
di tre giorni il nostro
esercito a Sidi Barrani,
infatti quel piccolo
agglomerato di casupole,
posto a oltre
100 Km.
dal nostro confine, venne
occupato nella mattinata del
16 settembre 1940. ( FOTO
N°10 )
E’ avviso
di quasi tutti gli storici
che quella facile vittoria,
cosi veloce e con un
risultato effimero e poco
appariscente non convinse il
maresciallo Graziani, il
quale avrebbe voluto
affrontare il nemico in una
risolutiva battaglia. La sua
avanzata dal confine sino a
Sidi Barrani, fu un correre
dietro a un nemico che
deliberatamente si ritirava
e non offriva alcuna
possibilità che si potesse
risolvere in una vera
battaglia; infatti il
generale Wavell aveva deciso
di non affrontare Graziani
in campo aperto, quindi
dette inizio ad una ritirata
strategica tenendo il solo
contatto con il nemico a
mezzo la sua retroguardia;
Wavell era convinto che più
gli italiani avanzavano, più
essi s’indebolivano con lo
allontanarsi dalle basi di
rifornimento; Graziani
conoscendo i pericoli che il
deserto poteva dare, non si
lasciò coinvolgere
completamente dal piano di
Wavell e si fermò a Sidi
Barrani.
Chi
invece volle dare grande
risalto a quella facile
vittoria fu Benito
Mussolini, il quale
annunciava al popolo che il
primo passo per la conquista
dello Egitto era stato fatto.
Una breve
descrizione militare di quel...............primo
passo:
allo
inizio del conflitto, il
generale Berti, comandante
della 10^Armata, aveva
stabilito con le 5 divisioni
a sua disposizione, uno
schema difensivo concentrato
attorno a Tobruch e Bardia;
alla data del 7 settembre, a
pochi giorni dallo inizio
dell’offensiva era stato
deciso un nuovo schieramento
così predisposto: attorno a
Bardia il XXIII Corpo
d’armata, già della 5^Armata
ma ora alle dipendenze della
10^, a detto Corpo d’armata
erano passate in carico le
divisioni Marmarica e Cirene
che alla data del 10 giugno
1940 facevano parte del XXI
C.A.,queste con la divisione
CC.NN.23 Marzo erano state
schierate nella zona di
Bardia.
Il XXII
Corpo d’armata con la
divisione Catanzaro e la
divisione CC.NN.3 Gennaio
erano in zona Tobruch,
mentre il XXI con la
divisione Sirte e parte
della divisione CC.NN.28 Ottobre
veniva tenuto quale riserva
a Cirene.
Il
raggruppamento Maletti era
ancora fermo a Derna a oltre 270 Km. dal fronte, comunque
nella mattinata del 13 esso
era già schierato a Sidi
Omar. All’interno della
costa tra Bir El Gobi e Gabr
Saleh erano in linea le due
divisioni libiche.
Mi
domando come e perché il XXI
che inizialmente doveva
essere il Corpo d’armata
d’urto, venne al momento
dell’offensiva
arretrato e posto
nella zona di Cirene quale
riserva? Ovviamente oggi non
posso avere alcuna risposta
a questo mio quesito, la
ragione è semplice, sono
trascorsi 63 anni ed è
estremamente difficile
trovare testimonianze.
Da questo
ultimo schieramento si può
notare che la forza d’urto
doveva essere ora sopportata
dal XXIII Corpo d’armata
sulla costa, mentre
all’interno le due divisioni
libiche con il
raggruppamento Maletti,
avrebbero dovuto iniziare
l’attacco da Sidi Omar -
Ridotta Capuzzo e avanzando
puntare su Sidi Barrani. In
effetti il nuovo
schieramento fu quello che
dette inizio alla offensiva.
La
mattina del 13 settembre
1940, tutte le nostre forze
che premevano sul confine
egiziano iniziarono a
muoversi avanzando in
direzione di Sollum trovando
poca resistenza, poche
azioni di disturbo con tiri
di artiglieria,
spezzonamento e
mitragliamenti aerei.
Quella
quasi nulla combattività
degli inglesi, calcolata e
anche studiata, come sopra
detto, dal generale Wavell,
venne realizzata quale
ritirata strategica, dal
generale O’Connor,
comandante della Western
Desert Force, ma con
l’impegno, sempre disposto
da Wavell, di arroccarsi nel
campo trincerato di Marsa
Matruch e solo lì opporre
resistenza. Naturalmente
quel campo era stato
attrezzato da tempo con
fortificazioni in cemento
armato abilmente mascherate,
tanto da sembrare uno di
quegli innocui desolati
villaggi egiziani, con poche
casupole indigene, una
piccola stazioncina, modesti
fabbricati così da ingannare
la nostra ricognizione aerea;
solo quando a fine giugno
1942, nella offensiva
italo-tedesca quel campo
venne occupato dalle truppe
agli ordini di Rommel, si
venne a conoscere che sotto
Marsa Matruch, gli inglesi
avevano creato una vera
cittadella con un ospedale
da campo, camerate per i
soldati, camminamenti che
collegavano le varie
casamatte, inoltre attorno
al paese era stata scavata
una
fossa anticarro
abilmente mascherata e
minato il terreno, ciò
dimostra che il nemico a
Marsa Matruch era
intenzionato a fermare la
nostra eventuale avanzata su
Alessandria.
Identiche
misure difensive erano state
apprestate nella strettoia
di El Alamein.
Purtroppo
iniziata l’offensiva
incominciarono a verificarsi
degli inconvenienti:
innanzitutto la lentezza nei
movimenti causata dal fatto
che la fanteria sulla costa
avanzava parte a piedi,
parte su camions, inoltre si
ebbe molta confusione per lo
scavalcamento di reparti
divisionali più veloci su
altri, dovuti a ordini
affrettati, alla
inefficienza dei
collegamenti radio e alla
impossibilità di fare
recapitare ordini a mezzo
staffette motorizzate, le
quali si dovevano muovere su
un territorio a loro
sconosciuto; questi
scavalcamenti generavano
caos in quanto avvenivano su
un unica strada, che
iniziava da sopra il
ciglione di Sollum verso
Passo Halfaya per poi
scendere sulla camionabile
per Sidi Barrani, strada
piena d’interruzioni
provocate dai genieri
inglesi e in parte ancora
minata. A questi
inconvenienti si
aggiungevano quelli
provocati dai mezzi addetti
allo autotrasporto
dell’artiglieria, del
munizionamento e dei
materiali, in quanto alla
guida degli automezzi spesso
erano autisti improvvisati,
che sotto i tiri
dell’artiglieria nemica e
agli attacchi aerei, presi
dal panico abbandonavano gli
automezzi in mezzo alla
strada, creando così intoppi
a quelli che volevano
proseguire, dimostrazione
della mancanza di istruzioni
ad hoc.
Comunque
nonostante i tanti problemi
creati o insorti da
operazioni complesse che
come detto generarono
confusione sia ai comandanti
di divisioni che a quelli di
Corpi d’armata, l’offensiva
proseguì. Nella stessa
mattinata del 13 la
1^divisione libica prese
possesso di Sollum alta,
trovando l’impianto
teleferico distrutto, i
pozzi di acqua resi
inservibili, la piccola
centrale elettrica distrutta;
i genieri inglesi avevano
messo in opera quanto il
generale Wavell aveva
disposto in caso di ritirata.
Nel pomeriggio dello stesso
giorno anche Sollum bassa
venne occupata, così tutto
il ciglione di Sollum sino a
Passo Halfaya era nelle
nostre mani.
Nella
tarda mattinata del giorno
14 l’avanzata riprese,
sempre con qualche
indecisione negli ordini
diramati dalla 10^Armata,
ordini che spesso non si
attenevano alle disposizioni
del comando superiore e che
fecero alquanto infuriare il
maresciallo Graziani; nella
serata fu raggiunta la
località di Bug Bug a metà
strada tra Sollum e Sidi
Barrani, quest’ultima
località nella giornata del
16, alle ore 14,15 venne
occupata dai reparti della
divisione CC.NN.23 Marzo, al
comando del luogotenente
generale Francesco Antonelli
e dalla 1^divisione libica,
ma già nella notte tra il 15
e 16 una grossa pattuglia
della 1^divisione era
entrata a Sidi Barrani. Nei
giorni 17 e 18 una colonna
motorizzata, con in testa il
generale Bergonzoli,
oltrepassò Sidi Barrani per
oltre 30 kilometri,
arrivando a Uadi el Maktila,
lasciando sul posto un
caposaldo affidato a un
reparto della 1^divisione
libica.
Quel
primo balzo ci costò, dal 11
al 18 settembre, 120 morti,
410 feriti e 7 dispersi,
perdite causate dalle mine,
da mitragliamenti aerei e
tiri di artiglieria mobile.
La nostra
aviazione e qui bisogna
darle il dovuto merito,
svolse in quei giorni
efficaci azioni di
bombardamento e
mitragliamento contro
formazioni nemiche,
purtroppo perdette 6 aerei
ma due di questi per
incidenti. Allo inizio
dell’offensiva, la 5^squadra
aerea disponeva sul fronte
egiziano, di 110 bombardieri,
135 aerei da caccia e 45 d’assalto,
oltre 4 aerei siluranti.
Alle
operazioni per la conquista
di Sidi el Barrani,
partecipò, sia pure
limitatamente, una
formazione corazzata,
costituita il 29 agosto
1940, quando il generale
Graziani decise di riunire
tutti i carri armati L.3 e
M.11 disponibili in Libia in
un solo comando, questa
unità venne denominata “
Brigata corazzata Babini “,
dal nome del suo comandante,
il generale Valentino Babini.
La brigata era formata dal:
1° battaglione Carri
M.11
21°
battaglione Carri L.3
60°
battaglione Carri L.3
un
battaglione
bersaglieri motociclisti
un
gruppo artiglieria da
75/27
un
gruppo artiglieria da
100/17
La
brigata era stata divisa in
due raggruppamenti: il primo
comandato dal colonnello
Pietro Aresca, l’altro dal
colonnello
Antonio Trivoli.
La
brigata Babini, alla quale
si sarebbe aggiunto più
tardi il 3° battaglione
carri M.13, appena giunto
dall’Italia, si sacrificherà
al completo nella battaglia
di Beda Fomm, durante
l’ultima resistenza delle
truppe italiane contro
l’offensiva inglese del
dicembre 1940. ( MAPPA
N°5 )
Purtroppo
Graziani come prevedeva,
dovette fermarsi a Sidi el
Barrani per due ben distinte
e incontestabili ragioni:
prima la deficienza del
sistema idrico e la mancanza
di una strada pavimentata
robusta e scorrevole, causa
le distruzioni adottate
dagli inglesi; seconda la
scarsezza di automezzi,
poichè nonostante le
promesse avute da Badoglio
nell’incontro a Roma del 5
agosto, il quale confermò a
Graziani un imminente
massiccio invio di
autocarri, ma in realtà
pochissimi furono quelli
giunti in Libia poco prima
dell’inizio della offensiva,
poi più nulla, quindi non
sufficienti per il secondo
balzo sino a Marsa Matruch,
in quanto la distanza che
separava quest’ultima
località da Sidi el Barrani
era di oltre
100 Km.,
tutti correnti su terreno
pianeggiante e desertico.
Ora per la rapidità delle
manovre e la distanza,
l’avanzata non poteva essere
fatta con una fanteria
appiedata, ecco la necessità
di avere un numero
sufficiente di autocarri
necessari per il trasporto,
poi vi era il problema,
oltre quello della fanteria
appiedata, dei viveri,
dell’acqua, del
munizionamento e
dell’artiglieria; altro
problema fu l’enorme
distanza che intercorreva
dai più vicini posti di
approvvigionamento a Sidi el
Barrani.
Questo fu
certamente l’inconveniente
più sentito, infatti la
piazzaforte di Bardia, la
più vicina sede di
approvvigionamento, era
distante da Sidi Barrani
di circa 150 Km., ma essa a sua volta
doveva essere rifornita da
Tripoli, distante oltre 1700 Km. o da Bengasi a
600 Km.;
ovviamente balzando da Sidi
Barrani alla volta di Marsa
Matruch queste distanze
venivano ad essere allungate
e i pochi mezzi di trasporto
a disposizione, che la
grande distanza avrebbe
ancora ridotto per
logoramento, non sarebbero
stati sufficienti ad
alimentare regolarmente
quelle forze destinate al
secondo balzo. Di queste
difficoltà Graziani era
cosciente e di conseguenza
frenava l’entusiasmo di
Mussolini, il quale
insisteva di proseguire
l’avanzata non rendendosi
conto della situazione.
Al
problema automezzi si
aggiungeva quello idrico che
aveva anch’esso grande
importanza, in quanto quei
pochi pozzi da Sollum a Sidi
Barrani erano stati
interrati dagli inglesi e
noi non disponevamo di
sufficienti autocisterne per
il trasporto di acqua, da
Ridotta Capuzzo o Bardia
sino a Marsa Matruch, erano
circa
250 Km.;
poi veniva il problema
strade, quasi tutte ridotte
in pessime condizioni da
Sollum a Sidi Barrani e il
proseguimento da questa
ultima località a Marsa
Matruch, non sarebbe stato
certamente migliore.
Graziani
affrontò subito senza
esitazioni il problema
idrico e quello stradale,
chiese alla nostra
Intendenza militare
l’occorrente per la
costruzione di un
acquedotto, quali tubazioni,
raccordi, pompe ed altro, ma
la risposta che ricevette fu
negativa: l’Intendenza non
aveva quel materiale, forse
non era stata prevista
neanche la possibilità o la
eventualità, che allo
esercito dovesse servire un
acquedotto; il maresciallo
Graziani non si perse
d’animo e ordinò la
requisizione di tutto il
materiale idrico disponibile
in Libia, ovviamente
requisizione fatta ai
privati; la popolazione
della Libia rispose con alto
senso patriottico e in breve
tempo tubi di ogni diametro,
pompe e raccordi furono
raccolti e caricati su
automezzi civili che
raggiunsero il fronte,
vennero requisiti anche
Caterpillar, scavatrici,
rulli compressori e tutto
quanto potesse servire al
fabbisogno.
L’acquedotto ebbe inizio dai
pozzi di Ridotta Capuzzo e
in meno di due mesi,
nonostante le difficoltà,
per le congiunture dei tubi
che discordavano come
diametro, arrivò a Sidi El
Barrani; furono completati
ben 120 Km. di acquedotto. Domanda: perché venne
scelta
la Ridotta Capuzzo
e non Bardia ? Semplice
risposta: partendo da Bardia
si sarebbe dovuto affrontare
tutto il ciglione sino oltre
Sollum, con le difficoltà
dovute al terreno irregolare
con alti e bassi ed
all’impiego di pompe di
sollevamento, mentre da
Ridotta Capuzzo, seguendo la
pista pianeggiante il
terreno era
facilmente scavabile
sino a Marsa Matruch.
Il Genio
militare provvide anche alla
costruzione di una strada
alternativa che partendo
anch’essa da Ridotta
Capuzzo, seguiva linearmente
l’acquedotto, anche quì 120 Km. quasi tutti
completati.
Graziani
pensò anche di sfruttare la
ferrovia che da Sidi Barrani
arrivava a Marsa Matruch e
da lì sino ad Alessandria,
quindi affidò il progetto
all’ingegnere Lino
Castellazzi per
l’attuazione, progetto che
prese corpo con una
innovazione allora
sorprendente; infatti
l’ingegnere Castellazzi
aveva fatto costruire carri
ferroviari particolari che
su strada viaggiavano come
autocarri e giunti sulla
linea ferrata si
trasformavano in normali
carri ferroviari, purtroppo
causa gli eventi a noi
negativi, quel progetto non
poté essere realizzato anche
se ebbe attuazione pratica
nel 1942.
Con la
conquista di Sidi Barrani
vennero ripristinati e
rinforzati i piccoli presidi
di Bir Sceferzen, Ridotta
Maddalena, Carn el Grein,
Uescechet el Neira e ripresi
i contatti con la
guarnigione di Giarabub, che
dal 14 giugno era rimasta
isolata ma veniva
regolarmente rifornita dalla
nostra aviazione a mezzo
lanci con paracadute.
Durante
quella forzata sosta
nacquero delle divergenze,
per motivi di competenza,
tra il comandante della
10^Armata e il maresciallo
Graziani, il tutto ebbe
origine da un ordine non
emanato al raggruppamento
Maletti e alla due divisioni
libiche da parte del
generale Berti, ordine che
doveva informare il generale
Maletti del rallentamento
che era venuto a crearsi sul
ciglione di Sollum da parte
delle truppe che operavano
in quel settore; il
comandante del
raggruppamento non essendo
venuto a conoscenza di
quell’ordine e seguendo alla
lettera le disposizioni che
aveva avuto allo inizio
dell’offensiva avanzò
velocemente, essendo
motorizzato, verso il suo
obiettivo, si spinse molto
avanti sicuro di arrivare a
Sidi Barrani
contemporaneamente alle
truppe del XXIII C.A.; ad un
certo punto si rese conto
che qualcosa non funzionava,
poiché nessuna comunicazione
radio gli era giunta dalla
10^Armata; preoccupato di
trovarsi isolato e quindi
facile preda degli inglesi,
Maletti ripiegò di sua
iniziativa seguito dalle due
divisioni, ritornando al
punto di partenza. Ad un
richiamo di Graziani per
quanto era successo, il
generale Berti fece presente
che non aveva informato il
generale Maletti né le due
divisioni libiche in quanto
non
alle sue dipendenze,
infatti esse in quel
frangente, erano passate
agli ordini del Comando
superiore ed era tale
Comando competente, per i
movimenti operativi che
doveva dare ordini al
generale Maletti.
Dopo tale
incidente Graziani stabilì
che raggruppamento e
divisioni passassero sotto
controllo della 10^Armata.
L’episodio è significativo e
preoccupante per le
disfunzioni di servizio dei
comandi, della mancanza di
iniziative e per
insufficiente capacità
professionale.
Il
generale Berti fu un ottimo
ufficiale aveva combattuto
in Africa Orientale e in
Spagna, certamente era
conscio che prima o dopo
sarebbe stato sostituito
anche perché vi erano stati
altri contrasti con
Graziani; infatti qualche
giorno prima della
controffensiva inglese,
aveva chiesto una breve
licenza per motivi di salute
e rientrò in Italia, ebbe
anche un colloquio con
Mussolini. Appena venne a
sapere dell’offensiva
inglese, il 13 dicembre
ritornò in Libia e riprese
il comando della 10^Armata,
che durante la sua assenza
era stato tenuto dal
generale Gariboldi.
Purtroppo il 20 dicembre in
piena controffensiva, il
maresciallo Graziani lo
sostituiva con il generale
Tellera. La divergenza con
il comando superiore Africa
Settentrionale ebbe così il
suo epilogo.
Contemporaneamente ai
problemi idrico, logistico e
stradale, Graziani provvide
subito a creare una linea
difensiva più immaginaria
che reale, che partendo da
Uadi Maktilia sulla costa
egiziana, scendeva a Sud e
con un ampio semicerchio
arrivava sul nostro confine
all’altezza di Sidi Omar. Su
questa linea difensiva
predispose dei capisaldi, da
Maktilia a Sayed Abu Gabeire,
da Halam el Tummar a Halam
Jktufa, da Halam Nibewa a
Bir el Enba, da Sidi Sofafi
a Hamal el Jamalus. Graziani,
profondo conoscitore del
deserto, sapeva benissimo
che con quelle difese in una
zona pianeggiante avrebbe
potuto opporre poca
resistenza a un esercito
motorizzato, con grande
disponibilità di carri
armati e artiglieria, ma
considerando obiettivamente
la situazione sul campo, non
poteva fare diversamente,
sperando sempre nell’invio
dall’Italia di automezzi,
artiglieria controcarro e
carri armati di tonnellaggio
superiore a quei pochi e
difettosi M.11 che gli erano
stati mandati poco prima
della offensiva, anche se i
nuovi modelli in produzione
M.13/40, differivano ben
poco dagli M.11, pur
disponendo di torretta
girevole
Il
maresciallo Graziani, il 29 settembre,
fu nuovamente convocato a
Roma per riferire sulla
situazione del fronte
egiziano e nei colloqui che
ebbe, prima con Badoglio poi
con Mussolini, ribadì la
richiesta degli autocarri
avanzata già nella
convocazione del 5 agosto;
sollecitava inoltre l’invio
di Caterpillar e automezzi,
poichè era a conoscenza che
un buon numero di autocarri
giacevano da settimane sulle
banchine del porto di
Napoli, in attesa di essere
imbarcati per
la Libia,
inoltre chiedeva l’urgente
invio di tubature per
l’acquedotto che avrebbe
dovuto continuare da Sidi
Barrani a Marsa Matruch.
Naturalmente gli venne
confermato che tutto il
materiale era in
approntamento e pronto per
la spedizione, quindi poteva
rientrare tranquillo in
Libia. Gli veniva però
ordinato di procedere alla
nuova avanzata per il 15
ottobre, questa data doveva
coincidere nel pensiero
politico-strategico di
Mussolini, con l’attacco
alla Grecia, poi rimandato
al 28 ottobre; attacco di
cui Graziani seppe a Roma
per la prima volta, pur
essendo formalmente ancora a
quella data capo di Stato
Maggiore del Regio esercito.
Ciò nonostante Graziani
sostenne nuovamente che per
affrontare quel secondo
balzo ed eventualmente,
rotto il fronte inglese di
Marsa Matruch, proseguire
sino ad Alessandria senza
più soste, era però
necessario avere una
perfetta e complessa
organizzazione, sia di mezzi
che logistica, che in quel
momento non poteva garantire,
quindi gli necessitavano
almeno due mesi di
preparazione prima di
attaccare. Mussolini ascoltò
alquanto contrariato
l’esposizione di
Graziani
e insistette affinché
l’avanzata riprendesse entro
il 15 ottobre. ( 6 )
Rientrato
a Cirene Graziani fece il
computo delle sue forze
armate e con le segnalazioni
avute dal nostro Servizio
Informazioni Militare, che
dava presenti in quel
momento in Egitto di oltre
100.000 soldati inglesi e la
probabilità che questa forza
aumentasse ancora con
l’arrivo di altri
contingenti provenienti
dalle Colonie e
Dominions inglesi, il ché
avvenne tra la fine di
novembre e l’inizio di
dicembre, infatti in quel
periodo giunsero in Egitto
un’altra divisione
australiana e più 10.000
soldati indiani, portando
così la sola W.D.F. di
O’Connor ad oltre 45.000
uomini interamente
motorizzati e con forte
componente corazzata. Ora
valutate attentamente tutte
queste segnalazioni ricevute
e sapendo che esse
corrispondevato ad un reale
schieramento inglese,
Graziani inviò a Roma ancora
un telegramma nel quale
riconfermava il suo diniego
a sferrare una nuova
offensiva sino a Marsa
Matruch, finché non gli
fossero giunti i rinforzi
richiesti, inoltre
sollecitava Mussolini a
chiedere ai tedeschi l’invio
di almeno due divisioni
corazzate, sapendo che
Hitler sin da settembre le
aveva offerte all’Italia e
che erano state respinte da
Badoglio ma ciò nonostante
non ebbe nessuna conferma!
Mussolini
ormai convinto delle
difficoltà incontrate nella
campagna di Grecia, preso
dal problema di risolvere la
grave situazione creatasi,
fece rispondere a Graziani
che lo si lasciava libero di
stabilire la data d’inizio
della nuova avanzata. Nel
mese di novembre veniva
migliorata la situazione del
fronte.
Al 7
dicembre 1940, il nostro
schieramento difensivo a
Sidi Barrani, pochi giorni
prima che gl’inglesi
sferrassero la loro
controffensiva, si
presentava come segue:
la
10^Armata il cui comando era
ancora affidato al generale
Gariboldi, disponeva in quel
momento di circa 150.000
uomini di cui almeno 30.000
erano addetti ai servizi di
retrovia; detta forza
comprendeva anche le
guarnigioni di Bengasi,
Derna, Tobruch, Bardia e i
presidi lungo il nostro
confine, Giarabub e Cufra
compresi. Le truppe operanti
in prima linea non
superavano le 50.000 unità e
circa altrettanti erano
schierati in seconda linea.
Questa forza era così
disposta: come primo
schieramento nella zona da
Uadi Maktilia a Sayed Abu
Gabeira la 1^divisione
libica, da Ras el Day a
Halam el Tumma la
2^divisione libica, da Halam
el Jktufa a Halam Nibeiwa il
raggruppamento Maletti ormai
agli ordini del XXI C.A., da
Bir Enba a Bir Sofafi la
divisione Cirene; alle
spalle come secondo
schieramento era la
divisione Catanzaro in
posizione da Halam Jamalus
sino a Sud di Bug Bug,
mentre tutto il settore a
Sud di Sollum era
controllato dal XXIII C.A.
che aveva schierato la
divisione CC.NN.28 Ottobre a
difesa del ciglione di
Sollum sino a Passo Halfaya,
la divisione Marmarica tra
Sidi Omar e Gabr Bu Fares,
la divisione CC.NN.23 Marzo,
ritirata da Sidi Barrani,
era stata spostata a Bardia
per riorganizzarsi, il suo
posto era stato preso dalla
divisione CC.NN.3 Gennaio
del generale Fabio Merzari.
( MAPPA N°6 )
La
10^Armata nei due
schieramenti avanzati
disponeva sì di una grande
massa di soldati ma aveva
poca e vecchia artiglieria,
soprattutto controcarro,
pochissimi autocarri e
penuria assoluta di carri
armati pesanti, queste
pecche, in seguito
ci furono fatali.
Alle
spalle dei due schieramenti
si trovava, quale riserva,
il XXII°C.A., comandato dal
generale Pitassi Mannella
con la divisione Sirte, la
brigata corazzata Babini
ferma a Marsa Lucch con il
Comando
artiglieria di
manovra.
Il
generale Porro, comandante
la 5^Squadra aerea in Libia,
in previsione di una
prossima avanzata aveva
fatto preparare aeroporti di
fortuna da Tobruch a Sollum,
alcuni ancora più addentro
in territorio egiziano tra
Sollum e Sidi Barrani,
quest’ultimi non ebbero il
tempo di operare causa la
rapida offensiva inglese e
dovettero essere abbandonati
con tutto il materiale
aeronautico che vi era stato
accantonato.
Purtroppo
nel primo schieramento
difensivo sulla linea
egiziana, vennero a
riscontrarsi gravi errori
d’impostazione tra caposaldo
a caposaldo, infatti tra
l’uno e l’altro vi erano dei
vuoti di diversi chilometri
non difesi, così che i
capisaldi non potevano
sostenersi a vicenda. Tale
situazione venne rilevata
oltre che dalla RAF anche da
ricognitori italiani del
730° Gruppo O.A.,che
segnalarono l’anomalia ai
comandi terrestri
(Ricognizione del
28/11/1940). Altra
constatazione, tra il
caposaldo del raggruppamento
Maletti e quello della
Cirene, la distanza era di
circa
30 Km.
e l’artiglieria di entrambi
gli schieramenti non aveva
gittata sufficiente per
ostacolare, frenare e
battere efficacemente
un’eventuale irruzione di
forze nemiche nel corridoio
da difendere; infatti, da
quella apertura, il generale
O’Connor, quando sferrò la
sua offensiva, penetrò senza
particolari difficoltà nel
nostro sistema difensivo
aggirandolo. Gli inglesi nei
mesi seguenti dopo la sosta
di Graziani a Sidi Barrani,
non erano rimasti inoperosi;
facevano sovente piccole
puntate con autoblindo lungo
il nostro sistema difensivo
e logicamente avevano
individuato i punti deboli e
i varchi non difesi. Per la
verità storica, il
maresciallo Graziani, dopo
la puntata del nemico del 19
novembre, nella zona di Bir
Enba, che era tra Halam
Nibeiwa (settore
raggruppamento Maletti) e
Bir Sofafi(settore della
Cirene), si rese conto della
debolezza e
dell’inconsistenza del
nostro schieramento in quel
settore, né parlò con il
generale Berti, in quale
provvide subito a rafforzare
quel passo con due
capisaldi, uno del
raggruppamento Maletti e
l’altro della divisione
Cirene, ognuno dotato di
colonna mobile per controllo
e prima resistenza.
Naturalmente l’uso delle
colonne mobili per tamponare
il varco di Bir Enba non
erano certamente sufficienti
a bloccare una eventuale
penetrazione di grosse forze
inglesi, in quanto per
numero, composizione e
armamento disponibile erano
troppo deboli per
fronteggiare la massa d’urto
nemica. L’utilità di quelle
colonne invece, sarebbe
stata dimostrata nel dare
tempestivamente allarme per
una eventuale penetrazione
del nemico. Purtroppo il
passo di Bir Enba si
dimostrò fatale, poiché
gl’inglesi sferrarono
il loro attacco proprio in
quel punto.
Altra
pecca si ebbe quando venne
deciso il trasferimento a
Bardia della divisione CC.NN
23 Marzo e fu giocoforza
necessario utilizzare gran
parte dell’autoparco delle
due divisioni libiche, le
quali quando gl’inglesi
sferrarono la loro
controffensiva, non
disponendo più di mobilità
essendo rimaste appiedate,
subirono disfatta e
successivamente cattura in
quanto trovatesi nella
impossibilità di svincolarsi
velocemente.
Veniamo
ora a conoscere come fu
concepito il piano della
offensiva inglese.
I
generali Wavell e Wilson
avevano preparato la loro
strategia di attacco,
tenendola segreta sia
allo Stato Maggiore che al
Gabinetto di guerra, persino
il Primo ministro Churchill
a Londra ne era all’oscuro,
venne messo al corrente
dell’attacco solo dopo
l’inizio della offensiva;
delle personalità del
governo inglese solo il
ministro degli Esteri Eden
ne fu al corrente, in quanto
era al Cairo ad ispezionare
le truppe inglesi, quindi
presente alla stesura del
piano, che venne denominato
“Piano Compass“(Bussola).
I due generali certamente a
conoscenza che la sosta di
Graziani a Sidi Barrani era
dovuta alla mancanza di
automezzi atti ad una
seconda avanzata e sapendo
delle difficoltà di
reperimento da parte del
comando italiano di tali
mezzi, decisero di non
aspettare l’offensiva
italiana a Marsa Matruch ma
di attaccare loro per primi.
Avvalendosi ancora delle
segnalazioni riportate dalle
incursioni di loro reparti
alle nostre postazioni,
osservazioni che avevano
constatato i vuoti esistenti
fra i vari capisaldi
italiani, stabilirono così
che il primo attacco alle
nostre difese doveva
iniziare
proprio dal varco esistente
fra il raggruppamento
Maletti e la Cirene. Un grave errore
di valutazione dei comandi
italiani.
Il
generale Wavell affidò la
conduzione dell’attacco ai
generali Wilson e O’Connor,
due esperti ufficiali che
avevano partecipato anche
alla 1^Guerra Mondiale, i
quali iniziarono subito i
preparativi, mettendo al
corrente del loro piano di
attacco, solo quella esigua
parte di alti ufficiali che
dovevano comandare unità a
livello di divisioni e
reggimenti; soltanto il
giorno prima dell’attacco,
ufficiali subalterni e
truppa vennero messi a
conoscenza del vero scopo di
quegli strani movimenti di
reparti, infatti ai
subalterni era stato fatto
credere che gli spostamenti
nel deserto erano solo
manovre di ambientamento,
chiarita la situazione,
tutti ebbero le necessarie
istruzioni previste dalla “Compas”
per le singole unità
partecipanti.
L’Armata inglese d’Egitto,
meglio conosciuta come “
Western Desert Force “, allo
inizio della controffensiva
era così composta :
7^ divisione
corazzata al comando del
maggiore generale M. O’Moore
Creagh.
4^ divisione di
fanteria indiana ( maggiore
generale Noel Beresford
Peirs).
6^ divisione di
fanteria australiana (
maggiore generale
Jven Mackay ).
2^ divisione di
fanteria neozelandese (
maggiore generale Bernard
Freyberg).
Da queste
G.U. divisionali, facevano
parte le seguenti brigate
che agivano in completa
autonomia:
IV
brigata corazzata che
comprendeva il 7°e
11°Ussari, il 2°e
6°reggimento
Royal Tanks, al comando del
brigadiere generale
J.S.J.Caunter
VII brigata corazzata con il
3°- 8°Ussari e il 1°Royal
Tanks ( brig. generale
H.E.Russel ).
XI
brigata fanteria
indiana ( brig. generale
R.A. Savory ).
XV
brigata fanteria
indiana ( generale W.L.Lloyd
).
XVI
brigata fanteria inglese (
brig. generale C.E.M. Lomax
).
XIX
brigata fanteria australiana
( brig. generale
H.C.H. Robertson ).
XVI
brigata fanteria australiana
( brig. generale
Savige ).
Altri
reparti divisionali:
Gruppo Selby ( brig.
generale A.R. Selby ).
Gruppo di sostegno (
brig. generale W.H.E. Gott
).
7° reggimento Royal
Tank.
Una brigata polacca.
Inoltre
vi erano reparti del genio,
di artiglieria, 2 compagnie
autoblindo della
R.A.F.(Royal Air Force), una
brigata degollista di
“Francia libera“, più la
guarnigione di Marsa Matruch
composta da 5 battaglioni
fucilieri, un battaglione
mitraglieri e 9 batterie
cannoni
Nota: la
4^divisione indiana fu
impegnata solo nei primi tre
giorni della controffensiva,
venne poi ritirata dal
fronte il 14 dicembre 1940,
dietro ordine del generale
Wavell ma con parere
negativo del generale
O’Connor e inviata in Sudan,
per unirsi alla 6^divisione
indiana già sul posto e
attaccare le forze italiane
che resistevano in Eritrea.
La 16^e 19^brigata di
fanteria australiana e la
brigata polacca erano state
invece lasciate a difesa di
Alessandria.
Come si
può notare il generale
Wavell aveva schierato una
forza anche se di poco
inferiore di numero a quella
italiana, ma consistente e
non certamente composta da
appena 36.000 uomini, come
scrisse artatamente nelle
sue “memorie“; senza
contare, come sopra
elencato, una massa
considerevole di reparti
dotati di carri armati,
artiglieria moderna, aerei e
l’aiuto delle navi, anche se
solo di 3 cannoniere:
“Terror“ “Aphis“ e
“Ladybird“, che tennero
sempre sotto tiro, tutte le
nostre postazioni sulla
costa da Uadi Maktilia, a
Sollum e da Bardia a
Tobruch. Di contro aveva il
maresciallo Graziani con 9
divisioni di fanteria male
armate, con una artiglieria
composta in gran parte da
residui della Prima Guerra
Mondiale, pochi e scadenti
carri armati concentrati in
una modesta brigata
corazzata, insufficienti
automezzi e purtroppo anche
una evidente
disorganizzazione logistica
e di comando che evidenziò
carenze ad ogni livello
tattico e operativo.
Nella
notte del 6-7 dicembre, gli
inglesi iniziarono a
muoversi dal Canale
e dalla zona a Sud di
Marsa Matruch, da dove sino
dal mese di novembre avevano
concentrato gran parte delle
loro forze e dividendosi in
due colonne motorizzate con
oltre 10.000 automezzi che
avanzarono per tutta la
notte percorrendo oltre 500 Km. in pieno deserto;
all’alba del 7, esse erano
ferme in una località
desertica, la sosta durò per
tutta la giornata con il
rischio di essere scoperti
dalla nostra ricognizione
aerea, ma di ciò niente
avvenne. Nella notte del 7-8
altro balzo notturno e sosta
nella giornata dell’8,
durante quella sosta un
nostro ricognitore Ro 37
pilotato dal capitano Baduel
sorvolò una delle due
colonne ma pare, che non si
sia reso conto di ciò che
stava osservando, certamente
il mascheramento effettuato
dagli inglesi su quella gran
massa di automezzi era così
perfetto da ingannare
l’osservatore, comunque il
capitano Baduel segnalò al
comando della 10^Armata di
un piccolo movimento di
automezzi; per ogni
evenienza il comando tentò
di avvisare il caposaldo di
Halam Nibeiwa, ma sembra che
i contatti radio e
telefonici non funzionarono,
così che il nemico avanzò
indisturbato. ( 7 )
Nella
notte dall’8 al 9 si ebbe il
terzo balzo e il
congiungimento delle due
colonne in un punto
stabilito che il comando
inglese definì con
l’appellativo in codice di “
Piccadilly Circus “, a
circa 20 Km. da Halam Nibeiwa. (
MAPPA N°7 )
Invece é
assodato che il generale
Maletti ebbe il sospetto che
qualcosa di grande si stesse
preparando da parte inglese
dinanzi al suo caposaldo;
infatti nella notte dell’8
aveva percepito strani
rumori di autoveicoli in
direzione di Bir Enba,
segnalò questo suo sospetto
al generale Pescatori che
comandava la 2^divisione
libica e al comando della
divisione Cirene, anche
Graziani venne messo al
corrente e diramò subito
precisi ordini affinché, sia
la 10^Armata che la
5^Squadra Aerea si tenessero
pronti per fronteggiare un
eventuale attacco nemico; é
falso quanto la stampa
inglese di allora pubblicò
sull’esito di quella
battaglia, asserendo che le
nostre truppe furono
sorprese e che il
nostro caposaldo di Halam
Nibeiwa, quando venne
attaccato era ancora preso
dal sonno. Se sorpresa si
ebbe, questa fu
l’avvicinamento della W.D.F.
ai margini esterni della
linea difensiva italiana,
poiché non venne fatta
nessuna esplorazione veloce
con autoblindo e veicoli
veloci, nonostante la
segnalazione di un nostro
aereo da ricognizione.
E’
risaputo che il generale
Maletti, da quando aveva
preso posizione a Nibeiwa,
sosteneva che prima o dopo
gli inglesi avrebbero
attaccato il suo caposaldo,
così a quei rumori aveva
dato corpo e sin dalle prime
ore del giorno 9 dicembre,
erano circa le 5,30, mise
all’erta tutto il presidio e
predispose la difesa. Alle
ore 7, gli inglesi
sferrarono l’attacco,
l’artiglieria incominciò
l’opera di distruzione delle
difese del raggruppamento,
mentre alla stessa ora
reparti della 7^divisione
corazzata e della
4^divisione indiana,
annientavano la piccola
difesa di Bir Enba
penetrando velocemente entro
la cerchia del nostro
sistema difensivo, prendendo
alle spalle per primo il
raggruppamento Maletti che
si difese strenuamente
contro la 11^brigata indiana,
ma soprattutto contro i
carri Mathilda del
7°reggimento Royal Tanks,
nulla poterono fare i nostri
artiglieri con i loro
cannoni da 47/32 che
scalfivano appena le corazze
da
78 mm.
di quei carri armati da 26
tonnellate, che avanzavano
maciullando artiglieri e
fanti; un battaglione libico
si sacrificò al completo
nella lotta contro quei
mostri.
Proprio durante l’attacco
dei Mathilda cadde
eroicamente il generale
Maletti, il quale accortosi
che un artigliere di un
pezzo da 47/32 era stato
colpito mortalmente
, lasciò
il suo carro comando e
accorse a sostituirlo,
mentre puntava il cannone
contro un Mathilda, un altro
spuntò improvvisamente a
meno di 20 metri da dove era la
postazione e con una raffica
di mitragliatrice stroncò la
vita a questo eroico
comandante. Il suo corpo
venne seppellito sul posto
dagli inglesi; i resti
vennero recuperati dalla
nostra Sanità durante la
2^offensiva italo-tedesca.
