La stanza  di Carmelo R.Viola

Carmelo R. Viola

   

In ricordo di Carmelo R. Viola, mio padre

L'articolo, di Gianni Viola,  è stato preso dalla rivista "Rinascita"

Un grande albero dai cui rami ho colto i frutti della mia conoscenza, questo è stato mio padre, Carmelo Viola, serenamente scomparso il giorno 4 di gennaio dell’anno 2012, alla cui sorgente risalgono i miei primi conati di curiosità, le mie prime domande sulla vita.
Ancora bambino e lui poco più che ventenne, chiedevo cosa vi fosse nel Cielo, ed egli ispirato dalle letture di Flammarion, non ancora oscurato dalle insidie della imbelle scienza di regime sorta negli anni ’60 del secolo scorso, mi ripeteva che su Marte forse vi era vita intelligente…
Per quanto possibile, lo imitavo redigendo giornalini che lui rimirava con tenerezza e forse con una intenzionale approvazione pedagogica. Era sempre attento alle mie curiosità e mi parlava come se io fossi un ometto. Non trascurava di stimolarmi e di rendermi attento contro i facili entusiasmi. Dirigeva una sua rivista, ed io lo aiutavo sistemando le fascette per la spedizione e incollandone gli indirizzi. Ero orgoglioso in un disegno di cui non comprendevo la portata e il significato.
La prima volta che decisi di partire alla scoperta del mondo, fu in occasione dell’incontro con il mio primo editore. Mio padre mi pose la condizione che sarebbe stato lui ad accompagnarmi e mi seguì passo passo dandomi i consigli del caso. Avevo contattato quel giornalista-editore grazie ad un bollettino pervenuto in mezzo ai tanti rivoli, fra la sua immensa mole di corrispondenza.
Una figura notevole di casa nostra era il postino. All’epoca la corrispondenza rappresentava l’unico vero mezzo di comunicazione. La radio era limitata ai soli operatori interni, la televisione era nata da pochi anni, il computer era ancora di là da venire. Il postino si poneva come ponte con il mondo. Egli sostava a casa nostra per smaltire il materiale da consegnare, ma anche per scambiare quattro chiacchiere e, quando possibile, barattare un po’ di francobolli fra i doppioni che ci ritrovavamo. Per me la posta era come un pacco dono quotidiano. Vi rovistavo alla ricerca di qualcosa di nuovo. Ne ero attratto.
Gli anni trascorrevano, quando al mio primo convegno, riassumendo le esperienze di vita, ebbi a constatare che tutte le mie ricerche, quand’anche si fossero discostate in alcuni punti dalle posizioni di mio padre, erano tuttavia originate da fatti, circostanze, coincidenze, casualità, nel loro complesso riconducibili alla sua esuberante personalità.
Stimolato da una serie di mie domande e contento della fiducia che io riponevo nelle sue spiegazioni, ricordo che mi illustrò il percorso della mia vita attuale e quello relativo alla mia vita futura. Mi rassicurò riguardo le mie incertezze e mi diede una ragione fin’anco di alcuni miei comportamenti bizzarri. Mi disse che io ero più fortunato di lui, per non aver subito la “cappa magnetica” di una qualunque educazione assolutista, che, da adulto mi avrebbe indotto a ristagnare in un credo asfissiante, o, in alternativa, ad assumerne un altro in totale opposizione. “Tu”, mi disse, “potrai svolgere al meglio i tre momenti della dialettica, prendendoti il tempo che vorrai o quantomeno che la vita ti consentirà. Farai meglio di me, e forse ricorderai il contributo che il tuo papà ti ha dato” e proseguì… “Quando si compiono i primi studi, si è giovani, si immagina di avere scoperto il mondo, la verità… di essere diversi da ogni altro individuo e che tutto sia dentro di noi. Noi siamo la verità, e dobbiamo trasmetterla a chi ancora non l’ha raggiunta. Questa è l’infanzia del pensiero, ma corrisponde all’adolescenza della nostra età, che può durare pochi anni o protrarsi oltre il limite fisiologico, forse tutta la vita. In tal caso, come succede nella biologia, ciò che dura oltre il limite naturale diviene patologico. Nella seconda fase ci accorgiamo che il nostro pensiero, maturato nella solitudine delle nostre riflessioni e del nostro sfrenato egocentrismo, ha di fatto fallito perché non ha tenuto conto del contributo degli altri. Il pensiero da endogeno diventerà esogeno. A questo punto, cercherai al di fuori di te quel che non hai saputo cogliere dentro il tuo spirito.” “Come puoi osservare”, continuò, “nella prima fase si tende a fare da maestri ad altri, nella successiva si cerca una guida che illumini i nostri passi, mentre nella terza ed ultima fase, ci si accorge che la verità è sì, dentro di noi, ma temprata da un elemento esterno, formato dalla storia e dal contributo degli altri. Quest’ultima rappresenta il passaggio fondamentale dall’adolescenza alla maturità del pensiero, ed è solo in essa che lo spirito raggiunge le più alte vette della propria realizzazione.
Confesso che all’epoca, quelle parole non le compresi in tutta la loro portata, e del resto, mi sarebbe stato impossibile capirne il valore poiché ancora non le avevo sperimentate. Tuttavia, come una luce illuminarono la mia coscienza guidandomi nella ricerca della verità. Iniziarono ad accompagnarmi nel percorso di tutte le mie ricerche, conducendomi a definire, talvolta anche in termini esasperatamente sistematici, una esatta applicazione del metodo scientifico sperimentale, spinto da ciò che mio padre chiamava “pulsione esistenziale ad emergere”, filo conduttore della sua scienza biosociale.
