LA
MIA SICILIA
Mala sorti |
Vulissi un
tettu na me testa
pi putiri
taliari da finestra,
na’ na jurnata di festa,
affacciatu
ca cumpagna mia,
a genti chi
passa pi la via.
Na vita ni fici di travagghiu,
di me’ anni
spisi li megghiu,
a zappari a
terra du padruni.
M’attuccassi na casa cu balcuni
e inveci
abbitu all’astracu sulari
dunni
d’estati si crepa di caluri
e
d’invernu di friddu ca si mori.
Stu distinu
tocca a li viddani:
zappari
sempri terra e siminari,
mentri
all’autri, sulu beni stari.
Chista si chiama “a mala sorti”.
°°°°°°°°° Il
mondo contadino torna a riproporre i suoi problemi. Un povero bracciante, dopo
una vita di duro lavoro in campagna, sotto padrone, si rammarica di non
possedere una casa propria, dalla quale potersi affacciare con la compagna, in
un giorno di festa e guardare la gente che passeggia per la via e perché no,
farsi anche vedere da loro. Questa è la cattiva sorte riservata al contadino.
°°°°°°°°°
Mala sorti
Vorrei un
tetto sopra la mia testa
per potere
guardare dalla finestra,
in una giornata
di festa,
affacciato
con la mia compagna,
la gente che
passeggia per la via.
Ho sempre
lavorato nella vita,
dei miei
anni ho speso i migliori,
a zappare la
terra del padrone.
Meriterei
una casa col balcone
E invece
abito in un lastrico solare,
dove in
estate si crepa di calore
e d’inverno,
un freddo che si muore.
Questo
destino tocca al contadino:
zappare, sempre
terra e seminare,
mentre agli
altri, solo bene stare.
Questa si
chiama “la mala sorte”.
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