Purtroppo
anche in quella battaglia si
verificò un episodio che
denota quanto grave fu la
nostra impreparazione;
ritorna in atto il problema
radio sui nostri carri
armati,l’episodio riguarda
due compagnie carri armati
medi in forza al
raggruppamento Maletti al
comando del maggiore
Campanile, il quale
accortosi che la massa dei
carri Mathilde iniziava
l’attacco alle spalle del
caposaldo, senza esitazione
pur conoscendo la propria
inferiorità sia numerica che
di potenza, decise di
contrattaccare con le due
compagnie e postosi in testa
con il suo carro comando,
iniziò la manovra di
attacco; non essendoci radio
a bordo dei nostri carri
M.11, il maggiore dette le
disposizioni di manovra a
mezzo segnalazioni con
bandierine regolamentari, la
prima compagnia eseguì gli
ordini ricevuti, ma la
seconda che era un poco
arretrata, causa il
polverone sollevato dai
carri e dalle esplosioni
delle granate, non vide le
segnalazioni delle
bandierine e stava prendendo
altra direzione, il maggiore
Campanile avendo capito che
i suoi segnali non erano
stati visti, ritornò
indietro raggiungendola e
sceso dal suo carro si avviò
verso quello del comandante
la seconda compagnia per
spiegargli la disposizione
di combattimento che doveva
assumere, in quel momento i
carri nemici irruppero in
mezzo alle due compagnie, il
maggiore Campanile
trovandosi allo scoperto
venne fulminato da una
scarica di mitragliatrice
sparata a breve distanza,
neanche un ora dopo la
stessa sorte toccava al
comandante del
raggruppamento.
Alle ore
11 ogni resistenza a Halam
Nibeiwa e a
El Jktufa era
cessata; il raggruppamento
Maletti ebbe 800 morti,
1.300 feriti, 2.000
prigionieri compresi i
feriti, 19 furono gli
ufficiali caduti sul campo.
La
7^divisione corazzata e la
4^divisione indiana erano
ormai penetrate al completo
nel dispositivo di difesa
italiano, caduta Nibeiwa e
El Jktufa, alle ore 11,30
venivano attaccate le difese
della 2^divisione libica a
Halam El Tumma e Ras El Dai
che resistettero per alcune
ore, poi alle 18 dovettero
capitolare, alcuni reparti
riuscirono a ripiegare su
Sidi Barrani, i morti furono
400, molti i feriti e 700
i prigionieri.
Nella
serata del 9 dicembre, il
generale Gallina, comandante
delle divisioni libiche,
vista inutile a suo parere,
ogni ulteriore resistenza
nel suo settore dopo la
caduta dei capisaldi della
2^divisione libica del
generale Armando Pescatori,
ordinò il ripiegamento su
Sidi el Barrani alla
1^divisione libica del
generale Giovanni Cerio che
era concentrata a Uadi
Maktilia e Sayed Abu
Gabeira, la quale nel
frattempo era stata
attaccata dal gruppo Selby
Force e dalla guarnigione
inglese di Marsa Matruch,
subendo anche un
bombardamento navale:
ubbidendo all’ordine, la
divisione pur priva di
automezzi riuscì a
svincolarsi con un
trasferimento notturno e
attestarsi nella zona di
Suani El Dirin, tra Uadi
Maktilia e Sidi Barrani.
Il gruppo
Selby Force forte di 1.800
uomini, con artiglieria
mobile e 380 automezzi, la
mattina del 9 dicembre era
uscito da Marsa Matruch con
il compito di attaccare le
posizioni della 1^divisione
Libica e impedire che questa
si congiungesse con la
2^libica; non avendo potuto
avere un contatto armato con
la 1^divisione, salvo
sporadici scontri con la
retroguardia, il comandante
del Selby decise di portarsi
sotto Sidi Barrani con due
brigate di fanteria indiana,
la 15^e la 11^ e con il
supporto del 7°Royal Tank
che avanzarono verso Sidi
Barrani, rafforzando così
l’entità della forza
d’attacco.
A Sud
nelle prime ore del 10, il
gruppo di sostegno con
l’11°Ussari dopo che il
giorno prima aveva eliminato
il piccolo distaccamento di
Bir Enba, avanzò verso le
postazioni della Cirene a
Bir el Rabia e Sidi Sofafi,
attaccandole con azioni di
disturbo, ma i due presidi
arginarono quelle azioni
prima e contrattaccando
successivamente.
Nella
serata del 10, il
maresciallo Graziani dette
disposizioni al generale
Gariboldi di fare arretrare,
su nuove posizioni a Sud di
Sollum-Passo Halfaya, sia la Cirene che la Catanzaro.
Durante
la notte le due divisioni
iniziarono il ripiegamento, la Cirene, pur avendo scarsa
disponibilità di automezzi,
tanto che i fanti dovettero
trasportare a spalla le armi
leggere e trascinare a mano
i pezzi di artiglieria
pesante, non venne
disturbata dal nemico e
dalla aviazione, mentre per
la divisione Catanzaro il
problema fu molto più grave.
Innanzi tutto durante il
forzato arretramento la
divisione vide le sue file
ingrossarsi con sbandati
delle divisioni CCNN.28
Ottobre e Marmarica che si
ritiravano e di altri
reparti che naturalmente
crearono confusione e
problemi di trasporto. In
quella situazione, onde
salvare più soldati, vennero
scaricati tutti gli
autocarri che trasportavano
pezzi di artiglieria che,
nella impossibilità di
recuperarli successivamente
vennero distrutti, in
compenso furono salvati
dalla immediata cattura
centinaia di soldati.
Durante una sosta obbligata,
per fare riposare gli uomini
e provvedere alla
riparazioni di alcuni
automezzi, la divisione fu
attaccata nelle prime ore
del pomeriggio dalla
7^brigata corazzata del
generale Russell e da
reparti blindati
dell’11°Ussari; l’impari
lotta durò per alcune ore,
poi il generale Giuseppe
Amico fu costretto a
ordinare il ripiegamento
verso Sollum, ma pochi
furono i superstiti che
riuscirono a raggiungere
quella località per
continuare ancora la
ritirata sino a Bardia.
La
situazione generale era
notevolmente peggiorata,
poiché il giorno 11 era
caduta la difesa di Bug Bug,
il 12 fu la volta di Sidi
Barrani e 7.000 furono i
prigionieri catturati; anche
i nostri presidi di Ridotta
Capuzzo, Sidi Omar, Ridotta
Maddalena
erano stati nel
frattempo eliminati
dall’11°Ussari e reparti
della 4^divisione indiana, i
piccoli presidi di Carnel
Grein e Uescechet el Neira,
che ben sapendo di non avere
la forza di affrontare un
nemico di gran lunga
superiore ripiegarono su
Giarabub; si ripeté quello
che era successo pochi
giorni dopo lo scoppio delle
ostilità e fu così che
Giarabub venne a trovarsi
per la seconda volta
isolata, assediata e
giocoforza lasciata al
proprio destino come Cufra
Ormai era
ritirata generale, il
15 dicembre quei 100 Km. di territorio
egiziano conquistati da
Graziani pochi mesi prima,
ritornavano in possesso
degli inglesi, le due
divisioni libiche, la
divisione CC.NN.3 Gennaio e
il raggruppamento Maletti
non esistevano più; i
superstiti delle divisioni
Cirene, Catanzaro,
Marmarica, 28 Ottobre e
23 Marzo, ripiegarono tutti
dentro la piazzaforte di
Bardia, il cui comando venne
assunto dal generale
Bergonzoli del XXIII Corpo
d’armata, il quale cercò
subito di porre rimedio alle
scarse e disorganizzate
difese, riattivando i
reticolati, ripulendo dalla
sabbia il fosso anticarro,
che in alcuni punti era
completamente coperto,
predispose innanzi ai
reticolati una copertura di
campi minati, rinforzò gli
11 capisaldi che si
trovavano all’interno della
cerchia difensiva e i 3
sulla costa; venne attivato
anche un
piccolo campo di
fortuna per il rifornimento
aereo.
Ma uno
dei problemi maggiori per il
comandante del XXIII Corpo
d’armata era la precaria
situazione logistica, poichè
le scorte di viveri,
medicinali e carburante
erano quasi esaurite, il
munizionamento era scarso e
mancava persino il
lubrificante per oliare le
armi; questo grave stato di
penuria aveva come
responsabile l’Intendenza
militare italiana, la quale
ormai certa di una seconda
offensiva da Sidi Barrani a
Marsa Matruch, aveva
provveduto a creare nella
zona di Sidi Barrani campi
base di rifornimenti a
disposizione delle truppe
operanti; naturalmente data
la lentezza degli
approvvigionamenti che
partivano da Tripoli, oltre
1.900 Km. sino a Sidi
Barrani, si era pensato a
prelevare, viveri,
munizioni, carburante anche
dai depositi di Bardia e
Tobruch assieme a buona
parte delle artiglierie in
dotazione alle due
piazzeforti.
Nota
tragica: quando gli inglesi
occuparono Sidi Barrani,
oltre alla cattura di gran
numero di prigionieri,
trovarono
intatti quei campi di
approvvigionamento e ne
usufruirono a piene mani,
soprattutto per l’utilizzo
di centinaia di automezzi e
del carburante.
La
piazzaforte di Bardia aveva
una cerchia difensiva lunga
circa 30 Km. con una profondità di
18, essa iniziava ad Ovest,
dall’Uadi Garrida e finiva
ad Est all’Uadi Mrega; la
cerchia difensiva era
delineata da un fossato
anticarro, ma non tutto
scavato, quei tratti ancora
incompleti vennero protetti
da reticolati non molto
consistenti, facilmente
sgretolabili anche dal più
leggero carro armato, poche
furono le zone minate. Da
fare notare che già a guerra
iniziata a Bardia si
lavorava ancora per
completare le opere
difensive. ( 8 )
Il
generale Bergonzoli, si
trovò ad avere a
disposizione nel perimetro
difensivo una forza di
45.000 soldati, artiglieria
di poco superiore ai 400
cannoni fra cui cannoni da
75/27, obici da 100/17,
pezzi contro carro da 47/32,
mitragliere da 20 e un
numero imprecisato di
mitragliatrici Fiat 35, una
batteria costiera da 120 affidata
alla Regia Marina e due
batterie contraerei da 76/40
e poche mitragliatrici
Schwarzlose, residuati della
Prima Guerra Mondiale,
inoltre poteva disporre di
una quindicina di carri M.11
e poco più di una decina di
carri L.3.
Il
generale Bergonzoli era al
corrente di avere di fronte
forze nemiche di gran lunga
superiori alla sua difesa,
fra cui il XIII Corpo
d’armata inglese che
comprendeva, la 7^divisione
corazzata al completo con
l’11°Ussari, la 4^e
7^brigata corazzata, la
6^divisione australiana che
aveva sostituito da pochi
giorni la 4^divisione
indiana e unità minori, come
il 7°reggimento corazzato
con 26 carri Mathilda, un
reggimento artiglieria da
campagna, un reggimento
artiglieria di medio calibro,
un battaglione mitraglieri e
il gruppo sostegno Selby, in
effetti quasi tutta quella
forza che aveva iniziato la
controffensiva il 9 dicembre.
Il comandante della
piazzaforte predispose
subito un assetto difensivo,
assegnando a Est, nel
settore di Uadi Mrega, che
riteneva il più esposto, la
divisione Cirene, in quanto
era ancora quasi integra; il
settore centrale da Forte
Ponticelli sino al crocevia
delle due strade
Sollum-Bardia e Ridotta
Capuzzo-Bardia, lo assegnò
alla divisione Marmarica;
quello di Sud-Ovest, alla
divisione 23 Marzo. Sul
retro di questo schieramento
era la divisione 28 Ottobre
e a Nord Ovest, zona Uadi
Garrida, la divisione
Catanzaro tenuta come
riserva, in quanto durante
la ritirata
da Sidi
Barrani, fu la divisione più
impegnata e tartassata. (
MAPPA N°8 )
L’assedio
a Bardia ebbe inizio dal
giorno 16 dicembre e si
manifestò con tentativi di
penetrazione nel nostro
sistema difensivo, tentativi
sempre respinti; il vero
attacco avvenne nelle
primissime ore (4,30) della
mattinata del 3 gennaio
1941; un battaglione della
6°divisione australiana,
aprì un varco nel settore
centrale, tra la divisione
23 Marzo e la divisione
Marmarica, il battaglione,
protetto da un forte
concentramento di tiri di
artiglieria, oltrepassò il
fosso anticarro provvedendo
a neutralizzare i campi
minati, mentre alle sue
spalle reparti del genio
inglese coprivano il fossato
per permettere il passaggio
dei carri armati e della
fanteria australiana che in
effetti irruppe in quel
varco dilagando dentro la
cerchia di Bardia; le nostre
divisioni vennero prese alle
spalle e pur opponendo una
disperata ed eroica
resistenza dovettero cedere.
In poche ore di lotta
caddero i capisaldi tenuti
dalla divisione Marmarica,
seguirono quelli della 23
Marzo e 28 Ottobre, poi
venne la volta della
divisione Catanzaro, gli
ultimi a capitolare furono i
capisaldi della divisione
Cirene, ma il 1°gruppo del
45°reggimento artiglieria
della Cirene, al comando del
capitano Giovanni D’Avossa,
appostato nel caposaldo di
Bir Ras a Sud dell’Uadi
Mrega, tenne testa, per
quasi tutta la giornata del
5 gennaio agli assalti
nemici respingendoli con i
micidiali colpi dei suoi
obici da 100/17.
Purtroppo
alle ore 15, esaurite tutte
le munizioni dovette
arrendersi e con esso
cessava ogni residua
resistenza a Bardia. Gli
inglesi catturarono i
generali De Guidi della
Cirene, Argentino della 28
Ottobre, Antonelli della
23 Marzo con circa 45.000
soldati, oltre 400 cannoni e
alcune centinaia di
automezzi.
Sfuggirono alla cattura il
generale Bergonzoli, il
generale Amico della
Catanzaro, il vice
comandante della divisione
23 Marzo, console generale
Nicchiarelli e quello della
28 Ottobre, console generale
Cirillo, a loro si erano
uniti alcuni ufficiali e 21
soldati; il gruppo lasciata
Bardia, affrontò a piedi i 120 Km. che separavano la
piazzaforte da Tobruch,
camminarono per 4 giorni
solo di notte, mentre di
giorno si nascondevano negli
anfratti lungo la costa.
Una
domanda che allora e ancora
oggi alcuni storici si sono
posti e si pongono come
interrogativo: perché
Graziani non fece
intervenire, nella difesa di
Bardia, la brigata Babini
che era ferma a Marsa Lucc a
pochi chilometri da Bardia ?
A mio
avviso, Graziani ebbe
ragione a non avere voluto
sacrificare la brigata, Egli
ebbe subito la netta
convinzione, che la
resistenza di Bardia non
sarebbe durata a lungo, già
a inizio della offensiva
inglese, aveva constatato la
poderosa forza corazzata
nemica, di conseguenza
decise di non fare
intervenire nella battaglia
la brigata Babini, la cui
forza corazzata era
rappresentata da appena una
sessantina di carri M.11 e
L.3, certamente non così
potente da risolvere la
tragica situazione di Bardia
a nostro favore. Un
particolare che mi sembra
giusto e onesto segnalare:
Il maresciallo Graziani
appena subito la caduta di
Sidi Barrani, fece presente,
tramite cablogramma, sia a
Mussolini che al Comando
supremo, allora tenuto dal
generale Cavallero che alla
data del 5 dicembre 1940
aveva sostituito Badoglio,
quanto fossero gravi gli
avvenimenti che si stavano
determinando in Libia, quale
e quanta era la nostra
scarsezza di mezzi e armi
per fronteggiare l’avanzata
nemica; in queste condizioni
suggeriva di abbandonare la
difesa di Bardia e di
Tobruch e apprestare, con le
forze che avrebbero dovuto
difendere le due piazzaforti,
un sistema difensivo più
poderoso, che partendo dal
ciglione di Derna-Berta, si
completava a Mechili; dette
zone per la conformazione
del terreno si prestavano a
una più congeniale e solida
difesa, infatti gli inglesi
avrebbero dovuto superare
due ostacoli naturali, primo
il ciglione di Derna con
pareti verticali alte dai
duecento ai trecento metri e
con una unica strada che
poteva essere facilmente
bloccata, l’altro ostacolo
era l’Uadi Derna, non secco
come tutti gli altri uadi
della Libia ma un vero fiume
con argini alti e scoscesi;
l’unico punto debole era
Mechili ove esisteva solo
una ridotta costruita ai
tempi della riconquista
della Libia 1928-1932, ma
Graziani aveva calcolato
anche quel pericolo,
disponendo la difesa di quel
territorio con vasti campi
minati, pare che fossero
state interrate circa 30.000
mine.
Adottando quello schema
difensivo Graziani poteva
disporre di un numero
consistente di uomini e armi,
mentre dovendo difendere
Bardia e Tobruch, avrebbe
dovuto creare due forze,
ambedue deboli e quindi
facilmente distruttibili.
Propose come seconda
soluzione di abbandonare
Bardia, concentrare la
maggiore parte delle forze a
Tobruch onde prolungare la
resistenza e avere così più
tempo per organizzare la
difesa sul ciglione di Derna;
Graziani sosteneva ancora
che Bardia e Tobruch non
avrebbero potuto resistere a
lungo ad un assedio, anche
perché sottoposte a duri
bombardamenti aerei e navali,
così cadute le piazzeforti
con le esigue forze che gli
sarebbero rimaste, pur
attuando la resistenza sul
ciglione di Derna, non
avrebbe potuto fermare
l’avanzata inglese in
Cirenaica, a meno ché gli
fossero giunti in tempo i
rinforzi che da mesi
sollecitava; inoltre
in quel cablogramma aggiunse
nuovamente la richiesta di
un aiuto
tedesco
di almeno due divisioni,
aiuto, come sopra già
enunciato, che i tedeschi
avevano già offerto e che
Badoglio, per ben due volte
rifiutò. Comunque la
risposta da Roma fu:
resistenza ad oltranza a
Bardia e Tobruch! E Graziani
ubbidì.
Tracciamo
un pò la storia di questi
rifiuti badogliani agli
aiuti tedeschi: già nei
primi mesi del 1940 e
precisamente nella seduta
del 9 aprile, il generale
tedesco Rintelen, capo della
Commissione tedesca in
Italia per contatti con
l’esercito italiano, aveva
offerto in caso di una
nostra entrata in guerra a
fianco della Germania, aiuti
in uomini e mezzi e anche la
collaborazione tra le
industrie militari tedesche
e italiane, Badoglio per un
malinteso e soggettivo
comportamento antitedesco
rifiutò. Altra occasione si
ebbe nel mese di settembre
del 1940, quando Hitler
notando la stasi che si
stava verificando nella
nostra situazione militare
in Libia, propose a
Mussolini la possibilità
d’inviare laggiù due
divisioni corazzate
tedesche, ma il capo del
Governo, dietro suggerimento
di Badoglio, quale capo di
Stato Maggiore Generale,
rifiutò ancora l’offerta
adducendo il motivo che in
Libia avevamo forze
sufficienti per affrontare
qualsiasi attacco nemico e
sferrare anche una
offensiva. Quel rifiuto fu
inopportuno, poiché se
Mussolini avesse accettato
allora l’aiuto tedesco,
certamente le sorti della
guerra in Africa
Settentrionale avrebbero
avuto altro epilogo, ma il
Duce e lo Stamage (Badoglio
e Soddu) non vollero
sentirsi obbligati
militarmente verso la Germania, anche perché quell’aiuto avrebbe
coinvolto l’Italia a una
guerra strettamente legata
alla Germania e alla
Wehrmacht, Mussolini invece,
tendeva a condurre su
consiglio di Badoglio e
sulla falsa prospettiva di
autonoma condotta di guerra,
una guerra separata, quella
che allora venne definita
“guerra parallela“. Solo
dopo la disfatta sul fronte
greco fra ottobre/novembre e
quella ancora più grave in
Libia del gennaio 1941, che
costrinse Graziani a
ritirarsi dalla Cirenaica e
con gli inglesi ormai ai
confini della Tripolitania,
il Duce fu costretto a
chiedere l’aiuto della
Germania, aiuto che gli
venne immediatamente
concesso.
Un giorno
sarà necessario valutare in
che misura l’opera di
Badoglio e il suo personale
livore antitedesco,
trasferito
ingiustificatamente come
generale risentimento
italiano, abbia influito
negativamente nella storia
d’Italia. Un danno
incalcolabile fatto
all’Italia da un solo
individuo.
A seguito
della caduta di Bardia, il
ministro degli Esteri
inglese Anthony Eden,
scriveva al Primo ministro
Winston Churchill una
lettera con la quale si
congratulava per quella
vittoria; così si esprimeva,
nei confronti dello esercito
italiano, usando una frase
infelice e mortificante che
diceva........”never
has so much been surrender
by so many to so few......”
che tradotta
significa......” mai, in
eguale misura, tanti si sono
arresi a pochi......”
L’inglese
Eden sino dal 1935 aveva il
“dente avvelenato” nei
confronti dell’Italia
fascista, la sua frase
certamente dettata da rabbia
repressa, non tenne conto
che i “tanti“ erano male
armati, male equipaggiati,
male nutriti e per giunta
con pochi automezzi e pochi
cannoni, mentre i “pochi“
erano bene armati, con
abbondanti cannoni, carri
armati e automezzi, bene
nutriti ed ottimamente
equipaggiati e combatterono
con un appoggio logistico di
gran lunga superiore a
quello italiano, loro
avanzavano con un seguito
enorme di automezzi, gli
italiani ripiegavano senza
automezzi, marciando a piedi
per centinaia di chilometri.
Sfortunatamente ciò che
conta in guerra è la
vittoria o la sconfitta. A
noi in quella negativa
opportunità toccò amaramente
la sconfitta e la derisione
del nemico.
Il
generale Wavell, sulla
cresta del successo, non
volle dare tregua a
Graziani; Bardia non era
ancora caduta e già punte
avanzate della 7^brigata
australiana erano giunte al
limite del perimetro
difensivo di Tobruch; il
giorno 7 gennaio gli
australiani iniziarono
l’assedio.
Prima di
dare corso alla descrizione
della nuova battaglia,
presentiamo in che
condizioni si trovava il
sistema difensivo di
Tobruch, considerata la più
importante piazzaforte del
settore orientale. Le opere
fortificate in oggetto erano
state iniziate nel 1937-1938
dal genio militare, ma nel
1939 vennero date in appalto
anche a ditte private che vi
lavorarono sino ad agosto
del 1940.
Purtroppo
queste non riuscirono a
completare i lavori per
varie ragioni, in primo
luogo la mancanza di fondi,
poi il susseguirsi dei vari
passaggi burocratici di
comando considerando che
prima della guerra la
piazzaforte era affidata
alla Guardia di frontiera il
cui comandante era il
generale Umberto Barberis,
allo scoppio delle ostilità
Tobruch passò alle
dipendenze del XXI^Corpo
d’armata, poi al XXII^C.A.
del generale Pitassi
Mannella, per ritornare
ancora alla Guardia di
frontiera; certamente nel
trascurare quelle opere
difensive vi fu la
convinzione e presunzione,
da parte degli alti comandi
di Roma, che Tobruch mai
avrebbe subito un assedio
nemico.
La linea
fortificata aveva un
perimetro di circa 54 Km. con un raggio profondo 30 Km.,innanzi a questa linea
vi era un fosso anticarro
largo tre metri e profondo
appena un metro e mezzo, ma
esso non copriva tutta la
lunghezza del perimetro,
infatti soli 12 Km. erano stati completati,
le parti ancora scoperte
vennero protette con una
serie avanzata di reticolati
profondi otto metri; questa
messa in opera dei
reticolati fu completata nel
mese di ottobre. A
protezione della linea venne
minato il terreno con 23.000
mine di cui 16.000 anticarro
con scoppio a pressione e
7.000 antiuomo a strappo, ma
solo nelle zone ove il fosso
anticarro non era stato
scavato, inoltre per la
carenza di mine, queste
vennero poste ad intervalli
di alcuni metri l’una
dall’altra, onde allargare
il campo minato.
Lungo
tutto il perimetro vi era
una serie di casematte
parzialmente interrate, con
una copertura in cemento
armato dallo spessore di
quasi un metro, alcuni
capisaldi con più moderne
concezioni difensive
comunicavano tra loro
attraverso camminamenti ben
mascherati e protetti da
nidi di mitragliatrici, vi
erano anche postazioni di
mortai, in verità pochi,
come pochi erano i pezzi
anticarro. Le difese
composte di capisaldi con
casematte erano sistemate su
due linee, una esterna e una
interna. I capisaldi erano
posti ad intervalli di 3 Km. l’uno dall’altro, quelli
interni erano in appoggio a
5 forti di più ampie
dimensioni conosciuti come:
Forte Marcucci, Forte Solaro,
Forte Ariente, Forte Perrone
e Forte Pilastrimo,
quest’ultimo era il più
imponente, poichè fu sempre
sede dei vari comandi di
piazza; all’interno del
perimetro erano i tre
aeroporti T.2 - T.3 e T.5.
La
distanza da un caposaldo
all’altro era enorme, tanto
che in caso di attacco,
l’uno non poteva avere
l’appoggio dall’altro,
soprattutto come apporto di
truppa; poi, caduto un
caposaldo veniva a crearsi
negativamente un vuoto di
circa
6 Km.,
sufficiente a fare passare
interi reparti di fanteria,
questo fu quello che si
verificò durante l’attacco
finale degli inglesi.
Sulla
costa vi erano caverne
naturali che furono usate
come depositi di munizioni,
carburanti e viveri, inoltre
alcune erano adibite a
postazioni di artiglieria in
caso di uno sbarco nemico.
La cinta
difensiva di Tobruch aveva
anche due difese naturali: a
Ovest l’Uadi Sidi el Sahel
ad Est l’Uadi Zeitun; l’Uadi
era un solco largo diversi
chilometri e profondo anche
oltre i
100 metri
con le pareti a scarpata
ripida, quindi inaccessibili,
gli inglesi aggirarono
quello ostacolo, attaccando
a Sud, solo il gruppo di
sostegno che agì a Nord
della cerchia difensiva ebbe
delle difficoltà.
Come sopra detto, Tobruch
prima dell’assedio aveva una
guarnigione della Guardia
alla frontiera di circa
2.500 uomini, in grande
parte richiamati, circa
5.000 marinai addetti alla
difesa costiera, mentre
nella sua insenatura era
ormeggiato l’incrociatore
San Giorgio, armato con 4
pezzi da 147 e 4 da 190,
comandante di Marina/Tobruch
era l’ammiraglio Vietino;
questa forza presidiaria,
che in vista dell’assedio
venne portata a poco più di
25.000 uomini con 300 bocche
da fuoco, doveva difendere
54 Km.(
un cannone ogni
180 metri
circa),nel mese di ottobre
era stato aggiunto al
presidio il battaglione
CC.NN.“Volontari di Libia“.
Il
Comando della piazzaforte,
dietro specifico ordine di
Graziani, venne assunto dal
generale Pitassi Mannella,
che nel corso dell’assedio
cedette il comando al
generale Umberto Barberis,
comandante della Guardia
alla frontiera. Quella
cessione fu dovuta al fatto
che il generale Pitassi
Mannella, ottimo ufficiale
di artiglieria e quindi
esperto in materia,
lasciando il comando della
piazzaforte, avrebbe avuto
la possibilità di
riorganizzare e predisporre,
con diretta competenza, la
disastrosa situazione
dell’artiglieria, essenziale
più degli uomini alla difesa
di Tobruch.
Alla
scarsa proporzione della
artiglieria su quei 54 Km. si aggiungeva anche la
loro non lunga gittata di
tiro, da 6/8 Km.,tanto che
le batterie australiane,
conoscendo quel particolare
handicap balistico, si
ponevano al di fuori della
portata dei nostri cannoni e
con tranquillità e sicurezza
cannoneggiavano i nostri
capisaldi.
Purtroppo
tante furono le pecche nella
difesa di Tobruch,
nonostante il valore sia
degli ufficiali che del
semplice soldato; il
generale Pitassi Mannella,
cercò di porre rimedio ai
numerosi inconvenienti, ma i
fattori negativi furono
tanti, Egli tentò di creare
un secondo fosso anticarro
all’interno del sistema
difensivo ma con scarso
risultato, poichè primo
ostacolo fu la mancanza di
mezzi adatti allo scavo,
picconi e badili non erano
adeguati, né sufficienti, in
quanto dopo pochi centimetri
di terra affiorava la roccia
calcarea dura ad essere
smossa con quei mezzi
manuali; mancando di
scavatrici il tentativo del
nuovo fosso anticarro venne
abbandonato. Altro
inconveniente, la rete
telefonica che collegava
capisaldi e centri di fuoco
era allo scoperto, i suoi
fili sospesi a pali erano
facilmente distruttibili,
sia dallo scoppio delle
granate che da guastatori
nemici; infatti sin dai
primi giorni di assedio,
nelle infiltrazioni notturne,
che quasi ogni notte
compivano genieri e
guastatori australiani, vi
era anche il compito
di distruggere
l’apparato di comunicazione
tra in nostri reparti,
quindi fu facile per loro
tagliare i fili telefonici;
grave anche la penuria di
apparecchi radio e per
giunta con una insufficiente
portata di fonia. Altra
notevole pecca fu quella che
in tutta Tobruch vi erano
appena 4 fotoelettriche per
l’illuminazione notturna
nelle zone del perimetro,
onde individuare il pericolo
di infiltrazioni nemiche;
inoltre “dulcis in fundo“
non tutti i cannoni
disponevano di proiettili
perforanti, quei pochi
adatti erano i pezzi da 37,
da 47/32 e con molte riserve
da 65/17 non certamente
idoneo al tiro controcarro.
Grave fu anche la mancanza
della ricognizione aerea che
avrebbe dovuto segnalare gli
spostamenti nemici, la
individuazione di punti di
raccolta della fanteria e la
disposizione della
artiglieria nemica, il ché
non avveniva in quanto gli
aerei da bombardamento, che
si trovavano negli aeroporti
interni, non potevano
decollare per la continua
presenza sul cielo di
Tobruch della caccia nemica,
quelli degli aeroporti di
Derna o di Benina, che
avrebbero avuto la
possibilità di alzarsi in
volo non si muovevano,
poiché non erano in grado di
avere la copertura
necessaria dalla caccia, che
era ormai ridotta a poche
decine di aerei; giustamente
il generale Porro,
comandante della aviazione
di Libia, per tali ragioni
non autorizzava voli di
scorta. Allo inizio della
offensiva inglese, la nostra
forza aerea in Cirenaica era
ormai ridotta ad una
quarantina di aerei da
bombardamento e altrettanti
da caccia, da qui la
necessità di risparmiare il
più possibile aerei per un
migliore impiego difensivo;
quelle decisioni furono
aspramente criticate dai
vari comandanti impegnati al
fronte e dallo stesso
Graziani e certamente
causarono in buona parte la
sostituzione del generale
Porro con il generale Mario
Aimone Cat, nel febbraio del
1941.
Gli
inglesi non ebbero mai quel
tipo di problema che
affliggeva invece
l’aviazione italiana, in
quanto i loro aerei da
ricognizione, ben protetti
dalla caccia, sorvolavano
indisturbati le nostre
posizioni, fotografando le
nostre difese, le postazioni,
i concentramenti di reparti,
dando così le segnalazioni
alle loro artiglierie che
bersagliavano, colpendo con
terribile precisione
l’obiettivo.
Tobruch
era stata divisa in due
zone, quella orientale venne
affidata al generale
Barberis, che andava da Sidi
Daud a Nord e scendendo a
Sud sino al limite della
strada per El Adem, un
fronte di
22 Km.
tenuto dai reparti Guardia
alla frontiera, da quattro
compagnie del 69°fanteria
della divisione Sirte e da
due battaglioni carri armati
con
39 M.11
e
32 L.3,
quasi tutti nelle
impossibilità di muoversi
per guasti meccanici, parte
dei quali vennero interrati
e utilizzati come centri di
fuoco.
Il settore occidentale era
agli ordini del generale
Della Mura, comandante della
divisione Sirte, esso
controllava una linea
difensiva di 28 Km. con 10 capisaldi, che
andavano da Sidi Cheiralla
al Nord sino alla strada per
El Adem a Sud, la
dislocazione degli uomini e
carri, divisa in tre
sottosettori era così
predisposta : a Nord (settore
A) il battaglione CC.NN.“Volontari
di Libia“ che presidiava
dalla zona del mare sino ai
margini della via Balbia:
più sotto
(settore B) tenuto da un
battaglione del 70°fanteria
Sirte e da reparti della
Guardia alla frontiera, il
terzo (settore C) di 8 Km. arrivava sino al limite
della strada per El Adem ed
era controllato da soli 7
carri M.11, da una compagnia
bersaglieri, una compagnia
fucilieri e un plotone
mitraglieri, certamente in
quel settore la difesa era
molto debole e quando gli
inglesi sferrarono l’attacco
si dimostrò molto
vulnerabile.
Lo
schieramento
dell’artiglieria in batterie
e controbatterie fu
maggiormente concentrato in
quelle zone che il generale
Pitassi Mannella ritenne più
possibili per una
penetrazione nemica e giusta
fu quella scelta, in quanto
proprio in quelle zone venne
sferrato l’attacco inglese.
Il
settore orientale e quello
occidentale avevano a
disposizione quali riserve,
piccoli reparti di supporto
d’Armata, come il LXI
battaglione complementi, un
battaglione genio, un
reparto di fanteria
carrista, una compagnia
trasmissioni e unità di
servizi.
( MAPPA N°9 )
Nella
notte del 21 gennaio, il
monitore navale inglese
d’appoggio “Terror” con due
cannoniere iniziò a
bombardare Tobruch sino alle
prime luci dell’alba quando
a sostenere e integrare il
tiro, intervenne anche la Royal Air Force; il suo
bombardamento fu molto
pesante, alle 5,40 seguì il
cannoneggiamento
dell’artiglieria campale
australiana con pezzi da 88,
che investì tutta la linea
difensiva da Sidi Cheiralla
a Sidi Daud; mentre era in
corso l’azione della
artiglieria nemica,
pionieri, genieri e un
battaglione di incursori
australiani, protetti dalla
debole luce mattutina e dal
grande polverone sollevato
dagli scoppi delle granate
che impediva ogni
visibilità, irruppero a Sud
del settore orientale e a
circa 6 Km.a Est della strada per El Adem. Mentre i
genieri procedevano allo
sminamento del terreno e
allo smantellamento dei
reticolati, gli incursori
eliminavano la resistenza di
due capisaldi, aprendo così
un vasto varco, da dove
penetrarono i fanti della
XVI-XVII e XIX brigata
australiana, protetti dal
7°Royal Tank con i suoi
potenti carri “Mathilda” da
supporto alla fanteria.
La nostra
artiglieria cercò di
bloccare l’avanzata con tiri
di sbarramento ma nulla poté
fare contro i carri armati e
quando se li vide venire
addosso, passò dal tiro di
sbarramento al tiro diretto,
purtroppo con poco successo
per il solito problema la
mancanza di proiettili
perforanti.
Alle
10,30 quattro capisaldi
erano stati distrutti, i
nostri pochi reparti di
fucilieri, quando uscivano
dai capisaldi per attaccare,
venivano inesorabilmente
falciati dalle mitraglie dei
Mathilda; molti furono gli
episodi di valore, ufficiali
che per meglio individuare
il nemico protetto dal
polverone, uscivano dai
ripari e la loro sorte era
segnata, artiglieri che non
mollavano il pezzo sparando
sino all’ultimo colpo
venivano schiacciati dai
cingoli dei carri, i nostri
genieri che lavoravano allo
scoperto, per riattivare le
linee telefoniche, subivano
lo stesso annientamento.
Il
destino dei nostri piccoli e
innocui carri armati
interrati fu atroce, il
coraggio dei carristi nulla
poté fare contro i mezzi
corazzati nemici e i loro
cannoni controcarro, caddero
quasi tutti gli ufficiali,
compreso il comandante del
63°battaglione carristi, il
50% dei soldati si
sacrificarono pur di non
mollare, ma contro quella
enorme massa di acciaio,
l’eroismo dovette cedere; in
serata quasi tutto il
settore orientale, sino a
Sidi Duad era in mano degli
australiani.
Contemporaneamente
all’attacco nel settore
orientale, anche quello
occidentale subiva la stessa
sorte,
la VII
brigata corazzata della
7^divisione che investiva da
Ras el Medauar il nostro
sistema difensivo, venne in
un primo tempo fermata dalla
reazione dei bersaglieri e
fucilieri della divisione
Sirte e da quei 7 carri
armati M.11; la VII brigata con l’appoggio
della IV brigata e di una
ventina di carri Mathilda
ritornò
all’attacco, riuscendo a
vincere la resistenza
italiana.
Mentre
gli australiani avanzavano
verso il Forte Pilastrino
che occuparono nel tardo
pomeriggio, a Nord il
sottosettore tenuto dal
battaglione “Volontari di
Libia“ veniva attaccato dal
gruppo di sostegno e dalla
7^divisione corazzata, i
volontari si difesero
eroicamente tenendo per
diverse ore le loro
posizioni, poi esaurite le
munizioni, dovettero cedere
le armi e i pochi superstiti
vennero presi prigionieri.
Nella
giornata del 22 era quasi
del tutto cessata la
resistenza del presidio di
Tobruch, vi erano ancora
gruppi di soldati isolati
che opponevano qualche
ammirevole quanto inutile
resistenza; per gli
australiani quella giornata
fu di rastrellamento e di
preparazione per investire
l’abitato di Tobruch dove la San Giorgio sparava le
sue ultime bordate, ma
infine esaurite le munizioni
alle ore 4,15 l’incrociatore
si autoaffondava.
All’alba
del 23 i primi reparti
australiani iniziavano a
scendere nella cittadella,
ove ancora resistevano
sparuti gruppi di nostri
soldati, si combatteva casa
per casa, ma non era una
resistenza organizzata, era
quindi destinata a
soccombere; alle ore 16
Tobruch veniva
definitivamente occupata. La
resistenza era durata due
giorni, gli australiani
catturarono oltre 24.000
prigionieri con i generali
Pitassi Mannella, Della
Mura, Barberis e
l’ammiraglio Vietina.
Da Sidi
Barrani a Tobruch, ad
eccezione di Bardia, gli
inglesi fecero anche un
abbondante bottino di
viveri, medicinali,
vestiario, ma soprattutto di
automezzi, abbandonati a
centinaia intatti ed
efficienti, mentre ironia
della sorte, alle nostre
truppe al fronte mancavano
essenzialmente viveri,
vestiario e automezzi. Una
nota curiosa ma grave e
sconcertante alla quale gli
storici non hanno potuto
dare una vera
giustificazione: il
20 novembre 1940,
l’Intendenza militare della
Libia, fece ritirare, alle
divisioni di seconda linea,
quasi tutti gli automezzi in
loro dotazione, soprattutto
i Lancia 3Ro. che erano
quelli che maggiormente
davano affidamento nello
sfidare il deserto. A queste
divisioni gli fu concesso di
tenere solo i trattori T.37
per il trasporto della
artiglieria; vennero così
raccolti circa 5.000
automezzi che furono
accantonati nella zona tra
Tobruch e Bardia, che poi
furono
in maggioranza
catturati e usati dagli
inglesi; solo nella zona di
Tobruch né lasciammo in mano
al nemico circa 2.000,
mentre i nostri soldati
durante la ritirata, a
seguito dell’offensiva del
generale Wavell, ripiegarono
a piedi divenendo facile
preda del nemico; ecco
giustificata la catastrofica
cifra dei 130.000
prigionieri, con la quale si
chiuse quella per noi
avvilente controffensiva.
