Il mio
viaggio virtuale
a Tripoli
con Google Earth
Punta
Ala, 26 agosto 2008,
E'
quasi mezzogiorno e mi sono appena svegliato. Oggi e il mio
compleanno, compio sessanta anni. Sono rientrato in casa verso le
sette del mattino, dopo aver accompagnato, con la mia in macchina,
all'aeroporto Pisa mio cugino Enzo Accardi, dopo che è stato
nostro ospite per due settimane. Siamo partiti col buio alle tre di
notte per raggiungere l'aeroporto in tempo utile per il check-in del
bagaglio e per ritirare la sua scheda d'imbarco. La sua destinazione
è Marsala, dove vive e lavora come insegnante comportamentale
presso un Istituto Tecnico Statale.
Sono
ancora disteso pigramente sul mio letto, ancora immerso nel torpore
di un dolce dormiveglia, dopo una notte passata in bianco. In queste
poche ore di sonno mattutino ricordo confusamente di aver fatto un
breve sogno strano ma piacevole. Ricordo questo sogno solo in alcune
parti e non nella sua interezza, nelle sue immagini sbiadite che
scorrono disorganiche e a scatti, come quelle di un vecchio
fotogramma. La cosa strana era come se mi trovassi a Tripoli, si
proprio Tripoli, la città libica dove io sono nato.
Ancora
avvolto da un pigro torpore, decido di alzarmi, di vestirmi e di
andare in cucina per prepararmi un'abbondante tazza di caffè con la
confortevole speranza di svegliarmi completamente. Con la tazza
ancora fumante passo dalla cucina al mio studio, dove su una
scrivania troneggia un mio computer portatile HP di15 pollici.
Mi
siedo sulla mia comoda sedia girevole di similpelle, morbida ed
ampiamente inbottita. Accendo il computer. Aspetto pazientemente un
paio di minuti prima che il mio computer si connetta ad internet,
sorseggiando il mio caffè. Nel frattempo prendo anche appunti
su un block notes, scrivo alcune parole incolonnate da sinistra verso
destra, dall'alto verso il basso. Le prime parole che scrivo
provengono dai quei flash di immagini che dicevo prima. Vedo mare,
barche arenate sulla battigia di
una spiaggia, vedo deserto con dune mosse del vento, vedo datteri
maturi che cadono dalle loro palme ed io li raccolgo da terra.
E'
evidente che sono immagini legate ai miei ricordi del paese dove io
sono nato sessanta anni fa. Per la cronaca avevo mia madre mi diceva
che ero nato in un caldo ed assolato mercoledi pomeriggio
nell'Ospedale Principale di Tripoli, quello che era ubicato sulla
strada che andava verso Collina Verde.
Vedo
che finalmente il mio computer si è connesso. La prima cosa che
faccio è controllare se ci sono messaggi nella casella del mio
indirizzo di posta elettronica. Ci sono vari messaggi, ma uno in
particolare attira la mia attenzione. E' un messaggio che mi viene da
Google. Dice così: Please
update your Google Earth program, mi
chiede di aggiornare il programma Google Earth. Ricordo
di aver scaricato questo programma sul mio computer qualche mese
fa. Ricordi che quando si apre appare una immagine del Globo
terrestre, immagine che credo venga prodotta attraverso dei
fotogrammi satellitari, fotografie aeree e dati topografici, ma non
sono andato oltre. Inoltre credo sia un software che occupa molta
memoria nel computer e che può essere utilizzato solo se
si ha una connessione ad una linea telefonica a banda larga. Perchè
non provarlo proprio ora, visto che il caffè mi ha schiarito la
mente?
Penso
al mio sogno, penso malinconicamente a Tripoli, penso che sarebbe
bello ritornarci da svegli, ma pare che in questo momento non sia
possibile, almeno per me. Attualmente purtroppo esiste
una strana norma
voluta dal colonello Gheddafi, che impedisce agli italiani,
nati in Libia, con meno di 65 anni di età, di poter usufruire del
visto d'ingresso in Libia.
