La stanza  di Alberto Paratore

Alberto Paratore

Modi di dire arabi nell'area di Tripoli

a cura Alberto Paratore

  

1 - “frenu tàbia”. La “tàbia” è il piccolo rilevato (più o meno alto, 20-50 cm) fatto  di terra  che serviva a delimitare i piccoli appezzamenti di proprietà o a dividere i terreni coltivati. Nelle campagne, senza strade asfaltate, era facile cozzarvi contro  andando in bicicletta, specie se la bici (ma anche l’auto) , vecchia, non aveva più  freni; vi sopperiva la “tabia”:appunto, “frenu-tàbia”.

2 - marca “tanaka”: :la “tanaka” era il piccolo fusto di latta, non di grande pregio, usato come riserva di benzina delle jeep che percorrevano il deserto. Col tempo, tra ruggine e “botti” diventava vecchio, inservibile. Quindi, un oggetto di poco valore, di incerta provenienza, era chiamato “marca tanaka”.

3 - marabt  al fattus: ( a Tarhuna) dimostrazione di abilità e capacità  miracolistiche di soggetti  ritenuti “santi” dal popolo. Per convincere delle loro capacità, utilizzavano un  esile palo  in legno di 5-6 mt. di altezza e circa 10 cm. di diametro e, senza interrarlo per ancorarlo  o usare sostegni per tenerlo ritto  , ma solo appoggiandolo a terra,vi si arrampicavano fino in cima, senza cadere. Dopo l’esibizione, si prestavano a dare “consigli santificati” ai questuanti, da cui ricevevano qualche “ghersc”(soldo,lira locale)..

4 - marabt  suf:  curava il mal di pancia  del sofferente  infilandovi  un legnetto che lui provvedeva ad affilare ed appuntire ,accompagnando l’operazione con sue implorazioni coraniche. Nessun lamento da parte dell’ammalato e, più inverosimile, nessuna perdita o comparsa di sangue!

5 - Uso di petrolio: relativamente facile da reperire sul mercato, il petrolio veniva usato per “pulire e lucidare” i pavimenti  con mattonelle di cotto. Ed anche per  “pulire” la testa  ornata da capigliatura lunga e folta delle ragazzine, capace di trattenere  pidocchi  e pulci. La mamma,in una giornata di sole, armata di pettine a denti stretti, faceva sedere la ragazzina di fronte a sé  e stendeva tra lei ed essa una largo fazzoletto  quadrato di cotone bianco su cui faceva cadere (come risultato di lente e ripetute “passate” di pettine)  i possibili animaletti  che venivano subito schiacciati a terra o tra le unghia dei pollici delle mani.