Conversazione con Luciano Frugoni

Luciano ed io  mentre conversiamo

 

Nel marzo del 2006, insieme a mia moglie Joanne, sono partito dalla mia casa di  Punta Ala (vicino  a Grosseto) col nostro camper, un vecchio ma solido Rimor Superbrig, trainato da uno scoppiettante motore Ford, per visitare la Sicilia. Volevo inoltre rivedere, dopo tanti anni, alcuni miei ex compagni di scuola , dell'Istituto dei Fratelli di Tripoli: Piero Provenzano, Roberto Cusimano, Gennaro Giglio, Armando Curcurù oltre a Luciano Frugoni e a sua moglie Carol, cara amica di mia moglie Joanne. Mi ero ripromesso anche di visitare Favignana, l'isola dove è nato mio padre e Marsala, la città di nascita di mia madre. Quando sono in viaggio, ho l'abitudine di appuntare su una specie di diario di bordo le mie impressioni, cosa che ho imparato a fare governando una barca a vela.

Ricordandomi di avere riposto questo diario in un vano del mio camper sono andato a riprenderlo e mi sono messo a rileggerlo.

In data venerdì 10 marzo del 2006, avevo scritto:

"... Tutti e quattro (Luciano, Carol, Joanne ed io partiamo in macchi- na di buon mattino per Pozzallo, con la speranza di trovare un vecchio nostro amico tripolino Gennaro Giglio, eccezionale nel ruolo di portiere nelle partite di calcio giocate tra di noi nel 'mitico' cortile delle Scuole dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Giunti a Pozzallo prenoto i miei biglietti di ritorno col traghetto da Palermo a Civitavecchia presso un'agenzia marittima, poi telefono a Gennaro. Mi aspetto di sentire la sua voce roboante e baritonale invece mi risponde la voce rammaricata di sua figlia. Mi dice che suo padre è dovuto partire proprio quella mattina per Messina.Alquanto dispiaciuti per il contrattempo non ci resta che ritornare a casa e condividere un delizioso pranzetto a base di tenerissimi filetti di braciole impanate e fritte, condite con delle patatine croccanti e servi- te con un sanguigno ed amabile vino locale. Luciano ed io ci sediamo comodi sul sofà a sorbirci un amaro. Mi piace ascoltare Luciano. Sono divertito dalla sua pregevole mimica facciale.

Cliccare sulle foto per ingrandirle

Da sx Armando Curcurù, Piero Provenzano, Roberto Cusimano, io e Luciano

Luciano, Carol, mia moglie Joanne  e Gipsy

La mimica di Luciano

 

Ha una buona proprietà di linguaggio, che intercala con spassose imitazioni dialettali. Sa parodiare bene il dialetto toscano, quello napoletano e quello romano. Se vuole riesce a parlare anche in siciliano strittu  come dice lui. Con me conversa in un italiano puro, l'italiano che si parlava tra di noi a Tripoli, che è privo di accento. È buffo quando bonariamente rifà il verso a sua moglie Carol, che quando parla l'italiano, strascica un po' le parole con quel suo tipico accento inglese. È spassoso quando, affettuosamente, imita la parlata e mima le movenze di alcuni nostri comuni amici tripolini, come Gianni De Nardo, Pippo Fichera  , Angelo Furgeri e Pino Scuola, che fra l'altro è stato mio compagno di classe, in quinta elementare, con Fratel Amedeo insegnante...".

 

Gianni De Nardo

Pippo Fichera

Luciano Furgeri

Pino Scuola

Gennaro Giglio

Luciano è sposato da circa quarant'anni con Carol Yates, una bionda infermiera inglese, incontrata a Tripoli nel 1969, qualche mese prima che avvenisse il colpo di stato.Hanno tre bellissimi figli, Julian, Alessandra, Adriano. Dal 1970 vive in Sicilia dove il padre, con l'aiuto dello zio Giuseppe Cartia  che già abitava in Sicilia, aveva acquistato un vasto appartamento a Donnalucata, un paesi- no del comune di Scicli. Lì, dopo l'espulsione da Tripoli, si erano trasferiti tutti insieme, nonni, figli, nuore e nipoti. Ora Luciano abita nella Contrada Trippatore, in una graziosa casetta circondata da un bel giardino, a pochi passi dal mare, una splendida zona scelta dalla RAI per ambientare alcuni sceneggiati della serie televisiva del Commissario Montalbano, tratti dai romanzi di Andrea Camilleri.

Da sx: Luciano col nipotino Manuel, Alessandra e Julian . In alto Mamma Carol e Adriano

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Di recente, in occasione della nascita della sua sesta nipote, ho chiamato Luciano per congratularmi con lui per il lieto evento. Durante la telefonata, dopo essermi assi- curato della salute della neonata e della mamma, la sua secondogenita Alessandra, gli ho chiesto se avesse già ricevuto l'ultimo numero del notiziario l'OASI  - Certamente! - mi ha risposto entusiasta.

