TUNISIA L’ULTIMA
BATTAGLIA
(Storia e retroscena
dell’invasione della Tunisia
da parte degli alleati)
Il Primo
ministro Churchill nei suoi
frequenti viaggi in America
durante la guerra, era
riuscito a convincere il
Presidente americano
Roosevelt ad intervenire
apertamente nel 1942 in Africa del Nord; in
agosto venne inviato in
Inghilterra il generale
Dwight David Eisenhower,
accompagnato dai generali
Mark Clark e Bedell Smith
per studiare, con i generali
inglesi, un piano di attacco
nel Nord Africa, piano che
in codice segreto venne
chiamato “TORCH” (torcia).
In quegli incontri fu
stabilito che Eisenhower
doveva assumere il comando
dell’Armata anglo-americana,
mentre quale vice comandante
il generale inglese Harold
Alexander.
Segretamente, ma non tanto,
furono inviate in
Inghilterra truppe americane
onde dare allo spionaggio
tedesco, l’impressione che
si preparava uno sbarco in
Francia.
Ai primi
di novembre, una imponente
flotta di 650 navi da
trasporto, in maggioranza
inglesi, scortata da
incrociatori, portaerei,
cacciatorpediniere, salpò,
parte dall’America (102
navi), il resto, la più
numerosa dai porti inglesi:
obiettivo le coste del
Marocco e dell’Algeria.
Naturalmente esisteva il
pericolo dei sommergibili
tedeschi, specie per le navi
che partivano
dall’Inghilterra costrette
ad attraversare il Golfo di
Biscaglia, per i francesi
prende il nome di Golfo di
Guascogna, dove sulla costa
francese esistevano basi
tedesche di sottomarini; fu
compito dell’aviazione
inglese attaccare con
massicci bombardamenti
quelle basi, onde non
permettere l’uscita degli “U
Boote” tedeschi, infatti gli
sbarchi si conclusero con la
perdita, da parte alleata,
di una sola nave, il cargo
americano “Thomas Stone”.
Nella
notte del 6 al 7 novembre le
numerose navi che erano
partite dall’Inghilterra
entrarono nel Mediterraneo e
si portarono al largo di
Orano e Algeri, all’altezza
delle 6 spiagge scelte per
gli sbarchi, restando in
attesa in quanto, emissari
alleati stavano cercando di
trattare la resa delle
guarnigioni francesi fedeli
al Governo di Vichy; quelle
trattative furono necessarie
onde evitare inutili scontri
e morti. Purtroppo
l’ammiraglio Darland
comandante di tutte le forze
francesi dell’Africa del
Nord e il generale
Noguès che oltre ad
essere Governatore Generale
del Marocco era anche il
comandante delle forze
francesi di quella regione,
non accettarono di
assecondare l’invasione,
anzi predisposero piani di
difesa per impedire gli
sbarchi, piani che vennero
attivati con azioni di vera
guerra ed anche eroica da
parte francese. Gli alleati
viste ormai fallite le
trattative iniziarono gli
sbarchi nelle zone
prestabilite pur sotto il
fuoco francese.
Sul
versante atlantico del
Marocco, nella nottata
dell’8 novembre, un corpo
d’Armata americano,
proveniente direttamente
dall’America, composto da
35.000 soldati al comando
del generale George Patton,
iniziava gli sbarchi a
Casablanca, Rabat e Fedala,
sbarchi che si dimostrarono
alquanto difficili per il
mare grosso che causò molte
vittime, ma anche per la
dura e non prevista reazione
francese che riuscì ad
affondare molte chiatte da
sbarco, purtroppo anche i
francesi subirono
l’affondamento
di alcune loro navi
ed ebbero un migliaio di
morti.
Contemporaneamente alcune
navi da guerra inglesi,
tentarono di penetrare nei
porti di Orano e Algeri, per
sbarcare della truppa che
avrebbe dovuto occupare le
difese costiere francesi
onde facilitare gli sbarchi
di massa; l’impresa non
riuscì, gli inglesi ebbero
la peggio e furono respinti;
di conseguenza venne
ordinato il bombardamento
navale a cui risposero le
navi da guerra francesi
allafonda in quei porti.
Nonostante quella resistenza
gli alleati iniziarono gli
sbarchi nelle 6 spiagge
scelte, quattro nella zona
di Algeri: a Castiglione,
Sidi Farruc,Capo Matifù e
Surcuf, due nella zona di
Orano a Mersa Bu Zedjar e
Loumel. Qui gli sbarchi
andarono meglio che a
Casablanca, gli
anglo-americani si
assestarono a Orano con un
Corpo d’armata, in
maggioranza americano, con
circa 39.000 uomini
comandati dal generale
Fredendall, mentre ad Algeri
sbarcò un altro Corpo
d’armata misto di 23.000
inglesi e 10.000 americani,
comandati dal generale
americano Ryder.
Dopo gli
sbarchi la lotta continuò
nell’interno di quei
territori; il giorno 11
novembre altro sbarco nella
cittadina di Bougie,
compiuto dalla 36^ brigata
inglese, il 12 lancio di
paracadutisti inglesi sulla
città di Bona e il 15 ancora
lancio di paracadutisti
americani a Tebessa in
Algeria, con l’occupazione
del suo aeroporto; da questo
piccolo centro i
paracadutisti penetrarono
poi in Tunisia occupando la
cittadella di Gafsa, tenuta
da un forte contingente
francese ma che oppose poca
resistenza. Il giorno 16
paracadutisti inglesi
presero possesso
dell’aeroporto di Suk El
Arba; il 18 soldati inglesi
sbarcano a Tabarka in
Tunisia
occupandola. Primo e
importante obiettivo degli
alleati fu quello di
impadronirsi di tutti gli
aeroporti francesi
militarmente più attrezzati
come quelli di Casablanca,
di La Senia e Tafaraoui nei pressi
di Orano, di Blida, di
Maisom Blance e di Bistra in
Algeria. ( MAPPA N°23 –
MAPPA N°24 )
Alcuni
alti nomi di responsabili
nella gerarchia militare
francese, dopo l’armistizio
della Francia, agirono
nascostamente e
opportunamente al servizio
degli anglo-americani
accettandone la strategia e
i piani di occupazione del
Nord Africa, tra questi il
generale Henri Giroud che
era evaso nell’aprile 1942
da un campo di
concentramento tedesco in
Germania e sotto false
spoglie era riuscito a
raggiungere la Francia libera di Vichy. Nonostante la
clandestinità ebbe continui
contatti
con emissari dello
spionaggio americano, i
quali, quando venne deciso
lo sbarco in Marocco e
Algeria, gli proposero di
prendere il comando delle
truppe francesi del Nord
Africa, naturalmente quelle
che sarebbero passate con
gli alleati; il generale
Giroud accettò e con un
avventuroso viaggio
raggiunse l’Algeria nello
stesso tempo degli sbarchi
alleati. Anche il generale
Alphonse Juin, che
comandava il settore
militare di Algeri e il
generale Bèthouart,
comandante militare a
Casablanca, fecero causa
comune con gli
anglo-americani scegliendo
la carta vincente.
Frattanto
l’ammiraglio Darlan vista
ormai inutile ogni difesa
ordinò alle truppe francesi
di cessare qualsiasi
combattimento contro gli
alleati, altrettanto ordine
lo dette
anche il generale
Noguès
alle sue truppe in
Marocco. Pare che l’ordine
di Darlan di cessare ogni
resistenza, gli fu estorto
con un inganno.
Era
risaputo che Darlan fosse
anti-inglese e anti-americano,
alcuni storici sostengono
che egli venne attirato
nell’ufficio del generale
Juin con il pretesto di un
colloquio con il console
americano Murphy, per
chiarire alcune divergenze,
ma appena giunto, il
generale Juin lo fece
arrestare; certamente
fu sottoposto a
ricatto anche per il fatto
che aveva ricoverato
nell’ospedale di Algeri il
figlio, afflitto da malattia
infantile e quindi per la
sua sicurezza
abbia firmato
quell’ordine.
Di sicuro
su quell’inganno non vi è
alcuna traccia documentata,
solo nelle sue memorie
Churchill accenna che Darlan
firmò l’ordine di cessata
resistenza con un metodo non
propriamente diplomatico.
Sospesa ogni combattività da
parte francese, sorsero però
delle controversie tra il
generale Giroud e il
generale Eisenhower circa il
comando delle operazioni; il
generale francese pretendeva
la priorità
del comando, in
quanto le operazioni si
svolgevano su
un territorio di
pertinenza francese e dove
pare ci fosse una forza di
oltre 100.000 soldati
francesi che avevano
abbandonato il governo di
Vichj e quindi ormai agli
ordini di Giroud, però di
contro vi erano 107.000
anglo-americani; comunque le
divergenze vennero risolte
anche per l’intervento di
Darlan passato anima e corpo
con gli alleati. A
conclusione di quelle
controversie venne stabilito
che il generale Giroud
avrebbe avuto il comando
delle truppe francesi, con
una autonomia di comando
limitato a carattere locale
e la giurisdizione militare
della Tunisia, ma fu ben
chiaro che Eisenhower doveva
essere per tutti il
comandante supremo delle
operazioni.
Una nota
tragica: il giorno 24
dicembre 1942, l’ammiraglio
Darlan mentre rientrava
nella sua casa di Algeri,
venne ucciso da un certo
Bonuin De la Chapelle, un giovane di 22 anni membro di una
organizzazione estremista:
la S.O.L. (
Service d’Odre Legionaire )
che racchiudeva nelle su
file ex combattenti di Vichj
e anche “degollisti”
dissidenti; i componenti di
detta organizzazione avevano
deciso di giustiziare
l’ammiraglio, in quanto lo
ritenevano un traditore per
avere dato l’ordine di
cessare ogni resistenza
contro gli alleati. Due
giorni dopo l’attentato il
Bonuin, per ordine del
generale Giraud venne
fucilato senza un regolare
processo.
Prima di
esplicare il susseguirsi
delle operazioni belliche
svoltesi in
Tunisianell’arco di
sette mesi, stimo
interessante delineare il
quadro della situazione
delle contrapposte forze
all’atto dello sbarco degli
anglo-americani in Africa
del Nord nel novembre 1942.
( consultare MAPPE
N°23-N°24-N°25 )
DAL MARETH
ALLA
RESA
Il
feldmaresciallo Kesserling,
comandante delle forze aeree
e terrestri tedesche
dislocate nel Mediterraneo,
senza attendere l’esito
delle trattative in corso,
tra Berlino e il maresciallo
Petain, Capo del Governo
francese di Vichy, volte ad
ottenere l’uso pacifico
delle basi militare francesi
in Africa, trasferì
tempestivamente le
forze italo-tedesche
dislocate in Corsica e
nell’Italia meridionale
facendole a mezzo aerei
trasportare, nei giorni 10 e
11 novembre, a
Tunisi.
Questo
primo e modesto contingente,
comprendente anche il 5°
reggimento paracadutisti al
comando del ten. colonnello
Koch, prese posizione a
Tunisi, città di 220 mila
abitanti, che al momento era
presidiata da una
guarnigione di 12 mila
soldati francesi agli ordini
del generale Barre,
comandante della piazzaforte,
che non oppose alcuna
resistenza.