Questo
assurdo ordine di
requisizione, “pare”,
secondo qualche storico,
fosse giustificato da una
manovra logistica unificata,
progettata dall’Intendenza
per aumentare la
disponibilità di trasporto
nel deserto ma che determinò
indirettamente una grave
diminuzione degli automezzi
operativi delle G.U. e alle
divisioni di seconda linea,
uno scombussolamento nei
rifornimenti, specie di
viveri e munizionamento, in
quanto la sussistenza non
era in grado di rifornirli
tempestivamente, per
l’accumulo di lavoro che si
era venuto a creare con quel
provvedimento. Mentre prima
ogni unità divisionale
provvedeva direttamente con
i propri automezzi al
prelevamento dei
rifornimenti nelle retrovie,
ora non avendo più a
disposizione i mezzi per
quel servizio, ogni unità
era obbligata ad attenderli
dalla sussistenza, che non
essendo attrezzata alla
diretta e capillare
distribuzione, pur facendo
l’impossibile, causava alle
truppe gravi ritardi nei
rifornimenti anche di
qualche giorno.
Di questo
caos derivato da
quell’assurda rivoluzione
logistica, nè subirono le
conseguenze i combattenti di
prima linea. La divisione
Cirene che disponeva di
250 autocarri, quasi tutti
Lancia 3 Ro., ne cedette
all’Intendenza quasi la metà
ma nella ritirata dai propri
capisaldi, i suoi fanti
dovettero farsi
105 Km.
a piedi, prima di arrivare a
Bardia. Una cervellotica
disposizione frutto di
improvvisazione e
superficialità.( 9 )
Dopo la
caduta di Tobruch, il
generale O’Connor
proseguiendo la sua
avanzata, superava
indisturbato i
170 Km.
che separavano Tobruch da
Derna., non trovando altra
resistenza sino al ciglione
di Derna, dove Graziani
aveva predisposto, nel
triangolo
Derna-Berta-Mechili (Berta
era uno dei tanti villaggi
agricoli, creati da Italo
Balbo per valorizzare
la Cirenaica),
la sua nuova linea
difensiva.
Graziani
era convinto che con quelle
poche forze che gli erano
rimaste, non avrebbe più
potuto fermare l’avanzata
nemica, poteva solo
ritardarla di qualche giorno
il ché poi si avverò, così
per l’ennesima volta fece
presente la grave situazione
allo Stamage e per esso a
Mussolini, sostenendo la
necessità di abbandonare la Cirenaica e attestarsi in
Tripolitania, ove la
conformazione del terreno e
la vicinanza del grosso
centro logistico di Tripoli
si prestava a una migliore
difesa, inoltre gli inglesi
avanzando sino a Misurata e
Buerat, ove Graziani
intendeva disporre una
ulteriore linea difensiva,
si sarebbero messi alle
spalle oltre 600 Km. di deserto sirtico
che non offriva alcun
sistema idrico, con un
terreno in parte
acquitrinoso caratterizzato
con stagni di acqua
malsanica e salmastra,
nessuna possibilità di
usufruire di un porto
accessibile a navi anche di
piccolo tonnellaggio per
l’approvvigionamento
logistico.
Abbandonata da parte
italiana
la Cirenaica,
gli inglesi potevano
disporre del solo porto di
Bengasi per lo scarico di
quanto serviva alle truppe
operanti, poi da Bengasi,
caricate su autocarri, acqua,
viveri, munizioni ed altro,
questi dovevano arrivare al
fronte, su un percorso
terrestre di circa
1.000 Km., quindi
occorrevano diversi giorni
di viaggio, da quì la
necessità da parte inglese
di creare, lungo questo
percorso, centri logistici
fissi per abbreviare lo
smistamento dei rifornimenti,
lavoro che avrebbe richiesto
qualche mese di tempo per
attuarlo, ed era su questo
tempo di sosta che Graziani
avrebbe approfittato per
rinforzare la difesa della
Tripolitania e attendere
l’arrivo dall’Italia dei
rinforzi promessi.
Nonostante quanto
accortamente Graziani
prospettava, pensiero
condiviso peraltro dai
generali Tellera, Bergonzoli,
Cova e Molinari comandante
del genio, comandanti che
nella riunione del 29
gennaio avevano espresso
parere favorevole alla
proposta Graziani di portare
la linea difensiva in
Tripolitania, il Comando
supremo di Roma, in
contrasto con la realtà
della situazione, decise
invece per la difesa ad
oltranza di Derna-Berta-Mechili
e questo fu un altro degli
errori .
Come sopra detto le residue
forze di cui disponeva
Graziani in quel frangente,
erano ormai esigue; la
10^Armata, il cui comando,
dopo la
sostituzione del generale
Berti in data 23 dicembre,
era passata agli ordini del
generale Tellera, era
ridotta ora a un solo Corpo
d’armata, il XX comandato
dal generale Cona, che aveva
alle proprie dipendenze,
oltre a quello che era
rimasto della divisione
Marmarica, anche la
divisione Sabratha del
generale Della Bona, ma
questa era stata smembrata,
in quanto dal giugno a
settembre, quando faceva
ancora parte della 5^Armata,
aveva dovuto cedere alla 10^
circa 600 uomini tra
ufficiali e soldati, inoltre
al suo gruppo di artiglieria
erano state tolte due
batterie da
20 mm.,
una compagnia cannoni da
47/32, una batteria da 65 e
una da
100. A
quella modesta forza della
10^Armata venne aggiunta la
brigata corazzata Babini,
che non era stata impegnata,
come sopra detto, nella
difesa di Bardia e Tobruch,
un battaglione paracadutisti
libici del gruppo mobile
Tonini e il raggruppamento
motorizzato del colonnello
Mario Piana, il tutto non
superava i 25.000 uomini.
Derna non
possedeva una cinta
fortificata, salvo tre
vecchi fortini dai nomi di
“Rudero“, “Piemonte“ e
“Lombardia“, ma la sua
difesa naturale consisteva
nell’Uadi Derna che divideva
in due il ciglione; la parte
orientale con un terreno
pietroso, con spuntoni
aguzzi impraticabile sia per
automezzi che carri armati,
aveva come unica via di
accesso alla città, la via
“Balbia“ facilmente da
tenere sotto controllo che
in un grave momento poteva
essere distrutta e resa
impraticabile; solo il lato
occidentale aveva un tratto
piano e verdeggiante che
scendeva, con poche
difficoltà verso la base
Ovest del ciglione, da dove
poi proseguiva verso El
Mechili ed era il più
vulnerabile e pericoloso. Il
generale Tellera divise in
due settori la linea
difensiva: il primo con il
compito della difesa di
Derna ad oriente, era di
pertinenza del generale
Bergonzoli che aveva a sua
disposizione una forza
eterogenea, 5.000 uomini in
tutto; tale forza
comprendeva una parte della
divisione Sabratha, il
battaglione paracadutisti
libici, residui della
divisione Marmarica, una
compagnia bersaglieri e un
plotone carri M.11 (erano
appena 4).
Il
secondo settore, affidato al
generale Cona, era composto
con quanto rimaneva del XX
Corpo d’armata e andava dal
villaggio Berta sino a Sud
del Bivio El Mechili, una
forza, anche questa
raccogliticcia di 17.000
uomini, con 254 cannoni e
comprendeva: il resto della
Sabratha con il suo
comandante il generale Della
Bona, la brigata corazzata
Babini, il raggruppamento
motorizzato del colonnello
Mario Piana, composto da
2.400 uomini con 76 cannoni,
18 mortai, 62
mitragliatrici,
10 lanciafiamme,
200 automezzi e 120
motociclette; il compito di
questo raggruppamento era
quello di accorrere in aiuto
a reparti in difficoltà ove
queste avvenivano. Nel corso
del ciclo operativo a difesa
di Derna, Barce, Soluch si
formarono altri
raggruppamenti, come quello
del colonnello Mario
Bignami, del ten.colonnello
Nicolò Crucillà, il
raggruppamento Pasquali al
quale era stato aggregato
anche il battaglione
paracadutisti nazionali che
si trovava in quel momento
nei pressi di Bengasi (Uadi
Bakur) e subito trasferito
in linea, i paracadutisti
nazionali e libici
s’immolarono per proteggere
la ritirata dei resti della
10^Armata. E’ mio dovere
onorare tre di questi
paracadutisti che ho
conosciuto personalmente
sono: il sergente maggiore
Carlo Maria Milani, Adelco
Padovani (ambedue ora
deceduti) e il caporale
maggiore M.A.V.M: Luigi
Caruso (vivente) che mi
onora della sua amicizia.
Mentre
ancora si combatteva a
Tobruch, reparti di
autoblindo dell’11°Ussari e
della 4^brigata corazzata si
spinsero sino al ciglione di
Derna, scontrandosi sin dal
16 gennaio con i
paracadutisti libici del
gruppo Tonini; quel giorno
si ebbero i primi caduti per
la difesa di Derna, ma il
nemico venne respinto.
Il gruppo
mobile Tonini, al comando
della M.O.V.M. Goffredo
Tonini, era formato, come
sopra detto, dal battaglione
paracadutisti libici, cui si
aggiunsero: bersaglieri,
carristi, artiglieri e fanti
di vari reparti per un
totale di 850 uomini. Il
generale Bergonzoli aveva
affidato al gruppo Tonini il
compito di copertura,
schierandolo a difesa del
ciglione Est di Derna, dal
forte Rudero allo aeroporto
militare di El Ftéiah, sino
a quasi il bivio di el
Mechili.
I
paracadutisti nei giorni dal
14 al 29 gennaio dovettero
sostenere quasi tutto il
peso della offensiva nemica
nel settore che
presidiavano; avevano di
fronte gran parte della
6^divisione australiana e 2
reggimenti di cavalleria
blindata. I combattimenti
furono cruenti con perdita e
riconquista di postazioni;
il 29 mattina ultima
battaglia a difesa di Derna,
ma in serata, dietro ordine
del generale Bergonzoli, i
nostri paracadutisti
dovettero evacuare e
ripiegare al Villaggio
Berta, sempre restando a
copertura del grosso della
10°Armata; solo la mattina
del 30 gli australiani
entrarono in Derna ormai
deserta.
L’ultimo
combattimento sostenuto dal
Gruppo Tonini avvenne il 6
febbraio sulla via Balbia
all’altezza di Ghemines: per
proteggere le colonne in
ritirata, il gruppo si
sacrificò al completo, i
pochi superstiti vennero
catturati.
Dal
16 gennaio al 6 febbraio
1941 il gruppo ebbe 429 tra
morti e feriti, in
effetti il 50% dei suoi
effettivi.
I
paracadutisti libici
compirono gesta eroiche ne
fanno fede le numerose
decorazioni al Valore
Militare, tra le più
prestigiose: la M.O.V.M. concessa al capitano
Luigi Sartini (alla memoria)
e cito la motivazione:
Sartini
Luigi - capitano di
complemento - Scuola
paracadutisti di Libia.
“Tre
volte decorato di Medaglia
d’Argento, rifulse in ogni
combattimento per indomito
coraggio e perizia
nell’impari lotta che già da
12 giorni il gruppo
sosteneva contro le
crescenti forze corazzate
avversarie. Comandato
di un nucleo celere di
ricognizione e di
collegamento fra lontani
presidi, consapevole delle
difficoltà dell’impresa
nel’adempimento dell’arduo
compito, viene assalito da
forze nemiche preponderanti;
esaurite le munizioni e
completamente circondato,
già più volte ferito,
anziché arrendersi persiste
nella cruenta lotta
animatore indomito della
strenua difesa finchè cade,
con l’ultimo dei suoi, in
supremo corpo a corpo con
l’avversario”.
Africa
Settentrionale - 27 gennaio
1941
Medaglia
d’Argento al Valore Militare
(alla memoria) allo
Sciumbasci (caporale)
Mohamed Ali Ben Messaud,
paracadutista libico, con la
seguente motivazione:
“Mitragliere,
benché ferito, restava
inchiodato alla sua arma
continuando il fuoco finchè
veniva maciullato dai
cingoli del carro armato
contro cui sparava”.
Africa
Settentrionale - 25 gennaio
1941
Altre
medaglie:
M.A.V.M.
Tenente Guido Sainas
M.A.V.M.
Sottotenente
Mercadante Giovanni.
M.A.V.M.
Paracadutista libico
Bubaker Ramalon.
M.A.V.M.
Tenente Vedana
Angelo.
M.A.V.M.
Bulubasci (sergente)Mohamed
Jeden Ben Alì
M.B.V.M.
Tenente Ingrami
Renato
M.B.V.M.
Tenente Cenni Eritreo
(alla memoria).
Croce al
Valore Militare sottotenente
Cora Renato.
L’elenco
dei decorati é ancora
numeroso ma tempo e spazio
mi hanno momentaneamente
impedito di continuare gli
accertamenti.
Caduta Derna l’ordine fu di
ripiegare sul villaggio
Berta, ma a Sud si profilava
la minaccia della
7^divisione corazzata che
aveva oltrepassato El
Mechili, dove il suo
11°Ussari aveva sostenuto
uno scontro con la brigata
corazzata Babini, la quale
per l’inferiorità dei suoi
mezzi corazzati aveva
douto ripiegare
concentrandosi su Berta;
Graziani intuì che la
7^divisione aveva come
obiettivo Bengasi ma
arrivando dal Sud, quindi
investendo il nostro piccolo
caposaldo di Msus, che era
l’unica difesa possibile per
ostacolare quella manovra,
cercò allora d’inviare
rinforzi ma gli inglesi
arrivarono prima e nella
mattinata del 4 febbraio i
carri armati della
7^divisione corazzata
avevano già occupato quella
posizione.
Le nuove
disposizioni impartite al
generale Tellera dal Comando
superiore, furono quelle di
evitare un accerchiamento e
quindi ritirarsi su Barce,
anche perché a Nord la
6^divisione australiana
continuava ad avanzare
occupando anche Berta e
puntando decisamente su
Bengasi. Quel ripiegamento
che strategicamente venne
chiamato “deflusso“, si
dimostrò subito pieno di
difficoltà; per primo la
solita mancanza di
automezzi, Tellera disponeva
di appena 450 autocarri che
dovevano caricare circa
25.000 soldati,
l’artiglieria e il relativo
munizionamento, fu palese
che per l’occorrenza ne
servivano almeno il triplo,
anche perché il ripiegamento
doveva avvenire in un minimo
di due giorni.
Certamente il generale
Tellera si rese conto delle
gravi responsabilità in cui
veniva a trovarsi, pur
sapendo che quelle non erano
dovute a sue incapacità di
comando ed essendo anche a
conoscenza che la
7^divisione corazzata
inglese puntava da Sud su
Bengasi, prese l’iniziativa
di ordinare l’evacuazione di
Barce e Bengasi, onde
evitare che la popolazione
civile venisse coinvolta in
una cruenta battaglia.
La
ferrovia Bengasi-Soluch,
ancora in funzione, venne
utilizzata per il trasporto
di carri armati e munizioni
ma questo fino a Soluch
poiché lì terminava la
ferrovia, comunque si riuscì
con quel mezzo, a portare in
salvo, anche se con grande
confusione, molto materiale.
A Bengasi si era tentato di
fare evacuare parte della
truppa e armi con l’ausilio
delle navi, ma il piano
venne scartato, sia perché
non fu possibile avere la
protezione della nostra
aviazione, sia perché al
largo della costa bengasina,
erano appostati sommergibili
e parte della
flotta nemica.
Purtroppo restava come unica
via di ritirata,
l’autostrada Balbia, che
risultò subito intasata ed
esposta facilmente alle
incursioni nemiche
provenienti dal deserto;
onde regolare e proteggere
quel “deflusso“, dagli
improvvisi attacchi nemici,
il comandante della
10^Armata, affidò ai
raggruppamenti Bignami,
Piana, Crucillà e Pasquali
il compito di protezione
mobile, mentre le colonne
Bergonzoli e Cona dovevano
marciare parallelamente con
la massa dei soldati in
ritirata, proteggendone i
lati sia quello sulla costa
che quello che dava sul
deserto. Ma quel “deflusso“
che secondo i programmi
doveva svolgersi con un
piano ordinato, si manifestò
in una ritirata disordinata
e drammatica anche perché ai
militari, si erano aggiunti
migliaia di civili che
fuggivano dalle città di
Barce, Cirene e Bengasi. Il
problema più grave fu quello
della disgregazione dei
reparti, in cui molti
soldati avevano perduto i
contatti con le proprie
compagnie o con i loro
comandanti, inoltre si
verificarono ordini che si
accavallavano ad altri
contrastanti. Nonostante il
caos che si era generato, i
raggruppamenti ingaggiarono
spesso aspri combattimenti
con le forze nemiche,
riuscendo in molti casi a
liberare dalle sacche, che
gli inglesi avevano
provocato sulla via Balbia,
interi reparti di nostri
militari e anche colonne di
civili rimasti intrappolati.
L’attacco
determinante realizzato
dagli inglesi, fu fatto
attraverso il Gebel fra El
Carruba-El
Abiar-Regima-Msus-Antelat-Beda
Fomm-Sidi Saleh, riuscendo
ad imbottigliare i resti
della 10^Armata in ritirata
sulla via “Balbia”.
Ormai la
situazione precipitava e il
generale Tellera dette
l’ordine che i resti della
10^Armata ripiegassero su
Agedabia; frattanto la città
di Bengasi nella giornata
del 6 febbraio era stata
occupata dalla XVII e XIX
brigata della 6^ divisione
australiana che già marciava
su Soluch mentre a Sud la
7^divisione corazzata, visto
che Bengasi era stata
occupata, si diresse su
Antelat avendo come
obiettivo principale
Agedabia; purtroppo furono
così veloci nel loro
avanzamento che riuscirono a
bloccare a Beda Fomm
l’armata italiana,
chiudendola così in
una grossa sacca. Infatti la
mattina del 7 febbraio,
quella armata che fu
l’orgoglio di Graziani era
definitivamente circondata a
Beda Fomm e lì si chiuse la
sua
“via crucis“; fu
l’ultima e dura battaglia
che l’esercito italiano
sostenne a conclusione della
offensiva inglese del
9 dicembre
1940 in
cui, in una serie di
combattimenti con impari
forze e armamenti, furono
catturati migliaia di
prigionieri e grandi
quantità di materiale
militare.
Il
generale Tellera mentre alla
testa di un reparto cercava
di contrastare l’avanzata
nemica, venne
ferito gravemente,
catturato fu portato prima
in un ospedale da campo
inglese, ma essendo le sue
condizioni gravissime, i
medici inglesi decisero di
trasportarlo nello ospedale
civile di Bengasi ove
purtroppo decedeva. A
Bengasi il generale venne
assistito dal dottore
Alberto Hoffman de Vaux, il
quale pur avendo quel nome
straniero era cittadino
italiano e medico coloniale
a Bengasi sin dal 1920,
inoltre era anche dirigente
del laboratorio d’igiene
dello stesso ospedale; gli
inglesi autorizzarono il
dottore Hoffman a provvedere
alla sepoltura del corpo e
la salma del generale
Tellera avvolta nella
bandiera tricolore, che il
nostro dottore aveva tenuta
gelosamente nascosta durante
l’occupazione inglese, fu
tumulata col dovuto rispetto
ad un valoroso soldato e con
gli onori resi da un
picchetto armato inglese,
nel cimitero italiano di
Bengasi.
A
conclusione della battaglia
di Beda Fomm, il 7 febbraio
1941, furono fatti
prigionieri i generali
Bergonzoli, Cona, Babini,
Villanis e Neuroni, numerosi
ufficiali superiori e circa
20.000 soldati; di quella
che fu la 10^Armata, solo
poche migliaia di soldati di
cui 1.300 libici riuscirono
a rompere l’accerchiamento e
raggiungere la cittadina di
Misurata in Tripolitania.
Gli
inglesi si fecero un vanto
per i risultati ottenuti in
quella offensiva, da Sidi
Barrani a Beda Fomm, avevano
catturato 130.000 soldati
italiani, oltre 2.000
automezzi, un numero
considerevole di carri
armati, di cannoni e anche
viveri e distrutta una
intera armata. In seguito
toccò a loro conoscere
l’amarezza della sconfitta,
quando precipitosamente
dovettero abbandonare la Cirenaica a seguito della
offensiva italo-tedesca
dell’aprile-maggio 1941.
Corsi e ricorsi storici.
L’offensiva inglese si fermò
per ordini superiori a El
Agheila, ai margini della
Sirtica anche se il generale
O’Connor avrebbe voluto
proseguire sino a Tripoli.
Venne fermato però da Wavell
che tramite Churchill aveva
preso impegni con il governo
greco per l’invio di uomini
e mezzi da prelevare da
quanto l’Inghilterra
disponeva in Egitto; fu una
fortuna imprevista per il
maresciallo Graziani che
ebbe così la possibilità di
disporre, con quelle poche
forze che gli restavano, una
linea difensiva da Homs a
Buerath el Hsun in
Tripolitania; tra i due
schieramenti vi erano circa
500 Km.
di deserto sirtico, quello
fu anche un altro potenziale
ostacolo che fermò
l’avanzata dello esercito
inglese di O’Connor.
Certamente la grande
vittoria di quella poderosa
offensiva inglese và
attribuita in parte al
generale Wavell ma anche al
Primo ministro Winston
Churchill, il quale pur
gravato da impegni politici
e militari quali la
probabile invasione tedesca
dell’Inghilterra, la tragica
situazione militare della
Grecia ove si era impegnato
a fornire aiuti, la rivolta
araba in Siria e in Iraq, si
prodigò di fare pervenire a
Wavell il maggior numero di
uomini e mezzi, sottraendoli
parte dall’Inghilterra e
parte dai Dominions e dal
Commonwealth.
L’8
febbraio 1941 Graziani
amareggiato, stanco,
demoralizzato e con un
avvilente stato d’animo per
una disfatta che non
meritava, chiedeva l’esonero
del comando dell’A.S. e
rientrava in Italia,
affidando il comando al
generale Italo Gariboldi;
Graziani rinunciò anche alla
carica di capo di Stato
Maggiore Esercito, lo
sostituì il sottocapo
generale Mario Roatta.
Una breve
traccia sull’operato del
maresciallo d’Italia Rodolfo
Graziani, ovviamente esposta
dall’autore in base a quanto
letto su numerosi testi
scritti da veri storici, sia
italiani che stranieri;
naturalmente mi verrà subito
posta la domanda del perché
Graziani si fermò a Sidi
Barrani e non proseguì
oltre, quando ormai l’armata
inglese attuava una ritirata
strategica, tanto da
potere facilmente
giungere ad Alessandria! La
risposta il lettore l’ha già
avuta in questo capitolo, ma
torno a ripetere che
Graziani non poté avanzare
oltre quella località,
perché mancava dei mezzi
necessari, come automezzi,
autocisterne per
l’approvvigionamento
dell’acqua, carri armati
idonei, artiglieria moderna
ma soprattutto di carburante
e di un servizio logistico
efficiente. Perché? Perché
nonostante le sue numerose
richieste di materiale
idoneo a una guerra nel
deserto, Roma gli aveva
negato gli aiuti necessari,
in quanto si era buttata
nella disastrosa campagna di
Grecia, guerra che aveva
assorbito a dismisura
automezzi, aerei, cannoni,
pochissimo era stato inviato
in Libia pure essendo il
fronte più importante.
Sidi el
Barrani strategicamente non
diceva nulla, era una
località desertica, aperta a
tutti gli attacchi e
difficilmente era nella
possibilità di essere
difesa, quella conquista non
aveva risolto nulla, solo un
effetto propagandistico per
il popolo e la conquista di
un centinaio di chilometri
di territorio nemico e di
questo Graziani ne fu
convinto e certamente, se
avesse avuto i mezzi non
sarebbe stata quella la meta
che intendeva raggiungere.
Graziani
era un condottiero che mai
aveva tentennato quando si
lanciava nelle sue imprese
militari, mai aveva
sbagliato i suoi calcoli di
attacco, era un maestro
nell’arte della guerra,
soprattutto per quella nel
deserto che conosceva
benissimo, ne fa fede anche
il giudizio espresso da
parte straniera, nella
persona del generale
francese Charles Nogues, che
fu governatore generale del
Marocco e in seguito
comandante supremo di tutte
le forze francesi del
Marocco francese, il quale
riconosceva in Graziani un
maestro nella guerra del
deserto; in un accenno sulla
disfatta italiana in
Cirenaica e nel fare un
raffronto tra l’operato di
Graziani con quello del
generale Wavell, così si
esprimeva..........” uno
dei fattori principali e
determinanti di quella
disfatta fu nella “potenzialità”
che in una guerra moderna ha
un valore fondamentale, è
anche vero che un comandante
debba conoscere a fondo il
suo mestiere di soldato ma è
anche vero che egli debba
avere in una battaglia, i
mezzi superiori a quelli
dell’avversario, con una
massa di mezzi meccanizzati
e con la partecipazione di
una potente aviazione.......questo
Graziani, pur essendo un
grande stratega, non potè
contrapporli al generale
Wavell, quindi la “vittoria”
inglese bisogna andarla a
ricercare nel trinomio “
velocità-potenza- numero.....”
Graziani
nel confronto con Wavell,
aveva il solo vantaggio nel
numero dei soldati, ma
questi erano male armati;
era nettamente inferiore nei
carri armati per numero e
qualità, nei cannoni
contrapposti come modernità
all’obsoleta qualità del
passato, ma soprattutto
nella aviazione, da qui la
causa della disfatta.
L’Italia
all’epoca non possedeva
idoneo materiale in carri
armati e cannoni (non lo
avrebbe posseduto per tutto
il restante corso del
conflitto ed aveva una
limitata disponibilità come
automezzi, mancava
l’addestramento, le dottrine
d’impiego, la filosofia
della guerra moderna. Le
FF.AA. italiane erano già
perdenti ancor prima di
esserlo in battaglia e lo
avrebbe dimostrato in tutte
le sue campagne di guerra
durante il 2° Conflitto
Mondiale.
Roma nel giudicare Graziani
non tenne conto di quella
inferiorità, da loro causata
e lo mise sotto processo.
Mussolini in un commento con
Galeazzo Ciano nel marzo del
1942, così si espresse su
Graziani quando questi gli
presentò il suo “Memoriale“
a difesa dell’operato in
Africa Settentrionale dal
1940 al 1941...........”
a Graziani addosso tre gravi
colpe causate all’Italia:
per prima la disfatta in
Cirenaica del dicembre
1940-febbraio 1941, che ci
procurò la perdita di
prestigio dell’esercito
italiano; la seconda quella
che a seguito della disfatta
fummo costretti
a
chiedere l’aiuto e
l’intervento tedesco in
Libia; la terza la perdita
dell’Impero........”
Tre
fantasiose accuse..... la
disfatta fu un grave errore
dello Stamage e di
conseguenza di Mussolini
perché sottovalutarono il
fronte libico e non
provvidero all’invio di
tutto quel materiale
militare che prima Balbo e
poi Graziani chiedevano;
riguardo l’intervento
tedesco, sin dallo agosto
del 1940 Hitler aveva avuto
una giusta intuizione nel
tentennamento di Graziani di
sferrare l’offensiva causa
la scarsezza dei mezzi, così
propose a Mussolini l’invio
in Libia di due divisioni
tedesche con artiglieria e
carri armati, ma ricevette
un netto rifiuto da parte
dello Stamage; ancora il
4 ottobre del 1940, nello
incontro al Brennero tra
Mussolini e Hitler, ove il
Duce annunciava al capo del
nazismo la fulminea
conquista di Sidi Barrani ed
esponeva le altre due fasi
della avanzata imminente,
quali la conquista di Marsa
Matruch e Alessandria,
Hitler ripropose l’invio in
Libia delle due Panzer
divisioni, Mussolini pur
ringraziando pose altro
rifiuto; risultato di quei
rifiuti: la inevitabile
disfatta. La perdita
dell’Impero, anche per
questo argomento Mussolini
lo giustifica con la mancata
conquista dell’Egitto da
parte di Graziani, in quanto
conquistando l’Egitto e in
seguito il Sudan, gli
inglesi che operavano in
Africa orientale, sarebbero
stati costretti a ripiegare
in Kenia, mentre quelli
impegnati in Egitto,
avrebbero dovuto ritirarsi
in Palestina, di conseguenza
noi avremmo avuto un
collegamento diretto tra
Libia-Egitto-Sudan-Eritrea-Etiopia-Somalia;
conclusione non avendo
Graziani conquistato
l’Egitto, la salvezza
dell’Impero sfumò.
Erano
soltanto illusioni in
contrasto con la realtà. Fu
allora palese che Mussolini
cercava un capro espiatorio
per giustificare quella
amara sconfitta sia in
Africa Settentrionale che in
Africa Orientale, quindi fu
facile scegliere Graziani
come solo colpevole in
quanto ormai era un generale
sconfitto, ma
incredibilmente non toccò i
veri responsabili di quella
guerra perduta che erano
installati a Roma ai vertici
del comando, molti di
costoro non avevano la
minima conoscenza del
territorio libico ad
eccezione di Badoglio che vi
aveva combattuto durante la
guerra del 1911 e poi, dal
dicembre del 1928 al gennaio
del 1934, ne era stato il
governatore.
A metà
febbraio gli inglesi avevano
ormai occupato quasi tutta la Cirenaica, ma restavano
ancora in armi, sia pure
isolati, i presidi di Cufra
e Giarabub ai quali non fu
possibile realizzare il
ripiegamento verso la linea
difensiva di Agedabia per
l’enorme distanza, ma
soprattutto perché quel
ripiegamento doveva essere
compiuto in pieno deserto e
allo scoperto; infatti il
percorso da Cufra ad
Agedabia era di oltre
1.000 Km.
che toccava l’oasi di Gialo,
poi Augila, Marada e infine
Agedabia e in quei
1000 Km.,la
guarnigione di Cufra sarebbe
stata senz’altro attaccata
dai reparti del Long Range
Desert Group e facilmente
distrutta. Per la
guarnigione di Giarabub pur
essendo il suo percorso,
sempre in pieno deserto, di
circa
600 Km.,
toccando anch’essa Gialo,
Augila, Marada e Agedabia,
era più esposta agli
attacchi dell’aviazione
nemica e non tanto a quelli
del L.R.D.G.; comunque
nonostante che i due
comandanti dei presidi
avessero ricevuto l’ordine
da Graziani di evacuare,
questi, valutando i rischi
di un attraversamento del
deserto, decisero di
resistere sul posto, pur
sapendo che non potevano
contare sull’aiuto della
10^Armata, ma con tale
decisione condannavano se
stessi ad un sicuro destino.
L’oasi di
Cufra, in arabo Al Jawf,
dista da Tobruch oltre 1.000 Km., posta su un
altopiano di circa
270 metri
sul livello del mare, fa
parte di un sistema
ambientale di 5 altre oasi,
sparse in un raggio di 500
Kmq. Essa si trova allo
estremo Sud della Cirenaica,
la sua popolazione era
composta in maggioranza da
berberi nomadi e sedentari,
appartenenti alla tribù
degli Zueia un tempo
predoni, da negri ex schiavi
e da pochi individui arabi,
giunti verso il 1870 al
seguito della setta
religiosa della Senussia.
Altra nota storica: nel 1931
Cufra venne occupata dalle
truppe italiane durante la
riconquista della Cirenaica
anche allora guidate dal
generale Graziani.
Allo
scoppio della Seconda Guerra
mondiale, l’oasi di Cufra
che era presidiata da due
compagnie mitraglieri, una
compagnia Sahariana
(meharisti), una batteria
mitragliere da
20 mm.
e una batteria cannoni da
65/17, non potè essere
rinforzata durante la
controffensiva di Wavell; il
comando era tenuto dal
capitano Mattioli. Il
presidio
disponeva anche di un
aeroporto militare con una
squadriglia di aerei
Ghibli,l’aeroporto come
sopra accennato, venne usato
per circa un anno quale base
aerea del S.A.S. per i
rifornimenti in Africa
Orientale.
L’isolamento di Cufra ebbe
inizio nei primi giorni del
gennaio 1941, subendo
sporadici attacchi da parte
di soldati francesi,
degollisti di “Francia
libera”, di base nel Ciad
che con il Gabon, Senegal e
il Congo francese, avevano
aderito al proclama del
generale De Gaulle che non
aveva voluto accettare
l’armistizio della Francia.
Il primo
attacco avvenne all’alba
dell’11 gennaio da parte del
Long Range Desert Group che
il giorno prima aveva
attaccato il nostro presidio
di Murzuch, riuscendo a
distruggere alcuni aerei,
nel rientrare alla loro base
fecero una puntata anche a
Cufra.
Il
secondo attacco il 13
gennaio, fu compiuto da un
gruppo camellato francese
contro la stazione dei
Carabinieri nell’oasi di
Tegheri, ma venne
considerato dai francesi
come piccola azione
dimostrativa.
Il 31
gennaio il Long Range Desert
Group al comando del
maggiore Clayton ritornò
all’attacco, anche questa
volta il nemico venne
respinto e inseguito oltre
Cufra, gli inseguitori al
comando del capitano
Mattioli catturarono il
maggiore Clayton, l’artefice
di tutte le precedenti
incursioni del famoso
reparto inglese.
Per la
seconda volta all’alba del 8
febbraio una compagnia
francese al comando del
colonnello Leclerc, partita
dalla base di Maaten es
Sarra nel Ciad, attaccò
Cufra di sorpresa e il suo
aeroporto
distruggendo due
aerei Ghibli, ma la pronta
reazione della guarnigione
riuscì a respingere
l’attacco; i francesi benché
continuamente mitragliati
dai pochi Ghibli non
danneggiati, ripiegarono,
con poche perdite, verso la
loro base di partenza.
Nota
storica: il colonnello
Leclerc non era altro che il
ten.colonnello De
Hauteclocque, che essendosi
ribellato al governo
francese di Vichy era
passato agli ordini di De
Gaulle, onde evitare
rappresaglie alla sua
famiglia che risiedeva in
Francia, Leclerc prese quel
nome di battaglia e nel
contempo venne nominato dal
generale De Gaulle
governatore del Ciad e per
prestigio venne autorizzato
a fregiarsi del grado di
colonnello. ( 10 )
il 18
febbraio 1941, il colonnello
Leclerc con forze più
numerose e motorizzate,
armato di artiglieria
pesante ritenta la conquista
di Cufra; il nostro presidio
rinchiuso nel forte sostenne
per due settimane un duro
assedio, ma ormai senza più
munizioni, viveri e
medicinali, in quanto i
rifornimenti aerei erano
cessati sino dai primi
giorni di febbraio, la
guarnigione fu costretta a
capitolare il 1°marzo,
vennero catturati 11
ufficiali, 15 tra
sottufficiali e soldati
nazionali e 260 soldati
libici, di cui 19 di questi
riuscirono a evadere e a
raggiungere Agedabia.
L’odissea
della guarnigione di
Giarabub fu anche più
drammatica di quella di
Cufra, ma prima di dare
corso alle vicende belliche
del 1940-1941 che
interessano quella località,
vorrei che il lettore
venisse a conoscenza della
sua storia,
antecedente alla
Seconda Guerra Mondiale.
Giarabub, in arabo si
pronuncia “Al Jaghbub”,
chiamata anche Oasi di
Faregda, é situata a circa
270 Km.
dalla costa cirenaica (Bardia),
storicamente é la più
conosciuta di tutte le oasi
della Cirenaica, il suo
passato fu legato sia a un
fattore religioso che a
quello diplomatico; infatti
sino dal 1787 divenne sede
della Confraternita
religiosa della Senussia che
lì fondò la sua prima Zawia
(luogo di meditazione e
scuola di adepti). Nel 1915,
durante la Prima Guerra
mondiale, gli inglesi la
tolsero
al
Senusso in quanto questi si
era alleato con la Turchia a sua volta alleata
della Germania; nel
1925 a
seguito di un lungo lavoro
della diplomazia italiana e
inglese, il governo
britannico decise di
consegnare Giarabub
all’Italia che ne entrò in
possesso il 6 dicembre 1925.
Il
governo italiano di allora,
che non aveva ancora
completata la pacificazione
di tutta
la Cirenaica,
ben sapendo che Giarabub era
un centro nevralgico di
transito carovaniero che
dall’interno si spingeva
sino sulla costa, pensò di
fortificare l’oasi
costruendo un forte posto su
un promontorio e con una
guarnigione composta da un
reparto sahariano di circa
90 uomini, inoltre venne
approntato un piccolo
aeroporto per il servizio
aereo di sorveglianza del
confine.
Allo
scoppio delle ostilità, come
sopra già detto, la
guarnigione venne
rafforzata.
Giarabub
sin dai primi giorni di
guerra subì gli attacchi
inglesi e fu posta anche
sotto assedio, ma essendo
regolarmente rifornita dalla
aviazione del necessario per
vivere e combattere,
l’assedio non creò gravi
problemi. L’assedio si ruppe
con l’avanzata di Graziani
su Sidi Barrani,il presidio
fu maggiormente rafforzato
con quattro compagnie
Guardia alla frontiera,
quattro compagnie sahariane,
una compagnia cannoni da
47/32, una batteria da
77/28, sedici mitragliere da 20 mm., un reparto del genio e
uno di sussistenza, con
quella nuova forza il
Comando superiore pensò che
il nemico avrebbe avuto
grande difficoltà nei futuri
attacchi; purtroppo le
difficoltà arrivarono alla
guarnigione italiana con la
offensiva di Wavell del
9 dicembre 194O, i
rifornimenti aerei non
ebbero più la dovuta
regolarità, la pressione
nemica si fece sempre più
pesante, Wavell vista
l’eroica resistenza della
guarnigione, aumentò lo
schieramento di assedio con
la 8^brigata corazzata, così
da farla capitolare prima
possibile e di là aprire una
nuova linea di attacco
contro la 10^Armata, in modo
da colpirla alle spalle.
Da parte
loro gli inglesi non
sottovalutarono la posizione
strategica di Giarabub, in
quanto essa sbarrava le
piste carovaniere e quella
automobilistica che
collegavano l’oasi di Gialo,
di Augila, di Marada sino ad
El Agheila ed ecco quindi la
necessità e l’importanza di
conquistare subito Giarabub,
così da venire ad avere via
libera in tutto quel settore
desertico.
Il piano
inglese venne però a sfumare
per la tenace resistenza del
nostro presidio che per
oltre tre mesi riuscì a
fronteggiare le poderose
offensive del nemico.
La
guarnigione era comandata
dal maggiore Salvatore
Castagna, che per il suo
valoroso comando venne
promosso sul campo a tenente
colonnello mentre ancora si
trovava assediato; la difesa
era concentrata sul forte
che era in una posizione
dominante, nel cui perimetro
intorno ad esso, il
comandante Castagna aveva
predisposto una linea
difensiva lunga 4 Km. con 4 capisaldi, protetti da un fosso
anticarro e campi minati, ma
solo verso la parte che dava
sul confine egiziano
distante appena
30 Km.;
entro quel perimetro si
trovava il campo di
aviazione che svolgeva anche
il compito di rifornimento
di Giarabub, presidiato da
una ventina di avieri che
poco poterono fare per
difenderlo, infatti dopo i
primi attacchi ripiegarono
dentro il forte.
La forza
del presidio era composta da
1.350 soldati nazionali e
750 libici ma quando la
situazione cominciò a
diventare critica e
disperata, il ten.colonnello
Castagna dietro ordine di
Graziani, smobilitò il
contingente libico, così da
renderli liberi di
raggiungere le loro famiglie
ed anche per evitare
diserzioni, però 60 di loro,
soldati veramente
fedelissimi, chiesero di
restare subendo morte e
prigionia.
I
rifornimenti aerei che
inizialmente all’assedio
erano quasi quotidiani,
cessarono il 4 febbraio e
solo il 27 febbraio e il
17 marzo un nostro aereo,
sfidando la presenza della
aviazione inglese, riuscì a
paracadutare viveri,
medicinali e munizioni, ma
nonostante questa impresa
rischiosa quanto ricevuto
non fu sufficiente a sfamare
la truppa, che da mesi aveva
la razione giornaliera
dimezzata, i medicinali non
furono abbastanza per curare
i feriti, il problema più
grave era la ridotta
disponibilità di munizioni
che scarseggiavano, tanto
che i cannoni, quando gli
inglesi sferrarono l’attacco
risolutivo, non poterono
sparare per mancanza
di proiettili.
