La stanza di Duilio Disco

Duilio Disco

ELVIRA CORSARO LONGO  RACCONTA

Intervista di Duilio Disco effettuata in data 11 Marzo 2011

La Sig. Elvira Longo in un fotomontaggio di Duilio Disco

Questa storia che stiamo raccontando è la vita vissuta in terra di Libya della Signora Corsaro Elvira Longo, la mamma di Roberto, Guido e Luciana. Roberto e Guido come Lei sono nati a Barce nel 1938 (Roberto), nel 1941 (Guido) e lei invece è nata il 18 Ottobre del 1921.

Nel suo racconto ha vivo piacere di iniziare con un lamento, un inno nostalgico al suo paese natio, un sospio che riecheggia le parole famose musicate dl Verdi" O mia patria si bella e perduta" dai Lombardi della Prima Crociata e su quell'onda si lascia trasportare: 

O MIO PAESE BELLO E PERDUTO (BARCE), TI HO LASCIATO IL 1° FEBBRAIO 1941 E NON TI HO PIU’ RIVISTO. TI HO RIVISTO SOLO NELLE CARTOLINE E NELLE FOTOGRAFIE CHE HA FATTO ROBERTO IN SEGUITO A UN VIAGGIO ED ERA TUTTO DISTRUTTO DA UN TERREMOTO MA PER ME SEI SEMPRE BELLA”.

" Si la vita ... a Barce: era un paese tranquillo, non succedeva mai niente di particolare". 

VEDUTE DI BARCE nelle cartoline d'epoca
Bengasi - Barce - Ciglione Barce - Via Principe Umberto
Barce - panorama Barce - Piazza Castello

La Signora Elvira è nata a Barce perché suo papà Corsaro Giuseppe ha fatto la guerra contro i turchi e finita la guerra è venuto in Italia per sposarsi con Rigano Rosa ed ha voluto tornare in Libya trasferendosi a Bengasi. Papà era del 1888 mentre la mamma era del 1892. Li è nata la sorella più grande “Irene” e il fratello “Guido”.

Guido Longo
Silvana ed Elvira Longo

Papà a Barce era infermiere mentre la mamma all’inizio faceva la cuoca. Non cucinava in ospedale ma bensì a casa perché nei primi anni la struttura era una semplice infermeria (baracca); gli portavano la spesa e lei preparava le pietanze ai ricoverati (gli davano le ordinazioni in base alle esigenze dei malati come minestrine, brodo, pollo ecc …) dopodiché veniva un arabo a prendere le pietanze pronte. Quando poi hanno fatto l’ospedale nuovo, che era grandissimo, allora c’era una grande cucina gestita dalle suore Francescane e allora la mamma è passata a fare l’infermiera.”

A Barce sono nati tutti gli altri figli di Corsaro Giuseppe: Arturo, Iolanda, Elvira ed Alfredo.

Mio fratello Arturo è stato un anno a Bengasi a studiare dai Fratelli Cristiani. Ha frequentato la prima media, poi è stato bocciato e non ha più voluto continuare  a studiare ed è tornato a Barce dove ha fatto il  meccanico.” 

Ora siamo rimasti solo in due io e mia sorella Iolanda che sta a Roma a Nettuno. La vita a Barce era tranquilla durante la mia infanzia, c’erano tanti Italiani in quei tempi perché  vedevo dalle scuole che erano piene di Italiani, dalla prima alla quinta elementare, ed erano scuole Italiane anche quelle per gli arabi ed avevano un maestro che gli insegnava la nostra lingua e molti di loro la parlavano molto bene, me lo ricordo come se fosse ieri.

In quei tempi c’era il fascismo, la Libya era una colonia Italiana. Le suore che gestivano la mensa dell’ospedale, avevano anche un oratorio che noi da bambine andavamo lì a giocare, ricamare e a fare i compiti del doposcuola

A Barce avevamo il Podestà (non ricordo il nome), c’era il Genio Militare, il Commissariato, la Caserma dei Carabinieri, la stazione Ferroviaria, la chiesa, la scuola elementare. Vi erano anche tanti negozi: i generi alimentari erano gestiti da Ahmed, Brunetti e dal Maltese Kakia; c’era il caffè Mariano, c’era il caffè Marino in piazza castello, li vicino si trovava un negozio di rivendita di scarpe che si chiamava Amore,  D’Agostino che vendeva giornali e sigarette, c’era il macellaio che si chiamava Martignoli (o Marangoni), il calzolaio Pizzimento e poi c’era un altro Pizzimento che gestiva il dopolavoro fascista, c’era anche Bertaiola che aveva il forno e faceva il pane per tutti; non aveva attrezzature moderne ma dal suo forno usciva del buon pane perché quello c’era e quello si mangiava. C’era anche un forno arabo che faceva la ftira. 