Vado
sul desktop clicco con il mouse sull’icona che simboleggia "Google
Earth", che ho posto in evidenza in cima a destra sullo schermo
del mio portatile. Dopo qualche secondo di attesa appare una nitida
immagine del globo terrestre vista da un satellite artificiale. Mi
immedesimo nella visione ed immagino. Ora ho la sensazione di
trovarmi da solo all'interno di una astronave spaziale, che arriva da
un posto imprecisato dello spazio. Sono io che manovro il mouse
come se fossi il comandante-pilota di questa immaginaria astronave
che ne manovra i comandi .
Ha
così inizio il
mio viaggio virtuale a Tripoli con Google Earth ,
legato ai miei ricordi di gioventù.
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La Terra vista da
63059,60 km |
Sul
monitor ora mi appare una palla (il Globo Terrestre), spruzzato qua e
là di nuvole, color blu-chiaro (gli Oceani) con delle macchie
grigie (i Continenti) immerso in un campo nero (lo Spazio), ricco di
minuscoli punti bianchi luminosi (le Stelle) .
In
basso a destra c’è un altimetro che mi segnala la mia distanza
dalla Terra e che in questo momento è pari a 63059,60
chilometri. Sulla parte alta a destra dello schermo c’è un cerchio
che rappresenta una bussola. Tocco il cerchio con il mouse, il
cerchio si allarga e accanto appaiono due linee, una verticale e
l’altra orizzontale. Quella verticale ha in cima un segno “+”
ed in basso un segno “-“. E' lo zoom, che serve ad avvicinarmi o
allontanarmi dalla Terra. Scusate ma ancora non ho capito a cosa
serve la linea orizzontale. Sullo schermo in basso a sinistra
c’è un puntatore con dei numeri che scorrono veloci quando muovo
il mouse e indicano le coordinate terrestri.
Che
faccio? Mi dirigo verso la Terra? Ma dove vado? Penso ancora al mio
ultimo sogno. Decisamente destinazione Tripoli, Libia.
La
prima cosa che mi viene in mente è di sapere e vedere se
esiste ancora la strada della mia casa dove sono nato ne
l 1948 e dove
vi ho vissuto per circa ventidue anni, fino al 1970. L'indirizzo di
quella casa è Via Manfredo Camperio n. 10. Mi domando quante
volte ho visto scritto questo nome nelle lettere e nelle cartoline
che ho ricevuto ed inviato in quei ventidue anni che sono vissuto a
Tripoli. Mi chiedo Via Manfredo Camperio esisterà ancora?
Oppure ora ha un altro nome? Non lo so, vedremo.
Sulla
parte alta a sinistra dello schermo c’è una casella
bianca. Ci scrivo dentro la parola “Libia” e con il
mouse confermo con un clik. I numeri dell’altimetro si
cominciano a scendere sempre di più. Mi sto avvicinando ad altissima
velocità alla Terra, ed in particolare alla Libia.
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L'altimetro
segna che siamo ad una altezza di 2097,45 chilometri. Ho quasi
le vertigini. Sul monitor comincia a lampeggiare na scritta
gialla con il nome “Libia. Più sopra al limite dello schermo
vedo anche una scritta bianca “Tarabulus”. Vedo nuvole e
macchie grigie, marroni, gialle. Nello stesso posto, in alto a
sinistra del computer, dove è rimasta scritta la parola “Libia”
aggiungo la parola “Tripoli”. Tocco il tasto dell'invio e
mi trovo a scendere ancora più giù, questa volta più lentamente,
sulla zona di Tripoli ad un’altezza di nove
chilometri e mezzo, più o meno la stessa quota su cui volano gli
aerei di linea, dopo il decollo. Malgrado l'altezza individuo un
puntino piccolissimo, presumo sia il Castello Rosso e lo prendo come
punto di riferimento. Il puntatore segna ora le seguenti
coordinate: 32 gradi, 53 primi, 24.45 secondi NORD e 13 gradi, 11
primi e 35.56 secondi EST. Sono le coordinate terrestri che indicano
il punto su cui è il Castello Rosso sulla Terra. Vedo
la costa libica, il mare scuro e poi più chiaro dei suoi
fondali. Si distingue bene il porto. strade e viali si
intersecano, sembrano le vene ed le arterie di un corpo. Ci sono
anche alcuni minuscoli pallini azzurri. Li sfioro appena con il
mouse. In sovrimpressione appare una scritta che indica che quei
pallini sono delle foto. Clicco sopra e appaiono
alcune foto del centro di Tripoli e dintorni. Andando con il
mouse sulla parte alta dello schermo e toccando la linea
orizzontale sopra il cerchio, mi rendo conto che spostando il
mouse da destra verso sinistra e viceversa il piano terrestre si
ribalta da 0 a 90 gradi e viceversa, dando all’insieme
un’affascinante impressione tridimensionale. Toccando poi la
circonferenza della bussola posso ruotare l'immagine di 360 gradi. Mi
rendo conto che avvicinandomi sempre di più al suolo le funzioni
automatiche diminuiscono. Sto più attento e decisamente prendo in
mano il controllo della situazione. Sposto il mouse sulla linea
verticale e clicco sul segno “+”, quella dello zoom, per
avvicinarmi di più al suolo. Scendo ancora, ora sono ad una distanza
di 1,51 chilometri dal suolo.
