L’EUROPA
DEL CAN CAN BRINDA A CHAMPAGNE
... SU UN
CAMPO MINATO
APRILE 1912
CON IL TITANIC AFFONDANO LE SPERANZE DELL'800
di Luca Molinari
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TITANIC |
L'orchestra continuò
a suonare fino alla fine. Nessuno dei musicisti, tutti in impeccabile frac
nero, abbandonò il proprio posto. Le musiche, dolci ma che lasciavano
trasparire la drammaticità del momento, erano le stesse che accompagnavano
le serate di gala della vita mondana di tutte le grandi città d'Europa,
da Vienna a Parigi, da Berlino a Mosca. In questa surreale, ma cruda cornice,
il 14 aprile del 1912 affondava il Titanic.
Oltre 1.600 uomini e donne perirono nella tragedia. I più poveri erano
stati rinchiusi nelle stive. Non dovevano contendere ai più ricchi
il posto sulle poche scialuppe di salvataggio. Neanche nella morte vi è
uguaglianza tra ricchi e poveri.
Nel freddo Mare del Nord, al largo delle coste britanniche, una collisione
con un iceberg faceva colare a picco il transatlantico che da solo rappresentava
il trionfo della tecnologia e con essa le speranze e i sogni di un intero
secolo, l'800.
Speranze e sogni che in quella fredda mattina di primavera del 1912 affondavano
anch'esse aprendo le porte ad un secolo tra i più turbolenti della
storia umana, ma anche più ricco di rapide trasformazioni nella vita
e nei costumi degli uomini.
Con più di dieci anni di ritardo rispetto alle date riportate sui calendari,
si concludeva definitivamente il XIX secolo, il secolo della "belle
epoque", periodo di stabilità politica ed indiscussa supremazia
europea che era troppo a lungo sopravvissuta a se stessa.
Centinaia di migliaia di tonnellate di acciaio, saloni e cabine arredate con
lo stile e con la ricchezza di stucchi e di preziose tende e raffinato mobilio
che caratterizzavano le corti ed i teatri di tutto il Vecchio Continente.
Gli scaloni e i ponti facevano invidia alle scalinate ed ai ballatoi di Versailles
o dei migliori teatri viennesi. Le pietanze preparate nelle cucine di bordo
e i vini conservati nelle stive gareggiavano tranquillamente con i cibi e
le bevande servite nei più raffinati ristorati di Roma e di Parigi.
Come l'Oriente Express, il Titanic simboleggiava il predominio incontrastato
della meccanica e della scienza. Incarnava, così, il simbolo del pensiero
positivista ottocentesco per il quale la scienza e la tecnologia risolverebbero
tutti i problemi degli uomini arrivando, per alcuni, anche a sconfiggere la
morte. Giuste speranze e giusti riconoscimenti allo sviluppo degenerati da
fede granitica nel progresso a una sorte di delirio collettivo.
Bastarono pochi metri cubi di ghiaccio per porre fine a tutto ciò.
Lo choc nelle coscienze europee fu enorme. Ciò che rappresentava tutti
i valori in cui si era fino a quel momento creduto senza dubbi o remore naufragava
miseramente in balia delle forze della natura portandosi dietro le vite di
centinaia di uomini rimasti imprigionati nel ventre della nave.
Il Titanic anticipò
solo di un paio di anni quella frattura nella storia europea che nella primavera
del 1914 avrebbe definitivamente spazzato via intere nazioni e causato la
Prima Guerra Mondiale.
Infatti, a soli 24 mesi dal naufragio del transatlantico ritenuto inaffondabile,
i popoli europei si combatterono gli uni con gli altri ponendo fine ad un
equilibrio tra le nazioni che senza troppi scossoni era resistito fina dai
giorni del Congresso di Vienna quando, le teste coronate dell'Ancien Regime
avevano riportato il proprio predominio sul continente dopo i terremoto giacobino
e la furia napoleonica.
Come ha scritto qualcuno, dopo "Nulla fu più come prima".
Tecnologia e scienza non furono più usate per migliorare e allungare
la vita degli uomini, ma per creare armi di distruzione di massa e di sterminio
collettivo.
Ciò che fino ad allora era stato la speranza dell'umanità divenne
il suo peggiore incubo.
Anche la cartina dell'Europa uscì completamente ridisegnata dal conflitto.
Tre millenari imperi, Impero d'Austria - Ungheria, Impero ottomano, Impero
zarista, cesseranno di esistere e saranno smembrati.
L'Austria diventerà una piccola ed ininfluente repubblica, con una
capitale, Vienna, ridotta al rango di grande città per un piccolo stato.
Una testa senza corpo. La Turchia perderà ogni influenza nel vecchio
continente dove conserverà solo un piccolo istmo di terra e non riuscirà
mai a giocare un ruolo veramente influente nella politica mediorientale.
Ma le trasformazioni più profonde avverranno in Russia dove, sulle
note dell'Internazionale trionferà la Bandiera Rossa con l'affermazione
del comunismo bolscevico leninista.
Inizia quel "secolo
breve" descritto dallo storico inglese Eric Hobsmawn, caratterizzato
dall'avvento sulla scena della grande politica delle masse che, con la concessione
del diritto di voto a suffragio universale furono così indennizzate
per il grande sacrificio subito durante la Grande Guerra.
Masse che solo parzialmente erano pronte alla vita politica attiva. Solo la
classe operaia, egemonizzata e guidata pedagogicamente dai partiti socialisti
e socialdemocratici, aveva una certa coscienza di se e un graduale preparazione
all'esercizio del potere nelle democrazie parlamentari.
I ceti medi e quelli rurali, arrivarono al palcoscenico della politica attiva,
senza alcuna formazione politica di riferimento precostituita e con il timore
di rimanere schiacciati, come tra l'incudine e il martello, da un lato dai
grandi potentati industriali e dall'altro dal sempre più forte proletariato
industriale urbano. Piccoli borghesi e contadini spaventati che il credo socialista
si diffondesse a macchia d'olio sconvolgendo definitivamente quel loro "piccolo
mondo antico" ormai consegnato agli annali di storia.
L'Europa fu sconvolta dal conflitto che segnò l'inizio di un'epoca
di incertezze che sfocerà nei tre grandi totalitarismi (fascismo, nazismo
e stalinismo).
Totalitarismi
nati e fortificati dalla paura e che faranno sì, come ha scritto lo
storico tedesco Momsen, che le due Guerre Mondiali, in realtà non siano
solo che la prima e la seconda parte di una lunga guerra civile europea che
raggiungerà l'apice con la Seconda Guerra mondiale alla fine della
quale l'Europa troverà un nuovo equilibrio e la più lunga epoca
di pace e benessere diffuso della propria esistenza, ma perderà la
propria centralità a vantaggio delle due nuove superpotenze: gli Stati
Uniti d'America e l'Unione Sovietica.
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Durò 44 anni. - Forse fu il
periodo più felice per il modello europeo
LA BELLE EPOQUE
di FERRUCCIO GATTUSO
"Quella
della Belle Epoque fu una società che visse inconsapevolmente su un
campo minato". Così diceva - in un’Europa ormai
mutata, dilaniata da due guerre atroci, orfana di un primato mondiale
- lo scrittore Paul Morand. E in queste parole si può veramente riassumere
il significato (e la tragedia) di un periodo storico del nostro continente
in cui tutto sembrò, per molti anni, grandioso; ma che nascondeva -
sotto i palpiti di una società in rapido cambiamento morale e tecnologico
- un cancro in lenta e inesorabile progressione.
L’Europa
che estendeva il proprio dominio su tutti i continenti, forte di un modello
politico e culturale senza rivali, culla della rivoluzione industriale e delle
prime stupefacenti innovazioni tecnologiche, era la stessa Europa che preparava,
sotterraneamente, la grande carneficina della guerra. In seguito ad essa nulla
fu più come prima.
Nelle trincee scavate nel fango, tra i fili spinati e i campi minati, non
trovava la morte solo una generazione di europei condannata ad un sacrificio
assurdo. In quegli stessi luoghi, in quello stesso tempo, moriva una società
che sarebbe apparsa alle generazioni successive come un’età dell’oro.
Ma non sperduta nel passato più recondito dell’uomo. Così
vicina, così crudelmente palpabile, nelle foto, nei filmati - i primi
-, nelle dispute letterarie, la Belle Epoque ci apparve per molto tempo, e
forse ci appare ancora, come un’occasione perduta, una promessa non
mantenuta, un oggetto prezioso appena sfuggito di mano. L’immagine della
Belle Epoque è legata, proprio per la connotazione di "età
gaudente" che ha assunto nella nostra memoria, a eventi e caratteristiche
sociali e di costume, più che ad avvenimenti politici e storici.
L’EUROPA
SOVRANA
Ci sembra strano
pensare che la Belle Epoque era la stessa del generale Boulanger, della revanche
francese, dell’Affaire Dreyfuss, della prima rivoluzione russa del 1905,
delle "piccole guerre" condotte ai margini del continente (quella
greco-turca del 1897, quella ispano-americana dell’anno seguente), dell’astro
nascente marxista. Eppure l’Europa che sfoggiava - soprattutto tra Parigi
e Vienna - la società del can can, del piegabaffi, delle prime goffe
auto e delle ultime carrozze, della Bella Otero, di grandi artisti come Monet
o Gauguin, o come Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse, aveva uno sfondo storicamente
preciso: gli anni del colonialismo, del cancelliere Bismarck, dell’espansione
delle grandi famiglie capitaliste come i Rothschild.