- Fratel Giuseppe è un grande. Ha scritto un articolo su mio nonno Oreste, che ha dell'incredibile. Non so come abbia fatto a scovare tutte quelle notizie sulla sua vita professionale. Domenico, ti confesso che alcuni dettagli che ho trovato scritti nell'articolo non li conoscevo neppure io. Tra l'altro ho letto una cosa che mi ha fatto riflettere. Ti ricordi quando cinque anni fa sei venuto a trovarmi col camper a casa mia e ti parlai delle famose 'frugonate', raccontandoti alcuni episodi di vita della famiglia Frugoni?

- Certo che me lo ricordo.

- Bene. C'è come un filo conduttore che ci accomuna. Anche lui, come me e mio padre ha commesso delle 'frugonate', e per 'frugonate' intendo errori commessi per la nostra comune indole ribelle e sanguigna. Nell'articolo c'è scritto che mio Nonno Oreste ha abbandonato gli studi mentre frequentava le secondarie, ma secondo me è più facile che sia stato espulso. Mio padre, quando frequentava la sesta dai Fratelli di Sciara Espagnol a Tripoli, ha abbandonato la scuola. Io ho fatto di peggio di lui, in seconda Media venni espulso dalla Scuola dei Fratelli in Sciara Afgani. Tre generazioni, stesso carattere. In questo caso, la mas- sima popolare latina talis pater, talis filius, calza proprio a pennello. Abbiamo un'altra cosa in comune, tutti e tre: prima di sposarci e di accasarci, abbiamo sempre avuto una, diciamo così, eccessiva inclinazione ad ammirare il gentil sesso! E, dulcis in fundo, anch'io, come secondo nome, mi chiamo Oreste, come mio padre e come mio nonno. Fratel Giuseppe mi aveva proposto tempo addietro di proporre sulL'OASI un articolo sui "Frugoni", un cognome ricorrente nei registri delle Scuole dei Fratelli di Tripoli, un clan di ex alunni, molti miei amici carissimi, dei quali purtroppo non conosceva quasi nulla.

Poi, ricordandosi che il Frugoni capo-dinastia, era stato il progettista dell'Istituto Umberto di Savoia, contattato Luciano e assunta qualche altra informazione, si era lanciato nella ricerca, pubblicando l'articolo Oreste Frugoni: architetto - ex allievo. (L'OASI, n. 106, pag. 18-27). A me aveva lasciato l'incarico: "Dato che sul Frugoni architetto io posso scrivere qualcosa, ma non sui discendenti tuoi compagni e amici ... vedi tu di fare il seguito. Intervistali, fai come sai fare, per l'oasi".

Così tra ricordi, telefonate, appunti con molto piacere ho messo insieme questa conversazione-intervista. Ringrazio innanzi tutto Luciano che, con le informazioni che mi ha dato sulla dinastia Frugoni, mi ha permesso di scrivere questo articolo. Ringrazio Massimiliano Di Fede, uno dei suoi nipoti e figlio di sua sorella Chiara, per avermi precisato alcuni dettagli e fornito alcune foto. Ed infine ringrazio Vanessa Punton, moglie di Sergio Frugoni, fratello maggiore di Luciano, per avermi procurato molte delle foto pubblicate in questo articolo.

 

 

INTERVISTA

Luciano, ricostruiscimi un po' la storia della tua famiglia. Come mai eravate in Libia?

La storia dei Frugoni in Libia - mi dice Luciano facendosi serio - è cominciata nel 1912 con mio nonno paterno Oreste, l'architetto, che è rimasto nella storia degli archivi dei Fratelli delle Scuole Cristiane di Tripoli per aver progettato nel 1929 l'Istituto Umberto di Savoia di Via Mazzini (poi Sciara Afgani).