Quell’attacco durò ben 3
giorni il 16-17-18 marzo e
l’avversario vista la
resistenza italiana
decisa a non mollare,
fece intervenire un altra
brigata, la 18^australiana
per avere finalmente ragione
sui difensori;, fu un
combattimento risoltosi
all’arma bianca poiché i
difensori di Giarabub non
avevano più munizioni;
durante l’attacco finale il
comandante Castagna venne
ferito gravemente; solo nel
pomeriggio del 19 l’eroica
resistenza della guarnigione
crollò e dovette arrendersi
al nemico, che concesse ai
superstiti gli onori
militari sul campo; in quei
mesi di assedio oltre 400
furono i morti e feriti, il
resto subì con il suo
comandante la lunga
prigionia.
Oggi
Giarabub, per tutti i
combattenti italiani della
Seconda Guerra mondiale e
per la nostra storia
militare, suscita un fiero e
commovente ricordo; nel 1941 in Italia, l’epica
resistenza di Giarabub,
venne ricordata anche con
una canzone intitolata
“La
Saga di
Giarabub“. ( FOTO N°11
)
Il
generale Wavell dopo aver
completata l’occupazione
della Cirenaica, sistemate
le sue truppe nella zona di
Agedabia, con avamposti a El
Nofilia, era venuto a
conoscenza che Graziani
disponeva in quel momento di
solo cinque divisioni della
5^Armata:
la Pavia,
la Brescia, la Savona, la Bologna e i resti della
Sirte; divisioni ridotte sia
negli uomini che negli
armamenti in quanto avevano
dovuto cederli alla
10^Armata, allora resosi
conto che per almeno tre
mesi non doveva temere
alcuna offensiva da parte
italiana, poiché Graziani
per attaccare, era costretto
ad attendere gli aiuti
dall’Italia e gli inglesi
erano anche al corrente
delle difficoltà e
lungaggini burocratiche che
affliggevano l’invio di quei
rifornimenti, dispose quindi
il ritiro dal fronte, per un
lungo periodo di riposo,
della 7^divisione corazzata
che era quella maggiormente
provata e rimasta con pochi
carri armati mal ridotti per
il lungo uso, sostituendola
con metà della 2^divisione
corazzata, comandata dal
generale M.D.Gambier Parry,
poiché l’altra metà era
stata inviata in Grecia a
seguito degli accordi di
aiuti con quel governo;
questa divisione non aveva
ancora avuto esperienza di
guerra nel deserto. Anche la
6^divisione australiana
venne sostituita dalla
9^divisione sempre
australiana, comandata dal
generale Leslie Morshead, ma
anch’essa con nessuna
conoscenza della guerra nel
deserto; della 6^ una parte
venne inviata in Grecia,
l’altra fu tenuta a
disposizione. Le truppe
inglesi dislocate in Grecia
furono messe agli ordini del
generale Wilson, che
lasciava il comando
dell’Armata
inglese in Egitto e
quello di governatore
generale della Cirenaica,
dove subentrava il generale
O’Connor.
Il corpo
di spedizione inglese in
Grecia, oltre ad alcuni
reparti della 2^divisione
corazzata, era formato da un
gruppo corazzato al comando
del generale
H.U.S.Charrington, da una
divisione neozelandese del
generale Freyberg, parte
dalla 6^divisione
australiana, al comando del
generale Iven Mackay e una
brigata polacca, più
elementi dei servizi
logistici; pare che la forza
di quel corpo ammontasse,
secondo i servizi segreti
italiani, a circa 100.000
unità (in realtà, dopo la
guerra, da ricerche storiche
venne stimata a 60.000
uomini).
Quando il
28 aprile del 1941 il
generale Wavell dovette
ritirare dalla Grecia quello
che rimaneva del suo corpo
di spedizione per
trasferirlo a Creta, a
seguito della travolgente
occupazione tedesca, la
situazione si presentò molto
disastrosa e con la caduta
di Creta, occupata dai
paracadutisti tedeschi,
questa diventò ancora più
pesante; gli inglesi ebbero
13.000 tra morti, feriti e
prigionieri, inoltre
dovettero abbandonare
104 carri armati,
400 cannoni, 1800
mitragliatrici e 8000
automezzi; l’aviazione da
parte sua perdette oltre 200
aerei e la marina 21 navi.
E’ onesto affermare che
quelle perdite ebbero un
peso determinante nella
disfatta di Wavell a seguito
della successiva offensiva
italo-tedesca; certamente se
quelle forze fossero state
impegnate in Libia ed Egitto
anzicché in Grecia,
l’avanzata di Rommel non
sarebbe stata così facile e
travolgente.
Altri
cambiamenti avvennero in
quel periodo: il XIII Corpo
d’armata inglese che aveva
combattuto per tutta
l’offensiva di Wavell, venne
sciolto e incorporato nel
1°Corpo d’armata australiano
il cui comando fu affidato
al generale Blamey, in
seguito questo corpo
prenderà la denominazione di
8^Armata e il XIII°C.A.
verrà ricostituito.
I servizi
segreti inglesi erano venuti
a conoscenza tramite ULTRA,
di un probabile invio in
Libia di due divisioni
tedesche, il generale Wavell
ne venne informato ma
certamente, nella
convinzione che queste non
potevano essere messe in
linea prima di tre mesi, si
dedicò agli aiuti alla
Grecia, e questa sua
leggerezza gli costò cara.
Nei primi
giorni di febbraio 1941,
precisamente il 12, sbarcava
a Tripoli una prima parte
della 5^divisione leggera
tedesca (precisamente il
3°battaglione da
ricognizione), il 14
febbraio quasi tutta la
5^divisione aveva completato
gli sbarchi. Già dal giorno
12 era arrivato in Libia, a
mezzo via aerea, anche il
generale Erwin Rommel,
futuro comandante
dell’Afrika Korps, poco
conosciuto dagli inglesi,
quasi sconosciuto dai nostri
generali, anche se nel giro
di un mese del suo arrivo in
Libia diventò uno
straordinario “personaggio”,
poichè fu un comandante
ardito e geniale, come lo
aveva già dimostrato in
Francia durante
la Campagna
1940. ( FOTO N° 12-13
)
Rommel, a
differenza di molti
generali, fu sempre in prima
linea in mezzo ai suoi
soldati, esortandoli con
l’esempio al combattimento,
chiedendo loro il massimo
rendimento; nel corso di una
battaglia si spostava da un
punto all’altro per il
fronte onde individuare i
punti deboli del nemico, ma
quello che aveva creato il
carisma di Rommel, era
l’ardire di un generale che
aveva “violato“ le secolari
leggi del deserto, inoltre
nel prevedere per istinto le
mosse del nemico, istinto
che non lo ingannò quasi mai
e spesso gli assicurò la
vittoria; altro successo di
Rommel fu quello di avere
imposto la sua indiscussa
tattica personale agli Alti
comandi di Berlino e Roma.
Lo stesso
Winston Churchill in un suo
discorso alla Camera dei
Comuni,nel gennaio del 1942
così definì l’operato di
Rommel in Libia ..........”
noi abbiamo di fronte un
avversario audace e abile e,
se posso dirlo al disopra
delle strategie di guerra, è
un grande generale.....”,
anche se Rommel dimostrò
eccellenti doti di tattica e
più carenti qualità di
condottiero strategico, come
ad esempio dimostrò
Kesselring sicuramente più
completo e affidabile.
Rommel
appena messo piede sul suolo
libico, non perse tempo,
pochi giorni dopo era già in
volo sul deserto sirtico in
ricognizione aerea, per
rendersi conto del terreno
sul quale doveva operare,
per avere una idea delle
strade, delle piste
esistenti e delle
infrastrutture disponibili.
Ebbe subito i primi
contrasti circa la
conduzione della guerra con
il generale Gariboldi, al
quale era formalmente
sottoposto; sconvolse gli
antiquati schemi strategici
inglesi e italiani, prese in
mano le redini delle
operazioni e da maestro
dell’arte militare quale si
reputava e in effetti lo
era, decise di testa sua e
agì d’impulso nello
attaccare subito gli inglesi
con la sua 5^divisione, pur
non completa e con le poche
truppe italiane di stanza in
Tripolitania, anche se ne
aveva constatato la tragica
situazione militare,
materiale, d’armamenti e
addestrativa; questo stato
di cose non lo scoraggiò,
poiché era convinto che gli
inglesi non si trovassero in
migliori condizioni, con un
esercito che si era logorato
negli oltre 800 Km. di avanzata e lontano
dalle basi di rifornimento.
Ricordo
ancora oggi,l’imponente
sfilata di quella
5^divisione lungo la via
principale di Tripoli,
l’enorme meraviglia e
ammirazione che essa destò
in noi italiani di Libia,
nel vedere quei soldati bene
armati, impeccabili nelle
loro divise coloniali (idonee
al clima africano) ma
soprattutto quello che
impressionò, furono i
possenti carri armati
esibiti che mettemmo subito
al confronto con i nostri
modesti L.3 e M.11; avemmo
in quel momento la certezza
della vittoria, perché con
quella presenza, era mutata
l’atmosfera depressiva che
ci aveva colto con la
perdita della Cirenaica, non
si poteva perdere una guerra
con un alleato così potente,
così baldanzoso e così ben
armato !
Vorrei
citare anche l’impressione
di ammirazione che
quell’arrivo suscitò nei
giovanissimi italiani di
Libia, ecco come ricorda
quell’evento il concittadino
e carissimo amico Toni Tinti,
che aveva allora appena 10
anni, in un suo articolo
apparso recentemente sulla
Rivista “Il reduce d’Africa“
diretta da un valoroso ex
combattente Guido Costabile.
Toni così scrive .........”
che giorno fu mai quello!!!
Tutta Tripoli era in
festa, in un sventolio di
bandiere, la folla gremiva
le strade, erano arrivati i
soldati tedeschi che si
sarebbero uniti ai nostri
soldati per cacciare gli
inglesi che occupavano la
nostra Cirenaica.
Io
mi trovavo, in attesa della
sfilata, in Corso Sicilia
che era una grande strada,
dalla quale avrebbe avuto
inizio la sfilata;
finalmente dopo una
impaziente attesa, ecco
apparire, prima la fanfara
dei bersaglieri seguita da
un reparto della divisione
Ariete, che nel corso della
guerra in territorio
africano, dette un alto
contributo di vite umane e
di atti eroici, poi i nostri
piccoli carri armati e le
truppe libiche con le loro “taghie”
rosse.....
(la “taghia“ era il
caratteristico copricapo che
distingueva il soldato
libico da quello nazionale,
aveva la forma di una grande
“papalina“ di colore rosso
con un fiocco azzurro)......ed
ecco infine i soldati
tedeschi nelle loro uniformi
kaki così nuove, pantaloni
lunghi rimboccati in
eleganti stivaletti, alcuni
reparti con cappellini a
visiera sormontati da
occhiali speciali per
proteggesi dal sole e dalla
sabbia del deserto, altri
invece con casco coloniale.
Tutto era diverso e ogni
mezzo, ogni reparto
suscitava l’ammirata e
rumorosa approvazione della
folla; ricordo che effetto
incredibile mi fecero i
cannoncini anticarro,
piccoli ed eleganti, montati
su ruote gommate.....( i
nostri residuati della Prima
Guerra mondiale avevano le
ruote in legno con i
cerchioni di ferro, al
massimo ruote con gomma
ripiena ).......seguivano
centinaia di motociclette e
motosidecar su cui erano
montate le moderne
terribile macchina da guerra..........”
Frattanto
era sbarcata a Tripoli, la
divisione corazzata Ariete,
anch’essa non completa negli
organici e con appena 60
carri L.3, al comando del
generale Ettore Baldassarre,
in seguito sostituito dal
generale Giuseppe De
Stefanis, in quanto posto al
comando
del XX Corpo
d’armata. La divisione, in
Italia, era stata
incorporata nella 6^Armata,
denominata Armata del Po,
orgoglio di Mussolini, in
quella armata fecero parte
altre due divisioni
corazzate,la “Centauro“ e la
“Littorio“, trasferite in
seguito in Libia (tra il
1941 e la metà del 1942).
L’Ariete appena sbarcata fu
prima trasferita a Zavia,
località a
42 Km.
da Tripoli, per una fase di
riordino e ambientamento e
assegnata al X Corpo
d’armata al comando del
generale Alberto Barbieri;
dopo pochi giorni, in data 9
marzo 1941, venne
ufficialmente aggregata alla
5^divisione leggera tedesca
e affidata, come comando di
collegamento operativo, al
tenente colonnello Schwerin,
ma restando alle dipendenze
del X Corpo d’armata; Rommel
la schierò tra Sirte e
Buerath el Hsun sulla costa.
A quella
data l’Ariete era così
costituita:
8° reggimento bersaglieri,
su tre battaglioni ( III-V e
XII );
3
compagnie artiglieria
controcarro da 47/32;
132°reggimento carristi, su
3 battaglioni carri L.3;
2
gruppi artiglieria da
campagna a traino meccanico
da 75/27;
1
autoreparto misto con
unità di servizio;
complessivamente aveva una
forza di 6.100 uomini.
L’armamento divisionale era
di: 117 carri veloci L.3 (ma
in Libia giunse con soli 60
di quei carri gli altri
arrivarono in un secondo
momento, quando la divisione
era già in zona di
operazioni), con quei carri
modesti e inutili che allora
erano tra i più scalcinati
d’Europa, i nostri carristi
compirono eroismi,
ingaggiando impari battaglie
contro i più potenti e
meglio armati carri inglesi.
Vi erano
inoltre:
29 carri
lanciafiamme;
24 pezzi
controcarro da 47/32;
16
mitragliere da
20 mm.;
760
automezzi e 700
motociclette.
Nota:
mentre l’Ariete era ancora
in Italia, gli fu tolta una
buona parte della sua
artiglieria che venne
inviata in Libia ad altre
divisioni, artiglieria che
l’Ariete mai recuperò,
nonostante fosse ormai sul
posto.
Vorrei
che il lettore ponesse
attenzione alla differenza
sostanziale di uomini e
mezzi tra la nostra Ariete e
la 5^divisione leggera
tedesca che così era formata:
3 gruppi
esploranti, composti da 2
compagnie autoblindo, una
compagnia motociclisti e una Compagnia
armi pesanti PAK(controcarro),
con pezzi da 50.
2
battaglioni mitraglieri
ciascuno formato da 2
compagnie, montati su
motosidecar BMW/Zundapp.
un
reggimento corazzato su 3
battaglioni Panzer M.III/IV;
un gruppo
artiglieria
controcarro con pezzi
da 37 e 88;
un reparto
trasmissioni più il comando
rifornimenti e unità di
servizio.
L’armamento divisionale
comprendeva:
27 autoblindo,
55 carri armati MK III e 28
carri MK IV da 25 tonnellate;
1.800
mezzi di trasporto
tra auto e cingolati;
110 pezzi
controcarro.
La forza
in uomini era di 9.300.
Nonostante tale differenza
di uomini e mezzi, l’Ariete
prese parte a combattimenti
anche più cruenti e impari
di quelli sostenuti dalla
5^divisione leggera.
Con
l’arrivo della 5^divisione
leggera, comandata dal
generale Streich, era giunto
in Libia anche il X
Fliegerkorps della aviazione
tedesca del generale
Froelich, che prese base
negli aeroporti della
Mellaha, di Sorman e Castel
Benito.
L’aviazione
tedesca dette subito un valido
aiuto con il trasportare,
truppe italiane
(divisioni Brescia, Bologna e
Pavia) da Tripoli alla zona di
Sirte,utilizzando trimotori
Ju.52, superando così facilmente
e velocemente la distanza di 500 Km. che con i pochi
automezzi a disposizione della
5^Armata le tre divisioni
avrebbero messo almeno un paio
di settimane per coprire quella
distanza; Rommel aveva fretta di
attaccare e passare all’azione
ed ecco perché chiese l’aiuto
della sua aviazione.
Alla vigilia
della offensiva primaverile
italo-tedesca, Rommel disponeva
di circa 29.000 uomini, di 231
carri armati pesanti, 117
leggeri, di 22 autoblindo,
72 cannoni da campagna e
220 controcarro; la forza in
uomini era così suddivisa: 9.000
tedeschi della 5^divisione
leggera, 5.000 fanti della
divisione Brescia, circa 6.000
della Ariete, poco più di 4.000
della Pavia e altrettanti della
Bologna; come si può notare la
presenza italiana era una forza
modesta, eterogenea, con poca e
insufficiente disponibilità di
automezzi.
La maggiore
presenza di Panzer era dovuta
all’apporto della
15^panzerdivision giunta nel
frattempo in Libia.
Il
20 febbraio la 5^divisione
leggera e le divisioni Brescia e
Ariete erano già schierate nella
zona di Sirte, più arretrate le
divisioni Pavia e Bologna,
mentre la difesa della città di
Tripoli e tutto il settore, che
da Zuara (Zuwarah)portava a Homs
(Al Khums), era stato affidato
alla divisione Savona ed ai
resti della divisione Sirte.
Nella giornata del 24, pattuglie
tedesche e italiane ebbero i
primi scontri con gli avamposti
nemici a El Nofilia, gli inglesi
furono costretti a ripiegare
verso El Agheila; Rommel aveva
affidato il comando di quel
tratto di fronte al generale
Johannes Streich, comandante
della 5^divisione leggera.
Il 10 marzo
Rommel fu chiamato a rapporto al
quartiere generale del Fuhrer in
Germania per esporre il suo
piano di guerra in Libia. Ebbe
all’OKW (l’equivalnte STAMAGE
italiano) contrasti di vedute
per il suo personale
comportamento aggressivo su come
intendeva condurre la sua guerra
in Africa, scontrandosi prima
con il feldmaresciallo von
Brauchitsch, poi con il generale
Halder capo di Stato Maggiore
dello esercito tedesco, i quali
gl’intimarono di non effettuare
alcun attacco decisivo prima
della fine di maggio; Rommel si
lamentò con Hitler per quegli
atteggiamenti e degli “scarsi
mezzi che gli erano stati
assegnati”, chiese anche
maggiore libertà di azione,
Hitler lo accontentò e in quella
occasione lo decorò con l’alta
onorificenza militare tedesca: la Croce di ferro con “Fronde di
Quercia“.
Rientrato il
14 marzo presso il suo comando a
Sirte, organizzò, con il suo
Stato Maggiore, un nuovo e più
articolato piano di attacco,
basato soprattutto
all’arrivo in Libia della
15^panzerdivision e della
divisione motorizzata italiana
Trento comandata dal generale
Giuseppe De Stefanis.
Con l’arrivo
della 15^ e con la presenza
della 5°divisione leggera, il
corpo di spedizione tedesco,
prese la denominazione ufficiale
di Deutsche Afrika Korps
(D.A.K.).
Il 30 marzo
Rommel, circa un mese dopo il
suo arrivo in Libia, sferrava a
sorpresa l’attacco ( MAPPA
n°10 ) con reparti italiani
e tedeschi che occuparono El
Agheila, il 31 cadde anche Marsa
el Brega, difesa dalla
2^divisione corazzata inglese,
il 2 aprile che dobbiamo
considerare come il giorno della
vera offensiva di Rommel, fu la
volta di Agedabia; ormai gli
inglesi erano in rotta. Il
generale Philip Neame, che aveva
avuto da Wavell il comando delle
forze inglesi in Cirenaica dopo
che il generale Wilson lo aveva
lasciato per assumere quello
inglese in Grecia, si dimostrò
non all’altezza di quel comando,
non tanto per il suo carattere
pessimista, quanto perchè alle
prime difficoltà ordinava spesso
il ripiegamento; questo
comportamento irritò Wavell che
pensò di sostituirlo con
O’Connor, ma quest’ultimo, che
era grande amico di Neame,
rifiutò la sostituzione ma
accettò la qualifica di
consigliere militare di Neame
pur essendo suo pari grado.
L’avanzata di
Rommel procedette velocemente e
incontrastata sino ad Agedabia
senza particolari difficoltà.
Qui le forze italo-tedesche
vennero divise in tre colonne:
una con direttrice sulla costa
con obiettivo Bengasi, che venne
occupata il 3 aprile; la
seconda: più interna puntò su
Antelat-Msus, El Mechili che
cadde il 6 aprile; la terza agli
estremi limiti del deserto,
marciò su Bir Tengeder
convergendo poi su El Mechili,
riunendosi alla seconda colonna
e tutte e due ebbero come
obiettivo Derna (Darnah)che fu
occupata il 7 aprile.
Una nota
curiosa, la ritirata inglese fu
così precipitosa che non ebbero
la possibilità di trasferire
verso l’Egitto circa 2.400
prigionieri italiani che erano
stati concentrati a Barce,
dovettero così lasciarli liberi
sul posto, dove raggiunti dalle
truppe italo-tedesche,
rientrarono nuovamente in forza
nell’esercito.( 11 )
A Derna le
tre colonne si riunirono in una
unica forza, avanzando poi sino
a Tobruch per occuparla. La
piazzaforte, che nel frattempo
era stata rinforzata e
approvvigionata del necessario,
non cedette ed oppose una forte
resistenza, anche perché per gli
inglesi Tobruch rappresentava
ancora la loro presenza militare
in Cirenaica. In Tobruch si era
concentrata la 9^divisione
australiana del generale
Morshead che aveva preso il
comando della piazzaforte; oltre
alla 9^divisione vi era anche la
prima brigata corazzata della
7^divisione australiana, con le
sue quattro brigate di fanteria
( XVIII-XX-XXIV e XXVI ), che
nel ripiegamento dalla Cirenaica
avevano trovato rifugio in
Tobruch. Vi era anche la
3^brigata motorizzata indiana e
sparuti gruppi di altri reparti,
in tutto oltre 30.000 uomini.
Rommel sferrò
subito alcuni attacchi di
assaggio alla piazzaforte ma
senza successo; il primo venne
fatto il giorno 10 aprile con la
15^panzerdivision, al comando
del generale Heinrich von
Prittwitz che venne ucciso in
quella azione (il generale aveva
da soli due giorni assunto il
comando della 15^); seguirono
quello del giorno 12, con la
divisione Brescia in
coordinamento operativo con la
5^divisione leggera; altri
vennero fatti con la Trento e ancora con la
5°divisione, nei giorni 13 e 14
aprile, ma anche questi
fallirono causa i cattivi
collegamenti e alla non
cooperazione tra fanteria e
mezzi corazzati.
Un caso
eclatante si ebbe durante un
attacco allorchè un battaglione
mitraglieri della 5^divisione
leggera al comando del tenente
colonnello Ponath, era riuscito
a penetrare nelle difese inglesi
e arrivare ad appena 5 Km. dall’abitato di Tobruch,
ma inchiodato a distanza
dall’artiglieria nemica non ebbe
possibilità di ripiegare sotto
protezione, perché mancò
l’appoggio dei carri armati e
della
artiglieria, col
risultato che il reparto rimase
isolato privo di guida e
abbandonato al suo destino,
anche perchè in quel
combattimento il Ponath rimase
ucciso. Vi furono altri casi in
cui la fanteria italiana e in
talune occasioni anche quella
tedesca, pur avendo conquistato
delle postazioni, dovettero
ripiegare poiché non ebbero
l’immediato l’appoggio dei carri
armati; infatti fu quello che
successe alla divisione Ariete,
quando il giorno 16 tentò da
sola di penetrare nella difesa
inglese e vi era quasi riuscita,
ma non avendo avuto alcuno aiuto
come previsto dai carri armati
tedeschi e dalla artiglieria,
dovette ritirarsi e anche
precipitosamente, nonostante il
valoroso comportamento
dell’8°bersaglieri.
In quelle
battaglie per tentare la
conquista di Tobruch, emerse un
episodio di cameratismo tra le
parti avverse: venne tacitamente
stabilito che qualche ora prima
del tramonto, ad un segnale
convenuto a mezzo razzi lanciati
da ambo le parti, per due ore
veniva a cessare ogni sorta di
combattimento, anche quelle
piccole scaramuccie tra
pattuglie, questo per far sì che
gli addetti ai servizi di sanità
uscissero allo scoperto, per
raccogliere morti e feriti,
mentre i soldati, pur restando
nelle loro buche, ne
approfittavano per un meritato
riposo.
Lo stesso
Rommel ammise che in quegli
attacchi nulla funzionò a dovere
e per giustificare la sua
convinzione, scrisse una lettera
ai comandanti delle divisioni
italiane, impegnate in quelle
azioni, nella quale attribuiva
gran parte di quegli insuccessi
allo spirito poco combattivo del
soldato italiano, il quale alle
prime difficoltà preferiva
arrendersi.
Quelle
ingiuste dichiarazioni o meglio
accuse, provocarono una sentita
reazione nel nostro ambiente
militare, tanto che il generale
Gariboldi, comandante Superiore,
fece le proprie rimostranze a
Rommel.
Per debito di
obiettività bisogna riconoscere
che Rommel qualche ragione
l’aveva avuta in quanto, secondo
testimonianze, poi appurate dal
generale Gariboldi, vi furono
casi di abbandono delle armi da
parte di sparuti gruppi di
soldati, i quali certamente,
trovandosi isolati e per non
avere maggiori perdite,
preferirono arrendersi. Uno dei
motivi più accettabili va
ricercato nel carente armamento
disponibile e nell’inefficace
azione della esigua artiglieria
controcarro sui mezzi corazzati
nemici. Comunque é indiscutibile
che fanti, artiglieri e carristi
delle divisioni Ariete, Brescia,
Trento, Bologna, con in testa i
loro ufficiali si comportarono,
nelle battaglie di Tobruch, con
audacia e combattività.
Nel
dopoguerra certa stampa tedesca
e gran parte di quella inglese,
la prima per elogiare le imprese
di Rommel, la seconda per
magnificare il loro esercito,
misero in evidenza
quasi ad arte quegli
episodi, facendo pure notare che
furono rari i casi nei quali il
soldato italiano dette prova del
suo coraggio; quella certa
stampa, non ha invece esaltato
il costante sacrificio di quelle
modeste divisioni italiane,
impegnate sul fronte egiziano e
poi tunisino, che permisero con
pesanti sacrifici nelle
ritirate, specie quella da El
Alamein, allo alleato tedesco di
porre in salvo il maggior numero
dei suoi uomini e mezzi.
E’ doveroso
citare che Rommel, nelle sue
“Memorie“ si ricredette in
parte, sul valore del soldato
italiano, ma non sul
comportamento degli alti Comandi
italiani di Roma; é vero che
Egli ebbe stima e ammirazione
nei generali Baldassarre,
Navarrini del XXI Corpo
d’armata, De Stefanis del XX
C.A. e nel generale De Giorgis,
comandante della divisione
Savona che durante l’offensiva
inglese “Crusader“, rimasto
isolato, resistette per diverse
settimane al nemico nella zona
di Sollum; Rommel invece non
nascose il suo elogio e
apprezzò, con sincera
ammirazione, il sacrificio della
divisione Ariete nella battaglia
di El Alamein, Egli considerò
gli ufficiali e soldati di
quella magnifica divisione,
splendidi compagni d’arme ai
quali chiese sempre di più di
quanto essi potevano dare. Dalla
lettura di quel memoriale, ho
tratto qualche spunto su quanto
egli scriveva
“.........se ad El
Alamein il successo fosse dipeso
dalla volontà delle truppe e dei
suoi comandanti, certamente
avremmo vinto la guerra. Ma
sfortunatamente, la
disorganizzazione ed il cattivo
funzionamento dei servizi in
Italia, ridusse a zero la nostra
probabilità di successo.
Non
vennero meno le capacità di
resistenza di numerose unità
italiane, quali fedeli compagni
di lotta ed io, come comandante
in capo di quelle truppe,
considero mio dovere insistere
sul fatto che i soldati italiani
non furono assolutamente
responsabili dei rovesci subiti
sul fronte di El Alamein (è
ovvio che Rommel si riferiva a
Roma e Berlino).
Il soldato
italiano era pieno di buona
volontà, buon combattente,
altruista e ottimo camerata;
numerosi generali e ufficiali
italiani, destarono la nostra
ammirazione, sia come uomini che
come soldati.
La
sconfitta italiana, nella prima
offensiva inglese, affondava le
radici nello stesso pletorico
meccanismo militare e
governativo e nella mancanza
d’interesse che molte autorità
in Italia, dai capi militari ai
dirigenti civili dimostrarono
per lo
svolgimento della guerra
........”
Rommel
finisce con questo
elogio...........” il soldato
tedesco stupì il mondo ma il
bersagliere italiano stupì il
soldato tedesco.....” ( 12 )
Dopo quegli
insuccessi iniziali Rommel
decise di proseguire l’avanzata,
lasciando a Tobruch alcune forze
miste per mantenere l’assedio,
superò così Bardia e si attestò
a Sollum.
Quella sosta
ebbe due spiegazioni: una la
resistenza di Tobruch, che
rappresentava alle spalle una
potenziale minaccia strategica e
di questo Rommel ne era
convinto, considerandola una
spina nel fianco, in quanto la
difesa della piazzaforte, che
aveva la possibilità di essere
rifornita via mare, poteva
effettuare delle sortite e
colpire alle spalle; qualche
volta quelle sortite si
verificarono realmente negli 8
mesi che gli inglesi
resistettero a Tobruch; l’altra
ragione fu la poca disponibilità
di carburante che non gli
permise di fare muovere al
completo i suoi carri armati;
troppa era la distanza dai
centri di rifornimento e troppo
veloce fu la sua avanzata,
quindi gli venne a mancare il
normale coordinamento tra
consumo e rifornimento.
Il generale
Rommel in meno di 15 giorni
aveva riconquistato la Cirenaica, mentre gli
inglesi per conquistarla ci
misero ben due mesi. Altro
curioso particolare, Rommel in
quella avanzata e per la prima
volta, nelle battaglie che si
svolsero in Libia, usò degli
stratagemmi: carri armati in
legno per ingannare la
ricognizione aerea nemica e
l’applicazione di fascine e
copertoni attaccati dietro gli
automezzi per simulare, con
l’enorme polverone che essi
sollevavano, l’avanzata di
grosse colonne, tanto é vero che
la guarnigione inglese a difesa
di El Agheila, durante l’inizio
della offensiva italo-tedesca,
venne tratta in inganno da quel
polverone e credendo di essere
attaccata da grandi forze
corazzate, abbandonò la località
senza combattere ripiegando su
Agedabia.
Vorrei fare
conoscere al lettore un episodio
quasi sconosciuto di cui furono
protagonisti i tedeschi: dopo la
sosta dell’armata italo-tedesca
a Sollum,la ricognizione aerea
italiana, aveva segnalato che
nella oasi di Bir el Hamra a
circa
5 Km. a
Sud di Sollum, gli inglesi
avevano approntato un grosso
deposito di approvvigionamento;
naturalmente quella segnalazione
mise in moto la mente
organizzativa di Rommel che,
catturando quel deposito,
avrebbe risolto gran parte dei
disagi causati dalla penuria di
viveri e carburante di cui
soffriva la sua armata. Vennero
formate immediatamente tre
colonne personalmente sotto il
controllo e guida di Rommel,
partite alle prime luci
dell’alba del giorno
14 settembre; la prima da Bir
Musaid (Sollum), la seconda da
Ridotta Capuzzo e la terza da
Sidi Omar; quella azione doveva
essere di sorpresa, data la
breve distanza dagli avamposti
tedeschi al grosso deposito
inglese, invece le tre colonne
vennero quasi subito segnalate
dalla ricognizione inglese e in
seguito sottoposte a
bombardamento aereo dalla South
African Air Force che causò la
distruzione della prima colonna
e il ripiegamento delle altre
due, la missione fallì anche per
la mancanza di appoggio della
aviazione italo-tedesca, si
disse allora che non vi era
stato coordinamento tra le due
aviazioni, inoltre l’impresa
sarebbe fallita lo stesso,
poiché il comando inglese, dopo
la segnalazione aerea delle tre
colonne, intuendo le intenzioni
di Rommel aveva provveduto con
sollecitudine a spostare il
centro deposito in una zona più
arretrata. Ma pare forse, che
una intercettazione dei vari
ordini che si trasmettevano le
colonne in movimento, fosse
stata captata da ULTRA e da
questo speciale servizio
intercettazioni inglese,
trasmessa al comando
dell’8^Armata, che venne così a
conoscere le intenzioni di
Rommel.
Altra
curiosità quasi tragicomica di
cui fu vittima il generale
Wavell che, accompagnato dal
generale australiano Laverack,
si era recato in volo a Tobruch
l’8 aprile, per predisporne con
il generale Morshead la difesa;
nella nottata di quello stesso
giorno, ripartì con il suo aereo
per rientrare al Cairo,
disgrazia volle che poco dopo
l’aereo per un guasto ai motori,
dovette effettuare un
atterraggio di fortuna in pieno
deserto; il generale Wavell non
sapendo dove si trovava e nel
timore di essere catturato,
decise di bruciare le carte
segrete che portava con sé,
aspettando poi fatalmente quello
che poteva accadergli; ma la
sorte gli fu benigna in quanto
venne recuperato da una
pattuglia inglese e si salvò; se
invece della pattuglia inglese
fosse arrivata una tedesca o
italiana, l’armata inglese
d’Egitto avrebbe perduto il suo
comandante supremo e non avrebbe
avuto per lungo tempo altri
comandanti capaci, anche perché,
durante l’offensiva
italo-tedesca, erano stati
catturati ben 5 generali inglesi,
molto importanti e prestigiosi,
quali il generale Richard
O’Connor, comandante di tutte le
forze inglesi in Egitto, il
generale Philip Neame di quelle
in Cirenaica, il generale
M.D.Gambier-Parry della
2^divisione corazzata, il
generale Rex Rimington della
3^brigata di fanteria indiana e
il generale Carton de Viart
dello Stato Maggiore della
2^divisione.
Quest’ultimo
venne riconsegnato da Badoglio
agli inglesi nel 1943, per
facilitare l’armistizio chiesto
dall’Italia.
Il generale
Wavell dopo la conquista della
Cirenaica si era vantato di
avere catturato 6 generali
italiani, Rommel gli rese quasi
la pariglia. Corsi e ricorsi
storici.
Il generale Wavell ammise la
disfatta ma la giustificò
addossandone la colpa alla
2^divisione corazzata e alla
3^brigata corazzata, causa
la loro poca esperienza di
guerra nel deserto, dichiarò
anche che
vennero fatti molti errori
di manovra; oltre a
biasimare la
disorganizzazione nel
comando del XIII Corpo
d’armata, attaccò anche i
vari Comandi superiori
militari di Londra per gli
scarsi aiuti che ricevette,
portò a conoscenza del
rovinoso stato d’efficienza
dei suoi carri armati e
della loro inferiorità
tecnica con quelli tedeschi;
queste giustificazioni gli
dettero la possibilità di
non essere estromesso subito
dal comando, ma la sua
destituzione avverrà poco
dopo.
Il 15
aprile venne ricostituita in
Tripolitania la 5^Armata
posta al comando del
generale Mario Caracciolo,
mentre nel porto di Tripoli
si avvertiva una febbrile
attività per i continui
arrivi di rinforzi e
armamenti. Questo continuo
flusso di armi e uomini
incominciò a preoccupare i
comandi inglesi di Londra e
del Cairo, che decisero di
distruggere la città di
Tripoli e il suo porto con
un bombardamento navale. Lo
spionaggio inglese aveva
constatato, che le
operazioni di scarico delle
navi e le attrezzature del
porto funzionavano
regolarmente, nonostante i
continui bombardamenti aerei
sulla città e informò
Londra; a conoscenza di
questa situazione, il primo
Lord dell’ammiragliato dette
ordine all’ammiraglio
Cunningham di mettere in
atto l’attacco navale; é
vero che Cunningham non ne
fu entusiasta, poiché
sapendo della presenza del X
Fliegerkorps tedesco e dei
temuti aerosiluranti
italiani in Libia, temeva
massicci attacchi aerei alla
sua flotta: comunque ubbidì.
Essendo
stato presente all’attacco e
avendo vissuto in prima
persona gli effetti di quel
terribile bombardamento,
posso descrivere con
precisione quello che
accadde: esso ebbe inizio
alle ore 5 circa del lunedì
21 aprile 1941, l’azione
navale era stata preceduta
da un bombardamento aereo,
iniziato alle ore 1,30 con
il lancio, come al solito,
di una grande quantità di
bengala per illuminare gli
obiettivi da colpire, ma
anche per inquadrare gli
obiettivi, ai rilevatori di
tiro delle navi nemiche che
navigavano al largo di
Tripoli e qui un
inconveniente che agì a
nostro favore; durante il
bombardamento aereo, le
numerose bombe sganciate
dagli aviatori, sollevarono
un polverone, tanto fitto
che la città venne avvolta
da una tale cortina di
polvere e fumo che
certamente falsarono, per la
poca visibilità, la
rilevazione degli obiettivi
da colpire, infatti molte
bombe caddero fuori città.
Ricordo che quando uscimmo
dai rifugi, dopo il
bombardamento aereo, a
stento si riusciva ad
individuare la propria casa
tanto era la foschia creata
dalle bombe; comunque non
avemmo il tempo di avviarci
verso casa, poiché subito
incominciarono a scoppiare
grossi proiettili navali,
quindi di corsa si dovette
rientrare nei rifugi.
Le navi
inglesi nei 45 minuti del
loro bombardamente spararono
sulla città di Tripoli, ben
530 tonnellate di
proiettili.
I danni
alle strutture portuali e
militari non furono gravi
come si vantarono gli
inglesi, mentre invece le
abitazioni civili furono
quelle maggiormente colpite,
tra questa anche la mia
casa; molti i morti tra la
popolazione. Un caso
veramente tragico fu la
sorte toccata a 130 civili,
che erano nel rifugio
sotterraneo della Banca
d’Italia, destino crudele
per quei poveri esseri, in
quanto un proiettile penetrò
attraverso il foro di
alimentazione dell’aria del
rifugio esplodendo
nell’interno, quasi tutti
perirono.
La
reazione della nostra difesa
costiera avvenne dopo circa
20 minuti dall’inizio del
bombardamento navale,
purtroppo essa non arrecò
alcun danno alle navi
nemiche, perché i nostri
cannoni avevano una gittata
massima di appena
8.000 metri,
mentre gli inglesi sparavano
da una distanza di sicurezza
di oltre 10.000 metri; questo ci
fece supporre che lo
spionaggio inglese
funzionava benissimo in
Libia, tanto che era a
conoscenza della portata
limitata della
nostra
artiglieria
costiera.
Ci
domandammo allora: come mai
quella reazione così in
ritardo? La risposta venne,
da noi “tripolini“,
conosciuta dopo qualche
giorno dal bombardamento e
fu attribuita alla sorpresa;
mai le nostre autorità si
aspettavano un bombardamento
navale, eravamo abituati a
quello aereo e la nostra
contraerei era sempre stata
tempestiva. La spiegazione
di quel ritardo la si deve
anche al fatto, che i nostri
artiglieri addetti alle
batterie costiere, non
pensando a un bombardamento
navale, si trovavano nei
rifugi aspettando la fine
del bombardamento aereo e
quando capirono che era
subentrato anche quello
navale, accorsero
immediatamente ai loro
pezzi, purtroppo prima di
individuare la posizione
delle navi inglesi, regolare
l’altezza e la distanza del
tiro ed entrare in azione,
passarono dei minuti
preziosi; ironia della
sorte, anche se avessero
iniziato subito la reazione
non sarebbe successo nulla
alle navi nemiche, la
ragione é descritta qualche
riga sopra.