Completata l’occupazione dei
due aeroporti di Tunisi,
incominciarono ad arrivare i
famosi Junkers 52 da
trasporto, che sbarcarono
altre truppe e gli
indispensabili rifornimenti;
contemporaneamente giunsero
aerei da caccia e
bombardamento (i famosi
Stukas, abbreviazione di “Sturzkampfflugzen”
aerei da bombardamento in
picchiata), il 155°Gruppo da
caccia italiano con i suoi
Macchi 202, che
incominciarono già dal
giorno 10 ad operare insieme
ai bombardieri, attaccando
il porto di Algeri e di
Bougie, ove affondarono 3
navi da carico (Cathay,
Awatea e Karania), fu
danneggiata la nave da
guerra americana “Tywald“ ed
un pontone galleggiante
adibito come artiglieria
contraerei. Stabilita una
testa di ponte attorno a
Tunisi,i paracadutisti
tedeschi occuparono Biserta,
dove erano acquartierati ben
14.000 marinai francesi,
sotto il comando
dell’ammiraglio Derien il
quale, come il generale
Barré, non oppose resistenza
(in seguito Barré si unì
agli Alleati). Il giorno 18
novembre, paracadutisti
tedeschi (due compagnie)
occuparono, dopo una breve
resistenza francese,
l’aeroporto di Gabes e la
città. A pochi giorni di
distanza da quella
occupazione, la città venne
presidiata da due
battaglioni della divisione
Superga appena sbarcati al
comando del generale
Lorenzetti. Nello stesso
tempo, altri reparti di
paracadutisti
tedeschi presero possesso di
tutti gli aeroporti ancora
disponibili in Tunisia.
Nei
giorni 18 e 19 novembre
sbarcava nel porto di
Biserta, un battaglione
arditi paracadutisti
dell’aviazione italiana, al
comando del ten.colonnello
Edvino Dalmas, seguito dal
10°reggimento bersaglieri,
un battaglione della “Milmart”
(Milizia Artiglieria
Marittima) e il reggimento
S.Marco con i battaglioni :
“Grado“-“Bafile“-“Caorle”.
Questi tre battaglioni erano
la cosiddetta fanteria di
marina e provenivano: il “Grado”
dalla Corsica, dove aveva
assicurato, sino ad allora,
una testa di ponte, mentre
gli altri due battaglioni
arrivavano dalla Sardegna e
da Trapani. Altri reparti
italiani erano frattanto
giunti in Tunisia imbarcati
su nostri cacciatorpediniere
e comprendevano parte della
divisione Superga, reparti
minori e il XXX Corpo
d’armata italiano affidato
al comando del generale
Sogno.
I
battaglioni “Bafile“, “Caorle”
e “Milmart”, presero
posizione, nei giorni 28-29
novembre, nella zona di
Metline e in seguito a Capo
Bon come difesa costiera,
mentre il “Grado“ venne
dislocato nella zona di Uadi
Mejerda, tra Biserta e
Tunisi a protezione del
tergo della 10^divisione
corazzata tedesca, appena
sbarcata al comando del
generale Fisher, sostituito
poi dal generale von Broick.
A dicembre del 1942, il
Grado fu posto a difesa di
Kairouan, minacciata dalle
truppe francesi.
Sempre in
quei giorni, altri aerei
italo-tedeschi partendo
dagli aeroporti di Sidi
Ahmed (Biserta) e di El
Alouina (Tunisi) da poco
occupati, effettuarono
bombardamenti su Algeri,
Bona e Bougie; ma già dal 12
novembre, 6 aerosiluranti
italiani, alzatisi in volo
dalla base aerea di
Castelvetrano ( Sicilia )
avevano attaccato il porto
di Bougie (Algeria),
affondando diverse navi da
carico e due
cacciatorpediniere (era
stato impegnato il
132°gruppo autonomo
aerosiluranti, formato dalla
281^e 278^ squadriglia al
comando del maggiore
Buscaglia). In quella azione
l’unico aereo abbattuto
dagli Spitfire inglesi fu
proprio quello del
comandante Buscaglia.
Nel
settimo capitolo di questo
libro, ove ho tracciato, sia
pur brevemente, la storia
militare di reparti che si
distinsero nella guerra in
Africa Settentrionale, un
posto d’onore è riservato
alla specialità
aerosiluranti.
Ritornando alle operazioni
nel Nord Africa ( MAPPA
N°26 ), seguiamo le
vicende della 1^Armata
inglese al comando del
generale Kenneth Anderson,
che nel novembre 1942 avanzò
verso Biserta ma venne
fermata dai paracadutisti
tedeschi e italiani i quali
a Tabarka inflissero gravi
perdite a quella Grande
Unità. Infatti in quei duri
scontri, gli inglesi
dovettero ripiegare sul
confine algerino da dove
erano partiti ed in quella
battaglia venne ferito il
comandante dei paracadutisti
italiani Dalmas.
Il
generale Anderson non
desistette dalla pressione e
riprese a fine novembre una
nuova azione contro le
postazioni tedesche, ma più
a Sud nella zona di Mateur -
Mediez el Bab (oggi Mejl el
Bab ) e rincarò l’attacco
con l’intenzione di aprirsi
la strada verso Tunisi.
Anche in tale operazione
dovette affrontare
l’accanita resistenza dei
paracadutisti della Regia
Aeronautica, dei marò del
battaglione “Grado“ e del
reggimento paracadutisti
tedeschi di Kock.
A
supporto del generale
inglese, accorsero sul posto
una brigata della Guardia
britannica e la 1^divisione
corazzata americana, al
comando questa del generale
Orlando Ward, le quali
riuscirono ad aprire un
varco nelle difese
italo-tedesche, dando così
la possibilità agli inglesi
di riprendere l’avanzata in
forze verso Tunisi. Il
2°battaglione corazzato
della 1^divisione americana,
occupò l’aeroporto di
Gedeida. Con tale conquista
la strada per Tunisi era
praticamente libera: infatti
le avanguardie americane
giunsero sino alle porte
della città e quando ormai
si sentirono sicure di
conquistarla, i famosi
cannoni da 88 da poco
montati sui carri armati
“Tigre“, giunti in Tunisia
da pochi giorni con la
10^divisione corazzata,
entrarono in azione
arrestando l’avanzata delle
forze corazzate
anglo-americane da indurle,
dopo diversi giorni di
combattimento, a ritirarsi
abbandonando anche
l’aeroporto di Gedeida. (1)
Gli
anglo-americani in quella
battaglia non poterono
beneficiare dell’apporto
della loro aviazione,
in quanto bloccata negli
aeroporti per le avverse
condizione atmosferiche che
in quei giorni
imperversavano su tutta la Tunisia.
Quella
fortunata battaglia,
consentì al generale Walter
Nehring, di rafforzare e
ampliare la sua linea di
fronte, che divise in due
settori: a Nord i tedeschi
da Dyebel Abiod sino a
Enfidaville con il
5°reggimento paracadutisti e
la 10^divisione corazzata; a
Sud da Enfidaville sino a
Gabes il settore italiano:
con la divisione Superga
ormai completa negli
organici, il battaglione
paracadutisti R.A.,il
battaglione “Grado“ del
S.Marco che con il
10°reggimento bersaglieri
tenevano la posizione di
Sousse ( Susa ). A seguito
di una nuova impostazione
difensiva, il generale
Nehring intercalò tra i
reparti italiani truppe
tedesche. Si ripeteva in
sostanza la stessa manovra
che Rommel aveva adottato in
Cirenaica e in Egitto.
Sempre
nello stesso periodo di
tempo, circa 500 soldati
americani tentarono uno
sbarco a Capo Serrat, con
l’intenzione di portarsi nei
pressi di Biserta, onde
poter creare una testa di
ponte in vista di un
eventuale sbarco alleato in
quel porto. Il generale
Nehring, essendo venuto a
conoscenza della modesta
consistenza degli avversari,
mandò loro contro un solo
battaglione di paracadutisti
tedeschi, che respinsero
quel tentativo di sbarco
catturando quasi tutti i
suoi componenti.
Il 30
novembre, 150 paracadutisti
americani, furono lanciati
sull’aeroporto di Gedeida
con l’intenzione di
riconquistarlo. Anche questa
impresa cadde nel vuoto,
grazie al pronto intervento
della 190°compagnia
esplorante corazzata tedesca,
di un reparto della
divisione Superga e del 1°
battaglione d’assalto della
R.A.
Per non
dar tregua agli
anglo-americani, il generale
Walter Nehring decise di
attaccare il 1°dicembre le
forze nemiche che si erano
attestate nella zona di
Tebourba, a poche decine di
chilometri da Tunisi (
MAPPA N°27 ). Con le
forze che in quel momento
aveva a disposizione, oltre
alla 10^panzedivision, ai
paracadutisti di Koch,
entrarono in azione, reparti
della divisione italiana “Superga“,
il battaglione “Grado”,il
7°reggimento corazzato, il
10°reggimento bersaglieri
motociclisti,il 10°
battaglione di fanteria
della divisione Trieste,
reparti della divisione
Centauro e la 50^brigata
speciale Imperiali, dal nome
del suo comandante. Questa
particolare grande unità
comprendeva: il
raggruppamento esplorante
corazzato “Lodi“, il gruppo
corazzato Squadroni “Aosta”,
il V battaglione CC.NN.,il
XV battaglione carri armati
M.14, il XXXIII battaglione
Guardia alla Frontiera e il
LX battaglione mitraglieri.
Il generale Nehring racimolò
anche alcuni battaglioni di
fanteria tedesca e tutta
l’artiglieria disponibile in
quel momento (erano solo
125 cannoni); prese pure di
rinforzo la guarnigione che
era di presidio a Tunisi,
lasciando a difesa della
città e del porto appena
trenta uomini; con questa
forza di poco superiore a
26.000 uomini e con 159
carri armati mosse
all’attacco di Tebourba.
La
battaglia durò 5 giorni e si
concluse con la vittoria
italo-tedesca. Vennero
catturati 1.100 prigionieri,
distrutti 134 carri nemici,
47 aerei furono abbattuti e
la 1^divisione corazzata
americana, che aveva
attaccato Tebourba dal Sud,
subì gravissime perdite.
La
battaglia di Tebourba fu
molto importante, poichè
oltre che addurre al
consolidamento della prima
testa di ponte ed a un
avanzamento della linea
difensiva, costrinse gli
alleati a ritornare sulle
posizioni di partenza e ad
abbandonare il piano di
conquistare Tunisi.
Alla
sconfitta alleata
contribuirono,la potenza dei
cannoni tedeschi da 88 che
potevano sparare da distanze
di sicurezza, il valore
combattivo delle truppe
italo-tedesche ed infine le
difficoltà logistiche
nemiche. Per gli americani
era eccessiva la lontananza
dai loro centri di
smistamento, che si
trovavano nella zona di
Algeri a circa
600 Km.
dal fronte; mentre gli
inglesi non potevano
disporre dei porti più
vicini al fronte, quali
quelli di Bougie e di Bona,
in quanto erano
quotidianamente sottoposti a
massicci bombardamenti
dell’aviazione tedesca e
italiana. Risultò così che
gli alleati si trovarono a
corto di rifornimenti e
dovettero desistere dai loro
propositi offensivi.
Con gli
sbarchi alleati in Marocco e
Algeria, per le truppe
dell’Asse veniva ad aprirsi
un secondo fronte, ancora
più pericoloso di quello
dell’8^Armata che
avanzava ormai alla
conquista di Tripoli e che
presto sarebbe entrata in
Tunisia dal Sud; fronte
pericoloso per la sua
vastità, che le truppe
italo-tedesche dovevano
reggere, per una ampiezza di 650 Km. che dalla costa di
Dyebel Abiod
arrivava al Mareth.
Frattanto
dal 12 al 18 gennaio 1943,
il Presidente americano
Roosevelt, il Primo Ministro
inglese Churchill e i
generali francesi Giraud e
De Gaulle, s’incontrarono a
Casablanca per stabilire il
futuro delle loro operazioni
di guerra. Tra queste ebbe
priorità l’invasione
dell’Italia, per cui fu
stabilita la data e il luogo
di sbarco alleato in
Sicilia. Quella decisione
fece nascere contrasti tra
gli Stati Maggiori inglese,
americano e francese. Gli
americani sostenevano lo
sbarco in Sicilia, gli
inglesi, che in un loro
precedente piano avevano
stabilito uno sbarco sulle
coste siciliane, ora erano
più propensi ad effettuarlo
in Sardegna. Prevalse la
tesi americana, quindi
sbarco in Sicilia.