Nonno Oreste

Questa nostra storia è stata costellata da alcuni episodi che hanno inciso in maniera notevole il corso della nostra vita. Sono episodi così simili tra di loro da sembrare quasi copie di uno stesso originale, qualcosa di iscritto nel nostro DNA: tutti e tre abbiamo trascorso una buo- na parte del nostro tempo a contrastarci puntigliosamente l'un con l'altro, io con mio padre e lui con mio nonno. Tra di noi è sempre esistito un drammatico conflitto generazionale, anche se in fondo ci siamo voluti bene. Mio nonno Oreste  è nato in Toscana, a Massa nel 1864, una terra di anarchici e rivoluzionari, come si legge nell'articolo pubblicato su l'oasi ed aveva frequenta- to le scuole elementari dai Fratelli presso l'Istituto San Filippo Neri. Suo padre, Giovan Battista, ebbe un bel da fare nel cercare di domare un ragazzo sveglio ma ribelle, tanto che alle secondarie venne espulso dalla scuola. Il giovane Oreste non si perse d'animo e per mantenersi cominciò ad esercitare il mestiere di muratore. Con gli anni, tra lavoro e studio, riuscì a conseguire addirittura una laurea in Architettura. Diventato architetto, forse spinto da necessità economi- che, ma anche per motivi politici, visto che era un acca- nito socialista, decise di trovare lavoro all'estero. Ebbe la fortuna di essere ingaggiato dal Governo Francese, che lo mandò dapprima in Egitto a Suez, successivamente a svolgere la sua professione di architetto in Turchia. Ha lavorato per qualche tempo nello Stretto del Bosforo. Qualche anno dopo, sempre per conto del Governo Francese, fu mandato nello Stretto dei Dardanelli. Si sposò. La moglie disgraziatamente morì. Si risposò ma anche la seconda moglie morì prematuramente. Dalla prima ebbe una figlia di nome Giorgia; dalla seconda due figli Giorgio ed Andreina. Alla morte della seconda moglie Oreste tornò in Italia nella sua città d'origine, Massa. Decise di sposarsi per la terza volta. Forse consigliato da alcuni suoi amici massesi, mise su famiglia con Maria Chiara Filippini, una donna forte di carattere e robusta di costituzione, proveniente da Castelnuovo Garfagnana nella Lucchesia. Dalla loro unione nacquero cinque figli, tre femmine e due maschi: Fulvia, Battista, Oreste (il padre di Sergio, Luciano, Chiara e Maurizio), Giuseppina e Nunziatina. Nel 1912 nonno Oreste, tentato dalle buone prospettive economiche e di lavoro che si presentavano nella Libia conquistata dall'Italia sottraendola ai Turchi, decise di lasciare nuovamente l'Italia e di stabilirsi a Tripoli con la sua numerosa famiglia. Grazie alla sua pluriennale esperienza lavorativa, maturata in precedenza all'estero, riuscì a farsi valere per la sua professionalità e competenza nel settore delle costruzioni. Aprì uno studio in fondo a Corso Vittorio, accanto al famoso Caffè Parlato. Qui Oreste, affascinatore di femmine, dal baffo accattivante, era uso sedersi per ammirare il passeggio femminile. Il figlio maggiore, Battista, provetto disegnatore, si unì a lui nello studio. La fama di mio nonno crebbe tanto che venne nominato Perito Giurato del Tribunale di Tripoli per le controversie edilizie. Ormai era diventato uno dei più autorevoli notabili locali. Nel 1927, invitato ad un ricevimento organizzato dal Quadrumviro Emilio De Bono, Governatore della Tripolitania, si presentò con al petto il nastrino della Croce di Cavaliere Ufficiale dell'Accademia Francese, onorificenza rilasciatagli dal Governo francese per le sue progettazioni nello Stretto dei Dardanelli. Emilio De Bono, futuro Ministro delle Colonie, notò il nastrino e gli chiese curiosamente come fosse riuscito ad ottenere quella prestigiosa onorificenza. Lui, da "male- detto toscano" senza peli sulla lingua, rispose: "nemo propheta in patria", (nessuno è apprezzato nel proprio Paese), informandolo poi di tutto quello che aveva crea- to e progettato all'estero. Immediatamente De Bono ordinò al suo attendente di avviare la pratica per il conferimento della Croce di Cavaliere  della Corona d’Italia.

- Caspita! Immagino che avere avuto un nonno che ha ottenuto tali onorificenze ti renderà orgoglioso.

Certo, ne sono veramente fiero. Ma tra i Frugoni non c'è stato soltanto nonno Oreste ad ottenere questo tipo di onoreficienzec'è anche l'illustre medico chirurgo,Cesare Frugoni,, suo primo cugino, che nel 1952 fu nominato Cavaliere di Gran Croce Ordiro Togliane al Merito della Repubblica Italiana, e fu medico di capi di Stato, di artisti famosi, di uomini politici celebri, fra cui Palmiro Togliatti, re Fuad d'Egitto, Arturo Toscanini, Benito Mussolini e medico personale del papa Pio XII. Si è sposato a 84 anni con il celebre mezzosoprano Giulietta Simionato ed è  morto all'età di 96 anni.

Cesare Frugoni

Grande! Torniamo a tuo nonno Oreste. Perché proprio a lui l'incarico di progettare a Tripoli l'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane?

Il motivo lo spiega Fr. Giuseppe nell'articolo. Perché era un ex allievo, un architetto famoso, legato da amicizia e riconoscenza ai suoi Maestri e al Direttore Fr. Edoardo.Io credevo che mio nonno a Tripoli avesse fatto conoscenza con Fr. Edoardo al Caffé Parlato ¼ che so, o mentre passava in carrozzella per recarsi alla Cattedrale. Ma Fr. Giuseppe documenta che mio nonno a Tripoli aveva ritrovato i suoi Maestri, i Fratelli, ben prima che fosse costruita la Cattedrale, oltre al fatto che i Fratelli non andavano in carrozzella ma sempre a piedi, a due a due, e che a Sciara Espagnol, dove gestivano la scuola del Vicariato, molto in auge in quegli anni, mio nonno aveva iscritto in 6a e in 5a i figli Battista e Oreste, nel 1920 e 1921, dopo anni di scuola statale. Nel 1921 mio nonno era all'apice della fama avendo pro- gettato il Real Teatro Miramare  considerato il più bel teatro di tutta la costa africana e Fr. Edoardo Milanese quell'anno era il Maestro dei suoi figli. Tra i due ci fu sempre un rapporto di stima e simpatia. Qualche anno dopo Fr. Edoardo, divenuto Direttore, gli propose di progettare il nuovo Istituto-Collegio. Nonno Oreste non ci pensò due volte e volle assumersi la responsabilità sia del progetto che della direzione dei lavori. Nel giro di cinque mesi l'intero edificio, intitolato al Principe Umberto di Savoia, venne portato a compimento: impensabile oggi.