E’ convenzione
far iniziare la Belle Epoque con il 1871, anno di assestamento internazionale
e - per quanto ci riguarda - di pieno compimento dell’avventura risorgimentale.
I 44 anni che
separano questa data da quella, funesta, del 1914 (assassinio di Serajevo,
scoppio della Grande Guerra), costituiscono il periodo più felice per
il modello europeo, cioè quel modello basato sull’esperienza
politica liberale, borghese, e su di uno sviluppo scientifico senza precedenti
fiorito da una libertà di pensiero e da un laicismo prima sconosciuti.
Questa nuova era delle possibilità fu terreno fertile per tutti i campi
del sapere umano: romanzo, poesia, teatro, diplomazia, finanza. Il tenore
di vita dei ceti medi era molto favorevole, e l’accesso alla vita mondana
(che in quel tempo si andava espandendo come mai in precedenza) e a quella
culturale diveniva più automatico. I Caffè - non, come scrive
Giovanni Alberto Castellani, "i frettolosi bar del giorno d’oggi"
- erano il luogo dove avvenivano incontri e scambi sociali e artistici di
qualsiasi livello. Dalle dispute dell’uomo comune, qualche volta fisiche,
incentrate su temi politici ma anche idealistico-letterari, ai contatti illustri
tra grandi nomi della cultura, tutto veniva ospitato tra le mura e i tavolini
dei più prestigiosi caffè di capitali come Parigi, Vienna e
Roma.
LE DINASTIE DELL’ORO
I Teatri, sempre
pieni, ospitavano nomi leggendari come Isadora Duncan, Anna Pawlova, la già
citata Eleonora Duse., e vi si rappresentavano tutti i generi, dalle piacevoli
commedie di George Feydeau alle tragedie di Gabriele D’Annunzio. Parigi,
la "Ville Lumiere". La Belle Epoque. In queste due parole - che
non hanno trovato sinonimo o traduzione diversa - si può ben comprendere
l’importanza che la Francia ebbe in questo quarantennio a cavallo tra
i due secoli. Parigi fu, indiscutibilmente, la culla, il cuore pulsante della
"corsa in avanti" che la società e il costume del tempo stavano
compiendo.
Non a caso, per fare un esempio, fu in Francia che nacque quella che è
riconosciuta come l’ultima arte creta dall’uomo: il cinema. In
quegli anni sembrava che tutto dovesse venire dalla terra dei Napoleoni. E
fu lì che, attraversando il Reno, si insediarono le dinastie dell’oro
di origine ebraica.
Dietro i pionieri
Rothschild, seguirono gli Hottlinger, i Cahen D’Anvers, gli Erlanger,
i d’Eicthal, i de Romilly. Queste ricche famiglie si unirono da subito
con la nobiltà e l’alta borghesia parigine. Nasceva così
la grande società parigina, "le monde", orbitante intorno
ai salotti di figure come la contessa de La Rochefoucald o della duchessa
Clermont Tonnerre.
Sotto questo mondo che appariva distante e chiuso nelle sue convenzioni, appariva
il così detto demi-monde, un universo più libero, frenetico,
gaudente, e quindi più affascinante. Non erano rare le volte in cui
principi e nobili in incognito si avventurassero in questo mondo irregolare
per cercarvi svago e evasione. Ancora più sotto, regno della media
e piccola borghesia e dei lavoratori, stava la dimensione del Quartiere Latino.
Affollato di artisti e soprattutto studenti, il quartiere era una fucina di
vita mondana, arte e pensiero. Da esso, ma non solo, Parigi trasse nomi come
Toulouse Lautrec, Degas, Manet, Cezanne, Delacroix.
PARIGI, BOOM DEI
GIORNALI
Infine l’Università
della Sorbona, che attirava giovani di tutto il mondo, era motivo di prestigio
ma anche di fermento culturale nella capitale francese. Nel 1890 l’8
per cento degli iscritti alla Sorbona erano stranieri, agli inizi del novecento
erano il 18 per cento. In questo scenario fiorivano con estrema facilità
i giornali. Sulla spinta di giornalisti pionieri come Emilio de Girardin,
grande polemista, che aveva creato molti anni prima "La Presse"
(centomila lettori, 25.000 abbonati), erano seguiti fogli come il "Siècle",
la "Libertè" e la "France". "L’impresa
di De Girardin - scrive Castellani - può essere paragonata, per la
sua grande forza rivoluzionaria, a quella delle ferrovie." E infatti
la stampa parigina , tra il 1835 e il 1840, aveva avuto un’impennata
considerevole. La Parigi di fine secolo, quindi, poteva contare su una pluridecennale
tradizione giornalistica.
Come a Parigi,
anche a Vienna - capitale dell’Impero asburgico - la Belle Epoque trovò
terreno fertile. E come era successo a Parigi, anche sulle rive del Danubio
si verificò l’insediamento delle grandi famiglie capitaliste
alla Rothschild. che si unirono, forse con maggior difficoltà, all’aristocrazia
viennese. Al barone Salomone Rothschild si dovrà la diffusione capillare
delle ferrovie. Egli diventerà in poco tempo l’uomo più
ricco d’Austria e persino l’Imperatore si rivolgerà a lui
per rimpinguare le casse del Tesoro statale.
La cattolicissima
Austria, dopo una dura diffidenza,
si inchinava al potere economico del ricco israelita.
A Vienna tornò
anche a fiorire quell’arte che nei primi decenni dell’800 aveva
languito. I fasti settecenteschi di Maria Teresa e Giuseppe II (grande conoscitore
di musica e amico di Mozart) si persero con Francesco II e Ferdinando. I Rothschild
adottati dall’Austria divennero presto mecenati di una nuova rinascita
artistica. Da loro e dall’humus israelita nacque un nuovo fermento intellettuale.
Hoffmannsthal, Schnitzler, Freud, Strauss, Lehar sono solo alcuni dei nomi
che fecero grande la Vienna della Belle Epoque.
IL MAGICO ORIENT
EXPRESS
Ai Rothschild
e alle loro ferrovie si deve anche, come conseguenza, la nascita di un altro
mito e simbolo della Belle Epoque: l’Orient Express. Il 2 maggio del
1883 nasceva il treno che avrebbe attraversato l’Europa verso l’oriente
misterioso, verso Costantinopoli. A bordo di esso, politici, giornalisti,
artisti e scrittori intrecciarono le loro storie e i loro interessi. L’Orient
Express sopravvisse fino al 28 maggio 1961: in un mondo che in quegli anni
si lanciava nella corsa allo spazio e che avrebbe visto in Juri Gagarin il
primo uomo orbitante intorno alla Terra, il vecchio serpente di ferro che
attraversava il continente appariva come un anacronistica curiosità.
L’avventura e il mistero in cui si tuffava il vecchio treno non erano
più nel "lontano" Oriente, ma tra le stelle.
Dopo la bruciante
sconfitta subita per mano di Bismarck, moriva l’Impero francese. Nel
settembre 1870 il Comitato di salute Pubblica composto da uomini come Adolfo
Thiers, Enrico Rochefort, Jules Favre e Jules Ferry, eredita il regno di Napoleone
III. Nel febbraio del 1871 Thiers diventa capo esecutivo del governo e il
1 marzo viene ratificata la fine della monarchia napoleonica. L’Assemblea
Legislativa che nasce dalla ceneri della monarchia è però a
maggioranza conservatrice, mentre nei caffè e nei circoli intellettuali
cominciano a diffondersi idee di stampo anarchico e comunista ( termine da
non intendersi con la piena accezione cui assurse da Lenin in poi). Parigi
finisce, grazie anche all’intervento dei battaglioni presenti in città
e fortemente anti-monarchici, in mano ai rivoltosi. Il generale Mac Mahon
assedia la capitale : è la guerra civile. Dalla lotta tra due visioni
differenti della repubblica - una borghese, l’altra comunarda - emergerà
vittoriosa la prima.
LA FRANCIA SI
RINNOVA
E’ la terza
Repubblica. Nell’agosto del 1871 Thiers viene eletto presidente, ma
il suo incarico durerà solamente fino al maggio del 1873, schiacciato
tra le innumerevoli divisioni interne al paese tra repubblicani, reazionari,
cattolici, nazionalisti. Gli succederà Mac Mahon, e con il generale
predominerà in Francia il conservatorismo, si procederà ad importanti
mutamenti istituzionali, come la creazione della figura del presidente del
Consiglio dei Ministri e la formula del settennato per la Presidenza della
Repubblica. A capo del Consiglio dei Ministri arriverà quell’Albert
De Broglie, tradizionalista cattolico, che - insieme a Mac Mahon - darà
alla Francia un’impronta autoritaria. L’atmosfera è quella
dell’attesa: tra sostenitori dei Napoleonidi e degli Orleans si accende
una sotterranea lotta per riportare la monarchia, mentre le forze repubblicane
appaiono deboli e divise. E’ in questa atmosfera che appare "Histoire
d’un crime" di Victor Hugo. Il pamphlet scritto dal grande romanziere
è un’atto di accusa contro l’autoritarismo di Mac Mahon.