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Tripoli, Zona Lido
vista da 1250 metri di altezza |
Tripoli, Zona Lido
vista da 789 metri di altezza |
Mi
sposto leggermente ad ovest del Castello per andare finalmente
alla ricerca della mia via, la via Manfredo Camperio. Muovendomi
ancora col mouse verso ovest vedo dove è ubicato lo Stadio
Municipale,ora, denominato "11
Giugno",
e
vedo anche quella che un tempo doveva essere la Via Amerigo Vespucci,
dove mio padre aveva la sua bottega di fabbro. Ancora non vedo Via
Manfredo Camperio. Zoommando ancor di più constato che il numero
delle di strade e e stradine è aumentato in maniera
considerevole rispetto a 37 anni fa. Ma ancora non riesco ad
orientarmi. Ho un idea! Guardo il mare in cerca di uno scoglio che io
conosco bene. L'ho trovato, eccolo! Questo scoglio dista
approssimativamente 800 metri dalla spiaggia del Lido Vecchio.
Noi tutti lo chiamavamo semplicemente "Lo
Scoglio".
Mia
madre affacciata alla terrazza e a distanza lo Scoglio
Questo
scoglio fu meta, con i miei amici, di robuste nuotate in anni
giovanili e di numerose immersioni subacquee per la pesca di
ricci, cernie, saraghi. E' ancora un punto di riferimento importante
ed immutabile perchè io mi possa orientare meglio? Vedremo.
Ora
col mio mouse scendo a 304 metri di altezza. Metto a fuoco i
miei ricordi d'infanzia, cerco di ricordare i particolari di
Via Manfredo Camperio, per cercare di trovarla fra tutte queste
numerose strade con nomi nuovi che mi disorientano in un turbinio di
incroci e di rotonde. Quello che focalizzo ora è una strada
larga, sembra un grande viale, denominato Al Kurnish Road, che
parte dalla zona del Porto e si snoda lungo quella parte
dove era situato l'Ex Monumento dei Caduti, ora sede di grattacieli e
di lussuosi alberghi con vista mare (vedi foto in basso, colonna sei,
foto uno e due da sinistra), costeggia le spiagge del Lido
Vecchio e del Lido Nuovo e si congiunge a Sciara Omar El Muktar
vicino alla zona del Lido, inglobando la mia Via Camperio.
Quando me ne rendo conto, provo un senso di delusione ed
insieme di fastidio. Via Camperio non esiste più! Ma i miei ricordi
ci sono ancora e nessuno me li potrà cancellar. Io abitavo,
quasi al centro di Via Camperio, a circa 100 metri dal cancello
ingresso della spiaggia del Lido Vecchio, in un palazzo tutto
pitturato di bianco. Questo palazzo era composto da quattro
appartamenti, due al piano terreno e due al primo piano, coperti da
un enorme terrazza. Io abitavo in uno di questi appartamenti,
al piano terreno, nella parte destra entrando dal grosso
marrone portone d'ingresso del palazzo Nello stesso palazzo, sempre
al piano terreno, porta contro porta, vi abitava la famiglia D'Amico.