Fratel Edoardo

 

Sai, Luciano, Fr. Giuseppe mi ha raccontato un fatto a proposito del "carattere" di tuo nonno Oreste. Il 7 Agosto 1929, a lavori inoltrati, il Direttore Fratel Edoardo (Foto 14) era stato chiamato in Italia dai Superio- ri per concordare varie questioni sulla nuova costruzione: inaugurazione, personale insegnante, prestito ... e aveva lasciato l'incarico a Fr. Arnoldo. Non si sa per quale motivo tuo nonno Oreste entrò in contrasto con l'ing. Picardi della Ditta costruttrice, un contrasto così violento che furono interrotti i lavori. Il 31 Agosto (è scritto nella Cronaca dell'Istituto) Fr. Edoardo rientrò a Tripoli e rimase assolutamente interdetto "per gli incidenti a causa dei forti malintesi tra l'ing. Picardi della Ditta costruttrice ed il direttore dei lavori Arch. Frugoni. In pochi giorni il Fratello Direttore mette gli animi in pace". Ci volle tutto il suo carisma per riconciliare le parti e far riprendere i lavori a velocità raddoppiata! Dobbiamo a loro l'ampio spazio riservato al mitico cortile, dove tutti noi exlali tripolini da ragazzi abbiamo trascorso le ricreazioni e disputato partite di calcio, pallacanestro, gare di atletica.

Tuo nonno sta sulle pagine dei giornali tripolini dell'e- poca per una gesto raro, lo sai?

Mio nonno, giunto alla celebrità e godendo di benessere, fece un gesto di liberalità, come sanno fare i grandi mecenati, un gesto di esplicita riconoscenza in ricordo dei suoi Maestri, e forse tacitamente, anche a titolo di scusa, per far dimenticare l'insulto del figlio verso il Maestro, il lancio del calamaio, te lo racconto dopo: e non volle essere pagato né per il progetto né per il lavoro. Fr. Edoardo rimase commosso per tanta generosità. Anch'io sono fiero di aver avuto un nonno così generoso.

Come mai tuo padre non ha seguito le orme del nonno?

Mio nonno sarebbe stato contentissimo di avere mio padre nel suo studio. Purtroppo tra mio nonno e mio padre si era instaurato un rapporto conflittuale. Come ti ho detto poco fa il motivo era che si somigliavano moltissimo, non per l'aspetto fisico ma per il loro carattere ostinato e ribelle. Questo loro conflitto è iniziato proprio in seguito ad un episodio increscioso avvenuto nel 1922, quando mio padre, che allora aveva circa 11 anni e frequentava la quinta presso la Scuola maschile del Vicariato gestita dai Fratelli, ebbe l'ardire, in un momento d'ira, di scagliare un calamaio pieno d'inchiostro contro il suo insegnante, che era per l'appunto Fr. Edoardo Mi- lanese. Mio padre si è sempre giustificato dicendo che era stato punito ingiustamente per una colpa non sua. Il lancio di quel maledetto calamaio però segnò una svolta nella sua vita. Mio nonno, giustamente, solidarizzò con il Maestro, sgridando, come immagino nella sua irruenza, severamente il figlio e fu il finimondo considerando che a quei tempi un simile gesto, in una piccola città, diventava di dominio pubblico e coinvolgeva la reputazione della famiglia. Sì, una macchia indelebile. Da quel momento tra padre e figlio avvenne una vera e propria rot- tura che nonostante gli anni non venne mai ricucita completamente. Il giovane Oreste, mio padre, decise ostinatamente di abbandonare gli studi e di dedicarsi a fare piccoli mestieri manuali, ma, per puntiglio preso, mai quello di muratore o di disegnatore

 

E dopo aver lasciato gli studi?

Aveva molta manualità ed era fortissimamente attratto dalla meccanica. Figurati che aveva la capacità di montare e smontare il motore di una macchina qualsiasi, come se fosse un gioco. Aggiungi che aveva un bell'aspetto ed uno sguardo ammaliatore, alla Rodolfo Valentino, ed un seguito di belle ragazze che lo corteggiavano. Lui, estroverso, non si tirava certo indietro. Anzi ¼

 

Elena ed Oreste Frugoni fidanzati

Elena ed Oreste Frugoni quarantanni dopo

Quando incontrò mia madre mise fine alla sua vita spensierata e gaudente. Lei fu la prima donna che ebbe la capacità di domarlo. Mia madre, Elena Pavone, era un'attraente giovane siciliana di Catania. Innamoratissimo, mio padre le giurò amore eterno. Sicuramente il matrimonio gli giovò perché, finalmente ammogliato ed accasato, si dedicò completamente alla famiglia. Dopo il matrimonio mia madre mise al mondo quattro figli : Sergio, me, Chiara e Maurizio.

Sergio, Mamma Elena, Chiara, Maurizio e Luciano

 

Quindi, famiglia e lavoro.