Nei boulevards
di Parigi scoppieranno violenti scontri tra oppositori e sostenitori delle
tesi di Hugo, ma alla fine anche la penna di Victor Hugo contribuì
ad indebolire il presidente. La dittatura presidenziale di Mac Mahon termina
con la forzata elezione alla presidenza del Consiglio dei Ministri del repubblicano
Dufaure. In quello stesso periodo Parigi celebra tra i suoi fasti più
grandi: si ingrandisce, vede il completamento del Teatro de L’Opera,
riordina i campi Elisi, celebrerà il centenario della morte di Voltaire.
Parigi accoglierà in questi anni la crema della borghesia e della nobiltà
europee, ma anche artisti e scienziati. In questa sfolgorante cornice di potenza
però le tensioni politiche continuano più o meno sotterranee
tra repubblicani, monarchici, nazionalisti, e comincia ad insinuarsi sempre
più nell’opinione pubblica francese quel sentimento successivo
alla sconfitta per mano della Prussia e che andò sotto il nome di revanche.
BOULANGER, L’EROE
DI DESTRA
La Francia ha
bisogno della sua rivincita e della sua grandezza politica, che nel susseguirsi
della tranquilla mondanità della Belle Epoque, sembra esaurirsi. Si
attende qualcuno che possa incarnare questo spirito di rivalsa, e Parigi crede
di averlo trovato nel generale George Ernest Boulanger. Il "Generale
Revanche" - come poi fu chiamato - cominciò ad alimentare il suo
mito in occasione degli scioperi del febbraio 1886 ad opera dei minatori del
bacino carbonifero dell’Aveyron. Il governo, che gestì malissimo
la situazione e non seppe fronteggiare la protesta, si affida nelle mani di
Boulanger, al tempo ministro della Guerra nel governo Freycinet. Il generale
invia truppe e stronca gli scioperi in poco tempo. Attaccato dall’opposizione
di sinistra Boulanger si difenderà di fronte al Governo e alla Camera
con un discorso memorabile per i suoi toni decisi. La destra ha ora un eroe,
la sinistra un nemico.
Come prima conseguenza di questa nuova tendenza revanchista francese, i rapporti
con la Germania diventano tesi. Nell’aprile 1887 venti di un possibile
scontro armato soffiano sul confine franco-tedesco. La Francia oscilla tra
l’interventismo di Boulanger e il moderatismo di uomini come il Presidente
della Repubblica Jules Grevy. Per un triennio, nei circoli politici e culturali
parigini ci si scontrerà a favore o contro il generale Boulanger. Gli
uomini, da una parte e dall’altra della barricata, accenderanno i loro
discorsi sul ruolo che questo "uomo della provvidenza" debba avere.
I salotti femminili, invece, si interesseranno alla relazione tra il generale
e Margherita de Bonnemains, sua inseparabile compagna. il governo cercherà
di arginare l’ombra del colpo di stato incarnata da Boulanger esautorandolo
dal ministero e designandolo al comando del XII Corpo d’Armata sulle
montagne dell’Alvernia.
IL GENERALE BEFFATO
Quando il generale si reca, l’8 luglio, al treno che lo deve portare
alla destinazione assegnatagli, una folla di sostenitori lo porterà
in trionfo. Boulanger da questo momento incarna l’eroe che i nazionalisti
e i conservatori hanno cercato per molto tempo. Colui che dovrebbe rappresentare
al meglio lo spirito della revanche, però, non sa - o non vuole - approfittare
della situazione. Esercito e buona parte dell’opinione pubblica si riconosce
in lui ma, quando potrebbe tentare il colpo di stato, si accontenta di una
candidatura a deputato nelle elezioni del gennaio 1889. Eletto a furor di
popolo, anziché assumere un atteggiamento aggressivo si adagia e temporeggia
fino a che l’onda nazional-conservatrice comincia a decrescere.
L’epilogo della carriera politica di Boulanger avrà del ridicolo:
ingannato da spie nemiche dirette dal Ministero degli Interni accetterà
di lasciare Parigi sotto invito di un sedicente nazionalista (in realtà
un poliziotto). E’ imminente un suo arresto - questo l’avvertimento
del falso sostenitore - e Boulanger deve lasciare la capitale. Boulanger abbandonerà
la città in compagnia di Margherita de Bonnemains. Il giorno seguente
la stampa sommerge Parigi titolando sulla "fuga del generale Boulanger".
E’ la fine politica del "Generale".
Nonostante i drammi politici e gli scontri diplomatici con il pericoloso vicino
tedesco, la Francia e Parigi continuano la loro "belle époque"
Nel 1889 si celebrava con grande pompa il centenario della Rivoluzione con
la grande Esposizione Mondiale, il cui simbolo divenne poi il simbolo incontrastato
di Parigi: la Torre Eiffel. In aprile, gli stessi parigini che si accapigliavano
sul destino politico di Boulanger erano quelli che si recavano in un nuovo
locale: il Moulin Rouge. Inventato da Carl Zidler, il Moulin Rouge offriva
ai suoi visitatori la faccia più libertina di Parigi. Nei suoi locali
bellissime ragazze eseguivano un ballo che, come diremmo oggi, fece subito
tendenza: il can can.
IL MALIZIOSO CAN
CAN
L’audacia e la malizia di questo ballo fu tale che il can can divenne
il simbolo universalmente riconosciuto della Belle Epoque. Naturalmente osteggiato
con forza dai benpensanti. Purtroppo per quest’ultimi, il Moulin Rouge
fece scuola, e sorsero per tutta la città (soprattutto nella zona di
Pigalle) club e locali dello stesso tipo come le Folies Bergère.
Contemporaneamente
si sviluppava lo spettacolo del music-hall, i cui eroi furono Maurice Chevalier,
la Bella Otero, Lina Cavalieri. In quegli anni non era solo un audace can
can a costituire motivo di scandalo. A dispetto del pensiero benpensante,
veri e molto più gravi scandali accadevano in campo politico e finanziario.
Gli anni della Belle Epoque sono i medesimi dell’Affaire Dreyfuss, della
Banca Romana, del fallimento della Compagnia Universale del Canale di Panama,
dell’arresto di Oscar Wilde con l’accusa di omosessualità.
Il fallimento dell’impresa che avrebbe dovuto realizzare il canale all’istmo
di Panama coinvolse milioni di francesi. La vera e propria campagna pubblicitaria
per l’acquisto di azioni della Compagnia aveva avuto un successo senza
precedenti.
I lavori, cominciati nel 1884 in un’atmosfera di grandeur naufragarono
già tre anni dopo. Per un incredibile errore di calcolo le casse erano
già vuote, a ciò si aggiunsero gli sperperi della Compagnia
e le epidemie di scorbuto e malaria che colpivano gli operai. Quando si arrivò
a contare 400 operai morti al giorno si comprese il totale fallimento dell’impresa.
Lo scandalo esplode con tutta la sua forza nel novembre del 1892, quando Edgard
Rumond, direttore del "Libre Parole" accusa apertamente il governo
di sperperi e operazioni poco chiare. Un anno dopo, nel 1893, uno scandalo
analogo avverrà in Italia e coinvolgerà personalità come
Crispi e Giolitti. Da un’inchiesta nata dalle denunce della sinistra
vengono accertate irregolarità e un vuoto di cassa di due milioni nella
Banca Romana.
UNA RAFFICA DI
SCANDALI
La stampa di opposizione
si scatena contro il governo e nel mese di maggio si procederà alla
liquidazione della banca. Da essa nascerà la Banca d’Italia.
Lo stesso anno grandi clamori susciterà l’arresto dello scrittore
e poeta di origine irlandese Oscar Wilde. L’accusa, omosessualità,
lo porterà a scontare due anni di lavori forzati. L’autore di
"Il Ritratto di Dorian Gray", "Salomè" e "La
Ballata dal carcere di Reading" (nata dall’esperienza in prigione)
morirà il 30 novembre 1900 a Parigi, assolutamente dimenticato, in
un alberghetto in via delle Belle Arti. Di ben altro spessore, politico e
simbolico, fu lo scandalo che ruotò intorno alla figura di Alfred Dreyfuss,
addetto allo Stato Maggiore francese, ingiustamente accusato di spionaggio
a favore dei tedeschi. Il suo caso appassionò non solo Parigi e la
Francia, ma tutto il mondo.
La vicenda Dreyfuss costituì il pretesto perchè si scatenasse
in Francia un’ondata di antisemitismo senza precedenti (ma che, purtroppo,
sarebbe impallidita di fronte a ciò che sarebbe successo quarant’anni
dopo). La fin troppo ovvia accusa nei confronti del piccolo ufficiale Dreyfuss
era quella che un "cosmopolita ebreo" non provasse sentimenti nazionali
e per danaro si sarebbe venduto al nemico. La Francia assistette alla condanna
di quest’uomo innocente e alla sua deportazione all’Isola del
Diavolo nel febbraio del 1895. Due anni dopo, nell’ottobre del 1897,
il calvario di Dreyfuss si avvia alla conclusione. Scoppia lo scandalo che
proverà la sua innocenza e porterà all’incriminazione
dei più alti papaveri della gerarchia militare francese. I documenti
confidenziali consegnati al nemico erano scritti con lo stesso pugno di alcune
lettere del comandante Walsin-Esterhazy, nelle quali peraltro si dichiarava
apertamente l’ostilità verso il governo e il popolo francese
e propositi di tradimento.