Di barbiere ce ne era solo uno (Rizzo) e non c’erano Saloni per Signora, le donne provvedevano da sole e si arrangiavano. Io a quei tempi, da ragazzina avevo i capelli dritti quindi li pettinavo ed ero già a posto; mia sorella li aveva ricci ma per noi non c’erano grosse esigenze. Quando invece il 26 Febbraio del 1938 mi sono sposata, ho fatto la permanente a Bengasi.

Noi abitavamo alla periferia di Barce e avevamo un grande spazio pieno di alberi da frutta; c’erano 5 alberi di Gelso e d’estate trionfava il fresco che era una meraviglia. Veniva il consorzio agrario a prendere le foglie per i bachi da seta. Avevamo delle viti con dei grandi grappoli d’uva. Gli acini erano veramente deliziosi e grandi, (non ho mai più visto dell’uva così bella). Era un’uva a forma di olivella e noi, quando iniziava la maturazione, avvolgevamo i grappoli con della carta per evitare che gli uccelli se la mangiassero.

Quando ci siamo trasferiti da Nalut a Garian siamo andati ad abitare in una casa del monopolio e c’erano delle terrazze; allora siccome mi piaceva lavorare la terra e avere anche degli animali, comprammo delle galline ovaiole; un giorno una gallina si è messa a covare le uova sotto il lavello della cucina e ha fatto nascere 12 pulcini che Roberto gli mise il nome dei mesi dell’anno. Quando poi ci hanno sfrattato perché avevano bisogno dell’appartamento siamo andati a Garian nella casa del Mudir che era tutta circondata da piante spinose; purtroppo venne un arabo dicendo che gli servivano le piante spinose e allora la casa venne a trovarsi senza alcuna recinzione. Dovetti disfarmi delle galline e i galli per evitare che se ne andavano fuori. Diventarono tanti capponi”. 

La memoria di Elvira la riporta al 1970.

 

Siamo venuti a Tripoli nel 1948 e siamo stati ospiti a casa dell’amica Frassinelli che prima stava a Nalut dove aveva un bar-ristorante e dopo si era trasferita a Tripoli: ci ha ospitati in una stanza. Naturalmente eravamo stretti. Poi lì è nata anche la bambina (Luciana) e abbiamo trovato una casa di nuova costruzione di un arabo. In seguito mio marito si è aggravato, aveva l’ulcera ed è morto dopo due giorni di ospedale.

Era il 1955. allora ho dovuto lasciare l’appartamento per andare a casa di mia cognata. Naturalmente anche lì eravamo stretti ma bisognava sempre stringere la cinghia. Poi ho trovato da sistemarmi in un altro appartamento e lì mio figlio Roberto il pomeriggio lavorava alla SECI  che era la società elettrica di Tripoli. La mattina andava a scuola e il pomeriggio andava a lavorare.

Roberto Longo

Io lavoravo nella tipografia del Governo e in questo modo si andava avanti benissimo. In tipografia lavoravo nel reparto rilegatura. Prima di lì lavoravo dalla tipografia Maggi, dove dovevo lavorare tutta la giornata, invece in quella del Governo mi permettevano di lavorare fino alle 2 del pomeriggio e quindi potevo badare alla casa ed ai figli. In questo modo mi sono trovata benissimo.

Dopo mio figlio si è diplomato ragioniere ed ha voluto che non andassi più a lavorare perché ci avrebbe pensato lui. Questo è quello che diceva lui, ma siccome i soldi non bastavano mai io di nascosto andavo a stirare dagli americani, cosa che non gli ho mai detto. In questo modo siamo andati avanti. Poi dopo un po’ di tempo non ce l’ho fatta più perché abitavamo lontano, avevo la bambina da portare all’asilo.