 

Mio padre era diventato un esperto meccanico e, senza ipocrisia, ti posso assicurare che forse era il migliore sulla piazza tripolina. Come ti ho detto prima, aveva molta manualità ma sopratutto aveva un buon cervello. Con i soldi risparmiati, grazie a mia madre a cui piaceva economizzare, acquistò un camion con rimorchio per trasportare merce da Tripoli verso alcune zone desertiche interne libiche.

Nel 1956, in uno di questi viaggi, gli capitò di trasportare macchinari per le riprese di un film, in cui era protagonista John Wayne.. Il film era intitolato Legend of the Lost,, portato poi sugli schermi italiani col titolo Timbuctu. Oltre a John Wayne nel cast c'erano Sofia Loren e Rossano Brazzi. Le scene del film si svolgevano a Gadames, definita l'oasi più bella dell'Africa. Una sera, in un momento di pausa della lavorazione del film, John Wayne aveva voglia di giocare a scacchi ma non trovava nessuno del suo gruppo che sapesse giocare. Papà Oreste, non lontano dal set, era tutto indaffarato nella messa a punto del suo camion. Un organizzatore della troupe cinematografica gli si era avvicinato e gli aveva chiesto se conoscesse il gioco de- gli scacchi. Alla sua risposta affermativa venne subito presentato a John Wayne. L'attore americano gli strinse con calore la mano. Poi, vedendolo un po' impacciato, gli diede una amichevole pacca sulle spalle, invitandolo a sedersi al suo tavolo per giocare a scacchi e bere insieme un bicchiere di whiskey. Così anche papà Oreste, senza volerlo, ha avuto il suo momento di gloria, per aver bevuto, fumato e giocato a scacchi con il mitico John Wayne. Nel nostro album fotografico dovrei ancora avere una cartolina con un autografo di John Wayne, che testimonia questo episodio.

 

 

Cartellone pubblicitario del film

L'autografo di John Wayne

 

 

Nel frattempo la sua genialità meccanica lo aveva portato a brevettare uno speciale raccordo, che, unendo l'avantreno al rimorchio, serviva a rendere più agevole la manovra. La voce di questa innovazione si era nel frattempo diffusa in ambito locale, tanto che questa sua geniale idea venne subito adottata da molte ditte tripoline che lavoravano nel settore dei trasporti. Offrendo la sua preziosa consulenza aveva incominciato ad incrementare i suoi guadagni. Gli affari andavano così a gonfie vele che aveva potuto ingrandire la sua ditta di trasporti, aveva acquistato altri camion ed era arrivato ad avere alle sue dipendenze oltre una decina di operai, per lo più libici. A differenza di molti italiani, vissuti per anni in Libia senza aver mai imparato una parola d'arabo, lui al contrario lo parlava e lo capiva bene. Tutto ciò lo aiutò molto nel modo di rapportarsi con la maggioranza dei suoi dipendenti. Possedeva il carisma di un capo ed era benvoluto da tutti i suoi dipendenti. Quando tutto ormai sembrava procedere per il giusto verso purtroppo avvenne un episodio increscioso, un malaugurato incidente, tanto grave che ha segnato per sempre la sua vita.

 

Oreste Frugoni col suo camion nel deserto

 

 

Cosa è successo?

Domenico, ti giuro, che solo a pensarci mi tremano le mani. Era un tiepido pomeriggio di marzo. Quel giorno mi trovavo anch'io nel cantiere, dove venivano parcheggiati i camion della ditta. Lui se ne stava accosciato accanto ad una delle gomme anteriori di un camion intento a collaudare un nuovo compressore e a controllarne la pressione. Improvvisamente ho sentito alle mie spalle un terribile boato. L'enorme pneumatico del camion era scoppiato con tutta la sua bestiale e micidiale potenza. Io mi trovavo in quel momento poco lontano da lui, con le spalle voltate. Mi girai di scatto e vidi con raccapriccio mio padre tutto coperto di sangue. Una parte della sua mascella, con attaccati alcuni denti, ciondolava quasi staccata dal viso. Pensavo che fosse ormai morto, così come credo lo stavano pensando tutti gli altri. Giuma, un nostro operaio libico, che mi voleva bene come un fratello, mi si avvicinò amorosamente per nascondermi quella brutta visione. Pensavo che fosse soltanto un brutto in- cubo e che presto mi sarei risvegliato. In quel momento mi resi conto di quanto volessi bene a mio padre.

- Papà, ti prego, non morire - mi ripetevo - papà non morire-, come un mantra. Quasi al rallentatore vedevo gente muoversi, sentivo giungermi delle voci ovattate, qualcuno diceva che mio padre era ancora vivo. Non sembrava possibile perché, non solo il suo viso ma, mi ero accorto, anche le sue gambe avevano subito gravissimi danni. Il caso era davvero disperato. Sentii il suono di una ambulanza che qualcuno aveva già chiamato. La vidi subito sfrecciare all'uscita. Seppi che l'avevano trasportato in un ospedale cittadino, quello che stava nei pressi di via Ippolito Nievo. Lì ebbe la fortuna di trovare un'esperta equipe di chirurghi serbi che urgentemente l'operarono e lo ricucirono con maestria. Grazie alla sua forte fibra e al suo indomabile carattere, riuscì miracolosamente a sopravvivere, ma solo dopo va- ri anni fu in grado di recuperare quasi tutte le sue funzioni corporali. Il Signore ci aveva aiutato.