L’INGHILTERRA
VITTORIANA
In campo scese anche il celebre scrittore Emile Zola che sul "Figaro"
comincò una campagna innocentista nei confronti di Dreyfuss e che culminerà
con il celeberrimo "J’accuse !" (gennaio 1898). Solo più
di un anno dopo, nel giugno del 1899 (e dopo l’incriminazione dello
stesso Zola per vilipendio alla Repubblica), la verità poteva essere
riconosciuta e sancita da un tribunale: la Corte Suprema annullava la sentenza
contro Alfred Dreyfuss. Non finì qui, poiché la Francia si divise
drammaticamente a proposito. Un nuovo processo vedeva la luce in agosto. Il
9 settembre Dreyfuss veniva riconosciuto "colpevole con circostanze attenuanti",
ma in seguito veniva formalmente graziato e reintegrato nei gradi nel luglio
del 1906. L’Inghilterra che visse nel periodo della Belle Epoque fu
dominata da una figura politica di assoluto livello, una delle più
grandi nella storia dell’isola: Benjamin Disraeli.
Sotto il Primo
Ministro "preferito dalla regina Vittoria" la potenza inglese raggiunse
il suo culmine. Il Regno Unito sarebbe divenuto Impero e il suo mito sarebbe
durato fino alla perdita dell’India dopo la Seconda Guerra Mondiale.
La politica di Disraeli fu imperniata essenzialmente sul colonialismo. L’India
era al centro dei suoi pensieri, poiché ben comprendeva come questo
dominio avrebbe influito straordinariamente sulle fortune politiche e soprattutto
commerciali ed economiche dell’Inghilterra.
Un grande avvenimento, accaduto nel 1869 ad opera della Francia, ha aperto
nuove possibilità per l’accesso all’India, e cioè
la creazione del Canale di Suez. Il Mediterraneo e l’Oceano Indiano
sono ora uniti e il commercio ne godrà immensi vantaggi. Disraeli comprende
da subito come la via all’Oriente passerà per l’Egitto
e l’Arabia e non più per la Turchia. "Dominare le sponde
del Mar Rosso". è questo l’imperativo avanzato da Disraeli.
Grazie al finanziamento dell’ennesimo Rotschild, Nathan, il governo
britannico riuscirà ad impossessarsi di molte azioni del canale di
Suez.
LA BELLE EPOQUE
IN ITALIA
Dopo la rinunciataria
politica estera dell’eterno rivale Gladstone, ora la Corno inglese può
contare su un primo Ministro dinamico e votato alla grandezza imperiale britannica.
Sono gli anni in cui nasce l’Impero e assurge a piena notorietà
il suo cantore: Rudyard Kipling. Nell’aprile del 1881 Benjamin Disraeli
muore, e con lui un pezzo di arte politica anglosassone. La figura di Gabriele
D’Annunzio, con i suoi eccessi, le sue grandezze e piccolezze, è
indissolubilmente legata con il periodo della Belle Epoque nella Roma di fine
secolo. Riconosciuto talento sin dalla più giovane età, il giovane
Gabriele giunse a Roma con la reputazione già consolidata della promessa
e dell’adolescente prodigio di scuola carducciana. Accolto con tutti
gli onori dai salotti importanti, strabiliati dalle prime opere del diciottenne,
come "Canto nuovo".
Correva il 1883,
e lo stesso anno l’apprendista "vate" si sposava con la duchessina
Maria Hardouin. Due stagioni distinte a Roma caratterizzarono la vita del
poeta di Pescara, la prima in giovane età, la seconda da autore affermato
de "L’innocente" e "Il Trionfo della morte". In
quest’ultima Roma la vita sociale scorreva al ritmo frenetico della
vacuità, e anche D’Annunzio vi si immerse da subito. Tra flirt
riconosciuti (Barbara Leoni, detta "Barbarella") o meno, D’Annunzio
condusse una vita tra la creazione letteraria, l’attività giornalistica
su giornali come la "Tribuna" e la partecipazione agli eventi cittadini,
come ad esempio la frequentazione del famoso Caffè Greco. Cresciuto
in fama e riconoscimenti, Gabriele D’Annunzio avrebbe seguito il richiamo
della "Ville Lumiere". Parigi lo accolse da subito a braccia aperte,
da sempre favorevole ad accogliere nel proprio seno le novità letterarie.
LA "FIN DE
SIECLE"
Il Vate, in quel
periodo era arrivato nella capitale francese con alle spalle buona parte della
sua più nota produzione: "Il Piacere", "Giovanni Episcopo",
"Le Elegie Romane". Contemporaneamente al trionfo dannunziano in
terra francese, arrivava a Parigi anche l’attrice Eleonora Duse, che
vi avrebbe mietuto molti successi, in concorrenza con un altro mito, Sarah
Bernhardt. La Duse giungeva a Parigi con la fama non solo della grande artista,
ma anche con quella del grande amore di D’Annunzio. Con l’anno
1900 si concludeva il secolo diciannovesimo, ma solo formalmente.
La parola fine
sul secolo nato dalla sconfitta di Napoleone la scriverà, col sangue,
la Prima Guerra Mondiale. L’Europa che entrava - solo matematicamente
- nel nuovo secolo era ancora molto sicura di se stessa. Eppure alcuni fermenti
da lì a poco si sarebbero formati e sviluppati velocemente. I circoli
anarchici di tutto il mondo avevano indetto a Parigi un congresso dove avevano
esaltato le proprie teorie regicide.
In luglio a Monza veniva ucciso Umberto I, ad agosto lo Scià di Persia
sfuggiva a un attentato, a novembre a Bruxelles il Principe di Galles veniva
ferito. Fuori dal continente i Boeri sconfiggevano gli inglesi in Africa,
a Pechino si verificava la rivolta dei Boxers, domata solo da una spedizione
internazionale europea. A cavallo tra i due secoli si realizzavano anche le
più grandi scoperte scientifiche che avrebbero caratterizzato il Novecento,
e ne avrebbero fatto da base di decollo per una corsa senza precedenti verso
il futuro.
Fu anche grazie a queste scoperte che il Novecento verrà definito "il
secolo breve", durante il quale le concezioni di spazio e tempo verranno
relativizzate. Tra il 1890 e il 1905 i fratelli Wright realizzeranno il primo
aeroplano, i fratelli Lumière creeranno il cinema, i coniugi Curie
scopriranno i raggi X e il nostro Guglielmo Marconi scoprirà le onde
radio e creerà la telegrafia.
LA FAVOLA FINISCE
Nel mondo della
produzione le cifre erano impazzite: negli ultimi trent’anni di Ottocento
la produzione di ghisa era salita da 12 a 70 milioni di tonnellate, il commercio
marittimo dilagava per tutti i mari del mondo, la Germania con la sua produzione
mineraria e di carbone era divenuto il massimo fornitore energetico per tutti
i paesi del continente, la corsa agli armamenti - nel timore della ricco e
aggressivo Impero germanico - era alle stelle (con grande piacere e vantaggio
delle ricchissime famiglie di costruttori d’armi, come gli Schneider,
i Krupp e i Wickers).
Politicamente
si affacciavano, accanto e come riflesso delle teorie internazionaliste marxiste,
politiche nazionaliste in ogni Paese. Si consolida il colonialismo e la volontà
di potenza. Dall’altra parte dell’oceano un’America forte
e distaccata dalle cose europee seguiva il popolare presidente Teddy Roosevelt
nel suo slancio imperialista e protezionista allo stesso tempo. In Russia
la Corona zarista comincia a vacillare e ad allontanarsi drammaticamente dalla
società russa. Di lì a poco due rivoluzioni e un golpe (1905,
febbraio 1917, ottobre 1917) cambieranno il volto della Russia.
Serajevo, 28 giugno
1914. L’arciduca ereditario austriaco Francesco Ferdinando e la moglie
Sofia Chotek vengono assassinati nella propria carrozza da uno studente serbo,
anarchico, Gavrilo Princip. La notizia fa rapidamente il giro dell’Europa,
la guerra è imminente, poiché l’Austria si scatenerà
con ogni probabilità contro la Serbia e i complessi meccanismi delle
alleanze continentali si metteranno improvvisamente in moto.
Quando si viene a conoscenza dell’attentato, Parigi è immersa
nel suo ultimo happening mondano: la corsa di cavalli del gran Premio, cui
partecipava la società tutta, il monde, il demi-monde e l’uomo
comune. Due mesi dopo la capitale francese doveva fronteggiare l’avanzata
proveniente dal Belgio "violato" dell’esercito germanico.
Alla frenesia dei balli del Moulin Rouge si sostituisce il crepitìo
dei fucili e delle mitragliatrici. La Belle Epoque era finita.
