LA NOSTRA TERRAZZA

Capitolo 7°

Mia madre sulla terrazza - In lontananza lo scoglio

 

<<< Dall'ingresso condominiale della nostra palazzina partiva una  rampa di scale, costruita con marmo bianco venato di grigio,  che  arrivava fino in cima al pianerottolo dove c'era una porta di legno da cui si entrava per andare in terrazza. Questa porta non era tanto grande come il portone di giù, ma aveva una serratura antica che per aprirla occorreva una chiave di grosse dimensioni, scura e pesante.  Mia madre la chiamava "la chiave di san Pietro".  La terrazza copriva tutta la palazzina ed  era protetta da  un muretto  alto circa un metro e venti e spesso venticinque centimetri, che correva lungo tutto il suo perimetro esterno. Nel mezzo c'era un muretto interno, più sottile rispetto a quello esterno,  che la divideva  in due parti uguali. Noi dividevamo la superficie della nostra terrazza  con la famiglia Costa, una coppia sposata senza figli , che abitava al primo piano sopra di noi. Metà dell'altra terrazza  apparteneva alla famiglia D’Amico, composta da Pippo, il capofamiglia, la moglie Mariuccia Guarrasi, sorella del bravo nuotatore e pescatore subacqueo tripolino Pino Guarrasi, ed i figli Cettina, Ninni (Antonino) e Roberto, che abitavano nell'appartamento al piano terreno, proprio di fronte al nostro. L'altro quarto  della terrazza apparteneva alla famiglia che occupava l'altro appartamento del  primo piano. In questo appartamento si erano susseguiti, con periodi più o meno lunghi, diverse famiglie, diversamente dagli altri tre che erano stati abitati per tanti anni dalle stesse famiglie. Per quello che io ricordo  ci avevano abitato i Nuzzo, che noi chiamavamo "gli sposini", evidentemente perchè erano venuti ad abitare in quell'appartamento dopo essersi appena sposati. Erano giovani, sempre gentili e sorridenti, ma anche molto riservati e non davano molta confidenza. Dopo alcuni anni di permanenza in quell'appartamento i Nuzzo erano venuti a salutarci per dirci che emigravano in Australia. Dopo di loro era venuti i Ciciliano.  Lui, diventato vedovo, aveva sposato A., da cui  aveva avuto una figlia, Maria Rosa. All'inizio, appena erano venuti ad abitare in questo apparta,mento erano in tre, lui, A. e la piccola Maria Rosa, poi a loro si erano uniti anche, Pino e Riccardo, che erano figli della prima moglie. Con loro avevamo un buon rapporto di amicizia. Ci invitavano spesso, la sera dopo cena, a guardare la televisione, specialmente quando c'era Mike Buongiorno con "Lascia o raddoppia". Dopo i  Ciciliano i coniugi Sandra Turtulici e Franco Marra. Sandra Turtulici  era la figlia del sarto tripolino Turtulici di Sciara Mizran, abbastanza conosciuto come il sarto della famiglia reale e di alcuni dei più importanti notabili libici. Sandra era anche nipote di quel Casella, famoso per essere stato pilota in gare automobilistiche  e  per essere stato proprietario delle Acque Minerali tripoline "Ben Gashir".  La nostra terrazza, tetto della palazzina, era ricoperta da un pavimento che era stato isolato  da uno strato di catrame e rivestito di piastrelle rosse. Complessivamente c’erano quattro lavanderie, uno per appartamento, che venivano utilizzate anche come ripostiglio. All’interno di ogni lavanderia c’era un lavatoio grigio fatto di granito, formato da un catino, fissato ad un piano leggermente inclinato ed ondulato, per poterci lavare e strofinare i panni. Mio padre, da esperto fabbro, aveva costruito degli scaffali in ferro, fissandoli ad una delle pareti, che erano molto utili per riporci cianfrusaglie. Mia madre stendeva i panni ad asciugare all'esterno, appendendoli con le mollette a dei fili di uno speciale  ferro antiruggine, che mio padre aveva  fissati e messi in tensione. Li aveva collegati   a dei ganci, avvitati alla parete della  nostra lavanderia e dall’altra  a dei paletti di ferro imbullonati al  muretto della terrazza.