Anche loro hanno vissuto lì per tanti anni. Al secondo ed ultimo
piano del palazzo c'era una grande terrazza, che occupava tutto lo
spazio del perimetro del palazzo. Quella terrazza era condominiale
ma, da un lato, c'erano quattro ripostigli, di circa otto metri
quadri di area cadauno, tutti provvisti di lavatoi che servivano a
lavare a sciacquare la biancheria, che poi veniva stesa ad asciugare
su delle solide corde per stendere i panni, corde sorrette da dei
paletti in ferro che mio padre stesso aveva fabbricato. Quando
preferivo giocare all'aria aperta anziche dentro casa, andavo in
terrazza. Da questa terrazza si ammirava un bellissimo panorama con
vista mare. Lì aiutavo mia madre a stendere i panni, sempre lì, una
volta l'anno, mia madre lavava la lana grezza dei nostri
materassi per asciugarla al sole ed io l'aiutavo ad allargarla e
renderla più soffice e rimetterla dentro i materassi. Sempre
sulla Via Camperio, in una villetta dall'altra parte della strada, ci
abitava la famiglia Salemi. Più avanti sullo stesso lato c'era
il palazzo dei Cannucci, poi il cancello verde della villetta dei De
Marchi, subito dopo quello marrone di ferro dei Cubisino,
infine all'angolo con Corso Sicilia c'era il bar mescita di Michele
Gaudio.
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|
Tripoli,
percorso Corso Sicilia
visto da 540 metri di altezza |
Qui
comincia il mio percorso a piedi. Parto dal bar di Michele e mi avvio
verso il Centro Città lungo Corso Sicilia, una strada a doppio
scorrimento con macchine che andavano verso est al Centro città
mentre sull'altra carreggiata andavano verso ovest, verso
Giorginpopoli e Gargaresh. Sulla parte destra del viale (che noi
verrà chiamato Sciara Omar el Muktar) non c'erano costruzioni, ma
solo alberi (tamerici e spini di giuda), più in dentro, trenta metri
più in là, c'erano i binari della vecchia ferrovia. Questo viale mi
fa venire in mente un momento della mia infanzia. Dovevo avere circa
quattro anni quando per un certo periodo di tempo verso mezzogiorno
venendo da casa nostra in Via Camperio, mia madre ed io,
attraversavamo Corso Sicilia per andare verso i binari della Stazione
Ferroviaria di Tripoli. In quel periodo mio padre, che era capo
operaio presso l'officina dei Fratelli D'Alba, aveva il compito di
smantellare i binari della ferrovia. Quindi noi gli portavamo il
pranzo in un panierino, Molte volte restavamo con lui ci sedevamo
all'ombra di qualche albero vicino ed insieme facevamo una sorta di
picnic.
Dall'altra
parte del viale sul lato sinistro c'era una fila di case abitate
dalle alcune famiglie. C'erano i D'Anna-Veri, i Pozzati, i Gallo, gli
Annino, i Branciamore. Poi alla confluenza di Via Dante
(chiamata poi Al Ma'arri Street) con Corso Sicilia, c'era la casa dei
fratelli Barabani, che avevano l'officina meccanica accanto a
quella di mio padre, in Via Amerigo Vespucci, di fronte allo Stadio
di calcio. Proseguendo più avanti, sul lato destro di Corso
Sicilia, vicino al Palazzetto dello Sport, c'era una vasta area
recintata, che veniva usata per stivare legnami ed altri
materiali di legno, in cui ci abitava la famiglia di un mio compagno
di giochi d'infanzia, Corrado Spatola. Pià avanti sulla destra,
quasi di fronte all'ingresso principale della Fiera, c'erano un
gruppo di appartamenti a due piani, che si distinguevano per i loro
balconi protetti da chiusure a graticcio, chiamate musharabia ,
che servivano a filtrare l'abbagliante luce del sole e a
proteggere la propria intimità da sguardi sconosciuti. In uno di
questi appartamenti ci abitava Marco Abate Daga, un caro amico, che
frequentavo spesso, specialmente durante le mie vacanze estive
nella spiaggia del Lido Nuovo.