La flotta
inglese che bombardò Tripoli
era composta dalle
corazzate: Warspite, Barham,
Vailant, dallo incrociatore
Gloucester e da diversi
cacciatorpediniere, tutti al
comando dell’ammiraglio
Cunningham; fonti bene
informate hanno precisato
che durante il
bombardamento, al largo
della costa libica navigava
per ogni evenienza la
portaerei Formidabile, con
la scorta di tre
incrociatori e quattro
cacciatorpediniere.
Tale
precauzione presa
dall’ammiraglio Cunningham,
era dovuta al timore
dell’intervento della
aviazione tedesca di stanza
in Sicilia, purtroppo
quell’intervento non avvenne
in quanto la maggiore parte
degli aerei tedeschi erano
stati trasferiti negli
aeroporti di Benina e Derna,
da poco riconquistati, per
essere impegnati nei
bombardamenti su Creta e
quindi fuori da impegni in
Libia. La stessa sorpresa
per il bombardamento navale
su Tripoli, si verificò per
quello ancor più traumatico
di Genova ad opera della
flotta H dell’ammiraglio
britannico Somerville.
Un
riconoscimento anche
se postumo, da parte di noi
italiani di Libia, và al
Corpo dei pompieri di
Tripoli, che nonostante lo
scoppio delle numerose
bombe, accorsero in tutti i
punti colpiti della città
per estrarre dalle macerie
morti e feriti, incuranti
della loro vita. ( FOTO
N°14 )
Dopo
pochi giorni dal
bombardamento navale,
avvenne sempre nel porto di
Tripoli una catastrofe
terribile, sia per gli
ingenti danni che per i
morti; non ricordo con
precisione il giorno esatto,
ero ancora a Tripoli, con
certezza posso affermare che
erano i primi giorni del
mese di maggio; verso le 9
del mattimo improvvisamente,
udimmo uno spaventoso boato,
seguito dopo qualche minuto
da un altro ancora più
potente, come se una bomba
ci fosse scoppiata a pochi
metri, naturalmente pensando
ad un altro bombardamento
navale scappammo nei rifugi,
ma dopo qualche ora non
sentento altri scoppi,
uscimmo all’aperto
domandandoci cosa fosse
successo di così terribile,
la conferma arrivò poco
dopo, quando venimmo a
conoscenza che nel porto era
saltata in aria la nave
italiana “Birmania“ carica
di bombe d’aereo;
l’esplosione fu così forte
che i rottami della nave
caddero su quasi tutta la
città, centinaia i morti e
feriti tra militari e
civili. Le indagini svolte
dalla polizia italiana e
tedesca, scartarono
l’ipotesi di un sabotaggio
come si era subito pensato,
la vera causa fu che la nave
aveva caricato particolari
bombe a percussione
sensibile; la inesperienza
degli scaricatori del porto,
che certamente non usarono
alcuna precauzione, provocò
quella terribile
deflagrazione.
Il
Generale Rommel si era nel
frattempo attestato tra
Bardia-Sollum-Ridotta
Capuzzo e Sidi Omar (
MAPPA N°11 ), in attesa
di riprendere l’avanzata non
appena si fosse assicurato
della normale ripresa dei
rifornimenti; prima sua
preoccupazione fu quella di
riattivare il porto di
Bengasi che a seguito degli
incessanti bombardamenti,
prima degli inglesi poi dei
tedeschi e ancora dagli
inglesi, era ridotto in un
ammasso di navi affondate o
semiaffondate. Nel giro di
pochi giorni i genieri
italiani e tedeschi,
riuscirono a riattivarlo in
parte e in misura sufficente
per l’approdo di un buon
numero di navi.
Nel campo
avverso il generale Wavell
aveva gravi difficoltà di
mezzi, soprattutto carri
armati di cui scarseggiava;
alla data del 12 aprile
chiese insistentemente a
Londra l’invio di almeno
300 carri medi; il Primo
Ministro Churchill gli
comunicò che era stato
approntato un convoglio con
307 carri armati, l’arrivo
ad Alessandria era previsto
per il 10 maggio. Infatti
esso giunse il giorno 11,
con un solo giorno di
ritardo a dimostrazione
della perfetta
organizzazione logistica
inglese.
Ad
Alessandria sia per le
operazioni di scarico che
andavano per le lunghe, sia
per le riparazioni di carri
giunti malconci e per
l’addestramento degli
equipaggi, Wavell non era
ancora pronto a una
controffensia, ma temendo
che Rommel, con il
completamento della
15^divisione corazzata,
potesse attaccare, pensò di
anticiparlo, così dette
ordine al generale Gott, di
formare con la VII brigata corazzata e la XXII Armoured
brigata “Guardie“, un corpo
corazzato e sferrare un
improvviso attacco contro le
posizioni tedesche di Sollum
e Ridotta Capuzzo. Gott si
mosse la mattina del
15 maggio e con l’appoggio
di 55 carri Cruiser assalì
di sorpresa i tedeschi,
conquistando quelle due
posizioni; la reazione delle
truppe italo-tedesche fu
immediata, Sollum e Ridotta
Capuzzo vennero
riconquistate e Rommel dette
ordine di avanzare ancora
sino al “passo“ Halfaya, che
era tenuto dal III
battaglione “Guardie
Coldstream“, da un
reggimento di artiglieria da
campagna e da due squadroni
di carri armati; quelle
forze vennero attaccate,
battute e costrette ad
abbandonare Halfaya; gli
inglesi tentarono poi di
rioccuparla ma senza
successo. Il generale
Wavell, dopo quel
contrattacco, che gli
inglesi nel loro gergo
cifrato chiamarono “ Brevity
“, proprio per
l’incongruenza e la brevità
dell’azione, decise di
riprendersi quanto perduto
ma con maggiori forze.
Infatti preparò un’altra
controffensiva che venne
denominata “Battleaxe“
(Ascia di guerra); essa ebbe
iniziò il 15 giugno e vi
parteciparono: la veterana
7^divisione corazzata, ormai
riorganizzata e posta al
comando del maggiore
generale Lavarack, che mise
in linea due sue brigate
corazzate, la 4^comandata
dal brigadiere generale
A.H.Gatehouse e la 7^ del
brigadiere generale
H.E.Russel; la 4^divisione
indiana del maggiore
generale F.W.Messervy
(questa era rientrata
dall’Eritrea dopo la
capitolazione delle nostre
truppe in Africa orientale),
con la sua XI brigata di
fanteria del brigadiere
generale Savory,
la XXII
brigata delle Reali Guardie
Coldstream, il gruppo di
sostegno del brigadiere
generale J.C.Campbell,
inoltre vi fu ancora
l’apporto dell’11°Ussari, di
due reggimenti di
artiglieria da campagna, di
quattro compagnie del genio.
Gli inglesi dichiararono che
la forza impegnata in quella
operazione non superava i
25.000 uomini, ma é palese
che essa era di gran lunga
maggiore, in considerazione
delle G.U. interessate e dei
loro effettivi.
Il
sostegno era aereo
assicurato con 128
bombardieri e 116 caccia,
venne coordinato dal
maresciallo dell’Aria
Tedder, nuovo comandante
dell’aviazione inglese in
Egitto che aveva sostituito
il generale Longmore.
Il
compito della marina, era
invece quello di assicurare
i rifornimenti alla
guarnigione di Tobruch e
cercare di ripristinare il
porto di Sollun non appena
riconquistato.
I carri
armati disponibili erano
circa 200 tra Mathilda e i
nuovi modelli Cruiser e
Valentine; tutta la forza
terrestre fu messa agli
ordini del generale Noel
Beresford-Peirse, che aveva
sostituito il generale Neame
nel comando della ex Western
Desert Force ovvero
l’8^Armata del Nilo.
Su questa
nomina, vi fu un certo
contrasto di opinioni tra il
generale Wavell e il Primo
ministro Winston Churchill;
quest’ultimo aveva espresso
la sua opinione sfavorevole
sul generale
Beresford-Peirse, in quanto
non lo riteneva all’altezza
del compito affidatogli in
quel momento e consigliava
quindi Wavell di richiamare
al comando il generale
Wilson, ma la reazione di
Wavell fu così aspra che
Churchill dovette cedere.
Il nuovo
comandante, concentrò la sua
armata nella zona tra Bir
Habata e Bir Sofafi, da lì
iniziò l’offensiva
“Battleaxe“ ( MAPPA N°12
). L’armata venne divisa
su tre colonne: la prima
doveva avanzare su Sollum e
passo Halfaya ed era formata,
dalla II brigata indiana
(4^divisione); la seconda,
con la IV brigata corazzata
(7^divisione) e la XXII°brigata “Guardie”, doveva
attaccare Ridotta Capuzzo;
la terza, che marciava molto
più addentro, composta con
il resto della 7^divisione
corazzata, aveva come target
Sidi Omar e dopo aver
sfondato quel settore,
doveva puntare su Tobruch e
congiungersi con i difensori,
che nel frattempo dovevano
fare una sortita per colpire
Rommel alle spalle;
restavano come riserva: il
gruppo di sostegno, la
7^brigata corazzata,
l’11°Ussari e l’11^brigata
indiana.
Come si
può notare il piano inglese,
anche se molto semplice, era
ben congegnato; per tre
giorni dal 15 al 17 giugno,
il generale comandante,
impegnò il suo esercito in
aspre battaglie che in
maggioranza furono svolte
tra carri armati; anche se
inizialmente ebbe qualche
successo, come la
penetrazione per circa 25 Km. oltre il nostro confine
e l’occupazione di Ridotta
Capuzzo, difesa da 180 soldati
italiani e 30 tedeschi, ma
nella notte del 17-18,
Peirse dovette ordinare il
ripiegamento.
Nota
interessante: nel corso
delle battaglie che si
svolsero sul confine
libico-egiziano dal 1940 al
1942, Ridotta Capuzzo venne
conquistata, perduta,
riconquistata per ben
quattro volte; attorno ai
resti di quel fortino si era
creato un vasto cimitero con
croci che portavano nomi
italiani, tedeschi e inglesi.
L’insuccesso dell’offensiva
“Battleaxe” fu dovuto anche
alla tenace
resistenza del presidio
italo-tedesco di passo
Halfaya, che nonostante i
massicci attacchi della XI
brigata indiana, che
frattanto era entrata in
linea e del 4°Royal Tanks,
non cedette un metro delle
sue posizioni. I difensori
di Halfaya erano 400
italiani e 500 tedeschi al
comando del capitano Bach,
promosso sul campo a
maggiore per quella eroica
resistenza.
In quei
tre giorni di combattimenti,
gli inglesi dichiararono di
avere perduto solo 1.000
uomini, tra morti, feriti e
dispersi e un centinaio di
carri.
Quella
perduta battaglia, non deve
essere solo attribuita alla
fretta di Wavell che volle
anticipare i tempi, ma va
anche addebitata ai
difensori di Tobruch, che
non tentarono alcuna
sortita, come era stato
stabilito e che rimasero
buoni, buoni, dentro la loro
munitissima piazzaforte;
inoltre bisogna considerare
la posizione del generale
Wavell, che nel mese di
maggio era anche impegnato a
risolvere quattro diverse
situazioni critiche che
dipendevano dal suo comando;
per primo la non felice
posizione strategica in cui
si trovava in quel momento
in Egitto; poi la guerra per
la tenuta dell’isola di
Creta, ove dopo la disfatta
in Grecia del corpo di
spedizione britannico, i
superstiti vi ripiegarono;
contemporaneamente
Wavell dovette risolvere la
rivolta araba in Iraq e
infine la questione Siria,
ove le forze di Francia
libera (degollisti) avevano
attaccato le truppe francesi
fedeli al governo di Vichy;
in quell’attacco i
degollisti vennero a
trovarsi in una disastrosa
situazione e furono
costretti a chiedere l’aiuto
inglese, così il generale
Wavell dovette inviare in
loro soccorso della truppa
che giocoforza tolse dallo
scacchiere egiziano
indebolendolo.
Non va dimenticato
che quelle situazioni si
svolsero contemporaneamente
e reagirono negativamente
una sull’altra, creando al
generale Wavell crisi e
difficoltà; per tutte queste
calamità ne venne a soffrire
globalmente l’operazione
“Battleaxe“.
Solo a
titolo di cronaca: l’isola
di Creta venne conquistata
dai paracadutisti tedeschi e
dalla 5^divisione alpina il
20 maggio 1941 e finì il 2
giugno con la completa
conquista dell’isola, le
perdite furono enormi dalle
due parti.
Ed ora
una breve esposizione
topografica di passo
Halfaya, località che ebbe
una certa importanza durante
la guerra in Africa
settentrionale. Il passo é
ad appena 10 Km. da Sollum verso Sidi
Barrani; pure essendo un
valico molto praticabile, ha
delle particolari
caratteristiche; sul lato
verso l’Egitto, é dominato
da una serie di alture e da
queste si può facilmente
controllare la pianura
sottostante e un passaggio
che forma una strettoia non
molto lunga di appena 3 Km. che é un via obbligata,
da quì la denominazione di
“passo“ che in quel periodo
assunse una posizione
strategica e dominante.
Gli
eserciti che si affrontarono
sul confine egiziano
difesero quel passo con
accanimento, prima gli
inglesi, poi gli italiani,
ancora gli inglesi, in
seguito i tedeschi di nuovo
gli inglesi e per ultimi
reparti italo-tedeschi,
durante la ritirata da El
Alamein.
Il
generale Wavell fu
terribilmente scosso da
quella sconfitta e
dell’esito degli eventi in
Grecia e Creta e quando da
Londra arrivò l’ordine della
sua destituzione, egli
l’accettò con rassegnazione;
venne sostituito con il
generale Auchinleck che era
stato comandante del corpo
di spedizione inglese nella
campagna di Norvegia. Il 12
luglio Auchinlek ebbe il
comando delle operazioni in
tutto il Medio Oriente.
Il
generale Wavell dopo la sua
destituzione, venne mandato
in India quale governatore
generale.
Con
Wavell finisce quell’era di
prestigiosi generali inglesi
che dettero vita ad azioni
di guerra nel Nord Africa.
Anche nel
nostro esercito in Libia vi
furono dei cambiamenti: il
18 luglio 1941 il generale
Ettore Bastico sostituì il
generale Gariboldi che
rientrò in Italia per
assumere alti incarichi di
comando: prima in Grecia,
poi in Russia al comando
dell’Armir. Nel mese di
agosto 1941 fu formato il
Corpo d’armata di manovra
(C.A.M.) e ne prese il
comando il generale Gastone
Gambara; questo corpo ebbe
ai suoi ordini la divisione
corazzata Ariete e la
divisione motorizzata
Trieste che era appena
arrivata in Libia; in agosto
venne sciolta la 5^Armata
che in quel periodo era al
comando del generale
Caracciolo (poi ricostituita
in Patria nel 1943); il X
Corpo d’armata passò al
generale Gioda che aveva
sostituito il generale
Barbieri rimpatriato, mentre
il XX al rimpatrio del
generale Spatocco, venne
affidato al generale
Vecchierelli, a sua volta
sostituito con il generale
Ettore Baldassarre; tra il
mese di settembre-ottobre fu
costituito il Panzer Gruppe
Afrika,che comprendeva: il
D.A.K.,il XXI Corpo
d’armata, con le divisioni
Pavia, Bologna, Brescia e
Trento. Per l’aviazione,
dopo la sostituzione, nel
febbraio 1941, del generale
Porro con il generale Mario
Aimone-Cat, a settembre del
1941, si manifestò altro
cambiamento al vertice della
5^Squadra aerea di Libia, il
generale Aimone Cat venne
sostiuito con il generale
Vittorio Marchesi. La
destituzione, nata per
contrasti sorti tra il
generale Aimone Cat e il
Comando aereo tedesco di
Libia, coinvolse anche il
Comando superiore italiano,
che accusò il generale Cat
di mancato coordinamento e
scarso sostegno aereo
durante l’offensiva di
Rommel; il 26 settembre il
generale Bastico lo
allontanò dal comando. Tra
luglio-agosto arrivarono in
Libia: il 1°battaglione
Carabinieri Reali
Paracadutisti, un
raggruppamento formato da
due battaglioni di giovani
volontari (GG.FF).
A
settembre del
1941 in
Africa Settentrionale erano
rimaste solo 7 divisioni
italiane: l’Ariete, la Trento, la Trieste, la Brescia, la Pavia, la Bologna, la Sabratha (ricostituita) e
2 tedesche: la 5^divisione
leggera e la
15^panzerdivision; in
autunno venne formata la
21^panzerdivision e nel
corso della guerra dal 1942
sino agli inizi del 1943,
sia in Libia che in Tunisia,
arrivarono altre divisioni
italiane e tedesche.
Nell’esercito inglese, il
rilancio operativo-direttivo
si iniziò, come sopra detto,
con la sostituzione del
generale Wavell che lasciò
il comando del Medio Oriente
al generale Claude
Auchinleck e del generale
Beresford-Peirse con il
generale Alan Cunningham,
fratello dell’ammiraglio
inglese; inoltre un grande
afflusso di uomini e mezzi,
soprattutto carri armati
americani, incominciò a
potenziare l’armata di
Auchinleck; merito dei molti
convogli inglesi che erano
riusciti ad arrivare nei
porti egiziani,
circumnavigando l’Africa,
subendo così poche perdite.
I
convogli inglesi che invece
entravano nel Mediterraneo
attraverso lo stretto di
Gibilterra, per un certo
periodo ebbero la
navigazione facile e in
qualche modo sicura, solo
quando venne ritirata dai
tedeschi la loro aviazione
dislocata in Sicilia per
essere inviata in Russia; le
difficoltà per gli inglesi
iniziarono, quando
nell’ottobre 1941,
l’ammiraglio Karl Doenitz,
dietro pressione di Rommel,
autorizzò l’entrata nel
Mediterraneo di
20 sommergibili oceanici e
quello fu un duro colpo per
la marina inglese, i
convogli venivano decimati,
venne affondata la corazzata
“Barham”, con essa morirono
56 ufficiali e 812 marinai,
la “Barham” colò a picco il
24 novembre 1941 ad opera di
un sommergibile tedesco
comandato dal tenente di
vascello Tiesen Hausen;
quella tremenda minaccia,
consigliò l’ammiragliato
inglese di fare
circumnavigare l’Africa ai
suoi convogli e naturalmente
si allungò il percorso e i
rifornimenti per l’Egitto
presero più tempo.
Anche nel
D.A.K. tedesco avvennero
delle sostituzioni; la più
clamorosa fu quella del
generale Streich, comandante
della 5^divisione leggera,
avvicendato con il generale
Johannes von Ravenstein; il
generale Streich era entrato
in contrasto con Rommel,
pare che non condividesse la
continua presenza del
generale nei punti più
pericolosi del fronte e lo
rimproverava velatamente,
sostenendo che un comandante
aveva l’obbligo di essere
più presente nel suo
Quartier Generale ed avere
più intesa e contatti con il
suo Stato Maggiore che
andare a spasso per il
deserto con il rischio di
farsi catturare o uccidere
dal L.R.D.G.; pare ancora
che il generale Streich
avesse criticato con
disappunto, l’attacco che il
generale Rommel ordinò il 10
aprile contro Tobruch,
attacco che si dimostrò un
fallimento, come previsto
dallo Streich. Naturalmente
Rommel, che per il suo
temperamento impulsivo e
autoritario agiva secondo il
suo istinto e non accettava
né critiche né consigli, si
liberò con arroganza di un
valido generale. Le due
divisioni tedesche a fine
settembre avevano completato
i loro quadri con i
materiali arrivati a
Tripoli. La 5^divisione
leggera, rinforzata e
modificata fu trasformata in
21^Panzerdivision e posta al
comando del generale von
Ravenstein; con altri
reparti tedeschi dislocati
in Libia venne formata altra
divisione, che prese il nome
di 90^divisione leggera,
inizialmente non aveva carri
armati ma veicoli blindati e
semicingolati.
Altre due
sostituzioni avvennero nel
D.A.K. quella del colonnello
Olbrich, comandante
dell’8°Panzeregiment con il
maggiore Ernst Bolbrinker;
anche in questa sostiuzione
pare che Rommel non avesse
tollerato che il colonnello,
durante l’attacco a Tobruch
del 13 aprile, si fosse
ritirato precipitosamente
con i suoi carri,
abbandonando al proprio
destino, quindi allo
sterminio, un reparto di
fanteria della 5^divisione
leggera; l’altra fu una
sostituzione dolorosa in
quanto il generale Esebeck,
che a sua volta aveva
sostituito il generale von
Prittwitz nel comando della
15^Panzerdivision, era
rimasto seriamente ferito
durante un attacco a
Tobruch, il suo posto venne
preso dal colonnello
Neumann-Silkord. Con tali
forze in carico il D.A.K.
assumeva la sua definitiva
struttura operativa.
Il
18 luglio 1941 arrivava a
Tripoli il I° battaglione
CC.RR. paracadutisti al
comando del maggiore Bruto
Bixio Bersanetti, che il
28 agosto cedette il comando
al maggiore Edoardo Alessi;
il battaglione si era
imbarcato a Taranto, sulle
Motonavi “Neptunia“,
“Oceania“ e “Marco Polo“,
appena sbarcato venne
avviato a Zavia, che era un
centro di riorganizzazione e
ambientamento per le truppe
che arrivavano dall’Italia;
dopo pochi giorni fu
spostato a Suani ben Adem,
una località a pochi
chilometri da Tripoli con
funzioni antisabotaggio, in
quanto venne accertato che
“commandos” inglesi erano
stati paracadutati dietro le
nostre retrovie per compiere
azioni di sabotaggio.
Il
Battaglione era composto da
3 compagnie al comando dei
tenenti: Gennaro Piccinni
Leopardi, Giuseppe Casini e
Osmano Bonapace; alle tre
compagnie fu in seguito
aggiunto un plotone genio
guastatori; complessivamente
il battaglione aveva una
forza di: 26 ufficiali, 51
sottufficiali e
322 graduati e
truppa.
Tra
ottobe e novembre fu
spezzettato, una parte andò
nella zona di Cirene,
l’altra a Derna.
Durante
l’offensiva inglese
“Crusader” il battaglione
venne schierato nella zona
di El Mechili per
fronteggiare eventuali
attacchi dal Sud.
Anche
questi paracadutisti
carabinieri, come i
paracadutisti libici l’anno
prima, scrissero nella
storia del paracadutismo
italiano pagine di eroismo.
Un breve
cenno storico sul
battaglione: nasce, il 1°
luglio 1940 per iniziativa
del generale Moizo, il
battaglione venne poi
inviato alla scuola
paracadutisti di Tarquinia.
Era composto esclusivamente
da carabinieri provenienti
da tutte le legioni
territoriali; i volontari
confluirono prima a Roma
alla Caserma “Pogdora” per
una prima selezione poi
raggiungevano Tarquinia per
altra definitiva selezione;
i fortunati prescelti
iniziarono subito il corso
che purtroppo ebbe i suoi
primi caduti nel maresciallo
Gennaro Ventura e
carabiniere Luigi Verrico. A
seguito di incidenti
mortali, accaduti ad allievi
di altri battaglioni, causa
imperfezioni del paracadute
allora in uso (Salvador
D.39), l’attività venne
sospesa, creando
naturalmente malumori tra
gli allievi, solo ad ottobre
fu ripresa, così il
battaglione poté conseguire
l’agognato brevetto.
Con
l’apertura in ottobre, del
fronte greco-albanese, pare
che il battaglione dovesse
essere destinato in Albania
ma poi tutto tornò a tacere;
passarono lunghi mesi di
inattività, creando ancora
malumori tra i carabinieri
paracadutisti, causa il
mancato impiego in guerra.
Solo dopo
un anno dalla sua nascita,
il battaglione ebbe una
destinazione: il fronte
africano.
Il 29
luglio 1941 arrivavano
sempre a Tripoli, due
battaglioni di giovani
volontari, erano il 1° e 2°
battaglione “Giovani
Fascisti”, sigla “GG.FF.”;
una forza di 1439 “ragazzi“
non ancora ventenni, classi
1922-1923 e qualcuno anche
del 1924, avendo falsificato
la carta d’identità;
appartenevano a diversi ceti
sociali, dall’universitario
al contadino, ma erano tutti
affratellati nello stesso
sentimento patriottico.
Appena sbarcati furono
provvisoriamente
acquartierati a Zavia; la
sosta in quel luogo durò
solo qualche giorno, il
tempo necessario per
acclimatarsi. Dopo la
sfilata per le vie di
Tripoli (grande fu
l’accoglienza della
popolazione civile, non solo
italiana ma anche libica),
vennero smistati: il 1°
battaglione a Misurata, il
2° a Homs, ambedue con
funzioni di presidio; ma non
era quello che chiedevano i
“ragazzi“, si erano
arruolati per combattere;
purtroppo, tra le autorità
militari della Libia (non
tutte per fortuna),
sussistevano dei timori sul
loro comportamento in
battaglia, li consideravano
troppo giovani per
sopportare le fatiche e le
violenze della guerra;
questi increduli militari
dopo pochi mesi dovettero
ricredersi: i “ragazzi“ si
erano dimostrati autentici
guerrieri e valorosi
soldati. Dietro le
insistenze dei due
comandanti di battaglione,
per il 1° il maggiore Fulvio
Balisti, classe 1889, super
decorato della 1°Guerra
Mondiale, proveniva
dall’Arma dei Granatieri;
per il 2° il maggiore Carlo
Benedetti, mentre il
comandante il gruppo dei due
battaglioni era il tenente
colonnello dei bersaglieri
Ferdinando Tanucci Nannini,
i due battaglioni vennero
trasferiti in Cirenaica al
villaggio Berta e
inquadrati, in data 2
settembre 1941 con
disposizione n°O3/4697, nel
raggruppamento esplorante
corazzato del Corpo d’armata
di manovra (CAM). Il
generale Gambara, quale
comandante di quel Corpo,
volle passare in rivista lo
schieramento dei GG.FF.
elogiandone lo spirito
combattivo, ma soprattutto
rimase impressionato per la
perfetta manovra a fuoco che
quei “giovanissimi“
eseguirono in sua presenza.
Inspiegabilmente per uno di
quei tanti misteri della
burocrazia militare, i due
battaglioni vennero
nuovamente separati: il 2°
fu mandato nella zona di
Tobruch, mentre il 1°
ritornò indietro ad
Agedabia, ma poi sempre
“inspiegabilmente“ senza una
valida o logica spiegazione
eccoli finalmente
ricongiunti.
Quando
l’offensiva inglese, dei
giorni 18-19 novembre,
contro le posizioni tenute
dell’Ariete a Bir el Gobi si
fece più aggressiva, si
pensò a quei “ragazzi“ per
rinforzare l’Ariete già
duramente provata; ma anche
questa volta
“inspiegabilmente“, i GG.FF.
furono tenuti fermi nella
zona di Tobruch, forse
perché l’Ariete resisteva
con sicurezza! Solo ai primi
di dicembre i giovani
volontari presero posizione
a Bir el Gobi e così ebbero
il loro battesimo di fuoco.
Vedremo
in seguito il trascorso
bellico di questi
“volontari“ da Bir el Gobi
sino in Tunisia;
nell’appendice il lettore
troverà la lunga e
travagliata storia della
loro nascita.
In agosto
era giunta in Libia un altra
divisione motorizzata: la Trieste del generale Sandro
Piazzoni; nel mese di
gennaio 1942 il comando
della Trieste venne assunto
dal generale Arnaldo Azzi
che lo tenne sino al 30
luglio per poi passarlo al
generale Francesco
La Ferla. La
Trieste era partita da
Napoli, imbarcata sulle
motonavi Neptunia, Oceania e
sul piroscafo Gritti;
purtroppo la traversata fu
tragica, i sommergibili
inglesi che operavano nel
Canale di Sicilia, ebbero
informazioni precise da
ULTRA su data di partenza e
percorso e riuscirono ad
affondare la motonave
Neptunia e con essa perirono
450 soldati della Trieste e
andò perduto anche molto
materiale bellico. La
divisione appena sbarcata a
Tripoli, fu immediatamente
inviata a Homs per essere
riordinata e ricostituita
nei reparti perduti per
affondamento; venne così
ristrutturata e formata dal
65°e 66°reggimento di
fanteria, dal 9°reggimento
bersaglieri, da un
battaglione anticarro e
contraereo, dal
21°reggimento artiglieria,
con reparti di sanità e
sussistenza; aveva
la Posta
militare e disponeva di
sufficiente materiale
automobilistico. In data 29
marzo 1942 verrà aggregato
alla Trieste l’8°
battaglione bersaglieri
corazzato, al comando prima
del maggiore Silvano
Bernardis (caduto il 7
giugno 1942)poi al maggiore
Italo Traina, a seguito del
trasferimento del 9°
bersaglieri al X C.A.
Non
appena ricomposta e
completata
la Trieste
fu inquadrata nel C.A.M. ed
affiancata all’Ariete; a
fine ottobre venne schierata
nel settore di El Mechili;
nella prima e seconda
battaglia di El Alamein,
dimostrò il suo fulgido
valore. Il motto della
divisione era:
“Aggredisci e vinci “.
A
conclusione della campagna
di Libia e Tunisia dal 1941
al 1943, la divisione
Trieste dette un contributo
di sangue altissimo: 1.500
morti e altrettanti i
feriti, 1.270 i dispersi;
queste cifre sono
approssimative in quanto,
come é
comprensibile, per
taluni periodi operativi
(vedi ritirata da El
Alamein, novembre 1942 e
Tunisia febbraio-marzo
1943), non fu possibile
stabilire precisi
accertamenti sui caduti o
feriti che per le tragiche
circostanze in cui si
svolsero i fatti d’arme,
dovettero essere abbandonati
sperando nella pietà del
nemico, che per la verità fu
molto umano; per stabilire
certi dati, si é ricorso a
testimonianze di reduci o a
fonti indirette, quali
quelle fornite dagli inglesi
nel dopoguerra, soprattutto
per i dispersi.
Le
ricompense al valore
militare conferite alla
divisione furono molte: alla
bandiera del 66°reggimento
la Medaglia
d’Oro, al 9°reggimento
bersaglieri quella di
Bronzo; le M.O.V.M. concesse
a singoli combattenti furono
11, parte alla memoria e
parte a viventi; due quelle
d’Argento, molte di Bronzo,
le Croci al Merito di guerra
superarono il centinaio.
Nel corso
della guerra,
la Trieste
venne citata ben 6 volte nei
bollettini di guerra emanati
dal Comando supremo.
Prima di
dare inizio a quanto gli
inglesi stavano preparando
per la loro controffensiva
di novembre, é bene che il
lettore venga a conoscere un
episodio che se avesse avuto
successo, avrebbe accelerato
le sorti della guerra in
Africa Settentrionale,
purtroppo a nostro sfavore:
un attacco a sorpresa al
Q.G. di Rommel.
Onde
colpire il centro direttivo
dell’armata dell’Asse
(ACIT), venne studiato da
parte inglese, un piano
preciso e articolato per
eliminare fisicamente il
generale Rommel cui
evidentemente davano
fastidio l’audacia e i
metodi rivoluzionari
applicati in A.S.; nella
notte del 17 novembre 1941,
un “commando“ scozzese del
Long Range Desert Group,
agli ordini del colonnello
Laycock, composto da 50
incursori, venne sbarcato in
piena notte da un
sommergibile a 320 Km. dietro le linee
italo-tedesche; per il mare
in burrasca solo 30 uomini,
poterono raggiungere
la riva; pur essendo così
ridotto il gruppo non
desistette dall’impresa. La
colonna, guidata da arabi
dissidenti (assoldati dal
capitano inglese
J.H.Haselden, che travestito
da arabo svolgeva da lungo
tempo un servizio di
spionaggio in Cirenaica, in
quanto parlava perfettamente
l’italiano e l’arabo ), si
divise in due gruppi uno dei
quali, non appena giunto in
prossimità dell’obiettivo
doveva tagliare tutte le
comunicazioni telefoniche;
l’altro gruppo, al comando
del tenente colonnello
Keyes, figlio
dell’ammiraglio Heyes,
componente l’ammiragliato
inglese a Londra e in
seguito comandate la flotta
inglese dell’Oceano
Pacifico, doveva penetrare
nella abitazione di Rommel
ed eliminarlo. Ormai giunto
il giorno i commandos si
rifugiarono in alcune grotte
aspettando la notte;
nell’attesa il tenente
colonnello Keyes, studiò il
piano d’attacco con l’aiuto
di un arabo che conosceva
bene la zona di Beda
Littoria, ove si trovava la
villa del generale; nella
notte del 18, gli scozzesi
iniziarono l’avvicinamento
alla villa che era
presidiata dai soldati
tedeschi, ma non in gran
numero.
L’attacco
fu fatto di sorpresa ma la
reazione tedesca fu
anch’essa immediata ed
efficace, nel breve scontro
cadde ucciso Keyes e il
gruppo dovette ritirarsi
insieme ai componenti
dell’altro gruppo e
ritornare sulla costa
sperando di essere
recuperato dal sommergibile
trasportatore ma, nonostante
i segnali da parte dei
superstiti del commando,
essi non vennero avvistati e
quindi non recuperati. Gli
incursori tentarono allora
di dirigersi verso l’interno
ma vennero tutti catturati,
si salvarono solo il
colonnello Laycock e un
sergente che vagarono nel
deserto per 40 giorni,
riuscendo poi a raggiungere
le linee inglesi.
Fonti
inglesi di allora ammisero
il mancato recupero,
giustificandolo con le
condizioni del mare
burrascoso che non permise
al comandante del
sommergibile di riconoscere
i segnali luminosi lanciati
dai “commandos“.
Quell’impresa oltre alla
perdita di uomini
specialisti nel loro compito,
fu un errore tattico di
presunzione e leggerezza in
quanto gli inglesi si
basarono su informazioni
degli arabi e quelle non
furono vagliate
sufficientemente, perché era
risaputo che la villa, non
era la residenza effettiva
di Rommel ma una specie di
secondo Quartiere Generale,
ove Rommel vi faceva qualche
improvvisa apparizione;
infatti al momento
dell’attacco era assente, in
quanto trovavasi a Roma per
conferire con Mussolini.
Il
tenente colonnello Keyes
venne decorato della
“Victoria Cross” alla
memoria.,
(
vedere FOTO N°15 )
La difesa
inglese di Tobruch e
perimetro difensivo, dopo il
ripiegamento dell’armata di
Wavell a seguito
dell’incalzante offensiva di
Rommel, non aveva avuto il
tempo di rafforzarsi e si
articolava sui reparti che
erano rimasti bloccati,
comprendenti soldati
australiani, inglesi e
indiani, tutti agli ordini
del generale Leslie Morshead,
il quale provvide subito a
rafforzare la piazzaforte,
sfruttando le difese create
dagli italiani, stabilendo
tre linee di difesa: una
esterna al perimetro e due
interne. La linea di difesa
esterna era protetta da
reticolati e dietro ad essi,
vi erano postazioni di
mitragliatrici e un fosso
anticarro per tutta la
lunghezza del perimetro
difensivo che era di 54 kilometri;
per il fosso anticarro
Morshead usò uno stratagemma,
facendolo coprire, in alcuni
punti obbligati, con
tavoloni con sopra sabbia
per simulare terreno solido,
traendo così in inganno i
carristi nemici, i quali
ignorando il trabocchetto e
passandovi sopra, con il
peso del loro carro,
causavano la rottura dei
tavoloni e così
precipitavano senza scampo
nel fosso.
Tobruch
aveva due attrezzati
aeroporti militari più uno
di fortuna, in servizio già
da quando era una base
italiana, il generale
Morshead ne riattivò uno, ma
nei lunghi mesi di assedio
non poté utilizzarlo spesso
in quanto quei pochi aerei
che gli erano rimasti se
riuscivano ad alzarsi in
volo, venivano abbattuti a
causa della costante
presenza e superiorità in
quei momenti della caccia
italiana e tedesca. Solo
nelle ore notturne
atterravano e decollavano
aerei che portavano generali
o alti ufficiali per
avvicendamento. Il generale
Morshead aveva chiesto in
più riprese al generale
Longmore, quando questi era
ancora comandante della
aviazione inglese in Egitto,
l’invio a Tobruch di aerei
da caccia
ma ricevette solo
promesse anche perché buona
parte degli aerei che il
generale Longmone aveva in
forza, erano stati inviati
in Grecia e Creta ove
vennero
Per i rifornimenti il
generale non ebbe problemi,
in quanto la marina
distrutti.britannica
provvedeva in abbondanza e
regolarmente al fabbisogno
del presidio (oltre 30.000
uomini), usando ogni tipo di
natante, dal
cacciatorpediniere al
posamine, dal peschereccio a
un nuovo tipo di
imbarcazione da sbarco che
avendo una chiglia piatta,
riusciva ad approdare sulla
spiaggia fuori dalla zona
portuale e scaricare
velocemente. Nel rientrare
alla base imbarcava i feriti,
soldati che avevano diritto
allo
avvicendamento e
prigionieri: tutte quelle
operazioni avvenivano di
notte.
Nei primi mesi di assedio a
seguito di contrasti tra il
Governo di Londra e quello
australiano di Gambera,
vennero ritirate quasi tutte
le truppe australiane che si
trovavano a Tobruch (
rimasero solo un battaglione
e due compagnie della 9
divisione australiana ), fu
perciò necessario
rimpiazzare quelle truppe
con 3 brigate inglesi
(XIV-XVI e XXIII ), il 7°
reggimento artiglieria, una
brigata artiglieria
contraerei, un battaglione
mitragliei, la 101^ brigata
Guardie, la XXXII brigata carri, una
brigata polacca al comando
del generale Kopanski e
rinforzata la 6^ divisione
che prese una nuova
denominazione in 70^
divisione, certamente una
solida forza di
30.000 uomini con 2.000
automezzi decisi a
sacrificarsi e di questo
Rommel ne fu consapevole e
decise per l’ennesima volta
un attacco risolutivo.
La marina
inglese per tutti i 242
giorni dell’assedio,
trasportò ed evacuò da
Tobruch con incessante
andirivieni: 34.000 soldati,
72 carri armati, 92 cannoni
e oltre 34.000 tonnellate di
viveri, munizioni e anche
acqua; nel rientrare alle
basi di partenza i marinai
evacuarono: 47.280 uomini
tra feriti, prigionieri e
soldati che usufruivano di
avvicendamento.
La marina
inglese nel corso di queste
numerose operazioni di
soccorso, subì la perdita di
2 cacciatorpediniere, 1
posamine, 22 unità minori;
inoltre ebbe danneggiate a
seguito di bombardamenti
aerei, 18 navi, di cui 9
mercantili piu 2 navi
ospedale.
Il piano
di azione dell’ACIT venne
studiato con i comandi
italiani anche se erano
sorte delle discordanze,
specie con il generale
Gambara, allora comandante
del C.A.M., comunque con
alcuni distinguo il piano fu
approvato da ambo le parti;
con quella
approvazione,l’attacco a
Tobruch doveva essere
realizzato dalle divisioni
italiane di fanteria
schierate attorno alla
piazzaforte e con la
collaborazione mobile
d’intervento della
90^divisione leggera. La
data della operazione era
stata stabilita in un primo
momento nella seconda decade
di novembre, poi spostata al
4 dicembre, purtroppo per
l’aggravarsi degli eventi
bellici, il piano fu
sospeso.
E’ bene
che si sappia che i
contrasti, allora nati tra
il generale Rommel e i
generali Gariboldi, Bastico,
Piazzoni e Gambara non erano
dissidi tra uomini ma tra
comandi, per un certo modo
autonomo e singolare di
condurre la guerra sul
territorio libico, da parte
del generale tedesco.