La casa dove abitavamo era vicino alla pasticceria Hageg (che attualmente non esiste più). Poi da lì nel 1961 ci siamo spostati alla casa di Corrado Disco e da lì siamo partiti per l’Italia a malincuore nel 1970.

Io non volevo andar via. La partenza è stata tragica, abbiamo consegnato le chiavi degli appartamenti, mio e di mio figlio. Siamo andati a dormire in un albergo per la notte che era in via Raffaello. Mi ricordo che c’era il macellaio che stava vicino casa nostra in Shara Sidi El Bahlul che ci aveva invitati a casa sua; gli arabi avrebbero dormito per terra e la camera sarebbe stata a nostra disposizione. Ma mio figlio non voleva ringraziare nessuno e siamo andati in questo alberghetto. Così la mattina siamo partiti: la mattina alle 6 è venuto il proprietario del pastificio con la sua macchina e ci ha portati all’aeroporto. Era il 15 ottobre del 1970. era proprio il penultimo giorno disponibile per il rimpatrio. Alla ditta dove lavorava Roberto gli dicevano che l’avrebbero fatto rimanere, ma lui quando ha visto partire la moglie e la famiglia non ci è voluto più stare. (siamo partiti io, lui e Guido)

Ne abbiamo passate tante lì. Ricordo una mattina al tempo del colpo di Stato, io mi sono affacciata alla porta, c’erano due soldati seduti per terra, si sono subito alzati minacciando di spararmi, ho così chiuso subito la porta perché eravamo in coprifuoco. Il tempo non cancella questi ricordi, sono sempre vivi. La vita a Barce e anche a Tripoli era tranquilla ad eccezione di certi episodi.

Poi c’è l’esperienza di Guido, il mio secondogenito, che faceva vita di casa e ufficio, ufficio e casa, per tutta la vita. Partiva alla mattina e tornava a casa alla sera, perché andava fuori Tripoli nelle concessioni a curare tutte le contabilità varie. Poi alla fine qualcuno non l’ha nemmeno pagato. Quando tornava dal giro delle concessioni agrarie specialmente nel periodo delle festività era sempre pieno di ceste di arance buonissime. Spesso rientrava a casa anche a mezzanotte. Durante il coprifuoco fu fermato dalla polizia che, dopo aver visto i suoi documenti, gli hanno permesso di parcheggiare l’automobile e l’hanno accompagnato a casa. Comunque rimane nel mio cuore Barce, Derna, Nalut, Garian, Tripoli. Quando sono venuta in Italia mi sono data da fare per trovare un lavoro, anche se potevo non farlo. Sono stata a lavorare al Comune di Milano, nelle scuole comunali. Ho maturato un po’ di pensione. Adesso mi trovo malandata e ho bisogno di una badante. Ho quasi novant’anni. Prima quando era vivo Guido passavo tre o quattro mesi a Senigallia da lui. Guido non c’è più e ora passo l’estate da mia sorella a Nettuno. Purtroppo la vita continua, le cose cambiano ma è sempre quella”.

(Da sinistra ) Caterina Calandrina (madre di Duilio Disco), elvira Longo e Rosetta martelli (moglie di Roberto longo) sulla soglia della sua casa a Collina Verde

 

Questa intervista alla signora Longo – è così che noi l’abbiamo sempre chiamata, ben sapendo che era Elvira Corsaro – l’ho potuta fare l’11 marzo 2011. Realizzare questa intervista era negli intenti anche di Roberto. Lui non ha fatto in tempo. Io, per una promessa fatta alla signora Longo, ho provato a raccogliere alcuni suoi ricordi che probabilmente dovevano anche essere perfezionati da sue ulteriori delucidazioni; quindi spero che la cronistoria della sua vita sia il più possibile attendibile, dal momento che avrei dovuto leggere e rivedere l’intero racconto con lei.

 

Purtroppo il 22 aprile di quest’anno la signora è improvvisamente mancata.

 

Nei suoi racconti aveva espresso il desiderio di rivedere Tripoli e dintorni ma purtroppo li potrà vedere adesso dal Paradiso:  ho fatto questo fotomontaggio dove si vede la Signora Longo con alle spalle l’albergo Fonduk al Kabir che sicuramente starà visitando.

 

Duilio Disco