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Divorzio dell'ultimo grande
Anche Valentino Parlato
lascia "Il Manifesto"
Nella storia gloriosa del manifesto è sempre circolata una
battuta-birignao che chiunque sia stato vicino a quel collettivo,
anche alle singole persone che l'hanno fondato, si sentiva
subito raccontare. "Cosa pensa Rossana, cosa scrive Luigi, dov'è
Valentino?". La penna era Pintor, l'intellettuale, la filosofa
era Rossanda, l'uomo del fare, il finanziatore, quello che
sapeva tenere i contatti anche in partibus infidelium - per
esempio con banchieri e imprenditori del capitalismo
all'italiana - beh, quello è sempre stato Valentino Parlato.
Colpisce così due volte la notizia ultimissima: anche Valentino
- come tutti l'hanno sempre chiamato, dai fattorini di via
Tomacelli a grandi imprenditori che, pur nel totale dissenso, lo
hanno talvolta aiutato a far vivere il giornale - lascia il
quotidiano, alle prese con la crisi più grave della sua storia.
Parlato in sostanza se ne va dicendo che avrebbe dovuto seguire
già l'addio della Rossanda. E se le sue parole sono meno
polemiche di quella della fondatrice, gli argomenti però paiono
durissimi. "Cara Norma, la crisi non è solo di soldi, ma anche
di soldati e di linea. Anche la riunione del 4 novembre non so
che fine abbia fatto". E' il motivo per cui "quel che state
facendo, sulla nuova cooperativa e sul possibile rilancio del
giornale, non mi convince affatto". La risposta della Rangeri,
che sta coordinando questa fase difficilissima, è gentile ma
amara non meno. Norma rivendica la scelta della direzione di
concentrarsi innanzitutto sulla costituzione di una nuova
cooperativa, "è quello il nostro agire politico, il modo per
tenere aperto uno spazio di confronto per tutti". Ripete anche
un impegno che assunse fin dall'inizio: superato lo scoglio
della nuova cooperativa, la direzione avrà esaurito il suo
compito. Insomma, non è una quesitone di poltrone (ma nessuno
l'ha mai minimamente pensato). Evidentemente, sono
rassicurazioni che non bastano.
Dopo Rossanda, dopo lo storico caporedattore Marco D'Eramo, dopo
l'addio di Ale Robecchi, il corsivista puntuto, e di Vauro, il
vignettista geniale (entrambi approdati al Fatto quotidiano,
traslazione sintomatica e non casuale), capita dunque quello di
un altro, pesantissimo, del gruppo dei fondatori. E' difficile
da oggi pensare di poter parlare di manifesto senza chiedere
lumi a Valentino, acquartierato nella sua ridotta a Monti, ma
sempre coinvolto nella vita del giornale, sempre disponibile a
illuminare, far capire, e anche a sperare. C'è davvvero qualcosa
che non va più, se anche Valentino ha perso quella speranza.
twitter @jacopo_iacoboni
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