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QUEL 14 APRILE 1912 - FU PIU' CHE UNA TRAGEDIA
TITANIC: FINE DI UN'EPOCA
di LUCA
MOLINARI
La tragedia che nella primavera del 1912 coinvolse la famosa nave da
crociera non è solo da considerare come uno spiacevole e mortale incidente
avvenuto nel corso della storia.
Esso ha influito in maniera molto più incisiva nella storia e nella
coscienza dell’Europa e dell’intero globo, in quanto ciò influì in maniera
nel segnare la fine di un secolo e di un’epoca; non a caso alla vicenda del
Titanic sono stati dedicati qualcosa come seimila titoli bibliografici e più
di una mezza dozzina di film.
Si è appena detto che la tragedia del Titanic segnò la fine di un secolo:
ciò non è vero da un punto di vista puramente cronologico in quanto la
vicenda avvenne ben dodici anni dopo la data tonda, ma fu determinante per
indicare la fine di un’importante epoca, il secolo positivista.
A partire dagli anni ’30 del XIX secolo si erano diffuse teorie ed idee di
grande fiducia nei confronti della scienza e della tecnologia (la ragione si
era già affermata ed era stata consacrata come elemento guida nella vita
degli uomini già nel periodo illuminista, il XVIII secolo, “l’età dei
lumi”), si credeva che la tecnologia potesse risolvere tutte le
problematiche e le tensioni della vita degli uomini e la fiducia cieca ed
incondizionata nella scienza aveva portato alcuni intellettuali a sostenere
che anche il problema della morte sarebbe stato ben presto risolto.
Tale assoluta dipendenza dalle conoscenze scientifiche si era facilmente
diffusa ed affermata nel corso del XIX secolo grazie al forte sviluppo che
la medicina, la chimica e le altre scienze avevano avuto: molti problemi
millenari erano stati risolti.
Inoltre tutto ciò si inseriva in quadro geo – politico di sostanziale
stabilità: l’Europa disegnata a Vienna nel 1814 da Metternich aveva
resistito e vi era stato il più lungo periodo di pace conosciuto fino ad
allora. Era la “belle époque”.
Si può ben capire come in un siffatto contesto socio – culturale
l’affondamento di una nave ritenuta inaffondabile in quanto massima
espressione del meglio della tecnologia potesse colpire la pubblica opinione
e la coscienza generale.
Il discorso diviene più chiaro se si tiene presente che solo due anni dopo
l’Europa sarà sconvolta dalla Grande Guerra che spazzerà via ogni speranza
(la scienza sarà usata per scopi bellici, quindi per uccidere) e sconvolgerà
le menti degli Europei provocando la fine di buona parte delle classi
dirigenti. Tre millenari imperi, Impero d’Austria – Ungheria, Impero
ottomano, Impero zarista, cesseranno di esistere e saranno smembrati:
l’Austria diventerà una piccola ed ininfluente repubblica, la Turchia
perderà ogni influenza nel vecchio continente ed in Russia sulle note
dell’Internazionale trionferà la Bandiera Rossa con l’affermazione del
comunismo bolscevico leninista.
Come hanno poi scritto molti storici “Nulla fu più come prima”.
L’Europa fu sconvolta dal conflitto che segnò l’inizio di un’epoca di
incertezze che sfocerà nei tre grandi totalitarismi (fascismo, nazismo e
stalinismo) e nella Seconda Guerra mondiale alla fine della quale l’Europa
troverà un nuovo equilibrio, ma perderà la propria centralità a vantaggio
delle due nuove superpotenze: gli Stati Uniti d’America e l’Unione
Sovietica.
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L'affondamento
del colossale transatlantico.
Un filone inesauribile per il cinema e la
narrativa
LA TRAGEDIA DEL TITANIC:
TROPPE VERITA' NESSUNA VERITA'
di FERRUCCIO GATTUSO
Secondo la
mitologia greca i Titani erano divinità potentissime che regnavano sul mondo
prima che il suo dominio passasse , dopo una lunga lotta, a Zeus e alla sua
corte olimpica. Figli di Urano e Gea, i Titani erano dodici, sei fratelli e
sei sorelle: Oceano, Crio, Ceo, Iperione, Giapeto, Teia, Temi, Mnemosine,
Febe, Teti, Crono e Rea. Sconfitti da Zeus, vennero relegati per l'eternità
nelle viscere della Terra. Secoli e secoli dopo, un nuovo Titano sarebbe
apparso sulla Terra, sotto forma di colossale nave passeggeri transoceanica,
e come i dodici "fratelli maggiori" sarebbe assurto a simbolo di imponenza e
di sfida al cielo. Opera dell'uomo e non di un dio, anche il Titanic sarebbe
stato condannato alle profondità, questa volta del mare.
Da quando fu
riscoperto nel 1985 ad opera di una missione franco-americana, il Titanic è
riemerso dalla leggenda per divenire un vera e propria ossessione storica.
Mostre, convegni, commemorazioni e - è cronaca di queste ultimi tempi -
persino un film kolossal hollywoodiano hanno avuto il compito di rievocare
il tragico destino di quella che doveva essere la nave più gigantesca e
inaffondabile mai creata dall'uomo, un prodigio della tecnologia in un
secolo che avrebbe fatto della tecnologia uno delle proprie divinità pagane.
Una sfida nata dall'ottimismo, a sua volta figlio di un'epoca - la belle
epoque - che riteneva di potere tutto, e intendeva celebrare il trionfo
culturale e tecnologico dell'Europa e dell'Occidente. Con la tragedia e
l'affondamento del Titanic nelle gelide acque dell'Atlantico - il 14 aprile
1912, alle ore 23.40 - oltre a 1500 persone, morirono le illusioni di
un'epoca che si sarebbe avviata, entro due anni, al primo conflitto
mondiale.
NASCITA DEL
TITANIC
L'idea del Titanic nacque a Londra nel 1907, da un colloquio tra due
personaggi in vista del mondo della navigazione civile, Lord Pirrie -
presidente dell'impresa di costruzioni navali irlandese Harold & Wolf - e J.
Bruce Ismay, dirigente della compagnia di navigazione White Star Line.
Pirrie aveva proposto la creazione di almeno tre grosse e lussuose
imbarcazioni per poter reggere la concorrenza della rivale Cunard Line.
La Cunard deteneva il quasi assoluto monopolio della rotta atlantica tra
l'Europa e il Nord America, e la White Star - consociata della International
Mercantile Marine di Pierpont Morgan - mirava alla creazione di una linea
che puntasse sulla comodità e il lusso del viaggio, piuttosto che sulla sua
velocità. Nacque così, dall'intreccio economico e tecnologico di Morgan, la
White Star e la Harland & Wolff una linea che andò sotto il nome di
"Olympic" (e la prima imbarcazione fu nominata proprio così).
Il 1907 fu
definito l'annus mirabilis della storia delle costruzioni navali: la
concorrenza tra Cunard e White Star portò alla creazione di due stupendi
transatlantici - il Lusitania e il Mauritania, quest'ultima Nastro Azzurro
fino al 1929. Nello stesso anno la marina militare intensificò la propria
produzione. Caratteristica delle navi di lusso della White Star Line - e
pretesto per differenziarle da quelle rivali della Cunard - era il
riferimento a terminologie mitologiche la cui desinenza era sempre in "ic".
Vezzo della Cunard Line era quello di nominare ricorrendo alla desinenza
"ia", ad esempio "Carpathia". Il 16 dicembre 1908 cominciarono i lavori che
avrebbero portato alla creazione della prima imbarcazione , l'"Olympic", cui
avrebbe seguito il leggendario "Titanic" (lo scalo di costruzione fu
preparato nel marzo 1909). Entrambe le navi vennero costruite a Belfast.
L'Olympic venne varato nel fiume Lagan il giorno 20 ottobre 1910. Si
trattava di un enorme scafo il cui peso era di ben 25.000 tonnellate, si
riuscì ad immergere in acqua ricorrendo a 23 tonnellate di grasso, raggiunse
una velocità di 12, 5 nodi, e per essere fermata necessitava di sei ancore e
otto tonnellate di cavi. La storia della navigazione non aveva mai assistito
alla creazione di un tale gigante. Il Titanic, nave gemella, venne costruita
più brevemente, ricorrendo agli studi e all'esperienza consumata nella
realizzazione dell'Olympic.
LE NAVI GEMELLE
La stupefacente somiglianza tra le due navi (le uniche differenze erano
nella disposizione di alcune finestre del ponte B, sul fianco, e nella parte
anteriore del ponte A, fu enfatizzata a fini pubblicitari dagli stessi
costruttori e dalla White Star. A proposito di questa considerazione, una
delle numerose leggende fiorite intorno al Titanic allude al fatto che a
perire nel famoso disastro non fu il Titanic, bensì l'Olympic "travestito"
da Titanic. La sostituzione della targa sullo scafo e delle piccole
differenze sarebbe avvenuta nell'unica notte in cui - per imbarazzanti
problemi tecnici dell'Olympic durante uno dei suoi primi viaggi - le due
imbarcazioni rimasero ancorate insieme nel porto di Belfast nel 1912. Per
non regalare alla concorrenza la gaffe della neonata Olympic, i dirigenti
della White Star sarebbero ricorsi al "cambio in corsa". Di questa ipotesi,
ovviamente, mancano le prove.