 

Hai avuto modo di ripensare ai tuoi conflitti.

Domenico ti giuro che, quando penso a mio padre, ho ancora un grande rammarico dentro di me. So di averlo fat- to soffrire molto per colpa di quella mia indole ribelle. Il motivo, te lo ripeto, era che ambedue avevamo lo stesso carattere, io sono stato ancora più testardo di quanto lui lo fosse stato con suo padre. Ero sfrontato e ribelle. Nelle mie pagelle di scuola non credo di aver mai supe- rato l'otto in condotta.

 

Insubordinato, refrattario alla disciplina, quindi.

Ne ho commesse tante di stramberie o di 'frugonate', al- cune non me le ricordo più, altre invece non me le posso proprio dimenticare. Forse per psicanalizzarmi ci dovrei scrivere un libro sopra. Sai che ho frequentato l'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane dal- la prima Elementare fino alla seconda Media. Ti racconto un episodio avvenuto nel 1955, quando avevo 10 anni ed ero in V elementare, con Fratel Amedeo. Avevo uno zio materno, Turi Pavone detto u' sciancato (lo zoppo), per una leggera deformazione alla gamba destra. Lo zio Turi che amava parlare in dialetto siciliano, mi aveva insegnato una poesia:

"U zo Monaco e a za Monaca

se ne ghiero a cuogghiere i patacche

nello filu ra a mezzanotti. Ci sparao u trikke e trakke. A za Monaca intruppacchiò

e ù zu Monaco ¼"

il tutto seguito da un doppio fischio e da un gesto con la mano a stantuffo. (Traduzione: "La zia Monaca e lo zio Monaco se ne andavano a raccogliere le patate verso mezzanotte. Ci furono giochi d'artificio. La zia Monaca inciampò e lo zio Monaco ¼").

Zio Turi Pavone

Un giorno Fratel Amedeo ci chiese di recitare una poesia a piacere. Io da bravo birbante, senza pensarci due volte, scattai in piedi e con la mano alzata chiesi insistentemente di poter recitare una poesia. Cosa pensi che volessi recitare? Naturalmente proprio quella che mi aveva insegnato mio zio. Era corta, facile da ricordare e poi a me piaceva perché mi sembrava molto spiritosa. Fratel Amedeo (Foto 22) , piemontese doc, stette ad ascoltarmi dapprima perplesso. All'inizio sembrò capire poco quelle parole che per lui avevano solo uno strano suono, ma dopo il doppio fischio ed il gesto a stantuffo della mano, seguito dai sollazzi e dalle risa della scolaresca, si rese conto che stava perdendo il controllo della classe, e intervenne con irruenza per bloccare lo schiamazzo. Come un Giove tuonante, venne di corsa verso il mio banco e, prendendomi per l'orecchio, mi trascinò in Direzione.

Fratel Amedeo

Anch'io ho avuto Fratel Amedeo in quinta elementare.

Allora ti ricorderai come faceva quando andava in collera. Cominciava ad agitare su e giù nervosamente la gamba destra, poi scandendo le parole sibilava a labbra strette, "disgraziatissimo individuo", ed infine ti faceva sentireun verme, fulminandoti con quei suoi pungenti occhi d'aquila. Francamente mi facevano meno male gli scappellotti di Fratel Arnaldo. In seguito a quell'episodio mio padre venne convocato d'urgenza dalla Direzione. Alla presenza dell'allora Direttore Fr. Avventore, di Fr. Amedeo e di mio padre, ricevetti da tutti e tre ulteriori rimbrotti, ma mostrandomi pentito per quel- lo che avevo commesso venni perdonato. Questo episodio è solo una delle tante 'frugonate' che ho combinato.

Fratel Arnaldo

E nella Media?

Continuai a commetterne di tutti i colori. Avevamo preso di mira il nostro professore di lingua araba, Padre Gerardo Dall'Arche, francescano che, come tutti i francescani indossava un saio, con un cappuccio ed un cordone intorno alla vita. In classe avevo l'abitudine di stare seduto negli ultimi banchi perché questo mi dava la possibilità di nascondermi e chiacchierare, senza essere visto dagli insegnanti. Padre Dall'Arche, che mi conosceva bene, ogni volta che entrava in classe mi ordinava di andare a sedermi nei primi banchi, per tenermi sotto controllo. Naturalmente la cosa mi dava molto fastidio, così mi inventavo qualcosa per prendermi gioco di lui. Una volta gli riempii il cappuccio di gessetti e non se accorse se non quando qualcuno glielo fece notare fuori dalla classe. Un'altra volta gli tagliai il cordone con una lametta, ma questa volta mi andò male perché se ne accorse e fui punito. Molti episodi ormai li ho dimenticati. Ne ricordo uno. Un pomeriggio, finito il doposcuola, dovevamo andare al Teatrino per assistere alla proiezione di un film. Io e un mio compagno, arrivammo in ritardo. Il fratello di guardia all'ingresso ci bloccò e ci disse che ormai era troppo tardi per entrare. Indispettiti, ci mettemmo a gironzolare con le nostre biciclette all'esterno dell'Istituto. In una viuzza sterrata raccogliemmo alcune pietre e le mettemmo nel cesto della mia bicicletta. Poi ci avvicinammo all'ingresso principale dell'Istituto in Sciara Afgani e cominciammo a scagliarle contro le finestre. Non so se ci hanno beccati. Non credo, visto che non me lo ricordo. 