Egli sosteneva che, mentre l’animalità risponde alla pulsione della fame con la predazione e alle sollecitazioni dell’ambiente con una sorta di intelligenza inconscia, solo la specie umana è aperta all’autoconsapevolezza, al pensiero astratto, alla conoscenza, alla ragione e all’etica. Quest’ultima, intesa come punto di arrivo di tale automatismo, per il maggiore profitto della mutualità per il singolo individuo e per la specie. Applicando tale parametro al sistema economico-politico dentro cui viviamo, il capitalismo non è che “predazionismo”. In termini storici è guerra di conquista e di espansione, esercizio del potere come strumento di dominio, colonialismo, imperialismo. Se il predazionismo nasce dalla razionalizzazione dell’istinto animale e dà luogo alla lunghissima adolescenza antropozoica, solo l’etica compie il percorso del soggetto-uomo, estendendo l’autoidentificazione al proprio simile, di fatto, e, potenzialmente, all’universo vivente. L’uomo propriamente detto si ha quando, rispondendo all’attuazione dei diritti naturali, vive da eguale fra eguali.
Le sue conclusioni erano tragiche, ma realistiche.
L’epilogo del predazionismo antropozoico è l’estinzione della specie, e l’alternativa al capitalismo nasce, anche inconsapevolmente, da due sentimenti complementari: dalla rivendicazione dei propri diritti naturali e dal bisogno di liberare i propri simili dall’illimitata e illimitatamente variegata violenza antropozoica.
Tale alternativa, diceva, è il socialismo. Va detto tuttavia che egli era “da sempre” un uomo senza partito, né legato ad un movimento o ad una corrente o ad un autore o ad un nome. Cercava di essere un uomo di scienza, al di sopra delle parti, pronto a sostenere le cause giuste da qualunque fonte fossero originate.
Ricordo le diàtribe e le polemiche di tanti studiosi, nel momento del confronto del proprio pensiero con le tesi della biologia del sociale. A tal riguardo, la psicologia moderna sostiene che “lo scetticismo ostinato è in sostanza una vera e propria patologia”, e gli scettici più aggressivi sono disposti anche a imbrogliare, ingannare e mentire sulla reale situazione che viene loro sottoposta. Tale fenomeno viene inteso come “dissonanza cognitiva”.
La biologia del sociale è una chiave di lettura del quotidiano e della storia, e pure una risposta ai “vuoti scientifici” dell’anarchismo tradizionale. Tale incompatibilità, sia metodologica che speculativa, lo allontanarono dal movimento, che egli accusava esplicitamente di “vecchio e persistente settarismo”. A tal proposito in un suo testo, è presente un invito agli anarchici a “ripudiare la liturgia sterile dell’astensione e dell’attesa di una ‘rivoluzione senza Stato’ che non avverrà mai”. Da parte di un esponente del movimento, fu accusato di “essere indietro di una quarantina d’anni”, ma quando l’accusato propose un confronto, l’esponente si dileguò, non rispondendo ad alcuna delle domande postegli per iscritto… Mio padre analizzò l’accusa subita, e si espresse in questi termini: “Ho dato un’occhiata al “classico” (gli anarchici di quarant’anni fa…), e al moderno (gli anarchici attuali…), riscontrandovi una perfetta continuità.”
Dalla stessa fonte viene incolpato di essere “collaboratore di un giornale fascista”, segnatamente il quotidiano romano “Rinascita”. Un’accusa, invero, senza senso, poiché tale organo di stampa che ha il sottotitolo “Quotidiano di sinistra nazionale”, mi risulta nei fatti, aperto alla collaborazione di chiunque non sia allineato con il “pensiero unico” liberista. La situazione giunse al ridicolo, quando si pretese che mio padre si impegnasse, tramite una dichiarazione scritta, ad interrompere la collaborazione con il quotidiano dianzi menzionato. Egli giudicò tale richiesta, “una sorta di abiura come ai tempi di Galilei”, un ennesimo scontro con l’“autorità” degli “antiautoritari”, che continuano a confondere “la coerenza con la settarietà”; un atto di “autorità” abusiva da parte dell’anarchismo “tradizionale”, in totale contrasto con lo spirito “antiautoritario” predicato ufficialmente. Con la coerenza di sempre, mio padre, testualmente rispose: “Non intendo chiedere indulgenza per una mia libera esperienza personale di carattere giornalistico e meno che mai portarmi dietro un debito morale ed una limitazione per la mia libertà futura” (…) “In questa veste non devo nulla a chicchessia se non alla mia coscienza”.
Nella sua professione di libero pensatore, si definisce antitomista, antiteista, e pur tuttavia con un’apertura ilozoistica, non propriamente panteistica ma piuttosto dialetticamente trinaria.
A tal riguardo, in una recensione (di un suo opuscolo), apparsa sulla rivista di studi scientifici “Il mondo di domani”, si legge: (…)“Nel Viola non abbiamo sentito il materialista, ma un pensatore di solida struttura che sa ciò che si può negare e ciò che è al di là del nostro potere di giudizio” (…)“Spirito, Materia e Vita sono una trinità, che è essenzialmente una unità (…) è il dogma cristiano della trinità; è la Trimurti dell’India; (…). Le cose che ci dice l’opuscolo (…) ce le ha dette Ermete Trismegisto, il sapiente egizio, nel suo ”. Da laico, qual era, Carmelo R. Viola, mio padre, mi fece conoscere ed amare la vicenda umana e il pensiero di Don Lorenzo Milani, denunciato, processato e assolto per aver difeso “il primato della dignità umana” avversa alla stupidità dell’obbedienza militare.
Concludo con il pensiero rivolto al mio caro genitore scomparso, e ne riporto, commosso, le sue ultime inquietudini: “Cosa ne sarà del mio patrimonio di riflessioni? Se ne serviranno i miei posteri o resterà una voce chiamante nel deserto? Io temo di dovere sostituire il mio realismo/possibilismo con un pessimismo nero. Il mio sconcerto è tanto grande quanto la stupidità, l’ipocrisia e la ferocia delle masse di questo terzo millennio, protese a sostenere una civiltà che pare abbia imboccato la via di ritorno alle origini forestali o quella della propria estinzione.
Il culto dell’impostura, la caccia al profitto in maniera legale o mafiosa (paralegale), l’acquiescenza alle menzogne e alle pretese dell’imperialismo gangsteristico degli Usa, mi offendono e mi annichiliscono. Mi chiedo se io non sia un alieno.”