Le sorelle
"olympic" (Olympic e Titanic) avevano un equipaggio di circa 900 persone
(500 addetti ai passeggeri, 325 ai motori e solo 66, tra cui il capitano e 7
ufficiali di coperta, alla navigazione). Nel maggio 1911, al suo primo
viaggio per l'America, l'Olympic nel porto di Manhattan bloccò e quasi
affondò sotto la poppa il rimorchiatore O.L. Halenbeck. Nel settembre dello
stesso anno nel porto di Southampton la gigantesca nave (la cui dote
principale non era evidentemente l'agilità) venne a collidersi con
l'incrociatore corazzato Hawke. I due comandanti erano rispettivamente
Edward J. Smith (comandante dal dubbio curriculum e che sarebbe passato alla
storia come il comandante del Titanic) e Frederick Blunt della Royal Navy.
Seguì un processo che attirò l'attenzione dei media e che ebbe una sentenza
fumosa e compromissoria emessa il 19 dicembre 1911. Quel che contò fu che la
White Star dovette pagare per l'errore di navigazione del proprio pilota.
Una macchia che la White Star decise di cancellare il più presto possibile.
La White Star non ebbe mai la fama di essere una compagnia con un codice
professionale ed etico a prova di sospetto, e infatti un'altra delle
leggende (o illazioni) sulla compagnia in questione riguardava la
possibilità che ad affondare il Titanic fosse stato qualcuno della White
Star stessa, dal momento che la nave era coperta un'assicurazione
ultra-milionaria.
GLI UOMINI
CHIAVE
L'incidente con l'Hawke del 20 settembre 1911 avvenne proprio alla vigilia
del primo viaggio inaugurale del Titanic, direzione New York (data prevista,
il 20 marzo del 1912). L'incidente e la conseguente riparazione dell'Olympic
causò un caos imprevisto nel porto di Belfast. La White Star comunicò che il
ritardo del Titanic sarebbe stato di sole tre settimane (10 aprile). Un
rischio, sicuramente. O una cosa impossibile da realizzare, come insinuarono
molti.
La White Star era nata nel 1845 a Liverpool, in quel tempo il porto più
importante del Regno Unito. Fondata da Henry Threlfall Wilson e dal socio
John Pilkington, nemmeno sette anni dopo era una delle principali compagnie
coinvolte nel commercio con il continente australiano. Figlio di Thomas
Henry Ismay - presidente della Ismay, Imrie & company e uomo ricchissimo -
J. Bruce venne allevato con affetto dal padre, che puntò molto sulla sua
educazione. Dopo un'infanzia nei migliori collegi d'Inghilterra, il giovane
preferì evitare l'università. Dopo un anno vissuto in Francia studiando
presso un insegnante privato, il ventenne J. Bruce cominciò il praticantato
presso l'ufficio del padre. A 24 anni J.B. Ismay cominciò a lavorare per la
White Star, a New York. Nel 1891 divenne socio della Ismay, Imrie & co. e vi
lavorò fino alla morte del padre. Divenne dirigente della ditta e anche
della White Star, dopo poco vendette la ditta e nel 1911 si accordò con
degli americani per fondare la IMM (International, Mercantile Marine). Uno
dei soci, il principale, era J.P. Morgan, colui che fu il vero finanziatore
e proprietario del Titanic. J.P. Morgan era uno degli uomini più ricchi del
mondo. talmente ricco, da salvare gli stati Uniti dall'inadempimento per la
convertibilità del dollaro in oro nel 1895. Figlio di Julius Spencer,
commerciante, e di Juliet Pierpont, nacque a Hartford, Connecticut il 17
aprile 1837.
FORTUNATA...
DISDETTA
Morgan visse per parecchio tempo in Europa, dove seguì il padre per lavoro.
Studiò in Inghilterra e Svizzera, frequentò l'università in Germania, a
Gottingen nel 1856. Nel 1859 era di nuovo in America, a New Orleans,
commerciante di cotone. Qualche anno dopo si buttava nell'industria
ferroviaria, dominando tutto il mercato con la United States Steel. Tipico
esempio del capitalismo pionieristico, morì nel 1913. Banchiere, filantropo
e collezionista di opere d'arte, lasciò tutto il suo patrimonio artistico al
Metropolitan Museum di New York.
Alla vigilia del fatale viaggio del Titanic, J.P. Morgan fece cancellare
all'ultimo momento la propria partecipazione. William James Pirrie,
presidente del consiglio di amministrazione della Harland & Wolff e
dirigente della White Star, fu uno dei collaboratori più stretti di Morgan.
Fu lui a convincere il miliardario a costruire le "olympic" unendo i
facoltosi finanziamenti statunitensi con la conoscenza tecnologica navale
britannica. Nato in Quebec nel 1847, figlio di James Alexander Pirrie e
Margaret Montogomery, W.J. Pirrie studiò a Belfast, e lì cominciò a lavorare
come apprendista alla compagnia di costruzioni navali Harland & Wolff nel
1862. In soli 12 anni ne divenne una delle figure eminenti. Pirrie morì in
mare nel 1924. E' impossibile documentare tutte le leggende, le voci e le
ipotesi che gravitano intorno alla tragedia dell'affondamento del Titanic.
Dopo il fatale 15 aprile 1912 fu un fiorire di aneddoti che miravano a
sostenere la teoria che il Titanic fosse in qualche modo predestinato.
SEGNALI DI
MALAUGURIO
Bastino - in questa occasione - quattro significativi esempi sulla leggenda
della maledizione del Titanic:
1) Il numero dello scafo del Titanic era 390904. Scrivendo a mano un quattro
aperto e i nove senza la curva della stanghetta e mettendo il foglio di
fronte ad uno specchio il numero si trasformerebbe nella frase "No Pope", e
cioè "niente Papa". Un segno di malaugurio, sicuramente, per gli operai del
cantiere di Belfast, in grande maggioranza cattolici, che non mancarono di
lamentarsene con i dirigenti, e che continuarono i lavori solo dopo aver
ricevuto assicurazione che si trattava di una coincidenza;
2) Una poetessa americana , il cui nome era celia Thaxter, nel 1874 scrisse
un inno funebre su una nave che collideva con un iceberg;
3) Il giornalista e spiritualista britannico W.T. Stead ( e che morì a bordo
del Titanic) scrisse ben due racconti a proposito di disastri sul mare -
aggravati dall'assenza di scialuppe (uno dei motivi della tragedia del
Titanic!) - uno dei quali accennava anche alla presenza di un iceberg;
4) Il racconto intitolato "Futility" a firma del mistico Morgan Robertson e
pubblicato nel 1898 nel quale l'autore avanzava il problema della minaccia
degli iceberg per le imbarcazioni che transitavano nel Nord Atlantico.
COMANDANTE
SPERICOLATO
Edward John Smith era noto alla marina mercantile con il nome di "E.J.".
Nacque nel 1850 a Hankley, Staffordshire, nel centro dell'Inghilterra. A 13
anni lasciò la scuola per divenire apprendista a Liverpool per la Gibson &
Company, compagnia di navigazione. Entrò nella White Star nel 1880 come
ufficiale inferiore. Sette anni dopo, incredibilmente, era già comandante.
Dopo solo due anni di massima carica nel suo curriculum appariva il primo
incidente: a guida del "Republic" si incagliò al largo di Sandy Hook, vicino
a New York, il 27 gennaio 1889. In quell'occasione la nave restò immobile
per cinque ore, con i passeggeri a bordo, e una volta libera subì
un'esplosione alle caldaie che uccise tre uomini dell'equipaggio. Ancora due
anni dopo, Smith fece incagliare il "Coptic" al largo di Rio de Janeiro, nel
dicembre 1890. Dopo aver partecipato alla guerra contro i Boeri in Sudafrica
ottenne decorazioni e il rango di comandante della Royal Naval Reserve (era
questo il motivo per cui le sue navi sventolavano la bandiera blu della RNR
e non quella rossa della Marina Mercantile Britannica). Nel 1901 era il
comandante del "Majestic". A bordo di esso ci fu un incendio il 7 agosto del
1901, al largo del porto di New York. Dal 1904 Smith divenne comandante
delle ammiraglie della White Star fino al termine della sua carriera. Fino
al 1907 guidò il "Baltic", sul quale scoppiò un incendio nel bacino di
Liverpool.
BIGLIETTI
COSTOSISSIMI
A bordo dell' "Adriatic" fu protagonista di un ennesimo incagliamento di
cinque ore nel novembre del 1909. A bordo dell'Olympic Smith fu il
responsabile dello scontro, cui abbiamo già accennato, tra l'"Olympic" e
l'incrociatore "Hawke" nel 1911. Nonostante questi avvenimenti, Edward John
Smith veniva considerato - a detta di tutti gli esperti di navigazione e dei
vari comandanti - un personaggio "di alto rango", nonché "dagli ottimi
precedenti". Il varo del Titanic avvenne il 31 maggio 1911, nello stesso
giorno in cui l'Olympic partiva per il suo primo viaggio. Lo stesso giorno
Giorgio V veniva incoronato re.