Più
avanti a sinistra c'era il cinema estivo Rivoli, metà di tante
nostre spensierate serate estive tripoline e di fronte al cinema, tra
Via Bramante e Via Giotto, c'era il Palazzo dei Tascone. Dalla parte
opposta, all'angolo con Via Gioberti, c'era il negozio di
biciclette di Giuma Muntasser, dove tradizionalmente avveniva
l'operazione di punzonatura, prima dell'inizio ogni gara
ciclistica che si svolgeva nei dintorni di Tripoli. A seguire
il negozio di un macellaio arabo, il negozio di merceria dei
Barbagrigia, il negozio di genere alimentari di Dante ( così lo
chiamavano tutti) e subito dopo un altro negozio di generi
alimentari, quello di Paolino Bevilacqua, adiacente al negozio di
rivendita di generi alcolici dei Sortino. Dopo i Sortino, nel
palazzo a lato, ci abitava la famiglia di un mio ex compagno di
scuola, Piero Provenzano. Dalla parte opposta c'erano delle case,
dette popolar, in cui vi abitavano i Paternò ed i Lasciarrea.
Proseguendo
c'era una strada traversa chiamata Via Ippolito Nievo, dove
all'angolo con Corso Sicilia c'era il negozio di barbiere dei Dama,
padre e figlio. Dopo i Dama c'era il portone del palazzo dove
abitavano i Guma, miei professori al Liceo. Un centinaio di
metri dopo c'era il ristorante Ittihad,
dove vendevano anche cibo da asporto. Mi sembra di sentire
ancora il delizioso odore del cuscus di agnello che proveniva dalle
loro cucine. Di fronte al ristorante c'erano i giardini
pubblici, che sono stati sede per anni di famosi circhi, quali
Medrano, Togni, Orfei etc. Un lato del perimetro
dei giardini pubblici partiva da via Giotto, dove c'era
il parcheggio delle carrozze trainate dai cavalli, per arrivare
fino a Via Raffaello. In quella via abitava la famiglia
di un mio ex compagno di scuola elementare, Giancarlo Biscari.
Proseguendo per Corso Sicilia, dallo stesso lato più avanti, c'era
la Chiesa della Madonna della Guardia, oggi, dicono,
trasformata in complesso sportivo e palestra di judo. Più avanti la
cartoleria Serrag. Duecento metri oltre, dalla parte opposta,
un palazzo che aveva una forma tondeggiante che tutti chiamavano Il
Colosseo,
e più avanti ancora una moschea.
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Tripoli, Zona
Centro vista da 1320 metri di altezza |
Di fronte alla moschea, sotto gli archi, ricordo alcuni negozi. Il negozio di scarpe Varesino, gestito
dai signori Provenzano e Malerba, la cartoleria Onestinghel, più avanti
il negozio di scarpe Bata. Poi, verso Piazza Italia, prima dell'entrata
principale dell'ex Banco di Roma, c'era una lunga fila di
lustrascarpe, che oltre ad esercitare il loro mestiere di pulizia delle
scarpe alla modica cifra di due piastre, almeno fino alla fine degli
anni cinquanta, avevano delle bancarelle dove venivano esposte per la
vendita riviste e fumetti di seconda mano, per lo più in lingua
inglese, provenienti dalla base americana del Wheelus Field. Dalla
parte opposta sotto i portici c'era il negozio del barbiere Calvo
e proseguendo il palazzo della Riunione Adriatica di Sicurtà e
poi il palazzo del Governo. Arrivo a Piazza Italia (poi Maidan
Aushhada), una larga piazza con una bella fontana. Al centro della
piazza c'è una vasca circolare di circa 10 metri di diametro, in
cui giacciono, semisommersi, cinque cavalli di cemento. Sulla loro
criniera, è adagiata una vasca più piccola, ricamata con ghirigori, da
cui fuoriescono due coni zampillanti d'acqua. Così come il numero
dei cavalli , anche le vie che si diramano da Piazza Italia sono
cinque. Guardando la piazza d'alto, queste cinque vie sembrano
aprirsi come le dita di una mano, cosi' di seguito: pollice, Corso
Sicilia; indice, Via Piemonte (poi Sciara el Luadi, ed ora ora
Amr Bin Al A'ss Street); medio, Via Lazio (poi Sciara Mizran); anulare,
Via Costanzo Ciano ( poi Sciara 24 Dicembre, ora 1st September
Street); mignolo, Corso Vittorio (poi Giaddat Istiklal, ora
Imhimmid al Mqaryif Street). (Dal libro "Reminiscenze tripoline" di Roberto Nunes Vais ). Io
aggiungerei una sesta strada quella che porta alla Città Vecchia,
alla Medina, che ha inizio da Suk el Muscir
Mi
prometto di percorrere queste sei strade ripartendo sempre da Piazza
Italia. All'incrocio con l'ex Via Piemonte c'era il
cinema teatro Alhambra. Accanto al cinema il negozio di specialità
culinarie e dolci arabi, Shahrazade.