Nell’autunno del 1941, poco
prima che iniziasse
l’offensiva del generale
Auchinleck, era stato
elaborato dagli inglesi un
piano strategico, tra il
Primo ministro Churchill, il
capo di Stato Maggiore
Imperiale e un comitato
studi; quel piano prevedeva
oltre la sconfitta
dell’esercito italo-tedesco
e la sua cacciata dalla
Libia, anche l’occupazione
della Tunisia per indurre i
francesi dell’Algeria e
Marocco, a ribellarsi al
governo di Vichy; infine con
l’esercito inglese dislocato
in quei territori doveva
essere formato un corpo di
spedizione, composto da
circa 80.000 uomini, che
avrebbe dovuto sbarcare in
Sicilia e aprire così un
nuovo fronte, agevolato
dalla mancanza
dell’aviazione tedesca in
Sicilia, la quale, come già
detto, era stata trasferita
in parte Russia.
Quel
piano, cifrato in codice con
il nome di “Whipcord“, sfumò
in quanto, oltre a non
essere approvato dai
generali Auchinleck e
Wavell, coincise con
l’inizio dell’offensiva di
Auchinleck.
Gli
inglesi ad ogni operazione
di guerra davano un codice,
come: “Workshop“ per la
occupazione dell’isola di
Pantelleria (già citato);
“Acrobat“ conquista della
Tripolitania; e “Mandibles“
invasione del Dodecaneso. (
13 )
Comunque
quel programma
ambizioso,difficile,
articolato e confuso che era
stato progettato
nell’autunno del 1941, tra
la fine del 1942 e primi
mesi del 1943 prese
parzialmente corpo: gli
inglesi ci cacciarono dalla
Libia, i francesi di
Tunisia, Algeria e Marocco
abbandonarono il governo di
Vichy e l’armata
anglo-americana
sbarcò a luglio 1943 in Sicilia.
L’offensiva “Crusader“ (Crociato)
vera e propria ebbe inizio
il 19 novembre 1941 (
consultare MAPPA N°13 ),
anche se il giorno prima il
XXX Corpo d’armata aveva
iniziato dei movimenti di
penetrazione nel nostro
territorio. La sua
elaborazione fu alquanto
travagliata, poichè sorsero
altri contrasti tra il
generale Auchinleck e il
Primo ministro Churchill;
quest’ultimo prevaricante
con le sue interferenze
continue, insisteva nel
volere dare corso alle
operazioni già dal mese di
settembre, mentre il
generale replicava che dati
i pochi mezzi di cui
disponeva, gli necessitavano
almeno tre mesi per la
preparazione, anzi chiedeva
l’invio in Egitto di almeno
due o tre divisioni, una
grossa aliquota di carri
armati e un buon numero di
aerei, pretendendo che
questi venissero messi alle
dipendenze dell’esercito.
Altra divergenza nacque per
la 50^divisione britannica
che era stata inviata per
operare in Egitto e che
Auchinleck invece mandò di
presidio nell’isola di Cipro,
questo naturalmente contro
il parere di Churchill che
voleva fosse utilizzata in
Egitto. Inoltre Auchinleck
desiderava che prima di dare
corso all’offensiva, venisse
sistemata la questione Siria
così da avere a disposizione
le truppe che operavano in
quella regione; egli si
proponeva anche d’iniziare
l’offensiva a tappe: prima
la conquista della Cirenaica,
di seguito se mezzi e
reazione del nemico lo
permettevano, occupare la Tripolitania e penetrare in Tunisia; di contro vi
era il chiaro monito del
Primo ministro che voleva la
conquista della Libia senza
ulteriori soste.
Il
generale venne richiamato in
Inghilterra, dove ebbe
numerosi contatti con capi
militari e con lo stesso
Primo ministro, quella
visita fu opportuna poiché
appianò ogni divergenza.
Strana
coincidenza : si ripetevano
sia pure in diversa misura e
in campo avverso quelle
circostanze che ebbe
Graziani con Roma, la quale
gli sollecitava di iniziare,
sin da luglio
1940,l’offensiva e la
conquista dell’Egitto senza
soste, ma Graziani a
conoscenza della deficienza
dei mezzi che disponeva,
oltre a volere almeno tre
mesi di tempo per attuare
quella offensiva, intendeva
di avanzare a tappe.
Comunque
furono appianate per gli
inglesi le divergenze, anche
perché erano frattanto
arrivate in Egitto parte dei
rinforzi richiesti, così il
generale Auchinlek dette
corso finalmente
all’operazione “Crusader“.
Altra
strana nota storica: pare
che a far decidere il
generale Claude Auchinleck
ad attaccare le posizioni
italo-tedesche nel mese di
novembre, non fosse stata
tanto l’imposizione di
Londra, ma quella di essere
venuto in possesso di un
prezioso e segreto documento,
redatto di pugno da Rommel,
nel quale vi erano segnate,
ore e direttrici di attacco
tedesco, nonché tutte le
posizioni deboli di Tobruch
ed anche quelle
italo-tedesche a Bardia e
Sollum, il tutto
dettagliatamente esposto,
solo la data d’inizio della
offensiva era segnata con
una X.
Il
generale Auchinleck, dopo
essersi consultato con i
suoi servizi segreti,
ritenne valido quello
schizzo e decise di
anticipare Rommel,
attaccando per primo. Ancora
oggi risulta inspiegabile
come quel segreto documento
fosse finito in mani
inglesi!
Nel mese
di novembre le forze inglesi
dell’8^Armata del Nilo erano
così composte:
XIII
Corpo d’armata (non più
Corpo d’armata australiano)
al comando del generale
Godwin Austen;
XXX Corpo
d’armata del generale
Willoughby Norrie.
Il XIII
C.A. comprendeva: la
4^divisione indiana, del
generale F.W.Messervy (con
tre brigate V-VII e XI); la
2^divisione neozelandese,
generale B.C.Freyberg (con
quattro brigate di fanteria
IV-V e VI e una brigata
carri), in più come normali
supporti divisionali due
reggimenti di artiglieria
pesante campale, un
reggimento controcarro e uno
contraereo.
Il XXX
C.A. con: la 7^divisione
corazzata, del generale
W.H.E.Gott (più due brigate
VII e XXII ), incorporava
anche il 7°gruppo di
sostegno del generale
J.C.Campbell; la 1^divisione
sudafricana, con il generale
G.E.Brink (con due brigate I
e V ); il 4°gruppo di
brigate corazzate, generale
J.C.O.Marriott e il
22°gruppo brigate della
“Guardia Reale“ generale
A.H.Gatehouse; inoltre
l’11°Ussari (autoblindo).
Al XXX
C.A., ad inizio offensiva,
furono aggiunnti altre unità
di armata, quali la
2^divisione sudafricana,
generale I.P. de Villiers
(con tre brigate III- IV e
VI),
la Oasis Group
(con
la XXIX brigata
indiana), inoltre come
riserva a Marsa Matruch si
trovava la II brigata sudafricana.
La Oasis Group del
generale D.W. Reid ebbe il
compito di mantenere il
possesso di Giarabub e in
seguito ebbe anche
l’indicazione di occupare
Gialo, avvalendosi
dell’appoggio della XXIX
brigata indiana e del 6°
reggimento autoblindo
sudafricano.
Queste
forze composte da oltre
120.000 uomini, che avevano
preso la denominazione di
8^Armata, erano agli ordini
del generale Alan
Cunningham, che aveva
comandato in Africa
orientale
la East Africa
Force; ad esse bisognava
aggiungere i difensori della
piazzaforte di Tobruch,
comprendenti oltre 30.000
uomini.
L’8^Armata disponeva di
724 carri armati Mathilda,
Cruiser, Valentine con
aliquote di produzione
U.S.A. tipo Grant e Stuart,
inoltre, altri 250 Tanks
erano di riserva. Le forze
aeree avevano 16 squadroni
di caccia, 12 di bombardieri
medi e 5 pesanti, oltre a 3
squadroni tattici alle
dirette dipendenze
dell’esercito, inoltre
Cunningham poteva contare
sulla collaborazione dei
10 squadroni di base a Malta
il tutto per un totale di
circa 1.000 aerei.
Lo
schieramento italo-tedesco,
aveva preso frattanto una
nuova struttura, chiamata
Armata corazzata
italo-tedesca (A.C.I.T.), il
cui comando
tattico-operativo per tutte
le operazioni di guerra
venne affidato al generale
Rommel sanzionato con
l’approvazione di Mussolini
(telegramma del 23/11/1941),
ma con evidente disappunto
dei nostri generali
Cavallero, Bastico e
Gambara.
La nuova
armata italo-tedesca, veniva
a disporre di 3
divisioni tedesche e
7 italiane così dislocate:
da Sollum, Ridotta Capuzzo
sino a Sidi Omar, la
divisione Savona al comando
del generale Fedele De
Giorgis che aveva sostituito
il generale Maggiani, alle
spalle di questa, come
protezione, un aliquota
della 21^panzerdivision
Afrika; il settore tra
Ridotta Maddalena e Gabr
Saleh era stato affidato a
due gruppi esploranti
tedeschi (il 3° della
21^panzerdivision e il 33°
della 15^); più arretrata a
Bir el Gobi la divisione
Ariete; dietro l’Ariete da
Bir Hacheim-Bir el Gobi la
divisione motorizzata
Trieste; da Bardia-Bir el
Gobi-Sidi Omar, la
21^panzerdivision che aveva
un compito mobile; sulla
costa da Bardia a Tobruch
era schierata la
15^panzerdivision, anch’essa
con funzione mobile; attorno
a Tobruch, per mantenere lo
stato di assedio, erano
appostate le divisioni:
Brescia, Trento e Bologna,
del XXI Corpo d’armata del
generale Navarrini; la
divisione Pavia fungeva da
riserva strategica; sia
Bardia che Sollum e passo
Halfaya, erano presidiate da
reparti italo-tedeschi; il
“passo“ era stato
trasformato in una
piazzaforte quasi
inespugnabile con l’aggiunta
di batterie contraerei da 88 mm. della 19^divisione
Flak, che all’occorenza
diventavano artiglieria
controcarri.
Il
presidio di Bardia era
formato da reparti del 15° e
16° reggimento fanteria
della divisione Savona, dal
4°gruppo squadroni
autoblindo “Genova“, da una
aliquota della Guardia alla
frontiera, da due batterie
della Regia marina e due
reparti tedeschi
della 15^panzerdivision, il
comando della piazzaforte
era tenuto dal generale
tedesco Schmitt, da poco
promosso a quel grado.
Le due
guarnigioni che dovevano
difendere Sollum e passo
Halfaya, comprendevano il
1O4° reggimento tedesco
della 21^panzerdivision, una
compagnia sahariana, reparti
di fanteria della Savona e
ancora reparti misti di
artiglieria, con pezzi da
105/28 e cannoni controcarri
da 75/46, oltre a quelli da
88; le due guarnigionii
dipendevano, come comando,
dal generale De Giorgis.
Sia i
presidi di Bardia, di Sollum
e Halfaya, utilizzarono
anche armi e munizioni
inglesi (bottino di guerra
recuperato durante la
controffensiva di Rommel).
Il
settore della Savona era il
più esposto, anche perché
doveva tenere un fronte di
30 Km.;
il generale De Giorgis nel
timore che si ripetesse la
situazione tattica della
“Compass” aveva predisposto
una linea di capisaldi,
affidandola ai colonnelli
D’Avanzo, Cova e Aveti, che
durante l’offensiva inglese,
pur rimanendo isolati,
seppero resistere, con le
loro poche forze a rabbiosi
attacchi nemici; il loro
comportamento fu ammirevole
e la disposizione adottata
congeniale agli eventi
accaduti.
Il
compito della Savona, in
caso di una offensiva, era
quello di tenere impegnato
il nemico il più possibile,
onde dare alle divisioni
tedesche il tempo di
muoversi e di portare un
contrattacco che avrebbe
dovuto culminare con
l’accerchiamento delle
truppe avversari.
Con la
nuova nomina di Gastone
Gambara,quale capo di Stato
Maggiore del comando
superiore Africa
Settentrionale, il comando
del Corpo d’armata di
manovra (CAM), venne
affidato provvisoriamente al
generale Piazzoni, già
comandante della divisione
Trieste, ma il 23 dicembre
1941 subentrò il generale
Ballotta dell’Ariete, in
quanto il generale Piazzoni
era rimasto ferito in un
incidente d’auto; dopo pochi
giorni altra sostituzione
con il generale De Stefani
della Trento e ancora in
ultimo, il 31/12 con il
generale Zingales. Ci si
domanda perché tutte queste
sostituzioni nel giro di un
mese ? La risposta bisogna
ricercarla in una serie di
contrasti e ripicche fra
Rommel e i generali Gambara
e Piazzoni poiché in
A.S.successero più volte
anche queste cose.
L’offensiva “Crusader“ oltre
ad essere stata preparata
dali inglesi nei minimi
particolare e con grande
segretezza, ebbe a
beneficiare anche dall’aiuto
di violenti temporali, che
non avevano permesso alla
nostra ricognizione aerea di
alzarsi in volo per
individuare l’ammassamento
delle truppe nemiche, doveva
essere una sorpresa per
l’esercito italo-tedesco ma
tale non fu; infatti, da
segnalazioni avute dal
comandante della divisione
Savona, circa concentramenti
di truppa e carri armati
segnalati dalle sue
pattuglie esploranti nella
zona di Bir Sofafi, il
generale Bastico, intuendo
una possibile offensiva
nemica, mise in allarme le
nostre divisioni e dette
notizia del pericolo anche
al comando dell’Afrika
Korps; Rommel non tenne
volutamente e sprezzatamene
conto di quell’avviso e si
trovò così ad affrontare un
attacco con uno schieramento
male predisposto.
Nella
offensiva “Crusader”, il
generale Cunningham adottò
un piano di battaglia simile
a quello di Wavell; divise
la sua armata in tre colonne
che presero la denominazione
di: Northern Force, Centre
Force e Southern Force.
La Northern Force che
comprendeva il XIII C.A.
doveva attaccare e
distruggere lo schieramento
italo-tedesco da
Sollum-Bardia-Ridotta
Capuzzo-Sidi Omar per poi
puntare su Tobruch.
Alla
Center Force, del XXX C.A.
che aveva a disposizione
quasi tutte le forze
corazzate dell’armata, fu
assegnato il compito più
arduo anche perché era il
più
importante:
penetrando dalla zona di
Ridotta Maddalena, con
manovra a largo raggio,
doveva dividersi in tre
colonne: una composta dalla
XXII brigata Guardie con
obiettivo Bir el Gobi,
l’altra attaccare con
la IV
brigata corazzata il
presidio di Gabr Saleh e
distruggerlo, poi avanzare
su Sidi Rezegh, via Bir
Hacheim, la terza con la VII brigata corazzata, aveva il compito di
assalire direttamente Sidi
Rezegh; arretrato come
riserva il resto della
7^divisione con il 7°gruppo
di sostegno e l’11°Ussari.
La Southern Force, con
la Oasis Group
aveva l’ordine oltre di
presidiare Giarabub, puntare
su Gialo, occupare la
località e come ultimo
obiettivo avanzare verso
Agedabia.
Come
sopradetto, la data
dell’offensiva inglese, era
stata stabilita al 19
novembre, ma ebbe inizio
nelle primissime ore del
mattino del 18 sotto una
pioggia torrenziale. Nella
mattina il XXX Corpo
d’armata, attraversò il
nostro confine all’altezza
di Ridotta Maddalena
puntando su Bir el Gobi, con
l’intenzione di attuare un
avvolgimento allo
schieramento dell’Asse, ebbe
una certa fortuna poiché
quell’avanzata, causa
l’incessante pioggia, non fu
notata sino alle ore 10,30,
quando le sue avanguardie
vennero intercettate da un
reparto carri armati
dell’Ariete e autoblindo
tedesche, che li attaccarono
e li respinsero oltre
confine.
Come
stabilito dal generale
Auchinleck, il XXX C.A. che
si era assunto il compito
principale dell’attacco,
penetrò, per la seconda
volta, nel nostro territorio
e subito la colonna
corazzata della XXII
brigata, attaccò le
posizioni tenute dalla
divisione Ariete nel settore
di Bir el Gobi, ma questa
affidabile unità nonostante
l’inferiorità tecnica dei
suoi carri m.13/40,
resistette e grazie
all’eroico comportamento
dell’8°bersaglieri riuscì
anche a contrattaccare,
infliggendo rilevanti
perdite.
Altra
colonna formata con
la IV
brigata corazzata, che aveva
il compito di sopraffare il
piccolo
presidio di Gabr
Saleh, dovette abbandonare
l’impresa in quanto si trovò
di contro, il 5°reggimento
della 21^panzerdivision e il
3°Gruppo esplorante tedesco,
mentre la colonna della VII
brigata corazzata, che
avanzava più a Nord
raggiunse, come stabilito,
Sidi Rezegh.
Sidi
Rezegh era uno sperone
roccioso, alto circa 40 metri e largo e lungo un
paio di chilometri che si
elevava isolato su quel
piatto deserto della
Marmarica; la sua posizione
dominava la pista che
portava a Ridotta Capuzzo e
anche quella verso El
Aden-Tobruch e fungeva da
perno nevralgico per
Tobruch; usufruiva anche di
un campo aereo di fortuna,
che venne sfruttato prima
dall’aviazione
italo-tedesca, poi da quella
inglese.
Nel corso
dell’offensiva attorno a
questo sperone, ma
soprattutto per il possesso
dell’aeroporto, si svolsero
due dure battaglie; la prima
avvenne nella mattinata del
19 novembre 1941, quando la VII brigata corazzata (7^divisione), alla quale si
era aggiunto un reparto del
gruppo di sostegno,
attaccarono il poco numeroso
presidio che, dopo un giorno
di resistenza, venne
sopraffatto dalla violenza e
potenza numerica del nemico
e fu costretto ad
abbandonare Sidi Rezegh.
La
reazione delle forze
italo-tedesche non si fece
attendere, tra il 21 ed il
22, infuriarono
combattimenti attorno allo
sperone, in prevalenza tra
carri armati e gli inglesi
del XXX corpo d’armata
ebbero la peggio. In quegli
scontri perdettero infatti
oltre 200 dei loro carri, la IV e V brigate corazzate vennero completamente
annientate tanto che la
7^divisione ormai ridotta e
malconcia, dovette nella
nottata del 22-23, ripiegare
verso le posizioni di
partenza e Sidi Rezegh venne
riconquistata.
Il giorno
24 Rommel, sfruttando il
successo ottenuto e avendo
notevolmente ridotta la
potenza del XXX C.A.,
riunite le forze dell’Afrika
Korps (la 21^e
15^panzerdivision) che erano
dislocate tra Gambut e
Bardia e con l’appoggio
delle divisioni italiane
Ariete e Trieste, che fece
sollecitamente spostare da
Bir el Gobi e Bir Hacheim,
avanzò verso la frontiera,
penetrando addirittura per
circa
30 Km.
in territorio egiziano,
sperando di conquistare
anche i tre campi logistici
di rifornimenti, che
l’Abwher Dienst (Servizio
informazioni tedesco)
riteneva vicini al confine
egiziano, denominati nel
gergo militare inglese
“Forward Maintenance
Center“. Questi erano basi
avanzate con carburante,
munizioni e generi
alimentari, logisticamemte
dei grossi depositi
strategici ma si trovavano
dislocati: uno nella zona di
Sidi Barrani, il secondo
verso Marsa Matruch, il
terzo era a Giarabub. Erano
basi ben lontane, certamente
irragiungibili in quel
particolare momento, mentre
dalle informazioni che
Rommel era venuto in
possesso, ovviamente errate,
queste avrebbero dovuto
trovarsi, tra Ridotta
Maddalena-Bir Sceferzen-Sidi
Omar, quindi in territorio
entro il nostro confine. In
effetti gli inglesi avevano
creato, in quelle zone
soltanto piccole basi
alimentari abilmente
mascherate, tanto da
sfuggire alla nostra
ricognizione aerea. Un
particolare su quei
depositi: anche se essi
avevano una superfice
abbastanza vasta, erano così
ben occultati, che il
Generale von Ravanstein
della 21^panzerdivision,
nella sua avanzata passò a
qualche chilometro da uno di
questi depositi e non si
accorse della sua esistenza.
Comunque,
nei piani di Rommel, vi era
anche il progetto certamente
prioritario, di affrontare
in una battaglia risolutiva
il XIII C.A.,distruggerlo e
liberare dall’assedio i
presidi di Bardia, Sollum e
Halfaya; questo non avvenne
anche se vi furono scontri
sporadici con avanguardie
della 4^divisione indiana,
vedremo qui di seguito il
perché. Le ragioni di quella
mancata battaglia bisogna
ricercarle, parte nella
disordinata avanzata, con
incredibili spostamenti da
Ovest a Est e viceversa, che
fecero indifferentemente per
più volte, i reparti
italo-tedeschi e gli
inglesi, nella pessima
organizzazione logistica
dell’Asse, nel cattivo
funzionamento dei contatti
radio tra comando e
divisioni e tra queste con i
reparti in sottordine, tanto
che spesso reggimenti e
battaglioni agivano nello
stesso settore l’uno
all’insaputa dell’altro;
identico problema lo ebbero
le divisioni Ariete e
Trieste che seguivano le
divisioni tedesche; altra
causa fu l’intervento
massiccio dell’aviazione
inglese che non dette tregua
ai tedeschi; da non
sottovalutare anche il
problema delle scorte di
carburante che crearono
spesso seri problemi a chi
doveva provvedere ai
rifornimenti, in quanto gli
addetti furono costretti a
seguire due direzioni, da
Ovest a Est e viceversa,
poichè Rommel aveva diviso
il D.A.K., assegnando alla
21^panzerdivision il compito
di portarsi sotto Sollum ed
affrontare il XIII C.A. del
generale Godwin-Austen,
mentre la 15^ doveva
scendere a Sud verso Bir
Sceferzen e prendere alle
spalle i resti di quello che
fu il XXX C.A. del generale
Norrie. Comunque quel
frazionmamento del Deutsche
Afrika Korps costò caro a
Rommel; secondo alcuni
esperti storici militari e a
giudizio dello stesso
generale Halder, capo di
Stato Maggiore Generale
dell’esercito tedesco,
quello fu un errore di
Rommel e del CAM, causato da
superficiale valutazione
degli eventi, tanto che la
sua avanzata si trasformò in
una ritirata, anche alquanto
precipitosa e combattuta
sino a Gambut, da dove
Rommel era partito fiducioso
e sicuro di ottenere una
vittoria. In realtà talune
manovre di avvolgimento
concordate tra DAK e CAM,
furono caratterizzate da
scarsa collaborazione tra
tedeschi e italiani e nella
modesta velocità di
spostamento del C.A.M.
E’ tesi
di alcuni storici,
soprattutto tedeschi e
inglesi che la mancanza di
collaborazione fu
volutamente instaurata dai
generali italiani col
rifiuto di non attuare gli
ordini di Rommel, a mio
avviso è solo montatura
antitaliana.
Da
segnalare che quella
avanzata ebbe almeno
l’effetto di creare
scompiglio nelle retrovie
inglese, furono fatti anche
dei prigionieri.
In quella
confusa azione Rommel
rischiò addirittura di
essere catturato; questo il
racconto della sua brutta
avventura: nel corso del
ripiegamento,
inspiegabilmente, Rommel, si
allontanò in macchina dal
suo comando, avendo al suo
fianco il generale Gause,
suo capo di Stato Maggiore;
le versioni di quel
allontanamento sono tra le
più disparate: sempre
secondo alcuni storici
Rommel andò alla ricerca di
quel varco aperto nel
reticolato di frontiera allo
inizio dell’avanzata onde
poi riattraversarlo con
sicurezza; per altri la
versione fu quella che
Rommel, come da sua
impulsiva abitudine, si era
allontanato per rendersi
conto della consistenza e
delle posizioni predominanti
del nemico. Comunque quale
possa essere stata la
ragione, egli si smarrì
nella vastità deserto che
porta facilmente a falsare
la visuale e l’orientamento
anche al più esperto suo
conoscitore; quelle
allucinazioni in effetti
fanno vedere ciò che non
esiste, uno crede di
trovarsi nel punto giusto
mentre invece é in quello
opposto, questa a mio avviso
potrebbe essere la vera
causa di quello smarrimento;
credo che il generale non
avesse grande familiarità
col deserto. Per strana e
fortuita coincidenza, anche
il generale Cruewel,
comandante del D.A.K., con
il suo capo di Stato
Maggiore colonnello
Bayerlein ( in seguito
divenuto generale ), si
erano smarriti e vagando nel
deserto ebbero la fortuna,
d’incontrarsi causalmente
con Rommel; essendo ormai
notte decisero di sostare in
un anfratto del terreno,
caso volle che andarono a
fermarsi nei pressi di un
accampamento inglese;
nessuno però si accorse
della loro presenza anche
perché il generale Gruewel
usava, in quel momento un
automezzo inglese preda di
guerra (era un grosso
blindato a trazione
integrale chiamato Mammouth,
automezzo che in seguito usò
anche Rommel), sul quale
erano saliti Rommel e Gause
abbandonando la loro
macchina tedesca, quindi
nessuno fece caso a quello
automezzo inglese. Solo
all’alba i generali tedeschi
si accorsero del luogo ove
erano finiti e dei
potenziali pericoli
esistenti. Silenziosamente e
con cautela si
allontanarono, raggiungendo
poi gli avamposti tedeschi.(
14 )
Immaginiamo
cosa sarebbe successo, se
gli inglesi avessero
catturato quel gruppo di
generali, che in quel
momento rappresentavano
tutta l’armata tedesca,
quali disastrose conseguenze
ne sarebbero venute fuori
per la guerra in Africa
Settentrionale. Anche questa
volta e non fu l’ultima, la
fortuna aiutò Rommel; ho
detto che non fu l’ultima in
quanto, come sua
consuetudine, il generale
Rommel usava spesso, un
piccolo aereo da
ricognizione Storch
(Cicogna) per ispezionare,
oltre le sue truppe anche il
territorio dove pensava di
attaccare, ora in una di
quelle ispezioni, sorvolando
un ammassamento di soldati,
pensando che fossero
tedeschi decise di
atterrare, ma quando già
stava per t
occare il
terreno, si accorse che
erano invece inglesi, solo
l’abilità del pilota, lo
salvarono dalla cattura.
Naturalmente nei piani di
Auchinleck il possesso di
Sidi Rezegh era d’importanza
vitale per rompere l’assedio
di Tobruch, quindi ordinò al
generale Cunningham di
compiere ogni sforzo,
raccogliendo tutte quelle
forze disponibili, di
attaccare e riconquistare
nuovamente Sidi Rezegh e
congiungersi con la
guarnigione di Tobruch.
Cunningham attaccò Sidi
Rezegh, nella giornata del
25 novenbre e potè disporre
anche della 2^divisione
neozelandese e di una
brigata carri Mathilda, che
agirono da Nord; mentre
la IV
brigata corazzata,
la XXII
brigata Guardie e la
1^divisione sudafricana
avanzarono da Sud; nei
giorni 25-26-27 e 28 ci
furono aspri combattimenti,
gli inglesi riconquistarono
Sidi Rezegh e l’aeroporto,
nonostante l’eroica difesa
del 9°reggimento bersaglieri
del colonnello Bordoni della
divisione Trieste e di
reparti tedeschi agli ordini
del generale Karl Boettche.
La
2^divisione neozelandese del
generale Freyberg dopo la
conquista di Sidi Rezegh,
avanzò verso Tobruch e in
aspri combattimenti contro
la divisione Bologna, aprì
un corridorio a El Duda,
dove reparti della
70^divisione con la brigata
polacca, usciti da Tobruch,
impegnarono i fanti della
Bologna; il giorno 28, due
battaglioni della
2^divisione entrarono a
Tobruch, dove rimasero
bloccati; ma l’assedio
continuava e tale rimase
sino a luglio del 1942.
Frattando
nell’armata inglese era
avvenuto un cambiamento
importante: il generale
Auchinlek, in data 25
novembre, aveva suo malgrado
sostituito, per divergenze
sul modo di come condurre
alcuni attacchi, il generale
Cunningham con il generale
Neil Ritchie, che era allora
capo di Stato Maggiore del
suo Quartiere Generale.
Quella
nuova situazione in campo
nemico indusse Rommel a
reagire; raccolte le sue
forze sferrò un nuovo
attacco contro Sidi Rezegh e
la riconquistò (29
novembre-1°dicembre);
la IV
brigata(ricostituita) e VI
neozelandese che avevano
difeso la località, subirono
gravi perdite; la
2^divisione neozelandese nel
ciclo di quelle due
operazioni, ebbe circa 3.000
uomini tra morti, feriti e
prigionieri.
Oltre
alle perdite della
2^divisione, il XXX
C.A.inglese, perdette circa
800 mezzi tra carri armati,
autoblindo e autocarri,
vennero abbattuti 127 aerei
e 9000 furono i suoi soldati
caduti o prigionieri.
Anche da
parte dell’Afrika Korps e
delle divisioni italiane si
ebbero delle pesanti
perdite: 3.800 tra morti,
feriti e dispersi, 142 carri
tra Mark IV e M.13/41 e 25
autoblindo distrutti, molta
artiglieria campale e
controcarro fuori uso.
Purtroppo
anche in quelle operazioni
di Sidi Rezegh e Tobruch,
vennero commessi errori
tattici, con continui
spostamenti di reparti,
ordini dati verbalmente da
Rommel e non comunicati né
al Comando superiore, né ai
comandanti di Corpo
d’armata; divisioni
italiane, come
la Trieste
e Pavia, passate alle
dipendenze del D.A.K.
all’insaputa di Bastico e
Gambara e ancora il
bombardamento erroneamente
effettuato da aerei tedeschi
sulle posizioni tenute dalla
colonna del colonnello De
Meo, del raggruppamento
esplorante del C.A.M.,
quello fu un errore dovuto
alla mancanza di
segnalazioni, che causò al
raggruppamento 4O tra morti
e feriti, con la distruzione
di artiglierie e
mezzi di trasporto.
Altro
episodio grave fu la cattura
del generale von Ravenstein,
comandante della
21°panzerdivision, che nel
caos della battaglia del 29,
andò a finire nel bel mezzo
della divisione neozelandese
e venne catturato con tutto
il suo Stato Maggiore.
Veniamo
ora a conoscere quali furono
le operazioni di guerra che
svolse la Southern Force con la Oasis Group del
generale Reid; essa sin
dalla metà di novembre, si
era concentrata tra l’oasi
di Siwah e Giarabub, che dal
marzo del 1941,era stata
occupata nonostante l’eroica
resistenza del
ten.colonnello Castagna e
dei suoi soldati; il giorno
18 novembre il gruppo Oasis
con
la XXIX
brigata indiana e il
6°reggimento autoblindo si
mosse da Giarabub diretto su
Augila per occuparla e
tagliare ogni possibilità di
ritirata verso Agedabia
della guarnigione di Gialo.
La difesa di Augila,
composta da appena un
plotone di bersaglieri con
due cannoni da 47/32, venne
attaccata dalla XXIX brigata
la mattina del 22, fu facile
preda del numero e dovette
soccombere .
Caduta
Augila,il giorno 23,
la XXIX
brigata attaccò Gialo, ma il
primo urto fu respinto, in
un secondo tentativo fatto
con maggiori forze, la
guarnigione che era composta
da due compagnie
bersaglieri, un plotone di
fanteria della divisione
Sabratha, una sezione
cannoni da 75/27 e una
batteria mitragliere da
20mm., dovette cedere e
anche Gialo venne occupata.
Da Gialo
il generale Reid, aveva
ricevuto l’ordine di
avanzare su Agedabia, ma
quel piano fu bloccato,
oltre che dai continui
attacchi della nostra
aviazione, con l’appoggio
dei famosi “Messerschmitt”
tedeschi, anche dalla
mancanza di tempestivi
rifornimenti che dovevano
essere garantiti a Reid, per
una avanzata nel deserto di
500 Km.
verso Agedabia.
Rommel
sfruttando il successo di
Sidi Rezegh e sicuro dello
sfacelo dell’armata inglese,
ripropose l’avanzata su Sidi
Omar, sempre con la
convinzione di liberare
dall’assedio Bardia, Sollum
e Halfaya, che resistevano
stoicamente ai continui
assalti della 4^divisione
indiana; quel piano di
battaglia non venne
condiviso dal comando
superiore, anche perché
Rommel aveva ordinato il
ritiro da Bir el Gobi delle
forze italo-tedesche che
ancora la presidiavano, non
considerando quella zona più
un pericolo,lasciandovi solo
un piccolo presidio.
Per tale
disposizione unilaterale non
fu d’accordo il generale
Gambara, che espresse
direttamente a Rommel le sue
rimostranze, insistendo che
Bir el Gobi non doveva
essere abbandonata, tanto
che di propria iniziativa
inviò sul posto i due
battaglioni Giovani Fascisti
che presero subito
posizione; il I a quota 176
con capisaldi a Azuel Misef
sulla strada per Adem,
mentre il II si attestò
sulle quote 184
-188 a
2 kilometri Nord-Ovest di
Bir el Gobi.
Ecco con
che parole si espresse il
generale Gambara, nei
confronto dei due
battaglioni..........”il
compito è arduo i volontari
sono al loro primo
combattimento, sono giovani,
ma la mia fiducia in loro è
piena.......”
sacrosante parole,
poiché quei giovani non
delusero il generale
Gambara.
Un breve
cenno su Bir el Gobi, che in
arabo si pronuncia Bir el
Gubi ( per questioni di
fonetica gli italiani
trasformarono la parola Gubi
in Gobi); la località, prima
della guerra, era
sconosciuta soprattutto in
Italia, solo pochi
italiani
di Libia ne conoscevano
l’esistenza. Bir in arabo è
indicazione di “pozzo” di
acqua dolce, Gubi invece è
il nome della prima tribù
che prese possesso di quel
territorio. Il paese
sistemato attorno a un pozzo
e circondato da un palmeto,
non troppo numeroso, era
formato da casupole
costruite con terra bagnata
e pressata, con un tetto
fatto di tronchi di palma
(caratteristica delle
abitazioni indigene); sempre
prima della guerra, l’oasi
era presidiata da pochi
soldati indigeni “meharisti“
(non oltre 30), al comando
di un sottufficiale
nazionale; il servizio di
polizia era affidato a un
brigadiere dei Carabinieri
Reali con 4 zaptie (
carabinieri libici ).
L’oasi di
Bir el Gobi, posta a circa
120 kilometri a Sud di
Tobruch, in pieno deserto
della Marmarica, era al
centro delle piste che
provenivano dall’interno
(Cufra, Giarabub, Sidi
Omar), poi da questa
località esse toccavano Bir
Hacheim, El Mechili,
Tobruch.
Bir el
Gobi, in tempi non remoti,
era passaggio obbligato
delle carovane che si
spingevano sino
sulla costa.
Il
generale Ritchie, nuovo
comandante dell’armata
inglese, nonostate i gravi
colpi subiti in quei tre
giorni di dure battaglie,
dopo essersi riorganizzato e
aver ricevuto rinforzi,
decise di attaccare El Adem,
affidando quel compito al
XXX Corpo d’armata;
l’ostacolo principale per
gli inglesi, prima di
puntare su El Adem, era
ancora costituito da Bir el
Gobi, che il generale
Norrie, comandante del XXX,
riteneva fortemente
presidiata da un reggimento
della 21°panzerdivision; in
effetti esisteva solo un
reparto tedesco del
raggruppamento esplorante,
che venne sostituito, il
1°dicembre, dai battaglioni
“Giovani Fascisti“. Il
generale Norrie, sempre
convinto del forte presidio
di Bir el Gobi, vi si
diresse con tutto il suo
Corpo d’armata; in vista
dell’obiettivo, fece
avanzare
la XI
brigata indiana, con
l’appoggio dell’8°Royal
Tanks e il 7°reggimento
artiglieria pesante e ordinò
l’attacco; il primo scontro
ebbe inizio alle ore 5,30
del 3 dicembre e venne
respinto dalla tenace difesa
di quei giovanissimi soldati
al loro primo combattimento;
erano soldati italiani,
tutti
volontari e
nonostante fossero giunti
sul posto da appena pochi
giorni,
avevano
creato solide postazioni
campali scavando la dura
crosta desertica. Il loro
armamento, molto modesto,
comprendeva: moschetto
individuale, poche
mitragliatrici, alcuni
mortai da
81 mm.,
16 pezzi da 47/32, 2 pezzi
da 102, 30 fuciloni
anticarro e 4 carri armati
L.3,lasciati sul posto
dall’Ariete in quanto
inservibili, i giovani
fascisti li interrarono
usandoli come nidi di
mitragliatrici.
Questa
esigua forza tenne testa,
per 5 giorni, a circa 10.000
avversari fortemente armati,
in una impari lotta,
durissima e sanguinosa,
compiendo innumerevoli atti
di eroismo, sino al limite
di ogni sofferenza umana.
Lo
schieramento dei GG.FF.,come
sopra detto, comprendeva
quota 184 e 188 tenute dal
II battaglione al comando
del maggiore Carlo
Benedetti, mentre a quota
176 si era assestato il I,
comandato dal maggiore
Fulvio Balisti; i due
battaglioni erano alle
dirette dipendenze del
ten.colonnello Ferdinando
Tanucci Nannini.
Il
comandante del XXX C.A.
vista la indomita resistenza
di quei “ragazzi“, aumentò
le forze di attacco con
la XXII
brigata Guardie, il
2°battaglione Camerons,
forte di un gruppo di
rinforzo con carri armati
Valentine e un’aliquota
della 7^divisione corazzata,
sicuro questa volta di
conquistare Bir el Gobi. Gli
assalti alle postazioni dei
giovani fascisti si
susseguirono
ininterrottamente nei giorni
4-5-6-7 e furono sempre
respinti; i “ragazzi” non
mollarono, gli episodi di
valore si contarono a
decine, si videro giovani
volontari che per non
abbandonare il loro pezzo
anticarro, venivano
maciullati dai cingoli dei
carri armati nemici;
comandanti di compagnie e di
battaglione, che pur feriti
non vollero allontanarsi dai
loro “ragazzi“; memorabile
l’esempio del maggiore
Balisti, che con una gamba
spappolata da una granata
(gli verrà amputata) e
l’altra con gravi ferite,
sdraiato su una barella
continuò a dirigere la
difesa del suo caposaldo;
solo dopo insistenze dei
suoi “ragazzi” e del
ten.colonnello Tanucci,
anch’egli ferito, si fece
portare nell’ospedale da
campo della divisione Pavia
dove gli fu amputata la
gamba sinistra.
Nella
ritirata della Pavia,
l’ospedale da campo venne
occupato e il maggiore
Balisti, con le ferite non
ancora cicatrizzate, fu
sballottato da un un
ospedale da campo inglese
all’altro, questo per
10 giorni, finalmente viste
le sue gravi condizioni, i
medici inglesi decisero di
ricoverarlo nello ospedale
Eliopolis del Cairo,
trattenendolo solo per il
tempo necessario di guarire,
poi venne trasferito nel
campo di concentramento “3O6
criminal fascist” di Heluan
(Cairo),
con il numero di
prigioniero POW 350726.
Nell’aprile del
1943, a
seguito di uno scambio di
prigionieri mutilati,
rientrò in Italia, sbarcando
a Bari la mattina del 25
aprile (giorno di Pasqua) da
una nave ospedale italiana.
La storia di questo scambio
di prigionieri é
interessante conoscerla: i
prigionieri italiani vennero
imbarcati nel porto di
Alessandria d’Egitto, su due
navi ospedali inglesi,
contemporaneamente altre due
navi ospedaliere italiane
imbarcavano a Bari
prigionieri mutilati
inglesi; punto d’incontro
delle quattro navi fu il
porto neutrale di Smirne,
quì avvenne lo scambio gli
italiani sulle nostre navi,
gli inglesi sulle loro;
appena a bordo i prigionieri
commossi baciarono le loro
bandiere.