Il 23
gennaio 1943 l’8^Armata
aveva occupato Tripoli. Il
generale Montgomery sostò in
quella città con il grosso
delle sue truppe, lasciando
che le sue avanguardie
inseguissero e tenessero
impegnata l’Armata di Rommel
in parte già entrata in
Tunisia (15^e
21^panzerdivision). Il
comandante dell’8^Armata in
attesa che venisse
ripristinato il porto, che
genieri italiani e tedeschi
prima di ritirarsi avevano
reso inutilizzabile
affondando
molte navi da carico
alla stretta imboccatura,
dette alle sue truppe la
possibilità di un meritato
riposo e anche di ricevere i
sentiti elogi da parte del
Primo Ministro Churchill che
era giunto a Tripoli per
conferire maggiore prestigio
al risultato dell’operazione
dell’8^Armata.
Montgomery, che conosceva
l’importanza di avere alla
proprie spalle un solido
sostegno logistico,
ritenne opportuno non
proseguire l’avanzata
consapevole del fatto che il
porto di Bengasi dal quale
potevano essere sbarcati
tutti i rifornimenti alle
sue truppe, distava oltre 1.200 Km. da Tripoli. In
attesa che venisse
ripristinato il porto di
Tripoli, decise quindi che
soltanto poche forze
tallonassero la retroguardia
di Rommel, ingaggiando
piccoli scontri a Zuara e
Ben Gardane
o Ben Guerdane,
scontri che si protrassero
sul confine tunisino sino ai
primi di febbraio. Quella
sosta dette la possibilità
all’Armata italo-tedesca di
creare una linea di difesa
nella zona del Mareth, anche
se a Rommel quella linea
difensiva appariva
vulnerabile: egli infatti
avrebbe preferito
fortificarsi sull’Uadi
Akarit.
La linea
difensiva fortificata
dell’Armata di Rommel al
Mareth, era stata costruita
dai francesi qualche anno
prima dello scoppio delle
ostilità. Ben fortificata e
organizzata in tutta la sua
lunghezza di oltre
30 chilometri,
comprendeva una serie di
fortini, intervallati da
nidi di mitragliatrici con
ostacoli
anticarro e reticolati ed
era ancora efficiente anche
se in parte le opere
difensive erano state
smantellate per ordine della
nostra Commissione di
armistizio.
All’estremità Nord di queste
difese, verso il mare, vi
era un’ampia distesa di
paludi acquitrinose salate,
difficilmente superabili
anche da reparti appiedati;
inoltre due Uadi, quello di
El Zezzar e l’altro di
Zigzaou, il più esteso e
strategicamente importante
per le sue sponde scoscese,
costituivano
di per se un valido
ostacolo anticarro. Alla
estremità opposta, verso
l’interno, vi erano i monti
di Matmata. Secondo i
francesi, quando costruirono
quella linea difensiva, quei
monti dovevano essere
l’ostacolo naturale che non
permetteva un aggiramento da
parte nemica, aggiramento
che invece gli inglesi
effettuarono con un largo
raggio quando sferrarono a
marzo il loro attacco
definitivo. Anche Rommel
aveva previsto un possibile
aggiramento degli inglesi in
quel tratto di fronte, tanto
che pose a difesa del passo
di Tebaga, tra Gebel Tebaga
e l’estrema punta Nord dei
monti Matmata, all’altezza
di El Hamma, il
raggruppamento sahariano,
parte della divisione
Pistoia e la sua
164^divisione leggera,
comandata dal generale
Lungershausen.
Frattanto
nei comandi italiani e
tedeschi erano avvenuti
nuovi cambiamenti: a Nord
della Tunisia, a metà
dicembre 1942, il generale
Nehring, che aveva fermato
l’avanzata inglese su Tunisi
con il suo modesto 90°corpo
d’armata, venne richiamato
in Germania e sostituito con
il generale Jurgen von Arnim
(si parlò di un richiamo
diplomatico, dovuto a
contrasti con il generale
Lorenzelli, comandante della
divisione Superga e con lo
stesso feldmaresciallo
Albert Kesselring).
A Sud il
31 gennaio 1943, il
maresciallo Bastico fu
anch’esso richiamato in
Patria per assumere altro
importante incarico ed al
suo posto, giunse in Tunisia
il generale Giovanni Messe,
il valoroso comandante del
C.S.I.R. (Corpo di
Spedizione Italiano in
Russia)
Agli
inizi del mese di febbraio,
venne formata la 1^Armata
italiana al comando del
generale Messe, che aveva
alle proprie dipendenze il
XX e XXI Corpo d’armata e
parte del DAK. La 1^Armata
veniva ad affiancarsi alla
5^Armata tedesca, già
costituita e formata da
truppe tedesche, nella quale
era stato incorporato il XXX
Corpo d’armata italiano del
generale Sogno. La 5^Armata
era stata posta,
agli ordini del
generale Jurgen von Arnim,
che per assumere quel
comando aveva ceduto quello
del 39°Corpo d’armata
dislocato in Russia; vice
comandante il generale
Ziegler.
Tale G.U.
era stata costituita a fine
dicembre
con nuovi rinforzi
e assorbendo il
90°Corpo d’armata di Nehring
con la 21^ panzerdivision
del DAK in quel momento
comandata dal colonnello
Hidelbrandt che aveva
sostituito il generale
von Randow, caduto in
combattimento durante la
battaglia di El Alamein.
Le due
Armate così costituite
vennero a formare il gruppo
Armate “Africa” e poste
sotto il comando di Rommel.
Agli
inizi dello operazioni in
Tunisia così erano
schierate le seguenti
forze contrapposte:
ASSE –
100 battaglioni di fanteria
ALLEATI – 107
battaglioni
fanteria
564 cannoni campali
1000 cannoni campali
804 cannoni
controcarro
910 cannoni
controcarro
330 carri armati
950 carri armati
93 autoblindo
25
autoblindo
284 cannoni
contraerei
230
cannoni contraere
1100 aerei
2400 aerei
Il 3
gennaio 1943, von
Arnim
al fine di rinforzare
la testa di ponte già
consolidata da Nehring,
sferrò il suo primo attacco
contro i francesi che
tenevano le posizioni
collinose di Fonduk,
riuscendo a conquistarle. La
1^divisione americana del
II°C.A., che era corsa in
aiuto dei francesi fu
respinta con gravi perdite.
Con altre sorprendenti
azioni su passo El Fejlj
(Faid), von Arnim riuscì a
consolidare la sua linea
difensiva che partiva da
Dyebel
Abiod, sulla costa e
arrivava a Sud
oltre Gabes.
Fra
dicembre e febbraio, la
5^Armata tedesca ebbe nuovi
rinforzi: giunsero in
Tunisia, la divisione
“Hermann Goering“ al comando
del generale Schmid, un
raggruppamento di
artiglieria pesante,
l’86°reggimento corazzato
granatieri, il
754°reggimento di fanteria,
la 334^divisione di fanteria
tedesca, la 990^divisione di
fanteria. Pare che
quest’ultima divisione fosse
composta da elementi
prelevati nelle prigioni
militari tedesche; essa si
coprì di gloria nelle varie
battaglie in Tunisia. Da
parte italiana, alla
1^Armata vennero aggregati
il XXX Corpo d’armata i
resti della divisione “Superga“,
ora comandata dal generale
Gelich, il 29° raggruppamento
Artiglieria di C.A.,il
3°reggimento Artiglieria
contraerei, alcuni
battaglioni di CC.NN (
Camicie Nere ).
A
febbraio la 5^Armata di von
Arnim comprendeva 3 divisioni
corazzate: la 10^,la 21^e la
“Hermann Goering“, più 3
divisioni di fanteria: la
990^,la 334^ e a metà
febbraio, la divisione “von
Manteuffel“, alla quale poi
furono aggregate: il
10°reggimento bersaglieri,
il reggimento “Volontari
tunisini“, il 5°reggimento
paracadutisti tedeschi e il
20°gruppo di artiglieria.
Alla 5^Armata fu aggiunto
anche il gruppo “Weber“, dal
nome del suo comandante, che
comprendeva il 47°reggimento
di fanteria corazzata e il
501°gruppo carri armati
“Tigre “. Il gruppo Weber
venne poi aggregato alla
334°divisione.
A marzo
giunse in Tunisia anche la
19^divisione Flak.
Merita
ora conoscere meglio il
reggimento “Volontari
tunisini”.
Come ho già annunciato nel
3°capitolo di questo libro,
il reggimento era composto
da giovani ancora di
nazionalità italiana, ma
anche da alcuni che avevano
chiesto la cittadinanza
francese per esigenze di
lavoro quando la Tunisia era ancora
protettorato francese.
Questi
ostilità, riuscirono a
lasciare la Tunisia piuttosto
avventurosamente per
arruolarsi volontari
nell’esercito italiano;
altri lo fecero dopo
l’armistizio della Francia.
Quasi tutti erano nati in
Tunisia.
Quando
nel novembre del 1942, la
guerra coinvolse il
territorio tunisino, quei
giovani chiesero di andare a
combattere, con le forze
italo-tedesche, nella terra
natale. Tra costoro vi era
anche il numeroso gruppo che
aveva frequentato il corso
da paracadutisti per essere
impiegato, in un eventuale
lancio in Tunisia dietro le
linee nemiche, al fine di
raccogliere preziose
informazioni militari.
Costoro infatti avevano una
profonda conoscenza del
territorio e delle lingue e
dialetti, nonché degli usi e
costumi della popolazione
locale. Lo Stato Maggiore
dell’esercito tenne conto di
questo loro ardente
desiderio di servire la Patria e costituì un
reggimento, che prese la
denominazione di “Volontari
tunisini“ e a fine gennaio
del 1943 fu inviato in
Tunisia; a quel reggimento
si aggiunsero altri giovani
italiani tunisini rimasti,
nonostante la guerra, in
Tunisia e che erano stati
internati.
Il
reggimento venne prima
aggregato alla 5^Armata,
distinguendosi tanto da
meritare molte decorazioni
tedesche; infine passò al
XXX C.A. italiano sino alla
resa. Ho inteso citare
questo reggimento, per lo
più ignorato dalla
storiografia militare
riguardante le operazioni di
Tunisia, in quanto due miei
primi cugini, i Santino, ne
fecero parte subendo dopo la
resa anche la prigionia in
America. Nell’estate del 1943, in una località
vicino Roma venne costituito
un reparto d’assalto con
altri volontari tunisini.
Tra
febbraio-marzo, le forze
italo-tedesche dislocate in
Tunisia comprendevano circa
225.000 uomini, di questi
49.000 italiani e 28.000
tedeschi erano agli ordini
di Rommel nel Sud della
Tunisia, mentre le rimanenti
forze restavano incorporate
nella 5^armata. In quel
periodo i tedeschi erano
riusciti a trasportare in
Tunisia per via aerea altri
40.000 uomini e 14.000
tonnellate di
rifornimenti,il che costò
all’aviazione tedesca la
perdita di molti aerei.
La linea
del Mareth ( MAPPA N°28 )a
metà febbraio era tenuta dal
DAK e da 5 divisioni
italiane del XX e XXI Corpo
d’armata, così disposte:
dalla costa verso l’interno
la 136^divisione Giovani
Fascisti, comandata in quel
momento dal generale Nino
Sozzani, alla quale si era
aggiunto quanto restava del
12°reggimento bersaglieri
della disciolta divisione
Littorio; seguivano il
9°battaglione della Guardia
alla frontiera, un
reggimento di artiglieria,
la divisione Trieste con
altri superstiti dell’Ariete
e il 285°battaglione
Folgore, che era stato
aggregato alla Trieste; in
posizione più centrale erano
schierati: la 90^divisione
leggera tedesca, agli ordini
del generale von Sponeck,
con ai suoi lati la I brigata Luftwaffe, il
reggimento “Cacciatori
d’Africa” e la divisione La Spezia; lungo il versante
dei Monti Matmata
(pomposamente descritti come
monti ma in realtà non erano
altro che
alture di modesta
altitudine, dai 400 ai
600 metri),
vennero attestate da Sud al
Nord, come sopra già
descritto: il raggruppamento
Sahariano di circa 6.000
uomini, composto dai
superstiti delle divisioni
libiche e dei reparti
sahariani, dal VI
battaglione CC.NN.,da un
reparto della divisione
Savona con il CCCXLIX gruppo
di artiglieria pesante e da
7 autoblindo della P.A.I. Il
tutto al comando del
generale Mannerini, la
divisione Pistoia e come
supporto la 164^divisione
leggera tedesca.