Lì si trovavano i più disparati tipi di dolci arabi, addolciti
quasi sempre col miele. La loro preparazione è basata su alcuni
ingredienti ricorrenti: le mandorle, l'uva sultanina, i datteri, i
fichi secchi, i pistacchi e l'acqua di fiori d'arancio. Secondo me il
miglior dolce arabo, se preparato e conservato bene, è la baklava.
clicca sulla foto per
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Baklava, dolce
arabo |
Proseguendo
più avanti sul lato destro, mi c'è il Cinema Lux, dove proiettavano
film in inglese, con sottotitoli in arabo ed italiano. Soltanto la
domenica pomeriggio venivano proiettati film doppiati in italiano.
Quasi ogni domenica ero solito andare in questa cinema con
alcuni miei amici coetanei, Giglio Gennaro, Tonino Virone, Piero
Provenzano, Enzo Vaccarini (amici che durante le vacanze estive
incontravo nelle Spiagge del Lido Nuovo e del Lido Vecchio).
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Da sinistra
io, con
Piero Provenzano e Tonino Virone al Lido Vecchio
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Dopo
il film avevamo preso l'abitudine di fermarci ad una
friggitoria di fronte al cinema e ognuno si comprava un panino
con hamburger condito con cipolle fritte e una Kitty Cola o una Pepsi
Cola per digerire tutta quella frittura.
Camminavamo
e mangiavamo soddisfatti del sapore del nostro panino. Poi parlavamo
di varie cose, del film visto, di calcio, di pallacanestro, di
atletica ma sopratutto dei nostri primi giovanile approcci con le
ragazze. Generalmente la nostra serata domenicale terminava dopo
una lunga passeggiata sul Lungomare Adrian Pelt, che faceva da
barriera al mare. Ma torniamo in Via Piemonte e ripartiamo da dove
c'era il cinema Lux. Proseguo questo mio giro cittadino andando
duecento metri più avanti, sul lato sinistro della strada,
dove c'erano due enormi cancelli, che erano i due ingressi, quello
della Scuola Media e quello dell'Avviamento Commerciale ed
Industriale. Per ricordare le altre strade torno in Piazza Italia e
riparto dalla strada del nostro figurativo dito medio , cioè Sciara
Mizran (ex Via Lazio), la strada dove c'era il Liceo “Dante
Alighieri” e l'Istituto Tecnico per geometri e ragionieri
“Guglielmo Marconi”.
Guardo
verso il centro dello schermo e riconosco il Porto, il
Castello, l'enorme Piazza ora chiamata Piazza Verde da cui si
dirama l'ex Lungomare Adrian Pelt (ora Al Fatah Street) con i due
filari di palme di datteri, disposti dal lato mare.
Dicono che ora che questo viale non costeggia più il mare. E' stata
creata un'estensione di cemento larga circa centoventi metri, che
parte dalle vicinanze del Castello e si allunga per circa un
chilometro e mezzo. Ora su questa estensione passa uno stradone a sei
corsie, che si snoda parallelo all'ex viale Adrian Pelt. Più
in là c'è la rotonda di Piazza Gazzella con accanto tutto il verde
degli alberi dei giardini pubblici. Mi ricordo gli spumeggianti
zampilli d'acqua di questa bella fontana che bagnavano la
scultura bronzea di una gazzella, resa verdastra dal tempo
e dall'acqua, unita alla scultura di una donna nuda,
sdraiata in una posa languida, insieme alla gazzella. La
donna che aveva dei capelli pettinati con due trecce, stava al centro
della vasca colma d'acqua, e con la mano sinistra teneva una
brocca e con la destra accarezza il collo della gazzella
(fine prima parte)
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