Il
maggiore Balisti, fu
volontario della Prima
Guerra Mondiale, legionario
fiumano, segretario
personale di Gabriele
D’Annunzio nella impresa di
Fiume, decorato di 3
Medaglie d’Argento al Valore
Militare e una di Bronzo;
allo scoppio della 2^Guerra
Mondiale aveva 51 anni,
quindi poteva essere
esonerato dal servizio
militare, invece chiese di
essere riammesso in servizio
e servire la Patria in zona di guerra.
Regalerà ai suoi ragazzi la
tenuta agricola di Ponti sul
Mincio, che diverrà, nel
dopoguerra, la “Piccola
Caprera” faro luminoso di
patriottismo e italianità.
Altro
luminoso esempio di sublime
e cosciente valore, fu
l’eroica morte del
“volontario”, caporale
maggiore Ippolito Niccolini,
il quale rimasto
completamente accerchiato
nel suo caposaldo, benché
ferito alla testa, usciva
dalla postazione e da solo
affrontava, con lancio di
bombe a mano, un carro
armato Valentine riuscendo a
distruggerlo; ferito
nuovamente al petto
attaccava altro carro armato
ma veniva falciato da
raffiche di mitragliatrice;
per quella azione venne
decorato
(alla memoria ) di
Medaglia d’Oro al Valore
Militare.
A Bir el
Gobi nacque la leggenda dei
giovani fascisti ( i
“Mussolini boys” come li
chiamarono gli inglesi), di
questi “adolescenti” la loro
leggenda attraversò i
confini nazionali e le
imprese di questi “volontari“
trovarono consensi
cavallereschi anche da parte
di coloro che li
combatterono. Nel dopoguerra,
quando i superstiti
rientrarono dalla prigionia,
l’Italia di allora non seppe
accoglierli degnamente,
furono incompresi,
emarginati, isolati e
dimenticati; la loro storia
fu falsata e distorta. I
reduci molti anni dopo,
senza nulla chiedere, senza
nulla recriminare o
rivendicare, si sono riuniti,
hanno creato un loro Museo e
una degna Sede, in quel di
Ponti sul Mincio ( Mantova
); sono rimasti in pochi e
tengono alta la memoria del
loro passato.
A Nord la
situazione della divisione
Savona incominciò a
peggiorare,il XIII C.A.
sferrò un poderoso attacco a
Sidi Omar e Ridotta Capuzzo
che in data 3O novembre
vennero occupate, la
4^divisione indiana avanzò
sino a Sidi Azeis e
minacciava Gambut ove Rommel
aveva concentrato parte
delle sue forze; l’obiettivo
della 4^divisione era quello
di portare aiuto alla
2^divisione neozelandese,
mal ridotta ma ancora
impegnata nella zona di Sidi
Rezegh.
Nei
giorni 6 e 7 dicembre Rommel
si rese conto che la
situazione stava
precipitando e aveva deciso
di ritirare le divisioni
italiane e la 90^divisione
leggera che assediavano
Tobruch da otto mesi e
ripiegare su Ain el Gazala
con il resto dell’armata
(15^e 21^panzerdivision,
l’Ariete e la Trieste ), lasciando al
loro destino
la Savona
e le guarnigioni di Bardia,
Sollum e Halfaya.
Frattanto
a Bir el Gobi, i battaglioni
dei giovani fascisti
resistevano, ma Rommel
temendo un cedimento, che
sarebbe avvenuto in quanto i
due battaglioni erano ormai
con scorte munizioni e
viveri allo esaurimento e
per giunta stremati dalla
sete, decise di inviare in
soccorso la
15^panzerdivision e le
divisioni Ariete e Trento,
ma quando esse giunsero sul
posto, sia pure con
difficoltà, soprattutto per
l’Ariete, il XXX di Norrie
non accettò battaglia, ciò
permise ai superstiti GG.FF.
di ripiegare insieme alla
15^, non prima di avere
seppellito i suoi morti.
L’armata
italo-tedesca dal giorno 7
aveva iniziato la ritirata
su Ain el Gazala quasi
indisturbata, salvo
sporadici scontri della sua
retroguardia che comprendeva
anche una compagnia moto
blindata della P.A.I., ma il
giorno 15, la 4^divisione
indiana, con
la IV
brigata corazzata e la
brigata polacca, uscita da
Tobruch, attaccarono
improvvisamente le posizioni
italo-tedesche a Ain el
Gazala tentando un
avvolgimento ma vennero
respinti dalla tenace
resistenza delle divisioni
Pavia, Brescia e Trento; in
quella battaglia cadde
mortalmente colpito il
generale Borsarelli, Vice
comandante della Trento.
Approfittando del vantaggio
che le divisioni italiane
gli avevano dato respingendo
il tentativo di avvolgimento
inglese, Rommel sapendo di
essere ormai a corto di
munizioni e carburante
decise un nuovo ripiegamento
su Agedabia; la copertura di
retroguardia, venne affidata
al 1°battaglione
CC.RR.paracadutisti, onde
rallentare l’avanzata nemica,
ostacolarla il più possibile
e proteggere il ripiegamento
italo-tedesco, ma
soprattutto dare la
possibilità alle divisioni
di fanteria Brescia, Trento,
Pavia e Bologna di non
essere annientate, in quanto
la loro ritirata avveniva
quasi tutta a piedi; si
ripeteva il dramma delle
divisioni italiane durante
il ripiegamento di Graziani.
Al 1°battaglione
CC.RR.vennero affiancati: un
battaglione fanteria di
Barce, la 9^compagnia
controcarri da 47/32
dell’8°reggimento
bersaglieri, reparti di
artiglieria dell’Ariete, un
gruppo di paracadutisti
libici e nazionali,
superstiti di quei due
gloriosi battaglioni del
Maggiore Tonini e due
compagnie motociclisti della
Polizia Africa Italiana
(P.A.I.) che furono
impegnati a regolarizzare il
deflusso dei reparti
italo-tedeschi in ritirata e
nello stesso tempo a
proteggere la popolazione
civile da attacchi di
scalmanati predoni arabi
alle loro case e beni;
la P.A.I.
sin dal settembre del 1941
era stata incorporata, quale
gruppo esplorante, nel Corpo
d’armata di Manovra. Quella
forza di copertura di
retroguardia era di modeste
proporzioni: armata con 40
fucili mitragliatori, 12
mitragliatrici, 10 fuciloni
Solothurn e 6 pezzi
controcarri. Il gruppo
paracadutisti e i reparti
aggregati si schierarono
nella zona del villaggio
Berta, al bivio delle piste
di Eluet el Asel-El
Mechili-Chaulan in attesa
del nemico che non si fece
attendere; si ripeteva
ancora quanto era successo
un anno prima, nello stesso
luogo ai paracadutisti
libici e nazionali. Le
postazioni dei CC.RR.
vennero investite da
violenti tiri di artiglieria
per oltre 10 ore, seguiti da
continui assalti della
fanteria inglese, sempre
respinti e contrattacati dai
paracadutisti; anche quei
pochi pezzi controcarro
della 9^compagnia, fecero un
buon lavoro distruggendo
molti carri nemici. Gli
inglesi visto che non era
possibile forzare quel
passaggio, per la tenace
resistenza dei CC.RR.
paracadutisti, tentarono con
un altra loro colonna di
aggirare il bivio, passando
al largo e puntare su
Lamluda che era altro bivio
importante in quanto
passaggio obbligato della
via Balbia, ove transitavano
ancora in ripiegamento le
forze di Rommel.
Il maggiore Alessi resosi
conto delle intenzioni
nemiche, nella nottata del
18, ordinò il ripiegamento
su Lamluda, sperando di
arrivare prima degli inglesi;
paracadutisti carabinieri,
bersaglieri e fanti a
piccoli gruppi iniziarono, a
bordo dei loro autocarri, il
ripiegamento, purtroppo non
fu così facile, nella
oscurità molti autocarri
subirono incidenti causa
l’impervio terreno della
pista, in uno di questi
incidenti, rimase seriamente
ferito il maggiore Alessi,
per il capovolgimento della
macchina sulla quale
viaggiava. Appena
oltrepassato il villaggio
Berta e giunti al Bivio di
Lamluda, trovarono la
sorpresa; gli inglesi erano
arrivati per primi,
bloccando addirittura la via
Balbia con massi e macchine;
iniziarono nel buio della
notte aspri combattimenti, i
carabinieri paracadutisti
erano ormai isolati,
tentarono di forzare il
bivio di Lamluda qualcuno ci
riuscì, altri caddero
prigionieri, i più fortunati
si dispersero nel Gebel o
trovando rifugio presso
famiglie coloniche italiane,
che nella prima ritirata e
anche nella seconda non
vollero abbandonare le loro
proprietà, rischiando
vendette dagli arabi. I
nostri soldati che trovarono
rifugio presso quelle
generose e patriottiche
famiglie, vi rimasero per
qualche mese, protetti dai
pericoli di spiate o
addirittura da uccisioni da
parte di arabi a noi ostili;
purtroppo alcuni sfortunati
nostri soldati, vennero
uccisi e depredati dagli
arabi. Quei pochi
carabinieri paracadutisti
che riuscirono a rompere il
blocco di Lamluda,
arrivarono a Bengasi dove
trovarono la città ormai
abbandonata; lasciata
Bengasi proseguirono per
Agedabia che raggiunsero il
giorno
20. In
quei due giorni di
combattimenti, il
1°battaglione si presentò ad
Agedabia con 14 ufficiali, 9
sottufficiali, 73
carabinieri, mancavano 251
uomini, molti erano caduti
in combattimento, altri
erano stati fatti
prigionieri. I superstiti
vennero rimpatriati il 6
marzo 1942 e a Roma, il
glorioso battaglione venne
sciolto; 43 erano state le
proposte per ricompense ma
inspiegabilmente, solo 7
furono quelle concesse, così
suddivise: 2 M.A.V.M. - 3 M.B.V.M. e 2 Croci di guerra;
poco riconoscimento in
confronto al valore e allo
eroico comportamento che
quei carabinieri
paracadutisti compirono nel
corso di quella tragica
ritirata. Solo dopo 23 anni,
precisamente il 14 giugno
1964, l’Italia riconobbe il
sacrificio dei CC.RR.
paracadutisti e
nell’anniversario del
150°anno di fondazione
dell’Arma dei carabinieri,
venne concessa la medaglia
d’Argento alla Bandiera, per
i fatti di guerra di Bivio
Eluet el Asel e bivio
Lamluda.
Nel corso
dei suoi ripiegamenti Rommel
ebbe la fortuna di essere
poco ostacolato dalla
aviazione inglese, causa le
proibitive condizioni
atmosferiche, che non
permettevano agli aerei di
alzarsi in volo; subentrò
anche una singolare
situazione, poiché spesso
nel corso delle battaglie, i
due eserciti vennero a
mescolarsi in modo quasi
inestricabile, tanto che i
piloti di ambo le parti, non
potendo distinguere quale
fosse il nemico, decidevano
di rientrare alle loro basi
senza avere sganciato alcuna
bomba.
L’offensiva Crusader
iniziata il 18 novembre si
era quasi conclusa.
Restavano ancora in armi,
benché assediate, le
guarnigioni di Bardia,
Sollum e Halfaya e la
divisione Savona che teneva
ancora qualche posizione
nelle zona di Ridotta
Capuzzo - Sidi Omar;
purtroppo gli inglesi ormai
padroni del campo, sicuri di
non subire attacchi alle
spalle, iniziarono con calma
l’annientamento di quelle
guarnigioni.
Il giorno
2 gennaio Bardia venne
espugnata, cadde prigioniero
il generale Schmitt con
2.442 soldati italiani e
2.143 tedeschi (secondo gli
inglesi furono 8.000); il
giorno 11,
la VI
brigata sudafricana e il
2°Transvaal Scottish
regiment attaccarono Sollum,
sempre bombardata dal cielo
e dal mare; gli assediati
erano stremati, sia dai
bombardamenti ma soprattutto
dalla mancanza da più giorni
di acqua, in quanto gli
inglesi avevano fatto
saltare tutti i pozzi che
portavano acqua dentro
Sollum, il giorno 13 si
arresero.
Rimanevano ancora in lotta
le posizioni della Savona e
il presidio di Halfaya,
anche per questi soldati il
problema grave fu la
mancanza di acqua, di viveri
e
medicine, tanto che
nella mattinata del 17 il
generale De Giorgis onde
salvare il maggior numero di
soldati e dare assistenza ai
feriti, si arrese.
Halfaya
il cui presidio composto da
militari tedeschi e italiani
era comandato dal maggiore
Wilhem Bach, che nella vita
civile era pastore
evangelico, resistette a
lungo, ma la resistenza
venne a cessare per lo
stesso problema di Sollum:
la mancanza di viveri e di
acqua, in quanto Halfaya
prelevava l’acqua dai pozzi
di Sollum; il pomeriggio del
17 anche Bach dovette
chiedere la resa che venne
accettata con correttezza
dai sudafricani, ma ad
Halfaya successe un fatto
increscioso e vile, avvenuto
mentre gli assediati
uscivano dalle loro
postazioni per arrendersi,
vennero fatti segno a
numerosi colpi di arma da
fuoco che causarono diversi
morti e feriti; a sparare
furono indegni e vigliacchi
soldati francesi
“degollisti“ aggregati alla
divisione sudafricana, quel
deplorevole atto di ignobile
vendetta, fu condannato
anche dagli inglesi.
Con la
caduta delle nostre
guarnigioni di frontiera,
certamente non dovuta alla
potenza militare del nemico,
ma alla fame e sete che
erano riuscite a piegare
quei valorosi difensori,
terminava così l’offensiva
“Crusader ”; Rommel si era
attestato nelle stesse
posizioni che un anno prima
aveva tenuto Graziani,
quando il generale Wavell
sferrò la sua prima
offensiva.
L’offensiva di Auchinleck
ebbe alterne vicende, nella
prima settimana le battaglie
combattute furono positive
per l’armata italo-tedesca,
gli inglesi subirono gravi
perdite, tanto che si
auspicò una veloce vittoria
di Rommel, poi le vicende
belliche cambiarono, dovute
anche ad errori tattici da
parte di Rommel; primo
quello di avere voluto
avanzare oltre il confine,
invece di sferrare l’attacco
decisivo a Tobruch e ancora
quello di sottovalutare il
XXX C.A. inglese a Bir el
Gobi, spostando le divisioni
Ariete e Trieste dalle loro
prime posizioni, in più il
non avere tenuto nella
giusta considerazione gli
avvertimenti di Bastico e
Gambara; in verità Rommel
una cosa di buono la fece,
fu quella di condurre il
ripiegameno sino a Marsa
Brega, senza subire gravi
perdite.
A conclusione della
offensiva “Crusader”, le
perdite umane da ambo le
parti, secondo le
dichiarazioni ufficiali,
furono le seguenti:
italo-tedeschi 33.000 tra
morti, feriti e prigionieri
con la distruzione di 300
carri armati; per gli
inglesi 2908 morti, 7339
feriti e 7457 prigionieri,
mentre subirono la perdita
di 278 carri armati. (
MAPPA N°13 )
Contemporaneamente alle
battaglie che si svolgevano
in Africa Settentrionale, in
Italia si stava attuando un
progetto che avrebbe avuto,
a compimento, positive
risonanze per noi italiani e
disastrose conseguenze per
gli inglesi.
A metà
dicembre del 1941, venne
messo allo studio dalla
X^Mas, allora comandata dal
capitano di Fregata Ernesto
Forza, che era subentrato al
capitano di Fregata Vittorio
Moccagatta, caduto durante
l’attacco a Malta del
25 Luglio 1941, un ardito
progetto: colpire nel cuore
la flotta inglese e dare
prestigio a quella italiana,
con il penetrare nella
munita base navale di
Alessandria e distruggere le
navi da guerra che ivi si
trovavano.
Il
comando per quella temeraria
impresa venne dato al
tenente di Vascello Luigi
Durand De la Penne, ultimo superstite di
una cerchia di coraggiosi
pionieri, precursori della
specialità di
assaltatori subacquei nata a
Bocca di Serchio.
Come già
descritto nel 2°capitolo,
erano state tentate in
precedenza due incursioni su
Alessandria; la prima il 22
agosto 1940, la seconda un
mese dopo, purtroppo tutte e
due finite tragicamente,
questa doveva essere quella
del riscatto e del successo.
De la Penne scelse 5 coraggiosi e
formò tre equipaggi, che
dovevano condurre l’impresa
a bordo di tre siluri a
lenta corsa-SLC-; essi erano
così composti: primo
equipaggio De la Penne, suo secondo il
palombaro Emilio Bianchi;
secondo equipaggio capitano
del Genio navale Antonio
Marceglia con Spartaco
Schergat palombaro; terzo
equipaggio capitano armi
navali Vincenzo Martellotta
e Mario Marino palombaro.
Per ogni evenienza De la Penne approntò anche due
equipaggi di riserva,
formati dal tenente Luigi
Feltrinelli con Luciano
Savaré palombaro e dal
sottotenente medico Giorgio
Spaccarelli con Armando
Memoli sottocapo palombaro.
Come
mezzo di trasporto, che
doveva portare gli
assaltatori sul posto, venne
scelto il sommergibile
“Sciré“ del Principe Valerio
Borghese, già noto ai nostri
incursori in quanto aveva
collaborato nell’impresa
contro Gibilterra.
Il giorno
3 dicembre il sottomarino
lasciò la base di La Spezia e si diresse verso
l’isola di Lero nel
Dodecaneso, per prendere a
bordo i tre equipaggi che
dovevano arrivare a Lero in
aereo; il luogo
dell’appuntamento con i
sommozzatori era nella baia
di Parreni, località molto
isolata, ove la sola
presenza, oltre al
sommergibile, era il
piroscafo “Asmara‘, una
piccola nave da carico, che
doveva ospitare De
la Penne e
i suoi uomini durante i
preparativi d’imbarco sul
sommergibile.
Queste
precauzioni erano state
prese per evitare una
possibile individuazione e
conoscenza della missione da
parte dello spionaggio
inglese, che come ho già
detto, in Italia funzionava
eccellentemente;
l’equipaggio del piroscafo
“Asmara” era composto da
marinai militari,
selezionati e fidati.
Nella
nottata del 14, dopo avere
imbarcato i 6 incursori, lo
Sciré salpò verso l’Egitto;
la navigazione, come
consuetudine, avvenne tutta
in immersione questo per 4
giorni, nella serata del 18
il sommergibile fu in vista
della costa egiziana, con
cautela si portò ad appena
due miglia dal porto di
Alessandria posandosi sul
fondo a una profondità di
circa 15 metri, in attesa della
completa oscurità; alle ore
21 il sommergibile emerse
per permettere agli
assalitori di prendere posto
sui rispettivi siluri e
scendere in acqua, ebbe così
inizio l’impresa. Compiute
le operazioni di scarico dei
sommozzatori,lo Sciré
s’immerse per rientrare a
Lero e di là poi verso la
base di La Spezia dove vi giunse il 29
dicembre. Per quella
missione, al
Principe Borghese che era
già M.O.V.M. per l’impresa
di Gibilterra, venne
conferito l’Ordine Militare
di Savoia.
Un
particolare glorioso sullo
Sciré: nell’agosto del 1942,
il sottomarino nel
compimento della sua quarta
missione, venne affondato da
un cacciatorpediniere
inglese nelle acque
palestinesi di Haifa, con
esso perirono il comandante
Bruno Zelich, che era
subentrato a Borghese, 50
uomini di equipaggio più
10 sommozzatori: dopo alcuni
anni dalla fine della
guerra, lo Sciré fu
individuato da una ditta di
recupero relitti marini, ma
per ragioni inspiegabili non
venne portato a galla,
ancora oggi esso
semidistrutto giace, con il
suo carico umano, al largo
di Haifa, forse é giusto che
quei resti riposino sul
fondo, é la legge del mare,
che vuole come tomba per un
marinaio il mare.
I tre
equipaggi ormai in acqua,
iniziarono l’avvicinamento
agli sbarramenti del porto
navigando in gruppo, il
primo grosso ostacolo fu
l’ostruzione esplosiva che
chiudeva l’ingresso al
porto, altro ostacolo i
motoscafi che perlustravano
l’imboccatura, lanciando a
brevi intervalli bombe di
profondità; i tre capi
equipaggio si consultarono
sul da farsi, ma
improvvisamente la fortuna
venne in loro aiuto; in quel
preciso momento stavano per
entrare in porto tre
cacciatorpediniere, i nostri
incursori si accodarono
subito dietro la loro scia,
sfiorando il rischio di
essere travolti dal turbinio
delle eliche; comunque pur
essendo sballottati dal
rullio provocato dai
cacciatorperdiniere, ormai
erano dentro e a quel punto
si divisero, ognuno diretto
verso il proprio obiettivo;
il comandante De
La Penne
puntò sulla corazzata
“Valiant“, il bersaglio di
Marceglia era la corazzata
“Queen Elizabeth”, mentre
per Martellotta avrebbe
dovuto attaccare una
portaerei ma non trovandola
si diresse verso una grossa
petroliera.
Seguiamo
le singole operazioni: De
la Penne e
Bianchi, suo secondo, si
diressero verso la “Valiant”
ma giunti vicinissimi si
accorsero, che attorno alla
corazzata vi era una rete
protettiva, decisero allora
di posarsi sul fondo e
cercare di alzarla e
passarvi sotto, ma quella
essendo in ferro era
pesantissima, allora De la Penne prese la risoluzione di
scavalcarla in superfice, vi
era però il pericolo di
essere scorti, ma anche
questa volta la fortuna
arrivò in loro aiuto,
passarono sopra la rete e
s’immersero nuovamente
arrivando fin quasi sotto la
chiglia della corazzata,
nessuno a bordo si era
accorto di quella presenza.
Purtroppo
da quel momento iniziarono
gli inconvenienti: Bianchi
che era stato in immersione
per circa due ore (quello
era il compito del secondo
operatore, mentre il pilota,
per l’orientamento, navigava
con la testa fuori acqua e
non usava
l’autorespiratore), avendo
esaurita l’aria del suo
respiratore venne colto da
svenimento e riemerse, a
contatto con l’aria riprese
conoscenza e riuscì ad
aggrapparsi ad una boa;
anche De
la Penne
ebbe i suoi problemi, la sua
tuta lasciava passare
l’acqua e lo infreddoliva,
poi non avendo l’aiuto del
secondo dovette agire da
solo; il siluro in quel
momento si trovava a circa
3O metri dalla carena della
corazzata, cercò di
manovrare i comandi del
“maiale“ ma le sue mani
intirizzite dal freddo non
riuscirono a muovere i
comandi, allora decise di
spostare il siluro con la
spinta di spalla, essendo di
taglia atletica riuscì a
portarlo sotto la chiglia e
nel punto giusto, nonostante
che la fanghiglia del fondo
rimossa nello spostamento
avesse creato un buio pesto;
non potendo agganciare la
carica agli alettoni di
rollio della corazzata, ma
sicuro che essa era ad
appena pochi metri sotto lo
scafo, regolò la spoletta
che doveva provocare lo
scoppio della carica alle
ore 6,15; compiuta quella
manovra riemerse, cercò e
trovò il suo secondo,sempre
aggrappato alla boa,
purtroppo vennnero scoperti
e catturati. Portati a bordo
della Valiant furono
interrogati singolarmente e
sottoposti anche a pressioni
fisiche affinché dicessero
ove avevano messo la carica,
gli inglesi erano ormai
venuti a conoscenza dell’uso
dei siluri pilotati,
naturalmente sia De
la Penne
che Bianchi non svelarono
nulla, si limitarono a dare:
nome, grado e numero
di matricola.
Il
comandante della corazzata
capitano di Vascello Charles
Morgan, era furibondo e
decise di chiudere i due in
un buio locale nel profondo
della nave, sperando che si
decidessero di svelare la
posizione della carica,
sapendo di saltare in aria,
nel punto della nave in cui
erano stati rinchiusi non vi
era certamente probabilità
di salvezza; quella minaccia
fu inutile, solo quando il
comandante De
la Penne,
consultando il suo orologio,
si accorse che mancava un
ora allo scoppio, chiese di
parlare con il comandante
Morgan, avvisandolo che la
nave alle 6,15 sarebbe
saltata in aria, quindi di
mettere in salvo il suo
equipaggio; Morgan capì che
non mentiva e dette subito
ordine di abbandonare la
nave ma fece riportare De la Penne e Bianchi nel profondo
della chiglia ma in locali
separati, destinati senza
dubbio a morte sicura. In
quel momento un deprecabile
comportamento di
vigliaccheria.
L’esplosione avvenne
precisamente alle ore 6,15
aprendo uno squarcio nella
chiglia di oltre 10 mq.,lo
spostamento d’aria provocato
dall’esplosione, sdradicò
anche le porte di quelle
celle ove erano stati
rinchiusi i nostri
incursori, i quali ne
approfittarono per salire
sul ponte ancora invaso da
marinai che cercavano di
mettersi in salvo; De
la Penne
e Bianchi tentarono di
approfittare del caos per
evadere ma vennero
nuovamente catturati e
finirono in un campo di
prigionia in India.
Frattanto
l’altro equipaggio con
Marceglia e Schergat aveva
raggiunto l’obiettivo: la
corazzata “Queen Elizabeth“
anch’essa con la rete di
protezione, ma Marceglia
ebbe fortuna in quanto trovò
una piccola apertura, che
permetteva ad una scialuppa
della corazzata di uscire
per ispezionare esternamente
la rete; i due audaci così
penetrarono nel recinto e si
trovarono subito sotto la
carena della corazzata; fu
facile per i due applicare
la loro carica,
agganciandola ai due
alettoni di rollio, erano le
ore 3,15. Compiuta
l’operazione Marceglia e
Schergat si diressero a
nuoto verso la spiaggetta
del macello; appena a terra,
si tolsero le tute di gomma
che nascosero sotto una
vecchia barca, quindi
rimboccarono i
colletti e le maniche della
divisa di fatica, per
nascondere gradi e
stellette, poi con
tranquillità, come se
fossero operai del macello,
si avviarono verso l’uscita
del porto, ma appena fuori
vennero fermati da guardie
egiziane, Marceglia che
parlava francese, fece
capire ai poliziotti che
erano marinai francesi,
costoro li credettero e li
lasciarono proseguire.
Nei piani
dell’attacco era stato
stabilito che qualora
qualcuno si fosse salvato,
avrebbe dovuto raggiungere
la località di “La Rosetta” a pochi chilometri da Alessandria e lì
attendere l’arrivo del
sommergibile “Zaffiro“,
comandato dal capitano di
Corvetta Giovanni Lombardi,
che si sarebbe trovato al
largo della foce del Nilo,
cinque giorni dopo l’azione,
naturalmente i superstiti
avrebbero dovuto procurasi
una barca per raggiungere il
sommergibile.
Mentre i
due sommozzatori si
avviavano verso la stazione
ferroviaria di Alessandria
ove dovevano (secondo le
istruzioni ricevute)
prendere il treno mattutino
per “La Rosetta”, sentirono la
prima esplosione. Erano le
ore 6; era saltata in aria
la petroliera “Sagona“
minata da Martellotta, alle
6,15 ci fu quella della
”Valiant“ e alle 6,25 la
“Queen Elizabeth“. Fu un
operazione da manuale.
Alla
stazione di Alessandria
incominciarono le
difficoltà, direi
tragi-comiche di Marceglia e
del suo secondo; il treno
mattutino era già partito,
dovevano aspettare quello
del pomeriggio, ancora
infreddoliti entrarono in un
piccolo bar per bere e
mangiare qualcosa, quando si
trattò di pagare
presentarono un biglietto da
5 sterline inglese, il
gestore non lo accettò in
quanto la moneta inglese non
aveva più corso in Egitto ma
fu molto comprensivo e
indicò ai due, che si
spacciavano sempre per
marinai francesi, un
cambiavalute clandestino che
approfittando del caso offrì
per le 5 sterline, appena
380 piastre egiziane.
Mi
domando: Come mai i nostri
servizi segreti non erano a
conoscenza che in Egitto sin
dal 1940 la sterlina inglese
non aveva più corso? Altra
pecca attribuibile questa al
Ministero della Marina, fu
quella di non aver dato agli
operativi un “contatto
fidato e sicuro” che potesse
all’occorrenza prestare un
aiuto; in Alessandria
vivevano molti italiani con
grandi sentimenti
patriottici, anche se
naturalizzati sudditi
egiziani o inglesi, infatti
in altri analoghi fatti essi
aiutarono nostri militari in
difficoltà, quali
sommozzatori e prigionieri
evasi.
Nella
attesa di prendere il treno
del pomeriggio, Marceglia e
Schergat si nascosero nei
pressi di un canale, quando
fu l’ora di prendere il
treno si avviarono alla
stazione, salirono in un
vagone di terza classe,
pieno di povera gente,
giungendo a “La
Rosetta”
verso le 19, cercarono
subito un alberghetto per
riposare, ma vennero fermati
da un gendarme egiziano che
li condusse alla stazione di
polizia, dove vennero
interrogati; Marceglia
continuò con la storia di
essere marinai francesi, che
volevano trascorrere qualche
giorno di libera uscita in
quella località; non si sa
se il poliziotto credette a
quanto raccontato da
Marceglia, sta di fatto che
ricevette 5 sterline e un
invito a cena che subito
accettò e fu tanto gentile e
premuroso che li accompagnò
in un modesto alberghetto,
dove i nostri poterono
finalmente dedicarsi a un
meritato sonno.
La
mattina di buona ora, si
avviarono verso il mare
sperando di trovare una
barca a vela, avendo deciso
di non aspettare il
sottomarino ma di tentare di
prendere il largo e
raggiungere l’isola di Creta
ormai conquistata dai
tedeschi; mentre cercavano
il mezzo navale adatto,
vennero fermati ancora una
volta da altri gendarmi
egiziani, portati nella
vicina stazione di polizia e
perquisiti, saltarono fuori
i documenti militari
italiani e il riconoscimento
dei gradi e stellette che
sin dall’inizio della loro
avventura avevano cercato di
nascondere; ammanettati
furono portati ad
Alessandria e consegnati
agli inglesi; finirono
prigionieri in India.
Il
compito del tarantino
Martellotta e del suo
secondo il salernitano
Marino, anche se il loro
obiettivo non aveva
l’importanza prestigiosa di
una corazzata, era anch’esso
pericoloso in quando
dovevano, nel buio della
notte, addentrarsi molto
profondamente nel porto,
raggiungere il cosidetto
molo del carbone, ove erano
alla fonda molte petroliere,
tutte cariche di
combustibile, scegliere la
più grande, collocare la
carica e le bombe
incendiarie e cercare di
uscirne vivi; comunque non
ebbero molte difficoltà
nello avvicinarsi a una
grossa petroliera la
“Sagona“, compiuta
l’operazione di aggancio
dell’ordigno esplosivo sotto
la chiglia della petroliera,
misero
attorno alle altre
petroliere, ve ne erano 12
vicinissime alla “Sagona“,
delle bombe incendiarie
regolandone l’esplosione e
si apprestarono ad
allontanarsi, dirigendosi
verso lo scalo legnami che
doveva essere poco
sorvegliato, invece appena
messo piede a terra, vennero
avvistati da una ronda di
polizia egiziana e inglese e
catturati, stessa
destinazione degli altri due
equipaggi: fu la prigionia
in India.
L’impresa
di Martellotta se avesse
avuto l’epilogo che si erano
prefissi i due sommozzatori,
avrebbe causato la
distruzione di quasi tutto
il porto, in quanto
l’esplosione,squarciando la
carena della petroliera e
proiettando la fuoriuscita
del combustibile imbarcato,
che invadendo le acque del
porto
avrebbe provocato un
vastissimo incendio,
coinvolgendo tutte le altre
petroliere ormeggiate
attorno alla “Sagona“.
Purtroppo
quell’apocalittico incendio
non avvenne, perché la
petroliera fu squarciata a
poppa ove vi era poca nafta,
quindi scarsa
fuoriuscita,non sufficiente
da creare un vasto incendio.
Vorrei
raccontare un episodio che
si allaccia alla mia domanda
sopra esposta, dove chiedevo
del perché, durante
l’attacco di De la Penne ad Alessandria, i sei
sommozzatori non ebbero
aiuti da parte di nostri
agenti, che operavano in
Egitto e ve ne erano molti o
dagli italiani ivi residenti
!
Nel
maggio del 1942, il tenente
Luigi Feltrinelli, che fece
parte, quale riserva, nella
missione di De
la Penne,
fu portato dinanzi ad
Alessandria dal sommergibile
“Ambra” al comando della
M.O.V.M. Mario Arillo, per
compiere una missione di
sabotaggio con il suo
secondo il palombaro Luciano
Favale, impresa che in parte
riuscì; compiuta l’azione i
due raggiunsero una zona
prestabilita ove era ad
accoglierli un nostro agente
dei servizi segreti, il
quale li accompagnò in casa
di insospettabili italiani,
vi rimasero per oltre un
mese, ed é anche vero che il
Feltrinelli, naturalmente
con eleganti vestiti civili,
frequentò l’alta società
egiziana, conoscendo anche
cittadini inglesi;
dichiarava di essere un
perseguitato fascista e che
da anni era lontano
dall’Italia; dopo quel mese
“l’Intelliggence Service“,
dietro segnalazione anonima,
individuò il nascondiglio di
Feltrinelli e Favale che
vennero arrestati.
Nel
dopoguerra, alcuni di questi
valorosi continuarono la
loro carriera in Marina: De
la Penne,
Birindelli e Faggioni
divennero ammiragli; De la Penne intraprese anche la
carriera politica e venne
eletto per ben 3 Legislature
nelle file liberali. Gli
altri, appena rientrati
dalla prigionia, dettero le
dimissioni dalla Marina:
come Marceglia, che
abbracciò la professione di
Ingegnere edile e poi quella
navale; Martellotta si
stabilì a Genova e aprì
diverse stazioni di servizio
galleggianti per il
rifornimento in mare dei
motoscafi; lo Schergat che
era nato a Capodistria, non
sentendosi di vivere sotto
la dittatura iugoslava, si
trasferì a Trieste ed ebbe
un posto come bidello presso
l’Università.
Tutti e
sei gli assaltatori di
Alessandria, vennero
decorati di M.O.V.M.; un
fatto molto commovente e
significativo: nel 1945, nel
corso della Cerimonia in
onore dei 6 valorosi per la
consegna delle Medaglie
d’Oro, con la presenza delle
più alte cariche militari
italiane e straniere e del
Principe Umberto, quando
giunse il momento di
appuntare la medaglia sul
petto di De la Penne (compito questo del
Principe Umberto),
si fece avanti un ufficiale
della marina inglese,
chiedendo che gli venisse
concesso l’onore di
appuntare lui la medaglia,
consenso concessogli: era il
capitano di Vascello Morgan,
comandante delle “Valiant“.
( FOTO N°17 e MAPPA N°14
ove raffiguro il metodo
usato per l’aggancio della
carica esplosiva sotto la
chiglia della nave nemica )
A questo
emblematico ed eroico
episodio, vorrei citarne un
altro che ha sapore di
avventura ma invece fu
un’altra pericolosa
missione di guerra,
alla quale allora si dette
poca importanza tanto da
renderla quasi sconosciuta;
io causalmente ne sono
venuto a conoscenza durante
le mie lunghe ricerce per la
stesura di questo libro, ma
mi è stata anche confermata
dallo storico Nino Arena che
ebbe la fortuna di
intervistare uno dei
principali conduttori di
quella missione, il maggiore
italiano Sebastiano
Vimercati, eccone la sua
storia: il 21 gennaio del
1942 da un aeroporto di
fortuna a un centinaio di
chilometri dall’oasi di Hon,
sede del nostro comando
Sahara libico, partì un
aereo tedesco Heinkel 111 da
bombardamento, con a bordo
il sottotenente Franz
Bohnsack pilota, il capitano
Theo Blaich, il maggiore
italiano Sebastiano
Vimercati conte di
Sanseverino, il
corrispondente di guerra
tedesco Dettmann, unico
corrispondente ad essere
stato decorato della
“Deutsche Kreuz”, il
meccanico di bordo
maresciallo Geissler e il
radiotelegrafista Wichmann,
sei audaci che sfidarono
l’incognita della missione e
il deserto.
Obiettivo
di quel volo era Fort Lamy,
oggi Djamena (Ciad),
mell’Africa centrale
francese allora centro di
smistamento di rifornimenti
all’armata inglese in
Egitto; rifornimenti che
giungevano in Africa a mezzo
convogli marittimi, i quali
sbarcavano, come sopra
detto, nel porto di Takoradi
nel Lagos (oggi Nigeria),
materiale da guerra come:
aerei, munizioni, viveri e
medicinali che poi con aerei
e automezzi venivano
dirottati a Fort Lamy e da
lì smistati in Egitto
attraverso il Sudan; quel
lungo percorso fu usato per
non incorrere a perdite di
uomini e mezzi, infatti esso
era sicuro in quanto il
pericolo di bombardamento
della aviazione
italo-tedesca non era
possibile a quell’epoca data
la lontananza dalle loro
basi; cosa che invece
subivano i convogli inglesi
nello attraversare il
Mediterraneo
Il
comando di quella missione
fu affidato al capitano
Blaich coordinato dal
maggiore Vimercati di
Sanseverino il quale era un
profondo conoscitore della
zona e del deserto; alle ore
14,30, il bombardiere era su
Forte Lamy, nessuna reazione
da parte francese,
certamente non si
aspettavano quella
incursione, per primo fu
colpito l’aeroporto e
12 aerei vennero distrutti,
si sviluppò anche un vasto
incendio provocato dallo
scoppio dei serbatoi di
benzina degli aerei colpiti.
Per circa
un ora l’aereo volò su Fort
Lamy distruggendo quasi
tutti i depositi di
materiali, é vero che non ci
fu alcuna reazione per la
sorprea, ma é anche vero che
i francesi sentendosi sicuri
per la lontananza dal teatro
della guerra, non avevano
provveduto a una adeguata
difesa contraerei.
Compiuta
così felicemente la
missione, ebbe inizio il
ritorno e qui sorsero i
primi contrasti in quanto
venne a mancare carburante
in misura sufficiente al
rientro; causa di questo
incidente è da attribuirsi
alla presunzione tipicamente
tedesca del capitano Blaich
che asseriva di conoscere
perfettamente la rotta di
rientro, quindi sorvolando
il fiume Ciad l’aereo doveva
virare alla sua seconda
curva per avere la giusta
rotta; di contro il parere
negativo del maggiore
Vimercati Sanseverino che
era un esperto di voli sul
deserto e conosceva bene il
Ciad, infatti giustamente
fece presente al capitano
che virando sulla seconda
curva e non sulla prima
l’aereo avrebbe percorso un
tragitto molto più lungo con
grande consumo di
carburante. Il capitano
Blaich non volle ascoltarlo
e ordinò al pilota di
seguire le sue indicazioni
con il risultato che l’aereo
dovette percorrere oltre
500 Km.
fuori rotta. Il continuo
girare a vuoto esaurì il
carburante e l’aereo fu
costretto ad un atterraggio
di fortuna in pieno deserto;
i sei componenti
l’equipaggio visto che
l’aereo non aveva subito
danni si organizzarono alla
sopravvivenza. Per 5 giorni
tentarono di collegarsi con
una stazione radio, col
risultato di scaricare la
batteria della radio
principale di bordo. Per
ricaricarla ci volle
l’abilità professionale del
radiotelegrafista Wichmann
che mise in funzione uno dei
motori con la poca benzina
rimasta e la ricaricò,
riuscendo finalmente, dopo
molti tentativi, a
contattare una radio
militare italiana di un
reparto che avanzava su
Bengasi. In loro soccorso
venne prima inviato un
Ca.309 Ghibli, il giorno
dopo atterrò un SM 81 con
carburante, acqua e viveri
che consentirono il rientro
dell’He.111 non a Hon ma a
Tripoli.