Il rincalzo mobile di
questo schieramento venne
costituito dalla
15^panzerdivision e da una
parte della divisione
Centauro, ancora non
completamente riorganizzata,
mentre la 21^panzerdivision
era salita al Nord del paese
passando alle dipendenze
della 5^Armata di von Arnim.
Un
emozionante episodio merita
di essere ricordato. Durante
la ritirata sul confine
tunisino, il maresciallo
d’Italia Bastico, radunò i
soldati libici, incorporati
nel nostro esercito e dopo
un commosso commiato li
sciolse dal giuramento
all’Italia e li congedò;
molti non accettarono il
congedo e continuarono a
combattere in Tunisia sotto
la bandiera italiana,
fornendo un contributo di
vite e di sangue ed i
superstiti affrontarono la
prigionia; all’atto del
rimpatrio, gran parte di
essi chiese di rimanere in
Italia ove si stabilirono
definitivamente. Come
italiano di Libia ed ex
combattente partecipo
sovente ai Raduni delle
nostre Associazioni ed ho
avuto occasione di
avvicinare molti di questi
valorosi soldati che si sono
sempre sentiti italiani e
che ai figli hanno insegnato
l’amore per l’Italia.
Quando
nel 1947 rientrai
definitivamente in Libia,
dopo la mia espulsione del
1946, voluta dalla
Amministrazione militare
inglese per avere
organizzato una cerimonia al
cimitero di Hammangi in
onore dei Caduti italiani
del 2° Conflitto e ivi
sepolti, venni avvicinato da
diversi ex paracadutisti
libici, i quali sapendo che
anch’io ero un ex
paracadutista, orgogliosi mi
mostravano le loro
decorazioni al valore
Militare, che si erano
guadagnate nel corso della
guerra in Libia e
ricordavano con stima e
simpatia i nomi dei loro
ufficiali .
Nella
prima decade di febbraio
Rommel attuò, con il DAK, la
1^e la 5^Armata, un piano di
un audacia straordinaria che
poteva scaturire solo dalla
mente di questo eccezionale
comandante. Egli aveva
calcolato che Montgomery,
prima di marzo non era nelle
condizioni di riprendere
l’offensiva nel Mareth. Onde
evitare di essere aggredito
alle spalle dagli americani,
che già si trovavano in
territorio tunisino nella
zona di Gafsa e certamente
avrebbero puntato su Gabes
per dividere in due tronconi
lo schieramento
italo-tedesco, tagliando i
collegamenti con la 5^Armata
di von Arnim, Rommel presi
accordi con von Arnim e con
il generale Messe, decise di
sferrare un attacco da due
direzioni: a Sud, partendo
dalla zona di El Guettar,
con il DAK, la
15^panzerdivision, la
divisione Centauro, la
divisione Pistoia e alcuni
raggruppamenti
italo-tedeschi con obiettivo
prima Gafsa poi Kasserine;
mentre a Nord la 5^Armata,
doveva iniziare l’offensiva
da passo El Fejij (Faid),
con la
21^e 10^panzerdivision,
puntare su Sbeitla
conquistandola per poi
avanzare sino a Kasserine e
così congiungersi con il
DAK.; da quella posizione le
due Armate, con le loro
forze riunite,avrebbero
dovuto occupare Tebessa, sul
confine algerino e
oltrepassarlo.
Successivamente le due forze
si sarebbero dovute
dividere: Rommel marciando
direttamente su Constantine,
mentre l’obiettivo di von
Arnim sarebbe stato quello
di puntare su Bona. La data
d’inizio dell’offensiva fu
stabilita nel giorno del 14
febbraio. (la MAPPA N°29 descrive
chiaramente la battaglia di
Kasserine)
Il piano
era ben congegnato ma subito
dopo sorsero contrasti tra i
due generali
tedeschi, contrasti
che portarono al fallimento
dell’azione. Il 14 febbraio,
alle ore 4 del mattino, la
5^Armata iniziò l’offensiva
su El Fejij
contro la 1^divisione
di fanteria americana e le
truppe francesi le quali
presidiavano quella zona. Le
forze alleate attaccate di
sorpresa furono costrette a
ritirarsi subendo gravi
perdite: la divisione
americana ebbe 150 carri
armati distrutti, oltre 100
morti e 1.600 prigionieri.
Ma il
generale Ziegler, vice di
von Arnim, che in quel
momento comandava le
operazioni, invece
d’inseguire il nemico e non
dargli tregua, adottò misure
di cautela, rallentando la
sua avanzata nonostante che
Rommel lo avesse sollecitato
a procedere senza indugi.
Infatti quel rallentamento
dette la possibilità al
generale Fredendall,
comandante il
2°C.A.
americano, di concentrare le
sue forze a Sbeitla, che era
il secondo obiettivo di
conquista da parte della
5^Armata. Il generale
Ziegler occupata Sidi Bouzid
nella serata del 14, aveva
ora come altro obiettivo
Sbeitla, che distava da Sidi
Bouzid appena
40 Km.
Impiegò ben due giorni a
percorrere quei pochi
chilometri, mentre quella
distanza poteva essere
colmata in poche ore in
quanto da Sidi Bouzid a
Sbeitla non esistevano più
ostacoli. Gli americani e i
francesi in quei due giorni
di tregua erano riusciti a
concentrare a Sbeitla quasi
tutte le loro forze. La
battaglia per la presa di
quella città fu molto
aspra, tanto che la
21^panzerdivision di Ziegler
subì
molte perdite e
solamente nella serata del
17-18 riuscì a conquistare
la città.
Nella battaglia di
Sbeitla, l’unica grande
unità tedesca che riuscì a
contenere le perdite, fu la
10^ panzerdivision in quanto
poco impegnata, avendo avuto
funzioni di copertura.
Ferme
furono le rimostranze di
Rommel poichè se Ziegler
avesse progredito tallonando
senza sosta il nemico, le
forze degli alleati non
avrebbero avuto
tempo e possibilità
di attestarsi a
Sbeitla e la città così
indifesa sarebbe caduta
senza spargimento di sangue
tedesco. Ma ormai, a causa
di quello inadempimento
operativo, il piano di
Rommel era fallito.
Al Sud,
il DAK di Rommel con la
15^panzerdivision, la
divisione Centauro e alcuni
reparti italiani della
1^Armata, iniziavano il 15
febbraio l’offensiva dal
settore di El Guettar; il 16
conquistavano senza alcuna
perdita la città di Gafsa,
in quanto gli americani
avevano deciso di evacuarla
ritirandosi su Feriana,
località questa che
dovettero abbandonare dopo
uno scontro con il DAK.
Mentre
Rommel puntava su Kasserine
che occupò il 18, poco più a
Nord la 5^Armata di von
Arnim, dopo la conquista di
Sbeitla, aveva preso altra
direzione: la
21^panzerdivision occupò la
città di Sbiba, mentre la
10^, a causa di quel
disastroso ritardo, solo il
giorno 20 febbraio raggiunse
la zona di Kasserine,
riuscendo così a
congiungersi con il DAK., ma
fu solo la 10^panzerdivision
a raggiungere
Kasserine, mentre invece
secondo la panificazione
operativa di Rommel anche la
21^ vi doveva giungere
contemporaneamente alla 10^.
Nell’attesa dell’incontro
con la 5^Armata, Rommel al
fine di saggiare le
posizioni americane sul
confine algerino, mandò un
raggruppamento esplorante e
parte della Centauro, agli
ordini del generale
Buelowis, in ricognizione
verso Bou Chebka e Tebessa,
ma queste formazioni
dovettero ritirarsi in
quanto attaccate
improvvisamente da
consistenti forze dalla
1^divisione corazzata
americana. Rommel, il cui
obiettivo era la conquista
di Tebessa, situata ad Ovest
del confine algerino, che
aveva acquisito importanza
strategica, come base aerea
americana, per il
rifornimento alle truppe
anglo-americane,
rifornimenti che affluivano
da Algeri, chiese al
generale von Arnim di
concentrare a Kasserine
anche la 21^panzerdivision
ferma a Sbiba, così con
l’apporto di quella G.U.
corazzata e con la 10^, gli
alleati non avrebbero potuto
contrastare l’avanzata
dell’Asse, Tebessa sarebbe
stata occupata e il piano di
Rommel di conquistare Bona e
Constantine avrebbe avuto
pieno successo. Sorsero
tuttavia altri contrasti:
von Arnim non volle cedere a
Rommel le sue divisioni, al
punto che tolse da Kasserine
la 10^ panzerdivision,
riportandola a Sbiba, mentre
dirottò la 21^su Thala.
Sorprende
non poco l’eccessiva libertà
d’azione di von Arnim nei
confronti di Rommel,
considerando oggettivamente
che il feldmaresciallo era
pur sempre il comandante in
capo del fronte tunisino e
poteva imporsi
autorevolmente sui suoi
dipendenti.
In tal
modo Rommel si trovò
isolato. Tentò un attacco su
Tebessa, ma venne respinto
dalle soverchianti forze
americane: disponeva
soltanto di 26 carri armati
Mk.IV e 23 M.14 della divisione
Centauro, contro le
centinaia di carri Sherman.
Anche in quella battaglia la Centauro e la Pistoia dettero un grosso
contributo di sangue. A Nord
di Kasserine, la 5^Armata
subì duri attacchi, la
21^panzerdivision che si
trovava a Thala venne
attaccata dalla XXVI brigata
corazzata inglese, mentre la
10^ a Sbiba dovette
affrontare gli attacchi
della
I brigata corazzata
anch’essa inglese. Questa la
dimostrazione di quanto quel
frazionamento di forze fu
esiziale.
Il 27
febbraio la vittoriosa
avanzata di Rommel su
Kasserine era finita, le
armate italo-tedesche erano
state costrette a ripiegare
sulle loro posizioni di
partenza. Il grande sogno di
Rommel svanì per la
incapacità difensiva di von
Arnim, per la confusa
tattica del generale
Ziegler, ma anche per
l’inspiegabile atteggiamento
del Comando supremo tedesco
del Mediterraneo, il quale
non volle assecondare Rommel
nel suo progetto che, se
attuato, avrebbe certamente
messo in serie difficoltà
tutte le posizioni tenute
dagli alleati in Tunisia.
Forse non si sarebbero
risolte le sorti della
guerra in Africa con una
vittoria degli
italo-tedeschi, ma Rommel
avrebbe almeno riscattato
l’amara sconfitta subita dai
tedeschi a Stalingrado ed
avrebbe aumentato il suo
prestigio. Una cosa fu
certa: nel Quartiere
generale di Eisenhower e
presso i comandi del 2°C.A. americano e in quello
inglese, si venne a creare,
durante le avanzate
tedesche, molta apprensione
quasi a sfiorare il panico
tra la truppa, specie in
quella americana che era
alle prime armi e in Tunisia
ebbe il battesimo del fuoco
Gli
insuccessi iniziali degli
alleati nella battaglia di
Kasserine furono dovuti,
oltre al fatto che i
tedeschi misero in linea una
nuova efficace arma appena
giunta dalla Germania: si
trattava di un lanciarazzi a
6 bocche che lanciava
missili a frammentazione,
creando grande panico tra le
truppe alleate, meglio
conosciuto come
“Nebelwerfer“ ed era simile
alla Katiuscia sovietica;
inoltre altri inconvenienti
degli alleati, furono dovuti
al fatto che le loro truppe
erano frammiste ed avevano
comandanti i quali agivano
senza preventivo
coordinamento. Un esempio
eclatante: il generale
Koeltz che comandava il XIX
C.A. francese, pur avendo le
sue truppe nei settori
inglese e americano, non
accettava ordini né da
Anderson comandante la
1^Armata inglese, né da
Fredendall comandante il 2°C.A. americano, ubbidiva
esclusivamente agli ordini
del generale francese Juin.