Costato 7 milioni e mezzo di dollari del 1912, il gigantesco secondo parto
della serie "olympic" raggiungeva la velocità - impressionante per quella
stazza - di circa 23 nodi. Lungo quasi 270 metri, aveva un timone che da
solo pesava "più della Santa Maria", una delle tre mitiche caravelle di
Cristoforo Colombo dirette verso il Nuovo Mondo. Il costo del biglietto -
diviso in tre classi - andava dai 3100 dollari ai 32 dollari, e cioè dai 217
milioni di lire attuali ai due milioni e mezzo. La partenza vera e propria,
in occasione del viaggio inaugurale, avvenne a mezzogiorno del 10 aprile
1912, dal porto di Southampton. La grande nave uscì dal molo grazie
all'intervento di sei rimorchiatori, ma già durante questa manovra rischiò
di collidere con la nave di linea "New York". La disposizione dei passeggeri
del Titanic seguiva un ordine alquanto rigoroso per tre classi. In un certo
senso la nave assurse ad una sorta di microcosmo nel quale le divisioni di
classe della società venivano riprodotte fedelmente.
Ai piani più alti, naturalmente, stava la prima classe. Saloni da ballo,
ristoranti, sala fumatori, orchestra e veri appartamenti facevano da
stridente contrasto con le piccole camere della seconda classe e le cuccette
della terza. In terza classe c'erano moltissimi emigranti di tutte le
nazionalità, ma soprattutto irlandesi: qualche borsa e molta speranza nelle
possibilità del Nuovo Mondo: questo era tutto ciò che avevano. Nel gruppo
della prima classe si trovavano i più facoltosi membri della nobiltà e della
borghesia.
CROCIERA PER
SUPER RICCHI
Il primo viaggio del Titanic - pubblicizzato con una campagna senza
precedenti - fu soprattutto un'occasione per coloro che venivano considerati
"i nuovi ricchi" per poter sfoggiare il proprio benessere e la propria nuova
condizione sociale. Tra i facoltosi americani vi erano personaggi come Emil
Brandeis e Benjiamin Guggenheim. A bordo - come "semplice passeggero" -
c'era anche J. Bruce Ismay, uno dei realizzatori del Titanic.
A quanto affermarono le cronache Ismay non aveva alcun ruolo sulla nave.
Durante il processo che seguì al disastro si avanzò l'ipotesi che Ismay
fosse uno dei responsabili, insieme all'accondiscendente comandante Smith,
del fatto che il Titanic viaggiasse alla massima velocità. Ismay, sempre
secondo questa teoria, avrebbe spinto il comandante ad accelerare l'arrivo
in America: l'approdo a New York con 24 ore di anticipo avrebbe costituito
un richiamo pubblicitario irresistibile sui media, e avrebbe imbarazzato la
concorrenza della Cunard.
Al momento della collisione con l'iceberg, se il Titanic avesse viaggiato a
velocità inferiore, avrebbe potuto evitare sicuramente l'impatto.
Dopo l'ultimo
addio all'Europa, lasciando il porto di Queenstown alle 13.30 dell'11
aprile, una cornamusa irlandese intonava "Il Lamento di Erin": la suonava un
passeggero di terza classe, tale Eugene Daly. Da quel momento la nave si
sarebbe diretto verso il mare aperto, che sarebbe stato da lì a qualche
giorno la sua tomba. Il Titanic avrebbe seguito una rotta lungo il nord
dell'Oceano Atlantico, sfiorando le acque gelide a sud della Groenlandia.
Questa zona diveniva pericolosa soprattutto in una condizione: quando la
temperatura si alzava più del normale. In quel caso, enormi banchi di
ghiaccio si staccavano dal continente e prendevano la via del sud. L'iceberg
è una vera e propria montagna di ghiaccio. Può sembrare inverosimile, ma
solo un ordigno nucleare è in grado - a tutt'oggi - di annientare un
iceberg.
TELEGRAMMA
MISTERIOSO
Queste imponenti montagne di ghiaccio vagano per l'oceano trascinandosi
dietro un odore sgradevolissimo di putrefazione; mentre si sciolgono,
infatti, vengono in superficie resti di carcasse e di fossili rimasti
incagliati per chissà quanti anni. E' relativamente facile avvistare quindi
un iceberg, per due motivi principali: il primo è quello dell'odore, il
secondo è riferito alla sua capacità di riflettere la luce. Il vento, che
quasi sempre spira in mare aperto, riflette facilmente la luce delle stelle
e della luna.
Il giorno della tragedia, un'incredibile concatenazione di eventi impedì di
avvistare in tempo l'iceberg assassino. Il 14 aprile, infatti, era una notte
incredibilmente limpida, ma senza il minimo alito di vento. In più la
mancanza totale della luna rivelava un magnifico cielo stellato, ma che
sarebbe stato fatale. Per finire, l'aprile del 1912 fu caratterizzato da una
primavera alquanto precoce. Da anni non si registrava in quella zona delle
temperature così alte, cosa che portò ad una proliferazione considerevole di
iceberg.
Alle 13.42 del
14 aprile, il comandante Smith ricevette un messaggio telegrafico
importantissimo: il Baltic avvisava della presenza di enormi banchi di
ghiaccio sulla rotta. Questo messaggio è uno dei grandi misteri del Titanic:
Smith lo mostrò a Ismay, che lo tenne in tasca per ben cinque ore, senza che
nessuno dei due si sentisse in obbligo di avvertire il resto
dell'equipaggio. Dopo quel messaggio, il Titanic ricevette almeno altri
cinque avvertimenti nel corso della fatidica giornata del 14 aprile. Un
altro elemento inquietante sarebbe quello che uno dei due avvistatori, tale
Fleet, aveva comunicato per ben tre volte nell'arco di mezz'ora la presenza
dell'iceberg, ma senza ottenere ascolto dagli ufficiali di turno Murdoch e
Moody. La testimonianza di Fleet pare non sia mai emersa durante i processi
che seguirono al disastro. Fleet , uno dei pochi sopravvissuti, avrebbe - si
dice - ottenuto un congruo contributo dalla White Star affinché tacesse.
L'uomo condusse una vita infelice fino al 1965 quando - all'età di 77 anni -
si suicidò in occasione del trentennale del proprio addio al mare (aveva
lavorato, in seguito al disastro, sull'Olympic).
Il primo avvertimento giunse al Titanic dalla nave Caronia, di proprietà
della Cunard.
QUEL TRAGICO
GIORNO
"Al capitano, Titanic - recita il verbale della trasmissione - navi dirette
a ovest riferiscono presenza ghiacci; piccoli iceberg e banchi di ghiaccio a
42° nord da 49° a 51° ovest, 12 aprile. saluti - Barr". Il messaggio,
risalente a due giorni prima, fu recapitato dal Titanic solo due giorni
dopo, in piena zona di mare pericolosa. Il secondo avvertimento, il più
importante, arrivò - come detto - ad opera del Baltic, alle 13.42 dello
stesso giorno 14: "Al capitano Smith, Titanic - questo il testo - Avuti
venti moderati, variabili, tempo bello e scoperto dalla partenza. Motonave
greca Athinai riferisce passaggio iceberg e grandi quantità banchi di
ghiaccio oggi a 41° 51' lat. N e 49° 52' long. O. Auguri a lei e al Titanic
- il comandante".
Questo messaggio rimase incredibilmente in mano di Ismay fino alle 19.15,
poche ore prima del disastro. Alle 19.30 un altro messaggio arrivò al
Titanic: la Californian comunicava all'Antillian la presenza di tre grossi
iceberg a cinque miglia a sud della nave (posizionata a 42° 3' lat N, e 49°
9' long. O). Alle 21.40, ora in cui il comandante Smith si ritirò nel suo
alloggio, la Mesaba comunicava al Titanic un avvertimento specifico: "Da
Mesaba a Titanic e a tutte le navi dirette a est. Presenza di ghiacci alla
latitudine di 42° N a 41° 25' N, long. 49° a 50° 30' O. Avvistati grossi
pack di ghiaccio e vari iceberg. Anche banchi di ghiaccio. tempo buono,
scoperto".
L'area era precisamente quella dove il Titanic navigava. Non si sa se questo
importantissimo messaggio arrivò al comandante Smith, quello che è certo è
che la nave non diminuì di un nodo la propria velocità sostenuta.
Il sesto avvertimento avvenne alle 22.30 dalla Rappahannock, una nave da
carico britannica che passava poche miglia più a nord e si dirigeva ad est,
danneggiata dal ghiaccio nel timone avvertiva il Titanic del pericolo. Il
Titanic rispondeva così: "Messaggio ricevuto. Grazie. Buona notte."
Venticinque minuti più tardi il Californian comunicava direttamente al
Titanic: "Bloccati e circondati dal ghiaccio...", ma venne interrotto prima
di poter chiarire la propria posizione.
ORE 23.40: LA
COLLISIONE -
Secondo le due vedette - il già citato Frederick Fleet e Reg Lee - verso le
23.30, e cioè solo dieci minuti prima dell'impatto con l'iceberg, una
leggera nebbia si alzò davanti alla nave. Da quella foschia sarebbe apparsa
improvvisamente la morte, nella forma di "una massa nera, leggermente più
alta della sommità del castello di prua." All'avvertimento di Fleet, il
timoniere Robert Hitchens, 30 anni, al timone dalle ore 22.00 girò la ruota
al massimo, tentando una virata a sud di 40°. Il tentativo era quello di
passare improvvisamente a sinistra dell'iceberg, sfiorandolo con il fianco
destro della nave.