Pare che
quella missione che doveva
essere segreta, stava invece
per essere svelata al
servizio segreto inglese;
infatti un meteorologo della
Luftwaffe, mandato a Hon per
consigliare il capitano
Blaich circa le condizioni
atmosferiche della zona che
dovevano sorvolare, era in
effetti un agente segreto
inglese infiltrato nei
ranghi dell’aviazione
tedesca; per un puro e
fortuito caso, non previsto
dalla spia, venne scoperto
da un capitano italiano
mentre stava tentando di
segnalare, via radio, la
missione al servizio segreto
inglese: arrestato fu
immediatamente fucilato. (
15 )
LA “CRUSADER” SI ESAURISCE
Il 7
gennaio 1942, le forze
italo-tedesche dopo
l’evacuazione di Agedabia,
si erano concentrate: da
Marsa el Brega-El
Agheila-Maaten Giofer, sino
a Sud di Marada, in un arco
di 200 kilometri. Lo
schieramento difensivo venne
ad essere così disposto: a
Marsa el Brega a difesa
della via Balbia, la
divisione Sabratha;
scendendo verso Sud, avevano
preso posizione le
divisioni: Trento, Pavia, il
C.A.M. e ancora
la Brescia
e
la Bologna
a Maaten Giofer, da
quest’ultima posizione sino
a Marada era concentrata
parte della 90^divisione
leggera tedesca. Dietro
questa prima massa d’urto,
vennero schierate, come
unità mobili: la 15^e
21^panzerdivision, il
rimanente della 90^divisione
e le divisioni Ariete e
Trieste
A
fronteggiare questo
schieramento vi era la XXII brigata Guardie e una aliquota della
7^divisione corazzata,
certamente una forza esigua,
mentre il grosso
dell’8^Armata si trovava
disseminato a Sud di Bengasi
e tra Tobruch-El Mechili; ma
a metà gennaio, la
7^divisione venne ritirata
per un periodo di riposo e
sostituita con la
1^divisione inglese, appena
giunta dall’Inghilterra e
con nessuna esperienza di
guerra nel deserto, per
giunta solo una parte di
essa fu mandata nella zona
di Marsa el Brega.
Dal 12 al
21 gennaio su quel fronte,
vi fu un periodo di
tranquillità anche se
apparente, Rommel ne
approfittò per
riorganizzarsi, avendo
ricevuto nel frattempo
rinforzi; il giorno 5 era
arrivato a Tripoli, sano e
salvo, un convoglio composto
da 9 navi mercantili,
cariche di munizioni,
viveri, carburante, con 54
carri armati Mark IV e 19
autoblindo.
Nel campo
avversario il generale
Auchinleck si trovava in
difficoltà, i sommergibili
italiani e tedeschi
infliggevano fra Atlantico e
Mediterraneo occidentale
gravi perdite ai convogli
che tentavano portare aiuti
in Egitto attraverso il
Mediterraneo o la
circumnavigazione
dell’Africa; la marina
inglese, dopo la batosta
inflitta dai nostri
sommozzatori ad Alessandria,
non era in grado di
intervenire con azioni di
bombardamento sulla costa;
l’aviazione che tanto aveva
dato durante l’inizio
dell’offensiva si trovava in
difficoltà operativa e di
organici, in quanto quella
italo-tedesca, aveva
ottenuto in quel momento il
dominio dell’aria; il
sistema logistico dava serie
preoccupazioni per le enormi
distanze circa
l’approvvigionamento alle
truppe operanti, anche
perché il porto più vicino
al fronte era quello di
Bengasi, ma non poté essere
utilizzato per le
distruzioni che i genieri
italiani e tedeschi avevano
causato, restava quello di
Tobruch ove le navi inglesi
potevano attraccare con
sicurezza e scaricare i
rifornimenti, ma essendo
troppo distante dal fronte,
richiedeva alle colonne di
automezzi, che portavano i
rifornimenti, molti giorni
di viaggio. Vi era anche la
necessità di creare in zone
vicine al fronte, centri di
depositi munizioni,
carburanti e viveri; inoltre
sia il XIII Corpo d’armata
che il XXX erano alquanto
malconci e ad effettivi
ridotti, quindi avevano
bisogno di una radicale
riorganizzazione; il
generale Auchinleck,
sollecitato da Londra a
proseguire l’avanzata su
Tripoli e portare a termine
il piano “Acrobat“ (così era
stata chiamata in codice
l’occupazione della
Tripolitania), si rifiutò
adducendo tutti gli
inconvenienti dei quali era
gravato, egli sosteneva che
non poteva muoversi se non
per la fine di febbraio.
L’ASSE
ALL’OFFENSIVA
Rommel,
visto che il generale
Auchinlek non dava segni di
volere proseguire l’avanzata,
certamente convinto che
l’armata inglese si trovasse
in difficoltà, approfittò
della situazione e il 21
gennaio 1942, dette ordine
alle truppe italo-tedesche
di iniziare l’offensiva (
MAPPA N°15 ), nonostante
il parere contrario del
generale Cavallero, capo di
Stato Maggiore Generale e
dello stesso feldmaresciallo
Kesselring che erano
arrivati in Libia proprio
per distogliere Rommel a non
effettuare alcuna offensiva,
ma tenere le posizioni di
Marsa el Brega, in attesa di
grossi rinforzi che dovevano
arrivare quanto prima a
Tripoli; Rommel come suo
solito, non tenne conto di
quell’ordine superiore e
dette inizio all’attacco che
fu travolgente, le scarse
forze che lo fronteggiavano
vennero quasi subito
annientate. Il giorno 23
Agedabia fu riconquistata,
il 27 fu la volta di Msus
dove l’armata dell’Asse
venne divisa: una parte si
diresse su Bengasi, l’altra
puntò su El Mechili, per
evitare un possibile
contrattacco dal Sud; il 29
Bengasi fu riconquistata, il
3 febbraio anche Derna venne
ripresa; la 4^divisione
indiana, la 1^divisione
inglese, la XXII brigata Guardie e il
resto del XIII Corpo
d’armata, ripiegarono
velocemente su Ain el
Gazala-Bir Hacheim, dove Il
generale Ritchie, comandante
in quel momento
dell’8^Armata intendeva
organizzare una resistenza e
affrontare Rommel in una
battaglia decisiva.
Quella
precipitosa ritirata e la
perdita di Bengasi ebbero
ripercursioni sfavorevoli
tra il Primo ministro
Churchill e il generale
Auchinleck, vi furono scambi
di lettere e giustificazioni
da parte di Auchinleck, che
per quella ritirata accusava
la poca esperienza di guerra
della 1^divisione e la
superiorità dei carri armati
di Rommel. ( 16 )
Strana
coincidenza, anche il
generale Wavell quando subì
la 1°offensiva di Rommel,
volle giustificare la sua
precipitosa ritirata, con le
stesse argomentazioni di
Auchinlek.
Nel frattempo l’armata
italo-tedesca aveva
raggiunto le posizioni
inglesi di Ain el Gazala
attestandosi in attesa del
proseguimento dell’avanzata;
anche se le divergenze tra
il Comando superiore
italiano e Rommel avevano
preso una cattiva piega, in
quanto Bastico tolse dal
controllo dell’Afrika Korps
il XXI Corpo d’armata, in
effetti 4 divisioni di
fanteria (Pavia, Trento,
Brescia, Bologna) che
dovevano operare da quel
momento sotto gli ordini
diretti del Comando
superiore A.S. di Bastico.
Rommel minacciò le
dimissioni qualora i
comandanti delle divisioni
italiane non avessero invece
seguito la sua condotta di
guerra; si giunse ad un
compromesso, le divisioni di
fanteria italiane sarebbero
state impiegate secondo le
disposizioni di Rommel ma
soltanto dopo il consenso
del generale Bastico, in
compenso passavano sotto il
controllo ACIT, l’Afrika
Korps, il
Corpo
d’armata di Manovra con le
divisioni Ariete, Trieste e la Sabratha.
Gli
inglesi avevano creato una
linea difensiva di circa 200 Km.; i primi 65 che
andavano dalla costa di Ain
el Gazala e scendendo a Sud
arrivavano sino a Bir
Hacheim, dovevano garantire
la sicurezza esterna di
Tobruch, completandola con
muniti capisaldi protetti da
estesi campi minati, tutto
questo primo tratto venne
affidato al XIII Corpo
d’armata, comandato dal
generale W.H.E. Gott, che
aveva sostituito il generale
Godwin Auster; a tenere la
difesa di quella linea a Bir
Hacheim, vi erano oltre
4.000 soldati francesi, in
gran parte appartenenti alla
Legione Straniera e alla
1^brigata “Francia libera“ e
un battaglione di volontari
ebrei, tutti al comando del
generale Koenig, un veterano
soldato che aveva
partecipato in Francia e
Norvegia alle sfortunate
battaglie di Dunkerque e
Narvick. Dopo la resa dello
esercito tedesco in Europa,
ebbe nel 1945 il Comando del
settore francese nella
Germania occupata.
A difesa
del perimetro attorno a
Tobruch erano la 2^divisione
di fanteria sudafricana e la IX brigata corazzata indiana,
attestate a El Adem e
Acroma.
Al XXX
corpo, sempre al comando del
generale Norrie, era stato
dato il compito, con la 1^e
7^divisioni corazzate e
la XXIX Brigata
indiana, di difendere la
linea che da Ain el Gazala,
Tobruch e Bir Hacheim andava
a Bir el Gobi sino a Ridotta
Capuzzo, venendo cosi a
formare, da Ain el Gazala
sino a Ridotta Capuzzo, un
ampio semicerchio difensivo
si 200
chilometri. La parte
più forte dello schieramento
inglese era il primo tratto,
che andava da Ain el Gazala
a Bir Hacheim; infatti in
quel settore era stato
spostato il grosso delle
truppe inglesi, indebolendo
quello meridionale, in
quanto il generale
Auchinleck era certo che
Rommel avrebbe attaccato
proprio su quel tratto di
fronte, scartando l’ipotesi
che il generale tedesco,
concentrasse la sua
offensiva oltre Bir Hacheim,
invece fu da lì che le
panzerdivision con
l’appoggio delle divisioni
Ariete e Trieste,
penetrarono velocemente
aggirando lo schieramento
inglese.
Dopo che
l’armata italo-tedesca con
unità mobili e fanteria si
era attestata
dinanzi alle
posizioni inglesi di Ain el
Gazala, per oltre tre mesi
tutto il fronte rimase quasi
inattivo poi,
improvvisamente, il 26
maggio Rommel scagliò
l’offensiva in quella zona
con una massiccia
preparazione di artiglieria
che per una intera giornata
sottopose le postazioni
avversarie a un continuo
cannoneggiamento; appena
questo venne a cessare, fece
seguito l’assalto delle
divisioni di fanteria:
Pavia, Bologna, Brescia e
Trento con l’appoggio di
alcuni reparti della
90^divisione leggera e carri
armati, dando l’impressione
al nemico che il vero
attacco risolutivo era in
quel punto, Auchinleck ci
credette e l’astuzia di
Rommel ebbe successo. Nella
nottata di quel giorno, la
21^panzerdivision con la
15^,il grosso della
90^divisione e le divisioni
italiane Ariete e Trieste
iniziarono la penetrazione a
Sud di Bir Hacheim,
avanzando in pieno deserto e
trovando poca resistenza;
solo il giorno dopo per
Rommel si profilò il
pericolo della reazione
delle forze corazzate
inglesi del XXX C.A., che si
erano nuovamente spostate
velocemente in quel settore;
la 90^ che aveva come
obiettivo l’occupazione di
El Adem, nel risalire al
Nord si scontrò, prima con la III brigata indiana che riusci
ad eliminare, ma subito dopo
ebbe di contro la
1^divisione corazzata e fu
una battaglia cruenta,
combattuta soprattutto tra
carri armati; i tedeschi in
un primo momento ebbero la
peggio per la supremazia dei
carri nemici, in quanto gli
inglesi avevano ricevuto,
come aiuti dagli americani,
i carri “Grant“, armati con
un
cannone da 75 mm. che riusciva a volte a
perforare la corazza dei
Mark IV tedeschi, comunque
nonostante quella
superiorità, la
90^divisione, pur avendo
avuto la distruzione di
molti carrì, costrinse la
1^divisione a ripiegare
verso Tobruch.
A Nord
sul fronte di Ain el Gazala,
le quattro divisioni
italiane non erano riuscite
a sfondare verso Tobruch
poichè si erano trovati
dinnanzi una gran massa di
carri armati e, nonostante
l’impegno e il valore,
dovettero desistere dallo
avanzare; ma gli scontri
continuarono pur
mantenendosi ognuno sulle
proprie posizioni; nel corso
della battaglia di Ain el
Gazala, rimase seriamente
ferito il generale Gause,
che era capo di Stato
Maggiore del comando
generale tedesco. Frattanto
Rommel che ormai era giunto
alle spalle degli inglesi,
venne a trovarsi nella
precaria situazione di
avanzare verso Tobruch
minacciando la piazzaforte
da altra direzione o
ripiegare sulle posizioni di
partenza. In ambedue i casi
vi era il problema di
fronteggiare la
concentrazione nemica di Bir
Hacheim, in quanto se
avanzava se la sarebbe
trovata alle spalle, mentre
in un ripiegamento l’avrebbe
avuta di fronte, con
l’aggiunta di avere alle
spalle il resto dell’armata
inglese; Rommel decise
quindi di eliminare Bir
Hacheim e poi attaccare
Tobruch.
Da
segnalare altra grave
perdita negli alti comandi
dell’Afrika Korps: il
29 maggio il generale
Cruewell, comandante del
D.A.K., che si era alzato in
volo con il suo aereo
“Cicogna“ per ispezionare la
linea tenuta dalle divisioni
italiane in Ain el Gazala,
per un errore di rotta, pur
volando a bassa quota,
invece di sorvolare le
posizioni italiane, volò su
quelle inglesi, di
conseguenza l’aereo venne
facilmente abbattuto, ma per
un caso fortuito
nell’impatto con il terreno
in quel punto sabbioso il
Fiescler non si disintegrò,
il generale che era rimasto
fortunatamente illeso,
riusci ad uscire
dall’abitacolo cercando di
allontanarsi ma venne subito
dopo catturato.
Il 28
mattina la guarnigione
francese di Bir Hacheim si
vide venire addosso la
divisione Ariete e mezzi
corazzati tedeschi, ma molti
di questi finirono sui campi
minati; solo per il
provvidenziale intervento
dei genieri italiani e
tedeschi, che sminando il
terreno e aprendo passaggi
sicuri per i carri armati
non si ebbero gravi perdite,
così che altri carri armati
e la fanteria riuscirono ad
arrivare fin sotto le
postazioni nemiche e la
battaglia poté proseguire;
purtroppo la tenace
resistenza dei francesi
costrinse momentaneamente
l’Ariete e i tedeschi a
ritirarsi.
Per
qualche giorno vi fu una
certa calma nello
schieramento italo-tedesco,
lasciando all’aviazione
d’assalto l’opera
distruttiva, che assolse con
Stukas e CR.42 c.b.
bombardando senza tregua le
postazioni francesi; il 2
giugno Rommel dette inizio a
un secondo attacco
coinvolgendo anche la
divisione Trieste, ma anche
questo non ebbe migliore
fortuna del primo, vi furono
combattimenti ravvicinati
all’arma bianca, ma la
reazione nemica costrinse i
nostri a ritirarsi.
Rommel
decise allora di giocare la
carta della resa, mandò un
messaggio al generale Koenig
comunicandogli che ormai
erano circondati e che
avrebbe sferrato un attacco
senza scampo per i francesi,
quindi consigliava la resa
con l’onore delle armi onde
evitare altro spargimento di
sangue; il comandante
francese declinò l’offerta
di resa e si preparò a
sostenere l’urto risolutivo
che si prolunguò per alcuni
giorni poiché la resistenza
francese si protrasse sino
al 11 giugno, poi avvenne la
resa, ma nella nottata
dell’11, gran parte della
guarnigione, circa 2.700
uomini, riuscì a sottrarsi
alla cattura, passando
facilmente attraverso le
linee tedesche che non si
aspettavano quella sortita;
tra i fuggitivi anche
soldati inglesi, mentre dei
500 prigionieri catturati,
oltre a truppe francesi
della Legione Straniera vi
erano soldati indiani e
legionari disertori italiani
che si erano volontariamente
arresi.( 17 )
Eliminato
l’ostacolo di Bir Hacheim
con la quasi distruzione
della 1°brigata francese e
parte della 50^ divisione
“Northumbrian“, da poco
rientrata da Cipro e che era
accorsa in aiuto dei
francesi, nei giorni 12 e 13
giugno le divisioni italiane
(Ariete e Trieste) e quelle
tedesche (15^-21^ e 90^)
avanzarono a ventaglio su
tre direzioni: la 21^ puntò
su El Adem conquistandola,
così le truppe che
difendevano la linea di Ain
el Gazala, vennero prese
alle spalle; mentre il resto
dell’armata di Rommel, si
diresse parte verso Ridotta
Capuzzo, l’altra su Tobruch.
Presi
alle spalle e attaccati
anche nella zona di Bir
Hacheim, alle forze
corazzate e di fanteria
franco-inglesi non restò che
la fuga; una gran parte di
esse cercò rifugio entro la
cinta di Tobruch, gli altri
ripiegarono attraverso le
piste desertiche verso il
confine. Quella precipitosa
ritirata salvò Ritchie dalla
distruzione completa della
8^Armata, i suoi carri
armati erano andati perduti
al 50% e quel che rimaneva
mancava ormai di coesione.
Anche
nell’armata di Rommel la
situazione, sia di mezzi che
del morale dei soldati non
era rosea; il carburante
scarseggiava, gli uomini
erano stanchi e
necessitavano di riposo dopo
oltre un anno di quasi
ininterrotti combattimenti,
la penuria di acqua, di cibo
e la dissenteria ne avevano
fiaccato il fisico; ma
l’ambizione di Rommel di
conquistare Tobruch non
dette loro tregua, ordinò di
completare l’accerchiamento
della piazzaforte che era
difesa: da 4 battaglioni di
fanteria Gurkhas, una
brigata corazzata, due
brigate (IV e VI) della
1^divisione sudafricana,
la XI
brigata di fanteria indiana,
il 18°battaglione indiano,
il 7°battaglione autoblindo
sudafricano, una brigata
Guardie,la XXXII brigata carri di fanteria ( Mathilda ), il
2° e 3°reggimento
artiglieria da campagna
sudafricano, il
25°reggimento artiglieria,
il 67°e 68°reggimento
artiglieria media, in tutto
35.000 uomini, di cui 25.000
combattenti e 10.000 addetti
ai servizi di sussistenza,
sanitari e amministrativi,
una non indifferente forza,
posta agli ordini del
generale Klopper che aveva
accentrato il suo Quartiere
Generale nel forte Solaro.
(18)
Il giorno
19 giugno, la 90^divisione
del D.A.K. occupò Bardia ma
non proseguì oltre anche se
ne aveva avuto la
possibilià, in quanto gli
inglesi ormai non erano più
nelle condizioni di
contrattaccare e Rommel non
voleva ripetere l’errore
dell’anno prima, quando
continuò l’avanzata
lasciandosi dietro Tobruch
ancora tenuta dagli inglesi.
Già dal
giorno 19 la piazzaforte di
Tobruch ( MAPPA N°16 ),
come sopra detto, era ormai
circondata, isolata e
sottoposta a incessanti
bombardamenti degli Stukas e
dei caccia bombardieri
italiani; il 20, dopo una
intensa preparazione di
artiglieria, ebbe inizio
l’attacco compiuto dalle
divisioni Ariete e Trieste,
con la 21^e
15^panzerdivision, che
irruppero a Sud-Est del
perimetro, preceduti dal
31°battaglione guastatori
italiano del ten.colonnello
Caccia Dominioni,che aveva
il compito di eliminare i
campi minati e creare, con
passerelle di acciaio poste
sui fossati anticarro,
facili passaggi di nostri
carri armati; quello attacco
fu fatto nella zona tenuta
dalla XI brigata di fanteria
indiana, mentre il XXI Corpo
d’armata italiano, con le
divisioni Brescia, Pavia,
Bologna e Trento attaccava
da Sud-Ovest. La battaglia
di Tobruch si concluse
rapidamente nel giro di due
giorni, poichè tutti i
capisaldi vennero
polverizzati. La mattina del
21, precisamente alle ore
8,30, il generale inglese
Klopper, che era stato il
comandante della 2^divisione
sudafricana chiese la resa;
furono catturati oltre
33.000 uomini fra cui 6
generali, abbondanti armi
con relativo munizionamento,
una quantità enorme di
viveri, circa 5.000
tonnellate, ma i bottini più
importante furono 10.000
tonnellate di carburante e
2.000 automezzi ancora
efficenti; quel materiale
catturato fu una provvidenza
per le truppe dell’Asse che
con esso si rifornirono per
circa tre mesi; però ne
trassero maggiore vantaggio
i tedeschi che
impadronendosi subito del
bottino, nella distribuzione
con gli italiani fecero man
bassa con la parte del
leone.
Nella
notte del 21, un piccolo
reparto composto da inglesi,
indiani, sudafricani riuscì
a oltrepassare le linee
tedesche e raggiungere il
confine, erano 199 uomini
tra ufficiali e soldati
della brigata Guardie; si
ripeté in tal modo, la fuga
notturna dei francesi dopo
la caduta di Bir Hacheim.
Nella
battaglia per la conquista
di Tobruch, Rommel escogitò
una particolare e originale
tattica, munì ogni carro
armato di speciali razzi
fumogeni, che nel corso
della battaglia venivano
accesi per segnalare ai
piloti dei bombardieri
Stukas, la punta più
avanzata tedesca, così che
essi potevano sganciare le
loro micidiali bombe sulle
posizioni inglesi, anche se
i carri tedeschi si
trovavano ad appena un
centinaio di metri da essi,
con questa nuova tattica si
era sicuri di colpire con
precisione il nemico e non i
propri commilitoni,come
purtroppo era già successo
in altre azioni di guerra.
La
perdita di Tobruch scosse
terribilmente Winston
Churchill e tutto il
Parlamento inglese, oltre
naturalmente tutti i comandi
dell’8^Armata; in
Inghilterra l’opposizione
presentò una mozione di
sfiducia contro il Governo,
ma Churchill riuscì ad avere
la meglio; pur rendendo
omaggio ai soldati di
Tobruch, criticò apertamente
l’operato dell’8^Armata,
asserendo che il comandante
Ritchie non era stato
all’altezza della
situazione, domandandosi se
egli possedesse una
conoscenza approfondita
della strategia e tattica di
una guerra motorizzata
moderna.
Oggi é
stato assodato che il
generale Ritchie non
condusse al meglio le sue
battaglie, anche per avere
sempre spezzettato le sue
unità, invece di
concentrarle unite in una
battaglia difensiva che
poteva considerarsi
conclusiva; alcuni storici
inglesi sostengono che il
generale Ritchie in campo
militare fosse una nullità,
che dirigeva le operazioni
di guerra dal suo comando
distante dal fronte oltre 100 chilometri,
eppure detto generale tenne
il comando dell’8^Armata per
ben sette mesi, fu il più
lungo fra tutti i generali
che si susseguirono in quel
comando.
Visto il
successo della presa di
Tobruch, Hitler e Mussolini,
dietro insistenze di Rommel,
lo autorizzarono a
proseguire l’avanzata
in Egitto, annullando la
famosa operazione della
conquista di Malta (C.3),
che era stata preparata con
estrema cura dalla nostra
marina e dalla aviazione
tedesca, tanto da renderne
possibile l’occupazione;
quell’ordine di avanzare
venne dato in quanto Rommel
aveva assicurato ai comandi
dell’Asse quanto prima la
completa conquista
dell’Egitto e di tutto il
Medio Oriente. Purtroppo
oggi dobbiamo constatare che
quello fu un madornale
errore di presunzione da
addebitare, non solo al
comandante dell’armata
italo-tedesca, ma a quanti
sia a Roma che a Berlino,
tenevano le leve del
comando. Ancora oggi bisogna
dare ragione ai nostri
generali Cavallero e Bastico
e al Feldmaresciallo
Kesselring, che avevano
sempre sostenuto di fermarsi
sul confine, consolidarsi,
attuare il progetto C.3 che
frattanto era stato ancora
perfezionato assumendo la
sigla di “Operazione
Hercules“ e poi riprendere
l’avanzata verso l’Egitto.
Questo
errore é stato anche citato
nel libro del generale
Siegfrid Westphal, che fu
capo ufficio operazioni del
DAK ( 19 )
Nota
curiosa : nel marzo-aprile
1942, a
seguito di segretissime
conferenze tenute a Berlino
e Roma, Hitler e Mussolini
in accordo, avevano
convenuto che Malta doveva
essere eliminata, in quanto
era un pericolo per i
convogli che portavano i
rifornimenti in Libia,
mentre a Rommel venne
ordinato che la conclusione
della sua avanzata doveva
fermarsi sul confine
egiziano.
Pochi
mesi dopo tutto fu
rivisto e cambiato.
Per il successo riportato
con la conquista di Tobruch,
Hitler volle premiare Rommel
nominandolo feldmaresciallo.
Da parte
italiana, il Re d’Italia,
Vittorio Emanuele III, gli
concesse l’Ordine
Militare di Savoia,
inoltre ebbe la M.A.V.M. che in Cirenaica gli
venne consegnata ed
appuntata dal Generale
Bastico.
Per
controbilanciare la maggiore
autorità di Rommel, vennero
nominati Marescialli
d’Italia i generali Ettore
Bastico e Ugo Cavallero. (
FOTO N°16 )
Il giorno
23 giugno Rommel attraversò
il confine egiziano con il
grosso dell’ACIT, il 25
occupò Sidi el Barrani,
avanzando poi verso il campo
trincerato di Marsa Matruch,
convinto che il generale
Auchinleck intendeva opporre
resistenza in quella zona;
invece sin dal 1940 gli
inglesi avevano predisposto
una linea fortificata
difensiva ad El Alamein.
Frattanto
Auchinleck che si era recato
a Marsa Matruch per
constatare di persona la
situazione, accorgendosi del
caos che si era determinato
nelle file dell’8^Armata,
destituisce il generale
Ritchie dal quel comando,
assumendone egli stesso la
direzione
strategica-operativa .
Il primo
compito del generale
Auchinleck, vista
l’impossibilità di bloccare
Rommel a Marsa Matruch, fu
quello di ordinare il
ripiegamento sulle difese di
El Alamein, lasciando in
loco solo il X Corpo
d’armata che era stato da
poco costituito con la
10^divisione indiana e la
50^divisione Northumbrian di
fanteria inglese
(ricostituita dopo la
battaglia di Bir Hacheim),
detto Corpo d’armata venne
posto al comando del
Generale Holmers che
predispose entro la cerchia
di Marsa Matruch, la 10^ e
50^Divisione. Oltre Marsa
Matruch verso El Alamein
quella difesa esterna, venne
affidata alla XXIX brigata
di fanteria indiana del XXX
C.A. e alla 2^divisione
neozelandese del generale
Freyberg che faceva parte
del XIII C.A.; più a Sud, a
copertura di tutto lo
schieramento, vigilavano la
1^divisione neozelandese,
che il 21 giugno era giunta
in Egitto proveniente dalla
Siria e la 7^divisione
corazzata del XXX C.A.; il
compito di queste forze era
quello di ritardare il più
possibile l’avanzata
italo-tedesca, per dare la
possibilità al generale
Auchinleck di rafforzare le
difese di El Alamein.
Quella
manovra di ripiegamento,
venne duramente contrastata
dal Primo Ministro
Churchill, il quale voleva
che l’8^Armata facesse
blocco sul confine con una
resistenza ad oltranza, in
attesa degli ingenti
rinforzi di materiale USA
che stavano giungendo in
Egitto; Auchinleck invece
non ne tenne conto e
proseguì nel suo piano:
attuare la massima
resistenza ad El Alamein.
Rommel
convinto ancora di trovarsi
contro tutta l’8^Armata,
iniziò il giorno 27
l’attacco alla cittadella di
Marsa Matruch (
consultare MAPPA N°17 )
con un azione di aggiramento
partendo
dalla costa a Ovest
con il XX e X Corpo d’armata
italiani, poi da Sud ad Est,
sempre attorno alla cerchia
difensiva inglese, con la
90^divisione leggera
tedesca, la divisione
corazzata Littorio e la
21^panzerdivision che
completavano
l’accerchiamento, mentre la
15^panzerdivision con le
divisioni Ariete e Trieste,
le quali in quel momento
facevano parte del XX Corpo
d’armata, attaccarono le
posizioni della 2^divisione
neozelandese di Freyberg,
che in quella battaglia
rimase seriamente ferito.
Per due giorni si svolsero
duri combattimenti,
coinvolgendo anche la
1^divisione
neozelandese e 7^divisione
corazzata, con alterne
vicende di perdita e
riconquista di posizioni, ma
nella serata del 28, la
divisione neozelandese, i
resti del X C.A. e quanti
altri reparti isolati o a
gruppi riuscirono a rompere
l’accerchiamento e
ripiegarono sulle posizioni
fortificate di El Alamein;
il 29 truppe del XX C.A.
italiano, precisamente il
reggimento bersaglieri della
divisione Littorio,
entrarono per primi a Marsa
Matruch. Purtroppo nel corso
delle battaglie per la
conquista di quel campo
trincerato, caddero
combattendo alla testa delle
loro truppe, il generale
Ettore Baldassarre
comandante il XX C.A.,il
generale Piacenza comandante
l’artiglieria e il
colonnello Raffaelli
comandante del genio del XX
Corpo d’armata.
Eliminata
la resistenza di Marsa
Matruch, il 30 giugno Rommel
arrivò a Sidi Abd Rahman a 11 Km. dalle posizioni di El
Alamein e si attestò dinanzi
alle difese inglesi tenute
dai resti dell’8^Armata
nella zona di Deir el Shein,
disponendo al suo primo
schieramento, una
disposizione tattica che nel
corso delle due successive
battaglie di El Alamein,
verrà modificata.
I tre
Corpi d’armata inglesi, il
X, XXX, XIII, reduci dalle
battaglie dentro e attorno a
Marsa Matruch, benché
ridotti per le perdite
subite, soprattutto nei
mezzi corazzati, si
dimostrarono ancora
moralmente forti e
baldanzosi, anche se Rommel
riteneva che fossero ormai
una facile preda; ma
l’armata italo-tedesca non
andava meglio, le due
divisioni corazzate tedesche
la 15^ e la 21^ avevano
anch’esse i quadri ormai
molto ridotti, Rommel
insistentemente aveva
chiesto a Berlino l’invio di
almeno 10.000-12.000 uomini
per colmare i vuoti causati
dalle dure battaglie che
aveva sostenuto; lo stesso
problema lo avevano le
divisioni italiane,l’Ariete
era rimasta con pochissimi
carri armati, le truppe di
fanteria erano mal ridotte,
da quasi due anni
combattevano e marciavano
appiedate, erano state
distrutte e ricostituite ma
sempre con il recupero di
personale del posto; i fanti
delle divisioni Brescia,
Pavia, Trento, Bologna e
Sabratha avevano assolto con
onore e forte combattività
le loro impari battaglie,
senza la speranza di
avvicendamenti o riposi,
sempre con il solito rancio
di gallette e carne
scatolata, poca l’acqua,
lottando non solo contro il
nemico ma anche contro la
dissenteria che creò enormi
vuoti tra le sue file, caso
limite: la divisione
Sabratha era ridotta ad
appena due battaglioni, più
due compagnie mortai da
81 mm.
e due compagnie cannoni da
47/32, senza artiglieria
pesante e senza automezzi al
punto che venne disciolta.
Due note
storiche: il 29 giugno
giungeva in Libia Benito
Mussolini, sicuro di entrare
trionfalmente al Cairo così
come gli era stato garantito
da Rommel e Cavallero;
rimase in Cirenaica per
oltre un mese poi con sua
grande delusione rientrò a
Roma.
Il 26
giugno il maresciallo
d’Italia Ugo Cavallero e il
feldmaresciallo Albert
Kesselring erano giunti a
Sidi Barrani per una visita
di controllo e valutazione
della situazione militare e
per un colloquio con Rommel
circa la conduzione delle
operazioni ad El Alamein; in
quella occasione Rommel
espresse il dubbio che se
non gli fossero arrivati in
tempo rinforzi e carburante,
considerava perduta ogni
battaglia e anche la Cirenaica; gli venne
assicurato l’invio di due
divisioni, di un reggimento
rinforzato di paracadutisti
tedeschi (tratti dalla
operazione Hercules ormai
abbandonata) e il
rifornimento per via aerea
di carburante da
consentirgli una autonomia
minima di
500 Km.
Le due
divisioni arrivarono nei
mesi di luglio ed erano: la
164^divisione leggera
tedesca, che era stata
ritirata da Creta, la
divisione Folgore e la
brigata paracadutisti
Ramcke, dal nome del suo
comandante; in quanto al
carburante, poco arrivò in
Libia, l’aviazione nemica
(RAF) e i sommergibili
inglesi
continuavano a fare
strage dei nostri convogli.
Le due
divisioni e il reggimento
Ramcke (poi brigata),
giunsero in Africa
settentrionale per via
aerea, senza artiglieria e
automezzi, solo con armi
individuali e di
accompagnamento, quindi
quando presero posizione
dovettero arrangiarsi,
prendendo in prestito da
altre divisioni quanto loro
mancava; i nostri
paracadutisti seppero subito
attrezzarsi: non avevano le
cucine da campo e marmitte,
ebbene utilizzarono i bidoni
di benzina che erano
facilmente recuperabili,
mancavano di automezzi,
utilizzarono quelli
abbandonati, sia inglesi che
italiani che subito
ripararono, per
l’artiglieria pesante ebbero
l’appoggio della Ariete, che
venne schierata alle spalle
dei settori tenuti dalla
Folgore a Deir el Munassib e
Deir Alinda; in
seguito i paracadutisti si
rifornirono dagli inglesi,
sia come artiglieria che
automezzi e anche per viveri
e generi di conforto; ad
ogni sortita notturna delle
pattuglie di paracadutisti,
quando rientravano avevano
sempre un bottino e spesso
anche
prigionieri.
Devo
segnalare che la divisione
Littorio giunta in Libia
agli inizi del giugno
1942 al comando del generale
Gervasio Bitossi, come tutte
le divisioni che venivano
mandate in Africa
settentrionale, non arrivò
completa sia negli organici
che nei mezzi, senza i suoi
gruppi di artiglieria, quasi
senza carri armati e con
pochi automezzi, fu prima
inviata a Homs per
riorganizzarsi, in attesa
dell’arrivo dei suoi
complementi, ciò avvenne a
metà del mese di giugno
1942, raggiunto l’organico e
i mezzi, fu inviata a
Tobruch a copertura dei
fianchi delle divisioni
dell’Asse che dovevano
attaccare la piazzaforte,
passò infine alle dipendenze
del XX Corpo d’armata del
generale Ettore Baldassarre,
partecipando alla conquista
di Marsa Matruch, la
ritroveremo nella battaglia
di El Alamein, dove risentì
del problema logistico,
causa la scarsezza di
automezzi.
Espongo
qui di seguito il bilancio
dei prigionieri catturati
dallo esercito italo-tedesco
nel periodo compreso dal 26
maggio, quando Rommel
scatenò l’offensiva a Bir
Hacheim, al 30 luglio 1942 a conclusione della 1^battaglia di El
Alamein: furono
complessivamente 60.000 tra
inglesi, australiani,
indiani, neozelandesi, maori,
sudafricani, greci, francesi
e polacchi; secondo fonti
inglesi il numero dei loro
soldati catturati fu solo di
50.000.
Da parte
tedesca nello stesso periodo
si ebbero queste perdite:
2.300 caduti, tra questi
anche un generale, 7.500
feriti e 2.700 prigionieri;
le perdite nello esercito
italiano furono di 1.000
morti, di cui due generali,
10.000 feriti e 5.000
prigionieri. La distruzione
di mezzi meccanizzati fu
molto elevata da ambo i
fronti.
Una nota
curiosa e quasi
incredibile: l’80%
degli automezzi che l’armata
italo-tedesca aveva in forza
ad El Alamein erano di marca
inglese e americana, prede
di guerra; altro particolare
per mesi i soldati italiani
e tedeschi si nutrirono con
i viveri trovati intatti nei
centri di rifornimento
inglesi a Tobruch, Sollum e
Marsa Matruch, anche di
vestiario inglese ne fecero
grande uso.
Comunque
quella rapida avanzata di
Rommel sino ad El Alamein,
creò un vero panico ad
Alessandria e al Cairo;
documenti importanti e
personale qualificato di
queste due città, vennero
mandati in Palestina, la
flotta navale abbandonò
Alessandria e si trasferì
nelle basi di Haifa e Porto
Said, i genieri prepararono
i mezzi predisposti per
allagare la zona del Delta
attorno ad Alessandria;
esultarono invece i
nazionalisti egiziani,
capeggiati dal generale
Naghib e da giovani
ufficiali quali Saddad e
Nasser che simpatizzavano
per il nazismo tedesco, nel
dopoguerra ebbero grande
notorietà e divennero capi
di Governo.
NOTE DEL
3° CAPITOLO
N°1
– Mario Montanari –
Le operazioni in Africa
Settentrionale –Vol.1°
N°2
– W. Churchill – La
2^ Guerra mondiale –
Vol.2°-Parte II
N°3
– Mario Montanari –
Le operazioni in Africa
Settentrionale –Vol.1°
N°4
– W. Churchill – La
2^ Guerra mondiale – Vol.1°
N°5
– Claudio G. Segrè –
Italo Balbo fascist life
–pag.264
N°6
– Rodolfo Graziani –
una vita per l’Italia –
Mursia Editore
N°7
– Mario Montanari –
Le operazioni in A.S.-
Vol.1°- pag.202
N°8
– Mario Montanari –
Le operazioni in A.S. –
Vol.1° -pag.264
N°9
- Da una
testimonianza del capitano
Giovanni D’Avossa, allora
Comandante il
1°Gruppo del 45°reggimento
artiglieria della
Divisione Cirene.
N°10 – Jean Noel
Vincent –Les forces
francaises dan le lutte
contre
l’Axe in Afrique-
Servizio storico dello
Esercito
francese- Edit.
Vincennes 1983
N°11 – W. Churchill
– La 2^Guerra mondiale –
Vol. 1° -Parte III
N°12 – Erwin Rommel
– Guerra senza odio –
Editore Garzanti
N°13 – W. Churchill
– La 2^ Guerra mondiale –
Vol. 2° - Parte II
N°14 – Il reticolato
delineava il confine
italo-egiziano ed era stato
predisposto dal
generale Graziani già nel
1931, per impedire il
passaggio dall’Egitto
in Cirenaica dei ribelli
senussiti; esso
iniziava da Bardia e
arrivava sino a Giarabub,
era lungo oltre
270 chilometri.
N°15 – Paul Carel –
le volpi del deserto – pag.
237
N°16 – W. Churchill
– La 2^ guerra Mondiale –
Vol.I – Parte IV pag.344
N°17 – Dal Diario
storico della divisione
Trieste n°28- giugno 1942
N°18 – I Gurkhas,
erano mercenari nepalesi con
innate qualità guerriere;
gli inglesi li
avevano assoldati nel loro
esercito sin dal 1815.
Erano soldati
terribili soprattutto nelle
lotte corpo a corpo,
usavano il loro
caratteristico pugnale
(Kukri) a lama larga,
pare che non
facessero prigionieri……………li
sgozzavano.
N°19
– Siegfrid Westphal – Heer
in fesseln - Bon 1950
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