Quando a
fine febbraio il generale
Alexander prese il comando
di tutte le operazioni
militari sul territorio
tunisino, si creò finalmente
un certo ordine nei comandi;
tutti i vari comandanti di
Armata e di Corpo d’armata
alleati, dovevano attenersi
rigorosamente al suo
comando. Vi furono anche
delle sostituzioni: il
generale Fredendall dovette
cedere il comando al
generale Patton.
Mentre
era in corso la ritirata
delle truppe dell’Asse da
Kasserine, il generale von
Arnim nel tentativo di
dimostrare la sua capacità
professionale e la sua
fantasia operativa, volle
tentare autonomamente
un’offensiva con la sua
5^Armata, ma in un settore
più a Nord. Il 26 febbraio
con parte della sua armata
che non aveva impegnato
nella battaglia di Kasserine
e precisamente la divisione
“Hermann Goering “, la
990^divisione di fanteria,
l’86°reggimento granatieri
corazzato, i paracadutisti
del ten.colonnello Koch,
reparti italiani del XXX
C.A.,i paracadutisti
dell’aviazione italiana e
alcuni reparti della
divisione Superga, sferrò un
attacco su un fronte che
partiva dalla costa di
Dyebel Abiod - Beja - Mateur
sino a Mediez el Bab.
Dal
26 febbraio al 4 marzo gli
scontri che si svolsero in
quel settore non apportarono
al consolidamento di
posizioni da parte dei
contendenti; fu un continuo
avanzare e ritirarsi in
condizioni
meteorologiche pessime che
resero inutilizzabile
l’apporto dei carri armati,
in quanto nel terreno
pantanoso i mezzi corazzati
restavano immobilizzati.
Il
generale von Arnim nello
sferrare l’attacco in quel
settore, pensò di bloccare
ogni iniziativa della
1^Armata inglese di avanzare
verso Biserta e Tunisi (già
nel novembre-dicembre del
1942, il generale Anderson,
aveva tentato inutilmente la
conquista di Tunisi).
E’
doveroso riconoscere nella
battaglia di Kasserine,
l’eroico comportamento delle
truppe del DAK, i famosi
veterani d’Africa che per
anni avevano combattuto nel
deserto, mentre in Tunisia
si trovarono ad affrontare
un terreno quasi montagnoso
e pur adattandosi con
difficoltà combatterono con
risolutezza.
Non
bisogna dimenticare peraltro
il valore del soldato
italiano in quella
battaglia. La divisione
Centauro si distinse in
particolare e specialmente
il 7°reggimento bersaglieri
comandato dal colonnello
Bonfatti che cadde
eroicamente
a
Kasserine; il battaglione
“Grado“ non fu da meno,
aveva avuto un compito
estremamente difficile,
doveva espugnare e quindi
sbloccare il munitissimo
“valico” di Tefifila, che
truppe americane e
francesi tentavano di
difendere ad ogni costo; la
conquista di quel valico,
apriva infatti la strada per
l’Algeria.
Era un varco
obbligato, tra Jebel Alfa e
Jebel Bou Dabbous.
Dopo
strenua lotta, che costò
perdite al “Grado“, che
peraltro catturò due interi
reparti algerini, quel
valico o “Passo” con abile
azione notturna fu
espugnato, dando così alla
10^divisione corazzata
tedesca la possibilità di
avanzare. E’ doveroso citare
l’eroico comportamento del
tenente Rodolfo Pampalone
Morisani, che era ufficiale
di collegamento del
battaglione e proveniva dai
Granatieri di Sardegna. Di
concerto con il comandante
del battaglione “Grado”,
tenente di Vascello Ernesto
De Brazzi, il tenente
Morisani organizzò e
condusse l’attacco notturno
che sorprese i difensori
nemici del settore ovest del
Passo di Tefifila,
costituito, come sopra
detto, dai due aspri rilievi
di Gebel Alfa e Bou Dabouss
da settimane invano
attaccati dalla Divisione
Superga, da bersaglieri e da
un reparto di volontari
tunisini. Si trattava
infatti di posizioni bene
fortificate, che si
elevavano a oltre
800 metri
di altitudine dominando la
estesa pianura di Kairouan
ove sorgevano basse dune che
davano solo un modestissimo
riparo ed erano l’unica base
di partenza per gli
attaccanti. La conquista di
quel Passo, sbloccò quella
situazione di stasi.
Dopo i
fatti di Kasserine, il
comando supremo tedesco del
Mediterraneo, comandato dal
feldmaresciallo Kesselring,
onde evitare contrasti di
comando come quelli che si
erano verificati tra Rommel
e von Arnim, decise la
costituzione del Gruppo
armate “Tunisia“ che
incorporava la 5^Armata, il
DAK e la 1^Armata italiana.
Questo Gruppo di Armate,
come sopra detto, venne
posto ufficialmente sotto
l’unico comando di Rommel
che assumendo quella
prestigiosa posizione
aumentava di prestigio.
Rommel a quanto risulta
accettò con poco entusiasmo
quel comando per due ragioni:
sia perchè sin da febbraio
sapeva di dovere rientrare
in Germania e quindi avrebbe
avuto un comando temporaneo,
sia ancora per il timore che
un insuccesso e la perdita
della Tunisia, potessero
essere considerati come
elementi a suo discredito
facendo di lui il capro
espiatorio di quella perdita.
Già dopo i fatti di
Kasserine, Rommel si era
reso conto che la resistenza
in Tunisia era comunque
destinata ad esaurirsi.
Nonostante questo
convincimento e mettendo in
ballo la sua reputazione di
comandante volle attaccare
l’8^Armata al Mareth; ma
quella fu l’ultima sua
offensiva e anche l’ultimo
ruggito di un leone ormai
stanco e malandato.
Il
generale Montgomery convinto
che Rommel dopo Kasserine
avrebbe rivolto la sua
armata contro le posizioni
inglesi di Medenine,
rinforzò saggiamente quel
settore. Oltre la
7^divisione corazzata
e la 50^divisione
scozzese che già a metà
febbraio erano sul posto,
Montgomery fece arrivare
dalla Cirenaica, ove si
trovavano a riposo, la
2^divisione neozelandese del
generale Freyberg, la
51^divisione di fanteria
Highland, la 4^divisione
indiana, la 1^divisione
corazzata,
la CCI
brigata Guardie e l’VIII
brigata corazzata. A queste
forze si aggiunse la colonna
francese del generale
Leclerc, composta da oltre
2.500 uomini. Il generale
Leclerc con i suoi soldati
di “Francia libera“
proveniva dall’Africa
Equatoriale francese (Ciad)
e aveva, sin dal 1941,
operato contro i nostri
presidi di Cufra, Gialo,
Murzuch, Hon, Gat e Gadames.
Agli inizi del gennaio 1943
aveva oltrepassato dal
Fezzan, il confine algerino
e attraverso quel deserto
era entrato a febbraio in
Tunisia, passando agli
ordini della 8°Armata.Il
generale Leclerc nel
dopoguerra fu mandato, quale
capo dell’esercito francese
in Indocina per domare,
senza riuscirvi, la
ribellione di quel popolo.
Divenne tuttavia maresciallo
di Francia.
Dal 6
marzo, Rommel, che disponeva
delle divisioni corazzate
21^-15^ e le divisioni di
fanteria italo-tedesche,
sferrò ben quattro attacchi
su Medenine. Furono due
giorni di aspre battaglie. I
tedeschi perdettero in quei
due giorni 52 carri armati.
Il giorno 8 Rommel sospese
l’attacco e si ritirò sulle
posizioni di partenza.
Certamente quello fu il più
duro colpo subito da Rommel
in tutta la sua campagna
africana: infatti il giorno
dopo rientrò in Germania,
cedendo il comando del
Gruppo Armate “Tunisia”. La
partenza di Rommel cambiò la
struttura negli alti comandi
dell’Asse: il DAK veniva
posto agli ordini del
generale von Arnim, mentre
la 5^Armata passava sotto il
comando del generale Hans
von Vaerst e la 1^Armata
italiana aveva finalmente
come comando effettivo il
generale Messe, anche se con
tre settimane di ritardo. La
denominazione di Gruppo
Armate “Africa” che operò in
Libia e Egitto, in
Tunisia venne
sostituita con Gruppo Armate
“Tunisia”.
Rommel si
congedava dal fronte
africano dopo due anni di
battaglie con esiti alterni.
Aveva tuttavia dimostrato
grande fantasia operativa
nel deserto, insegnando a
tutti nuove geniali metodi
operativi.
Essendo
subentrata una nuova
situazione, dopo il fallito
attacco di Rommel a
Medenine, il generale Messe
che ormai aveva il comando
assoluto di quel settore e
sicuramente sentiva
imminente un’offensiva
definitiva di Montgomery,
rinforzò lo schieramento già
predisposto da Rommel e
avvalendosi delle tre
divisioni corazzate tedesche
le posizionò come segue: la
21^ al tergo delle truppe di
fanteria della 90^divisione
tedesca e delle divisioni
“GG.FF“. e “Trieste“, mentre
tenne come riserva nella
zona di Gabes la 15^. La 10^
richiamata dalle posizioni
al Nord, fu dislocata di
fronte a Gafsa per
fronteggiare un eventuale
attacco del 2°C.A. americano verso Gabes.
Il 17
marzo il generale Montgomery
( MAPPA N°30 )iniziò
a muovere le sue truppe con
attacchi improvvisi nel
settore della “Trieste” e
della “Giovani Fascisti“. La
50^divisione scozzese riuscì
a sfondare le difese della
divisione GG.FF. sulla quale
gli inglesi rovesciarono un
uragano di fuoco di
artiglieria, costringendo i
“ragazzi“ di Bir el Gobi, di
Buerath e del Mareth a
restare inchiodati nei loro
appostamenti. Protetta da
quegli incessanti
bombardamenti,la fanteria
inglese avanzò e si aprì un
varco di qualche chilometro
sull’Uadi El Zigzaou, ma un
contrattacco della
21^panzerdivision, della
Trieste e del
285°battaglione
paracadutisti Folgore
(comandante il maggiore
Carlo Lombardini), ripresero
le posizioni, costringendo
gli inglesi a ritornare alle
loro basi di partenza.
Montgomery volle sfruttare
la possibilità di un
aggiramento dei monti
Matmata e nella notte del
17-18, la 2^divisione
neozelandese seguita
dall’VIII brigata corazzata
della 7^divisione, forzava
il Passo di Foum Tutahonine
(gli inglesi indicavano quel
Passo nelle loro carte come
Passo Wider) e attraverso
piste desertiche del Dahar,
che definivano il versante
Sud dei Monti Matmata,
giunse nella notte del 19 a Ksar Ghilane occupandola.
Il giorno 20 fu la volta di
Bir Soltane e in quella zona
i neozelandesi si
congiunsero con la colonna
Leclerc.(2) Frattanto anche
la 1^divisione corazzata
inglese attraversò il Passo
Wider e raggiunse nella
notte sul 20 la 2^divisione
neozelandese del generale
Freyberg avanzando insieme
verso El Hamma.
Pur
avendo marciato sempre di
notte, onde sfuggire alla
ricognizione aerea nemica,
gli inglesi vennero
ugualmente individuati
permettendo così al generale
Messe di avviare rinforzi a
Passo Tegaba. Nonostante
quel rafforzamento, il
giorno 23, i neozelandesi
attaccarono, con l’aiuto
della aviazione, le
posizioni del raggruppamento
Sahariano che difendeva il
Passo. Il raggruppamento
sottoposto a violenti
bombardamenti aerei e
terrestri, venne quasi
completamente distrutto e,
poiché era pressoché privo
di automezzi non ebbe la
possibilità di arretrare in
tempo. Il generale Mannerini
decise allora di
sacrificarsi sul posto. I
superstiti di questo
valoroso raggruppamento li
troveremo ancora in linea
nella battaglia di Uadi
Akarit. Nei 3 giorni di
furiosi combattimenti, ai
quali parteciparono la
164^divisione tedesca, la
divisione Pistoia e una
aliquota della
15^panzerdivision, che erano
state inviate a rinforzare
il raggruppamento sahariano,
le nostre forze non
riuscirono ad arginare
l’avanzata nemica, che con
il sempre presente aiuto
della loro aviazione, la Royal Desert Air Force, riuscirono ad aprirsi un
varco dove la 1^divisione
corazzata inglese penetrò
profondamente verso la piana
di El Hamma.