Da questa terrazza si godeva una bella vista. Negli anni cinquanta a Tripoli non erano state costruite palazzine che andavano il quarto piano, più o meno l'altezza di palma di datteri nel suo maggior sviluppo. Nella zona del Lido il secondo piano erà gia considerato un piano alto e al Lido non esistevano costruzioni più alte. Da lassù si poteva godere di una bella vista. Ad Ovest c'era il mare, la spiaggia del Lido Vecchio  e quello famoso scoglio, che non ha mai avuto un nome e che si poteva vedere anche dalla spiaggia dei Sulfurei.  A Nord-Est si vedeva il vecchio campo di calcio del Maccabi, la fabbrica di olio di ricino e più in là lo Stadio  Centrale ed una parte del recinto della Fiera Internazionale.  Sul lato Est c'erano i binari della vecchia Ferrovia e a Sud-Ovest la strada che portava ai Sulfurei, a Giorginpopoli, fino a  Gargaresh. Noi, Ernandes, utilizzavamo questa terrazza in diverse occasioni. Specialmente dopo cena, nelle limpide e calde sere d’estate, quando venivano a farci visita alcuni vicini di casa. Salivamo su in terrazza ed aprivamo le sedie a sdraio in legno, con una tela a strisce bianche e blù. per chiacchierare ed ammirare il cielo notturno illuminato da tante stelle. Nelle notti terse di agosto ci stendevamo, mio padre diceva "sdraiati come foche", su alcune coperte distese sul pavimento, e stavamo lì, a volte fino ad oltre a mezzanotte,  in attesa di vedere passare qualche stella cadente e fare a gara a chi ne vedeva di più. Mio padre si intendeva un pò  di astronomia e mi insegnava a conoscere alcuni nomi di stelle e ad indicarmi la forma di qualche costellazione. Naturalmente la prima cosa che mi aveva insegnato era che la stella Polare indicava, grosso modo, dove era il Nord. Mi aveva anche insegnato il metodo per trovarla perchè la Stella Polare non è  sempre ben visibile.  Per individuarla si ricorre allora alla costellazione del Grande Carro, o Orsa Maggiore, che ha una forma simile a quella del Piccolo Carro ma è più grande, luminosa e risulta quindi maggiormente visibile. Il Grande Carro è costituito da quattro stelle che formano il carro e da tre che formano il timone. Se si riporta sul prolungamento delle due stelle alla base del carro un segmento pari a cinque volte la loro distanza, si trova  la Stella Polare. Questa nozione l'ho imparata quando avevo circa sei anni e da allora non l'ho più scordata.

La nostra terrazza era comoda ed utile per ogni evenienza. Ci faceva comodo usarla per il suo spazio quando veniva il periodo di distendere ed  allargare la lana dei materassi,  quando si doveva preparare la conserva di pommarola, quando volevo asciugare al sole i francobolli della mia collezione. C'erano anche le occasioni speciali come le feste di compleanno, di Battesimo, della Cresima. C’era anche chi, come la  vecchia signora Casadio, che abitava nella palazzina accanto alla nostra,  utilizzava la sua terrazza per allevare piccioni.

Ricordo che nell'aprile del 1954, quando ci fù una indimenticabile grandinata che colpì furiosamente Tripoli e forse tutta la costa libica, mi trovavo con mia madre sulla mia terrazza, fortunatamente all'interno della nostra lavanderia, mentre mia madre lavava i panni. Il cielo era scuro e preannunciava pioggia. Ambedue, mia madre ed io, sentimmo ad un tratto  dei colpi ripetuti, come il suono di una mitraglia,  abbattersi sul tetto della lavanderia. In un primo momento eravamo rimasti disorientati, non capivamo da dove venisse quello strano rumore,  poi, guardando fuori, avevamo notato che il pavimento si stava ricoprendo di chicchi bianchi, che sembravano palline di naftalina. Non so mia madre ma io, fino ad allora,  non avevo mai visto la grandine di persona,quindi per me una nuova esperienza.  In pochi momenti il pavimento della terrazza si andava riempiendo di chicchi di grandine. Noi due, che eravamo sempre riparati dentro la lavanderia, stavamo assistendo ad un evento naturale straordinario e  di grande interesse, assai raro, specialmente in una zona come quella. Alcuni chicchi di grandine caduti dal cielo erano così grossi che qualcuno, forse esagerando, diceva  che avevano addirittura la dimensione di un'arancia. Non so quanti danni  questa grandine  abbia procurato alle coltivazioni o se avesse ferito delle persone , ma ricordo i  grossi buchi lasciati sui muri della nostra terrazza e sulle pareti esterne delle abitazioni vicine, come se avessimo subito  un bombardamento militare.

L'anno dopo, nel 1955, in quello stesso posto ero stato testimone di un altro evento straordinario:  l'invasione delle cavallette. Rammento che qualcuno dei nostri vicini ci aveva chiamato e ci aveva urlato, con una certa eccitazione,  di correre su in terrazza perchè c'erano l'invasione delle cavallette.  Io ero salito di corsa con mia madre sulla terrazza incuriosito da tutta questa eccitazione. Il cielo era coperto da milioni di cavallette, ed erano così fitte quasi da oscurare il sole. La terrazza era completamente coperta da cavallette, alcune era vive, perchè si muovevano , altre invece  sembrava che stessero per morire, perchè si muovevano male e con lentezza. Mia madre aveva trovato due vecchie coperte dentro la lavanderia. Con una si era coperta lei e mi porgendomi l'altra mi faceva cenno di fare lo  stesso.  Guardando giù dalla terrazza vedevo che alcuni ragazzi arabi, che correvano lungo la strada, erano indaffarati a raccogliere le cavallette morte  e le mettevano dentro alcuni secchi. Altri invece erano tutti presi ad acchiappare le cavallette  vive, che saltellavano qua e là, e poi le infilavano dentro dei sacchi di juta. Per vari anni a seguire si continuava a parlare di questi due episodi, quello della grandine e quello delle cavallette, come di due eventi così straordinari che quando si voleva ricordare qualche avvenimento accaduto nel 1953  o nel 1954 in quell'anno si diceva :  "Ti ricordi l'anno della grandine? (1953)", oppure"Ti ricordi l'anno delle cavallette (1954)?>>>