Per ordine del comandante i motori che viaggiavano a pieno ritmo furono
prima interrotti, per poi fare - con eguale potenza, tutta "macchina
indietro". Il risultato fu una sorta di frenata in curva. Dall'avvertimento
all'impatto ci furono solo 450 metri, una misura irrisoria soprattutto in
campo marittimo. Durante le prove il Titanic dimostrò di saper arrestarsi in
780 metri, quando procedeva alla velocità di 20 nodi. Quello che avvertirono
i passeggeri al momento dell'impatto dipese dal luogo dove si trovarono.
Molti dissero che sembrava "una catena fatta scorrere sul verricello". altri
ebbero l'impressione che si fosse realizzato uno "scontro con un'altra
nave", altri ancora parlarono di uno "stridente suono metallico", altri di
"un rumore sordo" o "un boato simile a un tuono".
Molti pensarono
che si fosse staccata una parte di elica, eventualità che accadeva
abbastanza spesso durante i viaggi del tempo. Quel che appariva certo era
che il Titanic (alle fatidiche coordinate 41° 46' lat. N e 50° 14' long. O)
si era schiantato irrimediabilmente contro una montagna di ghiaccio. Per
cinque minuti dopo l'impatto la nave arretrò. Venti minuti dopo, il
comandante E.J. Smith aveva la piena convinzione che il Titanic era perduto.
Cinque compartimenti stagni della nave si erano allagati in pochissimo
tempo. Se se ne fossero allagati quattro la nave avrebbe potuto tentare di
proseguire verso la salvezza. Alle ore 00.05 di lunedì 15 aprile il
pavimento del campo di squash sul ponte F era allagato fino a 10 metri al di
sopra della chiglia.
MORTE CON RAG
TIME
L'acqua gelida del Nord Atlantico che entrava nella sala caldaie (dove
logicamente la temperatura era altissima) provocava esplosioni a catena.
L'appello del Titanic venne captato da sedici navi, ma la più vicina - la
Carpathia -- era a non meno di quattro ore di distanza, anche ricorrendo
alla massima velocità. Il Titanic sarebbe affondato in meno di due ore. Sul
Titanic, per quanto possa sembrare incredibile, non esistevano altoparlanti;
la notizia del disastro fu comunicata ai passeggeri quindi dai camerieri e
dall'equipaggio. Per calmare la gente, l'orchestra del Titanic - composta di
otto membri e diretta da Wallace Hartley, di Colne, Lancashire - cominciò a
suonare un ragtime nel salone della prima classe, poco dopo la mezzanotte.
Tutti gli orchestrali non avrebbe smesso di suonare fino al completo
affondamento della nave, pienamente consci di essere sul punto di morte.
Alle 00.25 il comandante Smith diede l'ordine di preparare le scialuppe e di
far salire per primi le donne e i bambini. Alle scialuppe è legato uno dei
fatti più incredibili e tragici della leggenda del Titanic: al tempo non era
obbligatorio che le navi avesse un numero di scialuppe tale da poter
accogliere tutti i passeggeri. Il lussuoso Titanic in origine le aveva, ma
per una ragione estetica e di spazio sui ponti si preferì portarne di meno.
Solo metà dei
passeggeri, in caso di pericolo, avrebbe potuto salvarsi, una
considerazione, questa, che non preoccupò gli uomini della White Star Line,
convinti dell'inaffondabilità del Titanic. Questo aspetto, legato al fatto
che - in conseguenza del panico - molte scialuppe vennero calate con
pochissime persone a bordo, causò un numero di vittime maggiore di quello
preventivato. Dal disastro del Titanic si sarebbero salvate solo 700 persone
su 1500. Di coloro che finirono nel gelido mare (la temperatura intorno alla
nave era di -2° C, letale per qualsiasi essere umano che vi rimanesse anche
per pochi minuti), solo sei persone vennero ripescate. Delle scialuppe che
si allontanarono velocemente dalla nave che affondava, per paura di essere
risucchiate, solo una tornò sul luogo per accertarsi che ci fossero
sopravvissuti.
DINAMICA
DELL'AFFONDAMENTO -
Su una di quelle scialuppe, nascosto come un ladro, c'era nientemeno che J.
Bruce Ismay, che era riuscito a farsi strada a spintoni tra i pochi uomini
che poterono salvarsi per ultimi. L'orgoglioso realizzatore del Titanic,
colui che spingeva Smith affinché la nave andasse a pieno ritmo per
dimostrare la propria potenza, giaceva infreddolito in mezzo al mare
osservando all'orizzonte il suo gioiello affondare nel silenzio. La dinamica
dell'affondamento del Titanic fu impressionante. Avendo scontrato l'iceberg
nella parte anteriore destra e poi lungo buona parte del fianco, il Titanic
cominciò ad imbarcare acqua a prua. La nave si inclinò quindi in avanti,
sollevando in modo impressionante la poppa. Le cronache narrano di una scena
apocalittica: centinaia di persone cercavano di evitare la fine "scalando"
la coperta della nave diretti verso la poppa che si alzava sempre più.
Arrivata ad una certa inclinazione il Titanic - come se fosse un grissino -
si spezzò nell'esatta metà, e la parte posteriore ricadde orizzontalmente
sullo specchio d'acqua. In pochi secondi la parte di poppa tornò ad alzarsi
verticalmente, per poi affondare come se fosse un palo a velocità
impressionante. Alle ore 2.30 del 15 aprile 1912 il Titanic, martoriato,
giaceva in silenzio sul fondo dell'Oceano Atlantico.
Dei 711 superstiti, 203 erano di prima classe, 118 di seconda e 178 di
terza; a ciò si aggiungano 212 membri dell'equipaggio. Sopravvissero il 33%
degli uomini e il 97% delle donne di prima classe, l'8% degli uomini e l'86%
delle donne di seconda classe, il 16% degli uomini e il 46% delle donne di
terza classe. Il Carpathia arrivò sul luogo del disastro quattro ore dopo
l'impatto tra l'iceberg e il Titanic. Comandante della nave della rivale
della White Star Line, la Cunard, era Arthur Henry Rostron, che sarebbe
passato alla storia come uno degli incontrastati eroi della vicenda. Il suo
atteggiamento fu indubbiamente deciso e la sua capacità di comando fu
improntata alla massima efficienza. Il Carpathia comparve all'alba del 15
aprile 1912, fortunatamente semivuota poiché stava compiendo il viaggio di
ritorno dal Nuovo Mondo. Diretta verso lo stretto di Gibilterra fece marcia
indietro e si diresse a tutta velocità verso il luogo del naufragio.
SPAVENTOSA ALBA
Erano le 00.25. L'ultimo messaggio inviato dal Titanic al Carpathia avvenne
alle ore 1.55 del mattino e fu "Sala macchine piena fino alle caldaie".
Rostron ordinò di limitare le luci e riscaldamento all'interno della nave,
poiché tutta l'energia sarebbe servita ad aumentare la velocità. nel
frattempo fece sgomberare il ponte della nave, liberando anche il minimo
spazio ingombrato da oggetti superflui. Venne preparata una sala per i
medici a bordo, nonché coperte e cibo caldo. La scena che si presentò al
Carpathia quella maledetta alba del 15 aprile fu indimenticabile: le
minuscole scialuppe sopravvissute galleggiavano silenziose in un'area
estesissima, dove dominavano almeno due dozzine di enormi iceberg alti più
di 60 metri. Come scrisse Rostron, "non galleggiava in superficie nemmeno un
frammento del relitto, forse un paio di sedie a sdraio, qualche cintura di
salvataggio, molto sughero ma niente di più di quei resti che spesso vengono
trascinati sulla spiaggia dalla marea. La nave era affondata trascinando
tutto con sé. Ho visto un solo cadavere in acqua, nessuno era riuscito a
sopravvivere in quel mare gelido."
L'ultimo resto
del Titanic, il canotto A, venne avvistato e raccolto da una nave della
White Star il 13 maggio: vi erano a bordo tre cadaveri che vennero sepolti
in mare dopo un'orazione funebre. Per anni, fino al 1985 quando una
spedizione franco-americana avvistò i resti del Titanic, si favoleggiò delle
immense ricchezze che sarebbero rimaste nelle casseforti della grande nave.
Le ricerche stabilirono che nulla era rimasto, e che forse non aveva poi
molto senso continuare a violare un luogo legato alla tragedia di tanti
innocenti. Da decenni ormai il Titanic giace, finalmente in pace, sul fondo
dell'Oceano Atlantico. Libero dalla cupidigia degli uomini, può oggi
riposare nel suo scheletro spezzato il lontano ricordo di quella possanza
che lo fece apparire invincibile quella mattina di aprile del 1912, nel
porto di Belfast. In fondo al mare, nell'assordante silenzio che regna tra i
lussuosi saloni da ballo della prima classe, risuona solo il canto funebre
di una delle più grandi sconfitte tecnologiche dell'uomo.
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