Contemporaneamente il
generale Patton con il suo 2°C.A. incominciò a premere
sulla 10^panzerdivision che
combatté disperatamente per
impedire che gli americani e
gli inglesi, tagliassero
alle truppe italo-tedesche
la strada della ormai
inevitabile ritirata verso
il Nord del paese. Secondo
fonti inglesi l’esito di
quella battaglia portò alla
cattura di ben 7.000
prigionieri, tuttavia
riconobbero che i
difensori di Passo Tegaba
combatterono strenuamente
prodigandosi oltre ogni
possibilità.
Il
generale Messe visto che
sulla linea del Mareth la
pressione di Montgomery
si faceva sempre più
pesante e avvertendo che lo
schieramento a tergo veniva
ad essere minacciato, decise
il giorno 27 marzo, pur
malvolentieri, di ripiegare
su Uadi Akarit ( MAPPA
N°31 ).
Per la
verità, gli inglesi mai
riuscirono a sfondare la
linea del Mareth;
l’abbandono delle posizioni
tenute dalla truppe
italo-tedesche fu dovuto al
pericolo incombente di
essere presi alle spalle e
solo tale minaccia,
costrinse il generale Messe
al ripiegamento.
Iniziarono la ritirata, per
prime, le divisioni italiane
che more solito erano
appiedate, mentre la
90^divisione con il
285°battaglione Folgore
contrastarono, come
retroguardia, l’avanzata
dell’8^Armata. Sul fronte di
El Hamma, la
15^panzerdivision conteneva
a stento l’avanzata della
2^divisione neozelandese e
della 1^divisione corazzata
che insieme puntavano
su Gabes., mentre nella zona
da Gafsa a El Guettar la
10^panzerdivision venne a
trovarsi in serie difficoltà
contro il 2°C.A. americano di Patton e pur
combattendo con coraggio e
abilità, non riuscì a
proteggere le ali
dell’Armata dell’Asse che
ormai ripiegava.
Tra i
giorni 29-30, il generale
Messe aveva attestato a
difesa su Uadi Akarit, le
sue truppe ormai ridotte nel
personale e nei mezzi; la
164^ era ridotta
sensibilmente come uomini e
rimasta con pochi mezzi, la
15^ aveva perduto quasi la
totalità dei suoi carri
armati; le truppe italiane
dopo la ritirata a piedi e
sempre sotto la pressione
inglese, erano esauste.
Soltanto la 90^divisione
tedesca era ancora
efficiente anche perché al
Mareth era stata poco
impegnata e nella ritirata
ebbe funzioni di
retroguardia. Comunque con
tale scarsità di forze il
generale Messe, si apprestò
a difendere il settore
fortificato di Akarit.
La linea
difensiva stabilita a Uadi
Akarit, partiva dalla costa
e arrivava sino alle paludi
di El Fedjal, per una
estensione di circa
30 Km.;
il terreno dalla costa sino
a
4 Km.
nell’interno era
relativamente pianeggiante,
indi iniziavano le zone
collinose formate dai
numerosi Jebel, dai nomi di
Roumana, El Hachama, El
Meida, Fatnassa,
attraversabili solo da
valichi obbligati che i
genieri italiani e tedeschi
riuscirono a minare in
alcuni punti. Data la
modesta disponibilità di
mine, a Uadi Akarit i nostri
guastatori ne posero solo
8.000. Tutta la scorta era
esaurita, una deficienza
questa che ci costò molte
perdite umane.
La linea
difensiva italo-tedesca a
Uadi Akarit con i suoi Jebel
che la dominavano a Nord del
fiume, costituiva una
posizione abbastanza
difendibile, anche perché
dopo Chott El Fedjai e
sino a Chott El
Jerid, la distanza fra i due
Chott era coperta per
moltissimi chilometri da
zone paludose inaccessibili
per l’8^Armata. L’unico
serio pericolo era il 2°C.A.americano che poteva
attaccare da tergo l’Armata
italiana dalla zona di
Gafsa, evento che non tardò
a verificarsi.
Lo
schieramento italo-tedesco
venne così disposto: la zona
piana era tenuta dai Giovani
Fascisti che avevano come
difesa naturale le ripe
scoscese dell’uadi,
abbastanza larghe e profonde
e costituivano quindi un
fossato anticarro naturale.
Sul fianco destro dei GG.FF.
si schierarono: il
285°battaglione Folgore e la
90^divisione leggera, la
divisione Trieste, con
avamposti sul Jebel Romana e
la divisione La Spezia, sul Jebel Hachama e
più a Sud, sul Jebel el
Meida- Fatnassa, la
divisione Pistoia. Alla
estremità di quel sistema
difensivo
i superstiti del
raggruppamento sahariano e i
resti della 164^divisione
tedesca. Il generale Messe
stabilì, come riserva
mobile, le mal ridotte 15^e
21^panzerdivisionen e quanto
rimaneva della divisione
italiana “Centauro “,
comandata ancora dal
generale Conte Calvi di
Bergolo che, aveva assorbito
il 31°battaglione d’assalto,
formato dai superstiti
carristi della divisione
Ariete ormai appiedati.
Data
l’urgenza pochi furono gli
apprestamenti delle opere
difensive. Dal 30 marzo al
5 aprile, su quel fronte si
svolsero brevi combattimenti
con esiti alterni:
postazioni difensive
occupate e riconquistate con
attacchi e contrattacchi. In
quelle azioni si distinsero
per valore tutti i
contendenti, una particolare
menzione va oltre alla
divisione Trieste e alla
136^divisione Giovani
Fascisti, anche al
285°battaglione Folgore.
All’alba
del 6 aprile, il generale
Montgomery sferrò l’attacco
decisivo mettendo in campo
tutte le sue forze sia
terrestri che aeree e
impiegando la massa
dell’artiglieria di cui
disponeva in abbondanza (
oltre 450 cannoni, compreso
il famoso cannone pesante
campale da
140 mm.
che certamente era uno dei
migliori pezzi di cui
disponeva l’artiglieria
inglese, la sua gittata
superava i 16 Km. e
impiegava
una granata ad alto
esplosivo di
37 Kg.;
questo cannone devastò le
nostre postazioni, lo
scoppio della granata, aveva
un effetto distruttivo in un
raggio di 100 metri. L’offensiva inglese impegnò, contro
la zona tenuta dai GG.FF. e
dal 285°battaglione
“Folgore“, la 51^divisione e la CCI brigata Guardie; venne
investita anche una parte
della 90^divisione. Al
centro la 50^divisione
scozzese cozzò contro le
difese delle divisioni La Spezia e Trieste, che
resistettero per tutta la
giornata. In quella
battaglia cadde combattendo
il generale Pizzolati, nuovo
comandante della divisione La Spezia. A Sud del sistema
difensivo dell’Asse, la
4^divisione indiana prese
d’assalto le posizioni della
divisione Pistoia, del
raggruppamento sahariano e
della 154^ divisione tedesca
che rimasero completamente
isolati e prive di munizioni
e dopo una giornata di aspri
combattimenti dovettero
cedere. Gruppi isolati del
raggruppamento Sahariano
continuarono a combattere
anche dopo che le truppe
italo-tedesche erano in
ripiegamento verso
Enfidaville.
Il
generale Messe per arginare
la penetrazione nemica, mise
in linea la sua riserva
mobile, ma nonostante il
sacrificio di quelle unità,
non si riuscì ad arrestare
l’avanzata degli alleati. La
divisione Centauro, pur con
i pochi mezzi a disposizione
combatté eroicamente e venne
in gran parte distrutta.
Pochi infatti furono coloro
che si salvarono
dall’annientamento.
La vera
battaglia di Akarit, durò
solo due giorni, dal 6 al 8
aprile: furono due giorni di
sanguinosi combattimenti. In
quella battaglia il
raggruppamento sahariano
venne quasi del tutto
distrutto. Nella serata
dell’8 e precisamente alle
ore 23, il generale Messe,
in pieno accordo con il
generale von Arnim, diede
l’ordine di ripiegare su
Enfidaville. Il ripiegamento
notturno non fu facile,
causa i pochi automezzi
(sempre il solito problema
dell’esercito italiano) e
per gli scarsi collegamenti
tra il comando d’Armata e i
vari reparti. La fortuna
volle che il generale
Montgomery e il generale
Patton, comandante del 2°C.A. americano, non
insistettero molto nel
proposito di contrastare la
ritirata della 1^Armata
italiana. Frattanto la
4^divisione indiana, la
6^divisione corazzata
inglese, la XXVI brigata corazzata e la CXXXVIII brigata di
fanteria, nei giorni 7-8 e 9
aprile si erano portati
nella zona di Fonduk, con
l’intenzione di prendere
alle spalle la 1^Armata di
Messe,ma trovarono una
tenace resistenza da quelle
forze italo-tedesche che
presidiavano Fonduk,
comprendenti il
961°reggimento di fanteria,
il 190°battaglione da
ricognizione e il
27°battaglione tedeschi ed
inoltre due battaglioni
italiani: uno del “Grado“
del S.Marco, l’altro della
divisione Superga, tutti
sotto il comando del
colonnello tedesco
Fullriede. Quella resistenza
costrinse gli
anglo-americani a perdere il
loro slancio iniziale che li
bloccò per un giorno, quanto
bastò alla 1^Armata per
ripiegare lungo l’unica via
costiera rimasta per la
direzione Sfax-Sousse
(Susa).
Il giorno
10 gli alleati ripresero
l’offensiva conquistando
Passo Fondouk e la cittadina
di Kairouan; il giorno 11
cadde Sfax e il 12 Sousse,
ma ormai il generale Messe
aveva già iniziato ad
attestarsi a Enfidaville,
riunendosi nella zona di
Sebchet el Kourzia con la
5^Armata di von Arnim.,
formando così una unica
linea di difesa che partiva
da Enfidaville e, salendo
verso Nord arrivava a Capo
Serrat sulla costa.
Le difese
nella zona di Enfidaville,
che erano poste molto avanti
dalla città, erano attestate
su un terreno alquanto
montuoso del Jebel Zaghouan
con una altitudine sui 1.300 metri; verso
l’interno, il terreno pur
assumendo una conformazione
montagnosa, presentava delle
alture con asperità naturali
che permettevano una solida
difesa per la fanteria. La
linea difensiva venne in un
secondo tempo prolungata
sino Sebchet el Kourzia.
Al centro
di questo schieramento si
ergeva un bastione naturale
con caratteristiche tronco
coniche,
roccioso e impervio,
sulla cui sommità vi era un
piccolo villaggio arabo.
Quel bastione aveva il nome
di Takrouna. Era un centro
importate di osservazione in
quanto dominava una pianura
con passaggi obbligati sia
da Nord che da Sud dello
schieramento, per le forze
italo-tedesche rappresentava
un’ottima posizione
difensiva. A Takrouna per il
possesso di quella posizione
strategica si svolsero due
epiche battaglie.