 

Poi sei stato espulso dalla scuola.

Nell'anno scolastico 1957-1958, quando frequentavo la seconda Media. Quella volta l'ho fatta davvero grossa. Eravamo quasi alla fine dell'anno scolastico e sono stato espulso dalla classe perché disattento. Eravamo a metà Giugno e cominciava a fare tanto caldo, così nel locale dei bagni con un compagno ci mettiamo a giocare con l'acqua, spruzzandoci a vicenda. Nel mezzo del pavimento c'era il pozzetto di scarico dell'acqua: tappiamo la griglia. In poco meno di un quarto d'ora tutto è allagato. L'acqua va nel corridoio, giunge alle scale, poi lentamente comincia a scendere giù a pian terreno. Quella volta non fui perdonato, ci fu il cartellino rosso, venni espulso e poi bocciato per cattiva condotta.

 

Con quali conseguenze?

Mio padre ne fu molto addolorato, si rendeva conto che in quella maniera stavo rovinando la mia vita e che sta- vo ripetendo i suoi stessi errori. Pensò di porre rimedio a quella incresciosa situazione mandando me e mio fratello maggiore, Sergio, in Italia, in Istituto-Collegio Filippin di Paderno del Grappa, (sempre dai Fratelli!) rinomato per la bravura dei suoi insegnanti e per la ferrea disciplina. Io dovevo innanzi tutto migliorare la mia condotta, mentre Sergio doveva ottimizzare i suoi voti. A Paderno mi trovai subito a mio agio, perché oltre a studiare con profitto ed ottenere buoni voti, mi era consentito esercitare diverse attività sportive. Avevo finalmente trovato la mia scuola ideale: mens sana in corpore sano! Mio fratello Sergio, che è sempre stato più riservato di me, non riuscì ad ambientarsi. Così cominciarono anche i miei guai. Per aiutare Sergio mio padre decise di mandarlo a  Modica., dove viveva nostro zio, Giuseppe Cartia. Io invece non ne volevo proprio sapere di andare a Mo- dica, stavo bene al Filippin. Grande fu il mio disappunto quando fui costretto da mio padre a lasciare Paderno. Purtroppo anche in quella occasione combinai un'altra delle mie 'frugonate'. Non ricordo perché, ma mi trovai con un mio amico libico Yassin Mabruk, un Exlali, in un Collegio di Palermo, di cui non ricordo neppure il nome. Ero così indispettito con mio padre per questo forzato cambiamento che per ripicca mi misi a marinare la scuola e a bighellonare per la città. In un trimestre avrò frequentato le lezioni un paio di settimane. Alla fine del trimestre mio padre fu informato delle mie assenze. Gli dissi chiaro e tondo che quella scuola non mi piaceva affatto e che non avevo nessuna voglia di frequentarla. Così mi fece ritornare a Tripoli.

Zio Giuseppe Cartia

E Sergio?

Sergio riuscì a conseguire il diploma di geometra a Mo- dica. Io e lui siamo nati con due caratteri diversi. Tranquillo e introverso lui, irrequieto ed estroverso io. La sua indole è simile a quella bonaria ed indulgente di nostro zio paterno Battista, quello che ha lavorato nello Studio di nonno Oreste come disegnatore. Invece io ho ereditato il carattere aggressivo e sanguigno di mio padre e di mio nonno. L'unica cosa che accomuna me e Sergio è che anche lui ha sposato una ragazza inglese, Vanessa Punton, dalla quale ha avuto tre bellissimi figli, Marco, Luca e Kim. Mio fratello entrò subito a lavorare nel Comune di Mo- dica, dapprima come semplice geometra dell'Ufficio Urbanistico, poi diventò responsabile, fino a raggiungere il grado di funzionario. Sergio si è distinto nel suo lavoro per essere stato autore di vari progetti edilizi in questa zona. A Marina di Modica ha creato il progetto di un va- sto piazzale con un bel lungomare, che mi fa ricordare quello della nostra Tripoli. Poi ha portato a termine l'ampliamento della strada panoramica di Modica, quel- la che sovrasta il paese e da cui si può ammirare una vi- sta mozzafiato. Grazie alle ampie piazzole di sosta, che lui ha fatto costruire, ora è possibile parcheggiare la macchina e fermarsi a fare un picnic o a scattare foto della magnifica vista sul mare.

Vanessa e Sergio Frugoni

Kim, Marco e Luca Frugoni

E tu come te la sei cavata?

