La memoria. Un termine che
sinceramente mi impegna e coinvolge emotivamente perchè immagazzina, uno o
tantissimi ricordi del passato, siano essi belli o brutti. Sinceramente sono
incapace a dare una spiegazione medica, scientifica, psichica al termine
stesso, perchè ripeto è infinita la memoria inerente a personaggi, fatti
storici, positivi o negativi, drammatici o meno, eventi sportivi, calamità
naturali e via dicendo.
Io invece vorrei soffermarmi alla memoria di un estate di 45 anni fa,
precisamente a quel dramma, progrom,
che fu la nostra cacciata dalla Libia, decisa da un regime dittatoriale di
militari giovanissimi, a cui faceva capo un autoproclamatosi colonnello
ventisettenne di nome: Muammar Gheddafi.
Nonostante sia una memoria di ricordi tristi e drammatici, dove ventimila
italiani persero tutto, incominciando dalla dignità, con un discorso di
confisca proclamato da Gheddafi verso il tramonto, nel campo sportivo di Zavia,
il 21 Luglio 1970, che io da allora ho sempre chiamato : Il giorno
dell'umiliazione.
Vorrei invece che fosse una memoria di ricordi, rispetto, onore, umanità,
verso persone che in quel deserto a 40° all'ombra, tirando fuori il meglio da
se stessi in tutti i sensi, con sacrificio, sudore, sangue, rinunce,
umiliazioni, lo resero un paradiso in terra, di piantagioni e colture.
Desidero personalmente, avendo vissuto a 17 anni di persona quel dramma, con le autoblindo dei militari
all'entrata dell'azienda agricola a Collina Verde, il giorno dopo il discorso
di confisca del dittatore Gheddafi.
Permettetemi, chiedendo scusa a nome di tutti i profughi italiani della
Libia che persero tutto, rientrando in Italia con quattro stracci, che quegli
eventi drammatici vengano ricordati e tramandati.
Spererei che in tutte le famiglie, venisse ricordato, raccontato ai figli,
incominciando da me che ne ho tre e già adulti e dopo loro ai nostri nipoti, di
seguito ai pronipoti e via di seguito nel
futuro, gli anni meravigliosi
vissuti in Libia tra di noi e purtroppo anche il dramma della cacciata,
che vivemmo sulla nostra pelle, diventando e con orgoglio, i profughi italiani
della Libia.
Sulla
nostra cappellina di famiglia dove sono sepolti i miei
genitori: Raffaele e Olimpia Stefanile ( il papà arrivò in Libia nel
1928, a 10
anni e lì ve ne trascorse 42, la mamma giunse con le colonie degli
anni 1938 e 1939 e ci restò per 31 anni) accanto al cognome di
famiglia Stefanile, in cima, sulla
cappellina in cimitero, tra virgolette figura la scritta “ Libia “
segno della
loro e nostra futura memoria di quegli anni.
Anche perchè in futuro, centinaia di migliaia di profughi arrivati in
Europa e nel mondo, saranno i discendenti non solo di noi profughi italiani
della Libia cacciati nel 1970, ma di tutti coloro che fuggendo da dittature,
guerre, fame, violenze di ogni genere, ancora adesso e chissà per quanto in
futuro, rischiando e purtroppo spesso, sacrificando la propria vita, cercano un
futuro migliore per loro e per i loro figli.
Inshallah (se Dio vuole)
Antonio
Stefanile di Raffaele
21
Ottobre 2015