Nel
frattempo a Enfidaville, il
generale Messe aveva così
predisposto il suo
schieramento: nella zona
costiera la 136^divisione
GG.FF.o meglio i superstiti,
la 90^divisione
leggera, la Trieste e il
285°battaglione “Folgore”; a
difesa di Takrouna il
1°battaglione del
66°reggimento della
Trieste,comandato dal
capitano
Mario
Leonida Politi di Sulmona,
che già si era distinto
nella battaglia di Uadi
Akarit; a questo battaglione
furono dati in rinforzo un
plotone tedesco, un reparto
di granatieri di Sardegna,
un plotone mortai da 81 e i
resti di due batterie
cannoni da 88 e da 65/17, in
tutto solo 4 pezzi. Con
questi rinforzi il
battaglione di Politi venne
ad avere una consistenza di
560 uomini. Dopo Takrouna
salendo verso Nord, seguiva
il XXI C.A del generale
Berardi, con le divisioni
Pistoia,
La Spezia
e la ormai ridottissima
164^tedesca. La riserva era
costituita da quanto
rimaneva della
15^panzerdivision con appena
15 carri armati, compresi i
superstiti carri della
divisione Centauro.
Di contro
gli alleati disponevano su
tutto il fronte, che andava
da Capo Serrat
sino a Enfidaville,
di ben 19 divisioni a
organici completi, di cui 5
corazzate, con 1.200 carri
armati, 1.500 cannoni, oltre
3.000 aerei che ormai
dominavano,
incontrastati, i
cieli della Tunisia.
Il
generale Messe e il generale
von Arnim, potevano invece
contare su appena
13 divisioni, di cui solo 3
corazzate, ma tutte a
organici ridottissimi con
appena 130 carri armati e
non più di 500 cannoni
appoggiati da una forza
aerea che non superava i 500
aerei, dei quali gran parte
erano da trasporto (circa
300 fra Ju.52, Me.323 e
SM.82). Con queste forze e
con la speranza di ricevere
rifornimenti dall’Italia con
convogli aerei ormai sempre
più rari, la 1^Armata con la
5^e DAK si apprestarono a
difendere l’ultimo lembo di
terra africana.
Il primo
attacco venne sferrato
dall’8^Armata che cercò,
come primo obiettivo, di
eliminare la posizione di
Takrouna; dal 16 al 18
aprile gli inglesi
martellarono con
l’artiglieria le posizioni
tenute dal 1°battaglione del
capitano Politi. Terribili
furono anche i bombardamenti
aerei. Il 19 i neozelandesi
della IX brigata della
2^divisione (formata in
prevalenza da truppa
indigena maori)
mossero all’attacco e il
giorno 20 avevano
conquistato, dopo cruenti
corpo a corpo con i
difensori, la cima di
Takrouna. Molti furono gli
episodi di valore di quei
560 soldati italiani ed a
fine battaglia ne erano
rimasti solo la metà: tanti
furono i morti, pochi i
prigionieri. Merita
segnalare l’epico gesto del
sergente maggiore
Bressanini, della
4^compagnia del battaglione
di Politi: colpito a morte
da una raffica di Thompson,
mentre era a terra con il
Cappellano militare che gli
impartiva i conforti
religiosi, sentendo ormai
prossima la sua fine, chiese
un pezzo di carta e una
penna o matita, forse per
dare un estremo saluto alla
sua famiglia; purtroppo in
quel momento né il
Cappellano né i commilitoni
presenti ne disponevano,
allora il Bressanini, vergò
con il proprio sangue su un
pezzo di carta, queste
parole......” Viva
l’Italia.....Viva il Re “
e spirava.
Il giorno
21 il generale La Ferla, audace e coraggioso
comandante della
“Trieste“, decise la
riconquista di Takrouna e
affidò questo compito al
285°battaglione
paracadutisti Folgore che
era stato aggregato alla sua
divisione; il comandante di
tale reparto Maggiore
Lombardini (era stato
promosso a quel grado dopo
la battaglia del Mareth),
disponeva di due sole
compagnie. Dei 500
paracadutisti iniziali che a
Breviglieri in Tripolitania
nel dicembre del 1942,
formarono il battaglione,
dopo le perdite subite nelle
operazioni del Mareth, di
Kasserine e
Uadi Akarit ne erano
rimasti appena 150, tanto da
formare solo due compagnie
comandate dai tenenti
Orciuolo e Rolando
Giampaolo.
Le due
compagnie mossero
decisamente all’attacco con
slancio, secondo lo stile
del paracadutista, snidando
il nemico dapprima dalle
posizioni alla base del
roccione, poi progredendo
verso l’alto all’occupazione
della cima, dalla quale i
cecchini maori reagivano
inesorabilmente e con
precisione di tiro riuscendo
a creare dei notevoli vuoti
tra gli attaccanti.
Il
sergente maggiore Sanità (
che nella guerra di
Liberazione del 1943-1945,
verrà decorato di M.O.V.M.),
riunì una decina di
paracadutisti, per compiere
un audace colpo di mano,
erano tutti componenti della
compagnia Orciuolo e
conoscitori della montagna.
Il piano
del sottufficiale era quello
di affrontare il ciglione di
Takrouna dal lato Sud, dove
per le sue pareti ripide e
con pochi appigli, i
neozelandesi (maori) si
sentivano sicuri. Il Sanità
con la sua pattuglia scalò
quelle pareti e di sorpresa
colse il nemico; breve fu la
lotta: infatti a seguito di
quella sorpresa i maori
furono facile preda dei
nostri paracadutisti, i
pochi superstiti si arresero
e sulla cima venne issato il
Tricolore.
Il giorno
seguente gli inglesi con
nuove truppe di rinforzo e
con una grande
concentrazione di tiri
d’artiglieria
riconquistarono Takrouna,
nonostante che
paracadutisti, con i
superstiti fanti del
1°battaglione di Politi,
unitamente a un reparto di
granatieri, che avevano dato
una mano come copertura
durante l’assalto di
Orciuolo e Giampaolo, si
batterono con ardore e
decisione. Un alto
contributo di sangue, tanto
da stupire lo stesso nemico.
In quello scontro durissimo
caddero il s.tenente
Righetti, i sergenti Cubelli
e Grezzi, il cap.magg.
Scaramuccia e altri
paracadutisti. Molte le
gesta eroiche, compiute dal
tenente Cesare Andreolli,
dal s.tenente Delle Piane,
nonché dai due comandanti
delle compagnie. Due giorni
durò quella battaglia ed
all’esaurimento delle
munizioni, i combattimenti
continuarono all’arma
bianca, ma le forze nemiche
erano soverchianti ed ebbero
il sopravvento. Pochi furono
i superstiti tra i
difensori. La battaglia o il
massacro di “ The strom of
Takrouna” (così la
definirono gli inglesi) si
era conclusa. Da un
comunicato del comando della
divisione Trieste, nelle due
battaglie di Takrouna,
risultarono tra morti,
feriti e dispersi ben 621
uomini. Anche il reparto
tedesco che aveva
partecipato, con il capitano
Politi, alla prima difesa di
Takrouna, subì una perdita
di 73 soldati. (
FOTO N°1-2
)
Ad onore
della verità storica, un
valido aiuto nella battaglia
di Takrouna fu dato dal 21°
reggimento artiglieria della
Trieste e per esso dalla
compagnia comandata dal
tenente Bruno Marin.
Giova
notare che il 20 aprile
1943, quando i resti
dell’esercito italo tedesco
in Tunisia erano
ormai prossimi al crollo
finale, il generale Messe,
con un suo “Ordine del
Giorno” ordinò lo
scioglimento di quello che
era stato il raggruppamento
sahariano, ormai ridotto ad
un solo ufficiale superiore,
il ten.colonnello De Valle e
pochi altri ufficiali: tra
questi il capitano
Aurelio Manzoni dal
quale ho attinto particolari
degli episodi sopra
descritti. Tra i superstiti
vi era anche uno sparuto
gruppo di soldati libici con
una sola camionetta A.S.43.
I resti
del raggruppamento vennero
completamente distrutti
nella battaglia di Sebket el
Nual (Tunisia) nella
giornata del 7 aprile 1943.
L’Ordine
del Giorno del generale
Messe così recitava:
COMANDO 1^ ARMATA
“Il
raggruppamento sahariano che
tanta parte ha avuto nelle
vicende belliche di questi
ultimi mesi, si scioglie.
Sopravvivono soltanto esigue
rappresentanze di quelle
audaci e ardimentose
compagnie sahariane che,
nelle sterminate distese del
Sud e dell’Ovest, hanno
sempre validamente tenuto
testa al baldanzoso
avversario. Il peso delle
battaglie del Mareth e
dell’Akarit ha gravato molto
sul raggruppamento sahariano
che le ha sostenute con
fermezza, con valore e
tenacia fino ai limiti
dell’esaurimento di quelle
battaglie.
A tutti i
prodi che hanno dovuto
soccombere nell’adempimento
del più sacro e sublime dei
doveri, si rivolge il
pensiero commosso, devoto ed
ammirato dei componenti la
1^ Armata.
Il
generale comandante d’Armata
(f.to Giovanni Messe)
Frattanto
sul fronte degli alleati
erano avvenuti cambiamenti:
il 2°C.A. americano, ora al comando del generale
Bradley, passò dal settore
meridionale a quello del
Nord che era stato tenuto
dalla 1^Armata inglese,
spostata nel settore
centrale affiancata al
9°Corpo d’Armata che era
appena giunta dalla Libia;
l’estremo settore
meridionale fu tenuto dal 19°C.A. francese.
Il
generale Alexander, visto
che a Enfidaville la
1^Armata del generale Messe
si era consolidata a difesa,
per accelerare i tempi di
conquista della Tunisia
dette disposizioni affinché
la 1^Armata inglese
attaccasse nel settore di
Mediez el Bab (Mejl el Bab),
con obiettivo Tunisi. Data
dell’attacco il 22 aprile.
Al Nord il 2°C.A. americano doveva occupare
Biserta e l’attacco era
stato fissato al 23 aprile;
l’8^Armata e il 19°C.A. francese avevano il
compito di fronteggiare la
1^armata italiana, in modo
che non potesse fornire
alcun apporto alla 5^Armata
e al DAK schierate lungo un
fronte di quasi 160 Km ( consultare MAPPA
N°32 ).
Nelle
date stabilite gli attacchi
iniziarono con una forte
preparazione di artiglieria.
Gli americani puntarono con
la 9^divisione subito su
Biserta, seguendo la via
della costa, però trovarono
un’accanita resistenza da
parte dei paracadutisti
tedeschi della divisione
Manteuffel, unitamente agli
arditi paracadutisti
dell’aviazione italiana, dal
10° e 5°reggimento
bersaglieri, dal grupo Weber
e dai battaglioni “Caorle“ e
“Bafile” del S.Marco. Anche
la 34^divisione americana e
la 1^divisione corazzata,
che avevano come obiettivo
Mateur per poi avanzare
verso Biserta, vennero
fermate dalle divisioni di
fanteria tedesche e dal
raggruppamento semoventi del
maggiore Piscicelli che
faceva parte del XXX C.A.
italiano. La resistenza, sia
contro la 9^divisione che
contro la 34^ e 1^divisione,
costrinsero l’avanzata
nemica ad un imprevisto
arresto, bloccando sia pure
momentaneamente la spinta
aggressiva degli americani.
Il fronte
tenuto dalla 1^Armata
inglese, era quello ove gli
inglesi avevano concentrato
la grande massa delle
proprie forze, cioè i Corpi
d’armata 5° e 9°, ma era
anche il settore più
delicato in quanto le loro
truppe dovevano agire su di
un terreno collinoso, senza
l’apporto dei mezzi
corazzati inadatti ad agire
su un terreno tanto
accidentato. I loro pesanti
attacchi non sortirono
grandi progressi. I
contrattacchi della
divisione Hermann Goering
imposero in quel settore un
deciso rallentamento
dell’offensiva. Con quei
contrattacchi, si concludeva
la prima battaglia di
Enfidaville.