Io, come già sai, sono stato assunto dalle Poste Italiane. Mentre lavoravo mi sono rimesso a studiare ed alla fine sono riuscito a conseguire un diploma di geometra, con un bel 54/60. Ora sono anch'io in pensione. Non mi lamento, sono abbastanza impegnato. Coltivo un piccolo terreno, nella proprietà di Sergio. Io l'ho prima dissodato a regola d'arte e poi ci ho ricavato un piccolo orto, dove passo il tempo a coltivare pomodori, fagiolini, carote, finocchi, bietola ed anche cocomeri. Cocomeri strepitosi, dolci come il miele. Ho an- che alberi di limoni di un tipo speciale con cui preparo uno squisito limoncello. E poi ho i miei cani, Gipsy e Gemma (Foto 28). Li adoro come se fossero figli miei. Li ho tirati fuori da un canile qui vicino prima di essere soppressi. Mi tengono compa- gnia, gioco con loro, sono un vero spasso. Li porto due volte al giorno sulla spiaggia per la passeggiata, che fa bene anche a me. Gemma mi fa proprio impazzire, per- ché dal canile si è portata dietro l'abitudine di mangiare la merda. Mi tocca spesso sgridarla: "Gemma vieni qui! Non mangiare merda!", ma è più forte di lei. Poveretta! Chissà come è stata trattata quando stava al canile, così di tanto in tanto mi tocca tenerla al guinzaglio ...

Gli alberi di limone

Gemma e Gipsy

La barca

E poi ho la barca: con il mare a cento metri! La uso per pescare. Se vedo che il meteo prevede bonaccia, la sera prima preparo le lenze. Mi alzo appena comincia ad albeggiare e con il carrello spingo la barca in mare. Generalmente faccio traina, ma anche bolentino. Certo in questo mare non c'è l'abbondanza di pesce come a Tripoli Eh Domenico, te lo ricordi che mare? Certe cernie di scoglio che prendevamo con Angelino Furgeri, al settimo chilometro. Comunque non mi lamento, anche qui riesco lo stesso a tirare su occhiate, aguglie, saraghi.

Finisce qui la mia conversazione con Luciano

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marco frugoni

Marco Frugoni

Nella ricerca iconografica mi è stato di aiuto Massimiliano, pronipote dell'Architetto Oreste, al quale mi aveva indirizzato Luciano. Dialogando con lui ho fatto una scoperta degna di Mendel: esiste Marco Frugoni.Figlio di Sergio e di Vanessa, porta un nome moderno: "Marco", uno di quelli alla moda, sempre di un gran San- to, ma sottratto alla antica tradizione che consegnava ai discendenti un carico di memoria nello stile della continuità della stirpe attraverso nome e cognome. La quale 'tradizione', tradita ma non spezzata, si riautentica attraverso il DNA, perché Marco sembra la reincarnazione del bisnonno: sorprendenti capacità e carattere ribelle, ha abbando- nato gli studi nel penultimo anno dell'Istituto Tecnico per Geometri di Modica. Volontario nella Marina Militare, grazie alle sue capacità manuali gli è stata affidata la mansione di motorista. Lasciata la Marina se ne è andato in Inghilterra per approfondire la sua conoscenza della lingua inglese. Per sbarcare il lunario si è messo anche a vendere tappeti persiani. Fortuitamente (un po' come è successo al bisnonno architetto, ingaggiato dal Governo Francese) è entrato a lavorare presso uno Studio londinese di progettazione edile, dove ha imparato a costruire plastici archi- tettonici per la presentazione di opere edili- zie, progetti urbanistici privati e pubblici. È ritornato in Italia ed ha cominciato a la- vorare nello studio romano del famoso Architetto  Massimiliano Fuksas, con cui ha partecipato ad un concorso del Palazzo dei Congressi dell'EUR a Roma, aggiudicandosi il 1° premio per la realizzazione di un progetto con tecnologie d'avanguardia de- nominato "la Nuvola", infatti la struttura verrà realizzata in materiale traslucido, ac- ciaio e teflon (Foto 30). Tornato in Inghilterra ha collaborato con il designer Ron Arad,, presso la Millennium Models e sotto la guida dell'arch.  Richard Rogers ha realizzato i plastici per il progetto "The Millennium Dome" di Londra (Foto 31). più severa competizione mondiale, e Parigi, Firenze, Venezia ... Complimenti e auguri a Marco. Il bisnonno Oreste sorride sotto i grandi baffi.

La Nuvola all'EUR - Roma

The Millenium Dome a Londra

Una delle sue vetrine

La stirpe Frugoni promette altri sviluppi perché, come appare dalla foto sottostante, è un vivaio incontenibile di vita, di giovani rampolli, nel contesto di una invecchiata società italiana egoista. solcata da profonde rughe. È un uomo appagato, in una famiglia esuberante d’infanzia, come ogni italiano stravede per i nipoti, li adora ed è riamato. La concordia circola in tutta la famiglia. Ripensa: "... è triste la guerra tra padre e figlio".

Il gruppo familiare Frugoni al gran completo. Da sx in alto: Maria (moglie di Maurizio) con la piccola Valentina, Maurizio, Luca, Luciano, Marco, Chiara, Vanessa,  Massimiliano (figlio di Chiara). Da sx in basso: Adriano, Nonna Elena, Kim, Nonno Oreste, Alessandra, Sergio e Samanta (figlia di Chiara). Julian (figlio di Luciano) è assente  perchè scattava la foto.

Julian Frugoni

...e la saga dei Frugoni continua…..