HIROSHIMA

Hiroshima, cheloide nel cuore dell’Umanità,
le tue creature straziate urlano ancora
silenzi di terrore
contro gli artigli del dio Sole

Tasukete Kure”, “Per cortesia, aiuto”
supplicano cerimoniosamente bocche
di corpi orrendamente spellati.

Bucce rinsecchite di mostri ancora vivi
cospargono il suolo di maledizioni
contro la guerra.

Mizu, mizu!”, “Acqua, acqua!”
Sospirano spettri di dolore
e bevono sangue
in una tomba di liquame radioattivo.

Hiroshima, cheloide nel cuore dell’Umanità.
Le tue ceneri proiettano ancora
grida d’angoscia nei secoli.
Il cielo piange lagrime
di esalazioni incandescenti.

Tasukete kure!”, “Per cortesia, aiuto!”
I tuoi figli muoiono perdonando.

Raffiche di neutroni carbonizzano libri e idee,
li risucchiano in alto
dalle pie mani di chi pensa:
non è tempo di uomini.

Millenni rovinano a una bufera di démoni.
L’uomo è inutile davanti alla magia dell’atomo.

Mille a mille occhi innocenti…
Oh! Il seno materno tra cose e sospiri,
tra infranti aneliti di vita,
tra rottami di mondo.

Oh! Il seno materno tra spiriti feroci,
e strappano carni a pezzo a pezzo.

Oh! Quelle mille e mille boccucce
che succhiano raggi di morte
in un sogno di vero.

Hiroshima, cheloide nel cuore dell’Umanità:
i tuoi bambini brancolano ancora,
verso un’inutile perché…

Carmelo Rosario Viola - 1967