Il
generale Alexander, che
secondo quanto era stato
stabilito nella conferenza
alleata di Casablanca circa
lo sbarco in Sicilia,
operazione che avrebbe
dovuto
aver luogo entro
giugno-luglio impiegando le
truppe impegnate in quel
momento in Tunisia, decise
di concludere, entro il mese
di maggio, la lotta su quel
territorio, ovviamente dopo
l’annientamento delle truppe
dell’Asse. Per rispettare
l’impegno e le scadenze
concordate a Casablanca,
dette quindi ferree
disposizioni di sferrare un
nuovo e ultimo decisivo
attacco il 6 maggio. Per
rinforzare la 1^Armata,
attinse dall’8^Armata, le
sue tre migliori divisioni:
la 7^corazzata, la 4^indiana
che passarono alle
dipendenze del
5°C.A,
mentre la 1^divisione
corazzata venne inserita nel 9°C.A. che comprendeva già la
6^divisione corazzata.
Per
compensare la privazione
delle tre migliori divisioni
dell’8^Armata, fu assegnata
a Montgomery la 56^divisione
di fanteria, giunta
anch’essa da poco dalla
Libia. Questa divisione che
entrava in linea per la
prima volta, fu un disastro
per l‘8^Armata, in quanto al
primo contatto con le forze
italo-tedesche subì una
severa sconfitta.
Il 6
maggio alle ore 3,30, ebbe
inizio la fase finale e
conclusiva battaglia di
Enfidaville, che si dimostrò
altra cruenta battaglia
svoltasi sul territorio
tunisino. Le artiglierie
alleate causarono scompiglio
nelle difese italo-tedesche,
l’aviazione non fu da meno,
bombardando senza
interruzione ogni piccola
postazione, ogni sia pur
modesto movimento di
reparto. Anche dal mare la
marina inglese dette il suo
contributo alla fase finale
della lotta. Le divisioni
alleate avanzarono come
rulli compressori e il
7 maggio la 9^divisione
americana occupava Biserta,
nonostante la strenua difesa
dei sopraccitati reparti
italo-tedeschi, che già
stremati dagli scontri di
aprile, combatterono sino
all’ultima cartuccia. Il
giorno 10 ci fu
l’inevitabile resa, ma
alcuni reparti continuarono
a combattere sin al giorno
13.
Un poco
più a Sud, le due divisioni
americane la 34^ e la 1^,
dopo avere occupato Mateur
raggiunsero, combattendo con
aspri e memorabili
sacrifici, la cittadina di
Ferryville, posta sul mare
interno di Biserta. Da
quella località le due
unità, disponendosi a
ventaglio, chiusero in un
cerchio le rimanenti truppe
dell’Asse che ritirandosi
cercavano di raggiungere
Tunisi, anche questi ultimi
superstiti, ormai
circondati, dovettero
cessare i combattimenti.
Le
divisioni della 1^Armata
inglese avanzarono sfondando
le difese della 5^Armata
tedesca, nonostante che von
Arnim avesse concentrato in
quella zona le ormai ridotte
unità corazzate 15^-21^e la
10^panzerdivision, che
combattendo e ritirandosi
sotto intenso tiro di
artiglieria nemica e
massicci
bombardamenti aerei, alla
fine cedettero dopo aver
esaurito le munizioni. La
strada per Tunisi era ormai
libera e la 7^divisione
corazzata con in testa il
famoso 11°Ussari entrò, il
giorno 7, trionfalmente a
Tunisi. La 1^Divisione
corazzata e la 4^indiana il
giorno 8-9 occuparono
Hammamet, impedendo al resto
alla 5^Armata di
raggrupparsi nella penisola
di Capo Bon e di resistere
ad oltranza o cercando di
imbarcarsi per raggiungere la Sicilia. E’accertato che
un imbarco, tipo Dunkerque,
era stato previsto; infatti
in alcune insenature della
costa erano stati ammassati
dei piccoli natanti, ma solo
pochi soldati italiani e
tedeschi riuscirono a
usufruirne, sfuggendo alla
stretta sorveglianza navale
attuata dell’ammiraglio
Cunningham che aveva intuito
un tale proposito. Non
avendo ormai più alcuna
possibilità di lotta, il
giorno 12, i resti della
5^Armata tedesca si arresero
alla 4^divisione indiana e
con essi si consegnò anche
il generale von Arnim e
tutto il suo Stato Maggiore.
Ad onore del vero, nella
serata del giorno 12, alcuni
superstiti dei battaglioni
“Grado“ del S.Marco e della
Superga, ancora combattevano
e cessarono di battersi solo
quando esaurirono le
munizioni.
Nella
zona di Enfidaville, la
1^Armata italiana del
generale Messe, ormai quasi
circondata avendo alle
spalle la 6^divisione
corazzata, sul lato destro i
furiosi attacchi del XIX
C.A. francese e di fronte
l’8^Armata, continuava a
combattere; solo il giorno
13 il generale Messe
ricevette da Roma l’ordine
di cessare ogni resistenza e
con quell’ordine gli arrivò
anche la promozione a
maresciallo d’Italia. Messe
inviò il generale Mancinelli
quale parlamentare al
quartiere generale inglese
per stabilire le modalità di
resa, chiedendo l’onore
delle armi; purtroppo gli
inglesi, nonostante che i
soldati della 1^Armata
italiana avessero combattuto
con onore, non concessero
quel riconoscimento, per
loro la resa era senza
condizioni. Il maresciallo
d’Italia Messe per salvare
il salvabile dovette cedere.
Anche in questo settore gli
ultimi a deporre le armi
furono i Giovani Fascisti
ridotti ormai a un
centinaio, i sopravvissuti
“folgorini” e la
90^divisione leggera
tedesca, questa gloriosa
G.U. fu sempre impiegata da
Rommel quale ariete
d’attacco e nelle ritirate
adibita, quale protezione in
funzione di retroguardia. Il
generale Sponeck che allora
comandava la 90^divisione,
chiese l’onore di arrendersi
solo alla 2^divisione
neozelandese che nel corso
della guerra in Africa fu la
sua tradizionale avversaria,
il generale Freyberg,
comandante della divisione
neozelandese, concesse
quell’onore e volle
congratularsi personalmente
con il generale Sponeck,
invitandolo nella sua tenda.
La 90^
verrà ricostituita in Italia
a giugno 1943 come “Panzer
Gren Division” e
inviata quale
presidio in Sardegna.
Dalla
lettura di testi di
qualificati storici che
hanno commentato le
battaglie che si svolsero in
Tunisia, soprattutto
dell’ultima grande battaglia
di Enfidaville, sono venuto
a conoscenza del
comportamento poco militare,
tenuto da alcuni generali
tedeschi nel corso
dell’ultima resistenza che
le truppe italo- tedesche
opposero agli
anglo-americani in Tunisia.
Mentre nulla si ha da dire
sui nostri generali che
combatterono con onore e
taluni sino all’estremo
sacrificio come il generale
Pizzolati; si ebbero invece
seri dubbi sul comportamento
di alcuni generali tedeschi,
che nella imminenza della
sconfitta pensarono
egoisticamente di mettersi
in salvo. Pare che il
generale Gause, capo di
Stato Maggiore prima con
Rommel poi con von Armin,
pochi giorni prima della
battaglia di Enfidaville, si
era recato in Italia e
precisamente a Frascati ove
era il quartiere generale di
Kesselring per conferire con
il feldmaresciallo, circa la
critica situazione in
Tunisia, cercò di prendere
tempo e in tal subdolo modo
non rientrò al suo comando
in Tunisia. Il generale
Bayerlein, nella imminenza
dell’ultima battaglia,
accusando presunte
complicazioni reumatiche
rientrò in Germania. Anche
il generale Scherrenberg,
comandante la piazza di
Tunisi, nel momento critico
dell’estrema difesa di
settore, si allontanò da
Tunisi e non vi fece più
ritorno. Certamente questi
generali non erano
all’altezza del coraggio e
prestigio di Rommel, anche
se un più sereno e obiettivo
esame del suo comportamento
a fine conflitto, mise
inaspettatamente in evidenza
carenze personali e mancanza
di lealtà verso il suo
Fuhrer che lo aveva sempre
difeso e premiato.
La guerra
in Africa si chiuse con una
grande vittoria degli
alleati e con una onorevole
sconfitta dell’Asse. Soldati
italiani e tedeschi
combatterono sino allo
estremo delle forze e tutti
fecero il loro dovere con
eroico coraggio.
Le
perdite italiane nei tre
anni di lotta in terra
africana, furono notevoli:
13.748 morti,
migliaia di feriti e 8.821
dispersi, dei quali non si é
mai potuto stabilire la loro
scomparsa, ma sicuramente
morti; i loro nomi infatti
non risultarono tra quelli
dei 250.000 prigionieri.
Probabilmente come per gran
parte dei dispersi, i loro
corpi giacciono sul fondo
del mare e nelle sabbie del
deserto quindi non
rintracciabili: nel corso
della guerra delle molte
navi che trasportavano
soldati in Libia e Tunisia,
137 vennero affondate dal
nemico e con esse il loro
carico umano. Buona parte di
questi dispersi é certamente
ancora sepolta nel deserto e
malgrado l’opera
costantemente puntigliosa di
recupero svolta da Caccia
Dominioni, di loro non fu
possibile reperire tracce,
anche perché il forte vento
del deserto ne cancellò ogni
vestigia, come anche il
vandalismo degli arabi che
ne asportarono le croci dai
tumuli, per accendere i loro
fuochi.
Le
perdite umane negli altri
eserciti nelle battaglie che
si svolsero su tutti i
fronti del Nord Africa,
secondo i dati forniti dagli
Stati Maggiori di allora
furono: per i
tedeschi di 18.594 caduti e
3.400 dispersi; gli inglesi
dichiararono 35.476 morti,
mentre gli americani ne
danno 16.500, non si hanno
precise cifre di feriti e
prigionieri sia inglesi che
americani.
La
prigionia fu terribile e
indimenticabile per coloro
che ebbero la sfortuna di
essersi arresi ai francesi;
furono spogliati dai soldati
“gollisti” di ogni loro
piccolo avere, derubati di
orologi, collanine,
portafogli, foto e lettere
di familiari e vennero
ancora umiliati, derisi,
ridotti alla fame, scherniti
dalla popolazione francese
di Tunisia e Algeria e
purtroppo anche da quegli
italo-francesi che
certamente non nutrivano più
sentimenti di italianità.
Meno pesante fu la prigionia
inglese;. Ma certamente più
fortunati furono i
prigionieri catturati dagli
americani, che portati in
America ebbero la
possibilità di lavorare al
di fuori dei campi di
concentramento e addirittura
molti dopo la guerra
ritornarono in America e si
stabilirono nei luoghi della
loro prigionia.
Prima di
concludere questo capitolo,
ritengo doveroso rendere
onore agli arditi
paracadutisti azzurri
dell’ADRA, al X reggimento
arditi paracadutisti
dell’esercito, agli
incursori della X Flottiglia
MAS, che dallo inizio del
conflitto nel 1940 e sino a
tutto il giugno del 1943 e
anche oltre, operarono con
azioni di sabotaggio su
tutti i territori di guerra
dell’Africa Settentrionale:
Egitto, Libia, Marocco,
Algeria e Tunisia.
Con un
capitolo a parte descriverò
le leggendarie imprese
compiute da questi valorosi
Soldati, citerò i nomi, i
luoghi e le date delle
ardite imprese che essi
compirono e purtroppo anche
con drammatici epiloghi. Ma
di tre di queste azioni darò
una più ampia descrizione.
NOTE DEL 5° CAPITOLO
N.
1 - Il cannone Krupp mod.
39/AI da 88, oltre che
contraereo agiva
efficacemente come
artiglieria controcarro;
aveva una gittata largamente
superiore a quella di tutti
i cannoni alleati che si
trovavano in quel momento in
Africa, inoltre montato sul
carro armato Tigre, aveva
installato un sistema di
puntamento ottico molto
preciso che difficilmente
mancava il bersaglio.
N. 2 -
Ancora oggi
in Tunisia, nella zona di
Bir Soltane, punto
d’incontro tra la colonna
francese del generale
Leclerc con le truppe
inglesi. esiste un monumento
dedicato ai caduti francesi
nella battaglia per la
conquista di Passo Tebaga.
Ancora o
N°1 -lN.